La rivoluzione degli Impressionisti
Quando nella pittura venne creata la luce
Alessandra Doratti
Con il nome di Impressionismo si indica quel fenomeno pittorico sviluppatosi in Francia tra il 1867 e il 1880. Legato agli inizi a un gruppo ristretto di personalità - Monet, Manet, Bazille, Sisley, Degas, Pissarro, Renoir, Berthe Morisot e Cézanne - si sarebbe trasformato in fenomeno europeo e poi mondiale, coinvolgendo nella propria poetica coeve manifestazioni letterarie e musicali, e concludendo formalmente nella sua parabola le ricerche naturalistiche dell'Ottocento romantico, dando così inizio alle avventure dell'arte moderna. Pur rivestendo, quindi, una funzione di rottura delle convenzioni del linguaggio figurativo e vivendo da vicino la crisi percettiva che l'invenzione della fotografia contribuiva a far emergere fortemente, la storia dell'Impressionismo non possiede tuttavia trattati o riflessioni teoriche accentratrici, né tantomeno personalità che assumono un ruolo carismatico e di guida assoluta. Perciò l'avventura impressionista ben si presta, nel suo romanzesco, frammentario andamento, a indicare, dalla parte della pittura, quella crisi di valori che aveva coinvolto la fine delle grandi ideologie e dei grandi racconti caratteristici dell'Assoluto romantico. Inoltre, con l'Impressionismo emerge in maniera prorompente quel concetto di modernità che tanto affascinava Charles Baudelaire.
L'artista nel vortice della folla pulsante
L'artista moderno - come scriveva il poeta nelle pagine dedicate alla critica d'arte - si cala nel vortice della folla che pulsa nella città, ne diviene lo specchio immenso che raccoglie la grazia mutevole di tutti gli elementi della vita, le immagini più vive della vita stessa. In questo fluire perpetuo e insaziabile, l'artista moderno saprà cogliere il poetico anche nell'effimero, nel quotidiano, nel transitorio, distillandolo nei caratteri immutabili dell'arte. La "scuola", l'"accademia", saranno allora troppo chiuse, incapaci di comunicare il senso di questo fluire perenne e la ricerca dovrà abbandonare le certezze di una filosofia assoluta e persistente, scegliendo di percorrere le vie dell'immaginazione e della visione non accademica della realtà e usando spregiudicatamente l'intelligenza critica.La generazione degli Impressionisti nasce tra il 1830 e il 1853. Un precedente nella scelta dell'ispirazione formale può essere colto nell'Esposizione Universale del Padiglione del Realismo, dove Gustave Courbet (1819-1877) esponeva le sue opere e indicava la strada che l'arte pittorica avrebbe dovuto percorrere: il pennello avrebbe dovuto cogliere la realtà, senza mescolarsi a programmi ideologici e poetici precostituiti. La sensazione di vivere doveva apparire, quindi, libera dai legami del soggetto del quadro, non confondendosi con esso, ma facendo scattare sul piano visivo quel "realismo" che la visione comunica, rifiutando il gusto del "bello", del "grazioso", del "sentimentale". Una possibile giustificazione di questa teoria, come del resto della futura corrente impressionista, va ricercata anche nell'evoluzione estetica che comportò, in altre arti, l'uso di tecniche nuove, come il cemento armato, le lastre di vetro, i materiali tecnici utilitari come ad esempio il ferro, nel domani dell'architettura e dell'ingegneria: si pensi alla Tour Eiffel o al salone della Biblioteca Nazionale di Parigi progettata da Labrouste, e all'invenzione della fotografia. È soprattutto con quest'ultima che lo sguardo e la percezione mutano: il fotografo, come più avanti avverrà per il cinematografo, può "sostituirsi" al pittore nei ritratti, nelle vedute paesaggistiche e cittadine, nei reportages di vita quotidiana. Al pittore rimane evidentemente non più il compito di "raffigurare il vero" ma quello di affinare le capacità tecniche e di usare ciò che è tipico della pittura: il colore, la struttura del segno, la ricerca del come rappresentare l'immagine che ha davanti a sé.
