La porcellana bianca

 

 

Alessandra Doratti

 

 

 


Alcune sembrano di zucchero candito, altre di levigato marmo bianco: uscite dai miti e dalle favole, decoravano i caminetti, le "consoles" e i centrotavola del passato. Sono le statuine in "biscuit", cioè in porcellana, sia in pasta tenera sia in pasta dura, non verniciata, né dipinta ma lasciata quale si presenta dopo la prima cottura. Normalmente un oggetto in porcellana policroma ha subito diverse cotture, mentre dopo la prima infornata si presenta bianco e opaco: a questo stadio viene appunto definito "biscuit". Il termine ha spesso dato luogo ad interpretazioni erronee: tradotto con la definizione italiana di "porcellana a biscotto", ha fatto pensare a una porcellana cotta due volte, mentre in realtà voleva ricordare i gruppi in zucchero candito che fungevano da centrotavola.
Le prime statuine in "biscuit" vennero prodotte, a quanto pare, a Vincennes-Sèvres. Sembra sia stato Jean-Jacques Bachelier, uno dei direttori artistici della manifattura, a proporre, nel 1749 o poco dopo, di lasciare alcune piccole sculture senza la vernice consueta. In realtà già nel 1730-40 certe grandi statue realizzate per il palazzo Giapponese di Dresda non erano state dipinte, e intorno al 1740 statuette bianche del genere erano già apparse sul mercato.
Ma a Sèvres l'innovazione suggerita da Bachelier ebbe un successo così grande che vennero chiamati i maggiori artisti del tempo a fornire disegni per i modelli.
Una figura di primo piano per la nuova produzione scultorea fu il pittore Francois Boucher. Egli sottopose alla manifattura numerosi disegni, in buona parte tradotti in scultura da Etienne-Maurice Falconet, capo dell'"atelier de sculpture" dal 1757 al 1766. Gli "enfants del boucher", serie modulata da Falconet nel 1757, sono tra i pezzi più affascinanti del periodo, e comprendono bambini in vesti contadine. Ma ci sono anche composizioni che richiamano il mondo arcadico e mitologico così caro al Settecento, nonché le scene galanti e i personaggi teatrali: fanciulle in vesti di giardiniere, attori e personaggi delle commedie teatrali, pastori e pastorelle sono in realtà la trasposizione in porcellana del roseo mondo di Francois Boucher.
A Falconet si devono inoltre figure mitologiche in linea con l'ideale neoclassico, spesso tratte da disegni autografi. Né mancano, in base anche alle similitudini che accoppiano marmo e "biscuit", copie di sculture di grandi dimensioni. In particolare, a Sèvres vengono prodotti busti dei reali di Francia copiati dalle sculture di Jean-Antoine Houdon (1741-1828) e dei Lemoyne (XVII-XVIII secolo).
Ricercate dalla moda dell'epoca, malgrado alla superficie aderisse facilmente la polvere, queste bianche statuine venivano protette, anche per le loro fragili sporgenze, sotto campane di vetro e collocate sopra caminetti e "consoles". I gruppi e le sculture per centrotavola erano spesso venduti insieme al vasellame. Dalla Francia si diffusero rapidamente in tutta l'Europa. Se a Meissen la loro produzione non fu mai particolarmente rilevante, "biscuit" significativi furono viceversa prodotti a Vienna a partire dagli anni 1770. Agli inizi il repertorio comprendeva gli stessi modelli già realizzati in policromia, ispirati al mondo dell'Arcadia o alla tematica galante. Si tratta di statuine eleganti e sottili, con teste piccole, mento sfuggente e piedini appuntiti. Capo modellatore fu, negli anni fra il 1747 e il 1784, Johann Josef Niedermayer, a cui è attribuibile questo tipo di statuaria. Il diffondersi della notizia delle scoperte archeologiche di Ercolano e Pompei, e l'instaurarsi del nuovo gusto neoclassico, determinarono anche nella scultura in porcellana un irrigidimento delle forme e una ripresa dei temi dell'antichità. A Vienna tale stile caratterizzò soprattutto la produzione del periodo in cui fu direttore della fabbrica Konrad Von Sorgenthal (1784-1805). Tra i modellatori più importanti, Josef Dangel, a cui è dovuto il gruppo rappresentante "Il ratto d'Europa", e Anton Grassi, già assistente di Niedermeyer, attivo alla manifattura fino al 1807, anno della sua morte.
