Alcune sembrano di zucchero candito, altre di levigato marmo bianco:
uscite dai miti e dalle favole, decoravano i caminetti, le "consoles" e
i centrotavola del passato. Sono le statuine in "biscuit", cioè in
porcellana, sia in pasta tenera sia in pasta dura, non verniciata, né
dipinta ma lasciata quale si presenta dopo la prima cottura. Normalmente
un oggetto in porcellana policroma ha subito diverse cotture, mentre
dopo la prima infornata si presenta bianco e opaco: a questo stadio
viene appunto definito "biscuit". Il termine ha spesso dato luogo ad
interpretazioni erronee: tradotto con la definizione italiana di
"porcellana a biscotto", ha fatto pensare a una porcellana cotta due
volte, mentre in realtà voleva ricordare i gruppi in zucchero candito
che fungevano da centrotavola.
Le prime statuine in "biscuit" vennero prodotte, a quanto pare, a
Vincennes-Sèvres. Sembra sia stato Jean-Jacques Bachelier, uno dei
direttori artistici della manifattura, a proporre, nel 1749 o poco dopo,
di lasciare alcune piccole sculture senza la vernice consueta. In realtà
già nel 1730-40 certe grandi statue realizzate per il palazzo Giapponese
di Dresda non erano state dipinte, e intorno al 1740 statuette bianche
del genere erano già apparse sul mercato.
Ma a Sèvres l'innovazione suggerita da Bachelier ebbe un successo così
grande che vennero chiamati i maggiori artisti del tempo a fornire
disegni per i modelli.
Una figura di primo piano per la nuova produzione scultorea fu il
pittore Francois Boucher. Egli sottopose alla manifattura numerosi
disegni, in buona parte tradotti in scultura da Etienne-Maurice Falconet,
capo dell'"atelier de sculpture" dal 1757 al 1766. Gli "enfants del
boucher", serie modulata da Falconet nel 1757, sono tra i pezzi più
affascinanti del periodo, e comprendono bambini in vesti contadine. Ma
ci sono anche composizioni che richiamano il mondo arcadico e mitologico
così caro al Settecento, nonché le scene galanti e i personaggi
teatrali: fanciulle in vesti di giardiniere, attori e personaggi delle
commedie teatrali, pastori e pastorelle sono in realtà la trasposizione
in porcellana del roseo mondo di Francois Boucher.
A Falconet si devono inoltre figure mitologiche in linea con l'ideale
neoclassico, spesso tratte da disegni autografi. Né mancano, in base
anche alle similitudini che accoppiano marmo e "biscuit", copie di
sculture di grandi dimensioni. In particolare, a Sèvres vengono prodotti
busti dei reali di Francia copiati dalle sculture di Jean-Antoine Houdon
(1741-1828) e dei Lemoyne (XVII-XVIII secolo).
Ricercate dalla moda dell'epoca, malgrado alla superficie aderisse
facilmente la polvere, queste bianche statuine venivano protette, anche
per le loro fragili sporgenze, sotto campane di vetro e collocate sopra
caminetti e "consoles". I gruppi e le sculture per centrotavola erano
spesso venduti insieme al vasellame. Dalla Francia si diffusero
rapidamente in tutta l'Europa. Se a Meissen la loro produzione non fu
mai particolarmente rilevante, "biscuit" significativi furono viceversa
prodotti a Vienna a partire dagli anni 1770. Agli inizi il repertorio
comprendeva gli stessi modelli già realizzati in policromia, ispirati al
mondo dell'Arcadia o alla tematica galante. Si tratta di statuine
eleganti e sottili, con teste piccole, mento sfuggente e piedini
appuntiti. Capo modellatore fu, negli anni fra il 1747 e il 1784, Johann
Josef Niedermayer, a cui è attribuibile questo tipo di statuaria. Il
diffondersi della notizia delle scoperte archeologiche di Ercolano e
Pompei, e l'instaurarsi del nuovo gusto neoclassico, determinarono anche
nella scultura in porcellana un irrigidimento delle forme e una ripresa
dei temi dell'antichità. A Vienna tale stile caratterizzò soprattutto la
produzione del periodo in cui fu direttore della fabbrica Konrad Von
Sorgenthal (1784-1805). Tra i modellatori più importanti, Josef Dangel,
a cui è dovuto il gruppo rappresentante "Il ratto d'Europa", e Anton
Grassi, già assistente di Niedermeyer, attivo alla manifattura fino al
1807, anno della sua morte.