La nuova freschezza dei colori chiari
In questa ricerca di una pittura inedita, i nuovi artisti traggono anche ispirazione dalla moda delle stampe giapponesi, in stile Ukiyo-e ("pittura del mondo mutevole") che affascinano i giovani pittori con la freschezza dei colori chiari e l'abilità di sentire il paesaggio nella sua immediatezza. Pare che fin dal 1855, l'incisore Braquemond avesse scoperto le meraviglie dello stile giapponese, attraverso le stampe di Hokusai. Ma fu l'apertura, nel 1872, della "Porta Cinese" di Mme Desoye e, soprattutto, il primo allestimento di un padiglione 'orientalÈ in occasione dell' "Esposizione Universale" del '67 a catalizzare l'interesse dei pittori parigini per l'arte giapponese. «Si scoprì allora la semplice e forte bellezza delle xilografie dell'Estremo Oriente, se ne ammirò la qualità sintetica e sobria della forma, la ricchezza e la purezza dei toni, il fulgore della luce» (Blunden). Tali elementi divennero ben presto familiari a Manet, Degas; Fantin-Latour, Monet e Van Gogh, che, nelle creazioni di Hokusai, Utamaro e Hiroshige, trovano l'esplicazione di una "diversa" eleganza formale, fondata sul sintetismo. È nel 1860 che iniziano a frequentarsi Monet, Pissarro e Cézanne presso l'Accademia Svizzera e nel '72 nello studio del pittore accademico Gleyre, troviamo Monet, Renoir, Bazille, Sisley; l'atmosfera è caratterizzata da vivaci discussioni sulla pittura. Benché divisi e senza grandi scambi teorici, ambedue i gruppi impostano sintomaticamente la ricerca su elementi convergenti, segno di evidente affinità, ma segno altresì che non esiste la minima intenzione di fondare una "scuola" e tanto meno una teoria. Gli atéliers, ma soprattutto i caffè, divengono il luogo scelto per discutere. È da poco passato il '63, anno in cui Eduard Manet (1832-1883) ha esposto la Colazione sull'erba, che ha suscitato critiche spietate e la reazione difensiva di Zola. Benché in questo dipinto si noti come un aspetto fondamentale dell'Impressionismo il "soggetto" del quadro - venga allontanato dal carattere anedottico in quanto azione, e l'autore voglia dare di esso un'interpretazione fortemente calata nel proprio tempo, quello che colpisce è il modo con cui viene trattato il colore.
Il quadro come pura superficie pittorica
È questo infatti l'altro aspetto fondamentale dell'Impressionismo. La luce e il colore cominciano a diventare l'unica mediazione visiva su cui l'artista deve riflettere, ispirarsi e lavorare. Il quadro diventa una pura superficie pittorica, una nuova realtà, che è distinta dalla realtà naturale e la cui materia è il colore. Il chiaroscuro e i colori complementari vengono proposti con una tecnica rapida, l'immagine, non più imitazione della cosa o dell'oggetto da rappresentare, segue la percezione del riflesso luminoso, procede seccamente, senza emotività. Si viene così a rifiutare una adeguazione alle po etiche romantiche; il percorso percettivo dell'occhio e il conseguente processo ottico registrato dalla retina, tendono a dare della percezione visiva una rappresentazione allo stato puro.Poiché nel 1863 il filtro della giuria aveva respinto più di 4000 opere, suscitando un forte scontento negli ambienti artistici, Napoleone III istituì il "Salon des Refusés", in opposizione a quello ufficiale. Vi esposero Manet, Fantin-Latour, Guillarmin, Cézanne, Pissarro, Whistler. Benché il termine "refusés" suonasse denigratorio, già dal successo del primo giorno (15 maggio 1863), si capì che quel Salon dei "reietti" sarebbe diventato un'istituzione: «Vi si respirava un profumo di giovinezza, di bravura, di passione» (Zola).
Delacroix e Corot, illustri predecessori
Il quadro si scorpora e sembra quasi deflagrare nello studio approfondito e non casuale delle forme, modellate dalla luce e dal colore. L'impressione che se ne ricava è quella dell'assoluta immediatezza. E questa si sviluppa soprattutto nell'osservazione che viene parzialmente attuata sulla natura, in quel preciso ambito che prende il nome di "plein air". Il lavoro all'aria aperta, dove il pittore si confronta con gli spazi e i cieli aperti così come sono, aveva già avuto in Delacroix, Corot e gli acquerellisti inglesi degli illustri predecessori. Questi avevano scelto le spiagge ventose della Manica, divenuta ben presto rifugio mondano della classe sociale più elitaria. Se per un certo tempo gli impressionisti ricercheranno qui un inedito sentimento della natura, a poco a poco inizieranno a privilegiare le rive della Senna, che ormai attira gli sguardi di scrittori come Maupassant e i fratelli Goncourt. Qui la borghesia più popolare si rifugia la domenica, animando l'imbarcadero, solcando il fiume, passeggiando in abiti colorati, cercando, presso le rive, svago e riposo. Questo scenario colpisce Sisley, Manet e Renoir. La visione delle cose e del paesaggio viene giocoforza filtrata dal tremolio dell'atmosfera che si riflette nell'acqua. Acqua, aria, luce, sembrano composte solo di colori che si accendono di ombre, anch'esse colorate, mosse da un ritmo diverso perché colto dal vivo, nel presente. Se il soggetto del quadro viene percepito nella sua accidentalità fenomenica, ciò avviene anche perché la giustapposizione di macchie di colori complementari, la leggerezza del tocco, la tavolozza limpida e chiara, fanno accordare perfettamente l'osservazione diretta e trasfigurarla.
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