Il richiamo all'antico si fa ancor più evidente nella produzione delle manifatture italiane. A Roma, la fabbrica di Giovanni Volpato si distinse per le sue figure in "biscuit" copiate dalle maggiori creazioni dell'antichità (il Centauro Borghese, l'Apollo Belvedere, il Fauno Barberini, il Gladiatore morente), in ossequio al fatto che la città era diventata, grazie alla presenza dell'archeologo e studioso d'arte classica Johann Joachin Winckelmann e di Canova, uno dei maggiori centri del neoclassicismo. Altro centro di primaria importanza fu il regno di Napoli. Nel 1743 Carlo III nel parco del palazzo reale di Capodimonte aveva creato la celebre fabbrica di porcellane. Quando però nel 1759, egli salì al trono di Spagna, il personale della manifattura lo seguì a Madrid, e l'attività di Capodimonte conobbe un arresto. Fu solo nel 1771 che Ferdinando IV fondò la Real Fabrica, la quale, grazie alla presenza di Domenico Venuti, direttore dal 1779 al 1800, e di Filippo Tagliolini, capo dei modellatori dal 1781 al 1807, si distinse per una produzione di "biscuit" in pasta tenera, considerati fra i migliori del genere. Si tratta di statuine e gruppi di color latteo, molti dei quali trovano i loro prototipi nelle opere dell'antichità dissotterrate negli scavi del regno e oggi costituenti il nucleo principale del museo nazionale di Napoli. Non soltanto sono riprodotti i bronzi, ma anche gli affreschi più famosi: Achille e Chirone, Medea, Marsia e Olimpo. A questo filone classiccheggiante se ne affianca un altro di carattere popolare e burlesco-allegorico: oltre alle ben noto "panchine", riproducenti personaggi borghesi ritratti dai modellatori con lieve ironia, e ai gruppi con animali, vanno menzionate le famose statuine rappresentanti donne vestite con i costumi del regno. Sono il risultato di un'idea di Ferdinando IV, che negli anni 1782-85 inviò alcuni artisti nelle diverse province per illustrare i costumi delle varie "Terre di lavoro". Esse sono una copia piuttosto fedele delle gonaches dipinte dagli acquarellisti napoletani, e una parte fu probabilmente modellata dal Tagliolini. L'uso del "biscuit" per quanto considerato un'espressione tipica del neoclassicismo, continuò per tutto il XIX secolo. Dopo la metà dell'Ottocento si introdusse il colore: e le statuine divennero figure dai colori vivaci, talvolta addirittura sgargianti, in genere raffiguranti personaggi esotici oppure tratti dal mondo medioevale o dal repertorio settecentesco. Secondo un gusto che privilegiava sia il romanzo cavalleresco sia il "revival" del rococò.
Il bianco sopravvisse con l'art nouveau: la società ceramica Richard-Ginori, che dal 1898 ebbe come direttore artistico a Doccia Luigi Tazzini, diede luogo a una produzione di vasi e figure, alcuni di grande formato, caratterizzato dalle linee sinuose, tipiche dello stile liberty. Assai apprezzati nel passato, i "biscuit" non riscontrano più il successo di una volta. Ormai oggetti da museo, si trovano generalmente in tutte le gallerie che raccolgono porcellane. Eppure nel Settecento sembra che Madame de Pompadour apprezzasse notevolmente quelli di Sèvres, e Luisa Elisabetta, figlia di Luigi XV e duchessa di Parma, collezionava gli esemplari migliori (nel 1759 fece acquistare, nonostante il prezzo elevato, il rarissimo gruppo de "Il cane che danza vestito da donna"). Alla fine del Settecento e nei primi dell'Ottocento, viaggiatori inglesi, ma anche tedeschi e francesi che si trovano in Italia, acquistavano i pezzi italiani per specifici interessi archeologici.
Oggigiorno, invece, i collezionisti ai "biscuit" preferiscono il vasellame o le statuine di porcellane policroma. Comunque i pezzi più richiesti sono quelli della manifattura napoletana di Ferdinando IV e vengono preferiti i soggetti popolari a quelli di ispirazione archeologica, e ovviamente i gruppi valgono più delle statuine singole.

 

Alessandra Doratti