Il richiamo all'antico si fa ancor più evidente nella produzione delle
manifatture italiane. A Roma, la fabbrica di Giovanni Volpato si
distinse per le sue figure in "biscuit" copiate dalle maggiori creazioni
dell'antichità (il Centauro Borghese, l'Apollo Belvedere,
il Fauno Barberini, il Gladiatore morente), in ossequio al
fatto che la città era diventata, grazie alla presenza dell'archeologo e
studioso d'arte classica Johann Joachin Winckelmann e di Canova, uno dei
maggiori centri del neoclassicismo. Altro centro di primaria importanza
fu il regno di Napoli. Nel 1743 Carlo III nel parco del palazzo reale di
Capodimonte aveva creato la celebre fabbrica di porcellane. Quando però
nel 1759, egli salì al trono di Spagna, il personale della manifattura
lo seguì a Madrid, e l'attività di Capodimonte conobbe un arresto. Fu
solo nel 1771 che Ferdinando IV fondò la Real Fabrica, la quale, grazie
alla presenza di Domenico Venuti, direttore dal 1779 al 1800, e di
Filippo Tagliolini, capo dei modellatori dal 1781 al 1807, si distinse
per una produzione di "biscuit" in pasta tenera, considerati fra i
migliori del genere. Si tratta di statuine e gruppi di color latteo,
molti dei quali trovano i loro prototipi nelle opere dell'antichità
dissotterrate negli scavi del regno e oggi costituenti il nucleo
principale del museo nazionale di Napoli. Non soltanto sono riprodotti i
bronzi, ma anche gli affreschi più famosi: Achille e Chirone,
Medea, Marsia e Olimpo. A questo filone classiccheggiante se
ne affianca un altro di carattere popolare e burlesco-allegorico: oltre
alle ben noto "panchine", riproducenti personaggi borghesi ritratti dai
modellatori con lieve ironia, e ai gruppi con animali, vanno menzionate
le famose statuine rappresentanti donne vestite con i costumi del regno.
Sono il risultato di un'idea di Ferdinando IV, che negli anni 1782-85
inviò alcuni artisti nelle diverse province per illustrare i costumi
delle varie "Terre di lavoro". Esse sono una copia piuttosto fedele
delle gonaches dipinte dagli acquarellisti napoletani, e una parte fu
probabilmente modellata dal Tagliolini. L'uso del "biscuit" per quanto
considerato un'espressione tipica del neoclassicismo, continuò per tutto
il XIX secolo. Dopo la metà dell'Ottocento si introdusse il colore: e le
statuine divennero figure dai colori vivaci, talvolta addirittura
sgargianti, in genere raffiguranti personaggi esotici oppure tratti dal
mondo medioevale o dal repertorio settecentesco. Secondo un gusto che
privilegiava sia il romanzo cavalleresco sia il "revival" del rococò.
Il bianco sopravvisse con l'art nouveau: la società ceramica
Richard-Ginori, che dal 1898 ebbe come direttore artistico a Doccia
Luigi Tazzini, diede luogo a una produzione di vasi e figure, alcuni di
grande formato, caratterizzato dalle linee sinuose, tipiche dello stile
liberty. Assai apprezzati nel passato, i "biscuit" non riscontrano più
il successo di una volta. Ormai oggetti da museo, si trovano
generalmente in tutte le gallerie che raccolgono porcellane. Eppure nel
Settecento sembra che Madame de Pompadour apprezzasse notevolmente
quelli di Sèvres, e Luisa Elisabetta, figlia di Luigi XV e duchessa di
Parma, collezionava gli esemplari migliori (nel 1759 fece acquistare,
nonostante il prezzo elevato, il rarissimo gruppo de "Il cane che danza
vestito da donna"). Alla fine del Settecento e nei primi dell'Ottocento,
viaggiatori inglesi, ma anche tedeschi e francesi che si trovano in
Italia, acquistavano i pezzi italiani per specifici interessi
archeologici.
Oggigiorno, invece, i collezionisti ai "biscuit" preferiscono il
vasellame o le statuine di porcellane policroma. Comunque i pezzi più
richiesti sono quelli della manifattura napoletana di Ferdinando IV e
vengono preferiti i soggetti popolari a quelli di ispirazione
archeologica, e ovviamente i gruppi valgono più delle statuine singole.