La kettuba e il
rituale delle nozze ebraiche
Alessandra Doratti
Da secoli il rituale delle nozze ebraiche ha tutelato la sposa con un
contratto, la kettuba: decorata già nel Medioevo, è divenuta un oggetto
di collezione e di mercato. Sempre più richiesta e introvabile.
Antiquari e collezionisti ne vanno pazzi. In ebraico si chiama
"kettuba", letteralmente, "ciò che è scritto". Non si tratta questa
volta di un prezioso e raffinato oggetto di argenteria di cui è ormai
pieno il mercato, né tanto meno di una lampada shabbatica o di un piatto
pasquale finemente decorato a mano. È semplicemente un manoscritto, a
prima vista senza particolari significati. Un detto rabbinico afferma:
"La differenza fra una moglie e una concubina è una sola, la prima ha la
kettuba, la seconda no". È chiaro quindi che si allude alla vita
familiare, a mogli e non a concubine. Ci si riferisce precisamente a un
contratto matrimoniale inteso a proteggere finanziariamente la moglie,
in caso di abbandono del tetto coniugale o divorzio da parte del
consorte. Potrebbe sembrare una nuova iniziativa del governo israeliano
per incentivare il matrimonio tra ebrei, ma in realtà non è così.
L'introduzione del documento, avente lo scopo primario di tutelare la
donna dai soprusi del marito, si perde addirittura nella notte dei tempi
e pare opera di un certo Rabbi Ben Shetah, presidente del Sinedrio,
vissuto nel II° secolo avanti Cristo.
Secondo la buona tradizione giudaica, il testo in aramaico, lingua
antica molto simile all'ebraico, è rimasto immutato sino ai giorni
nostri, malgrado alcune frasi risultino del tutto incomprensibili a un
lettore moderno. Nonostante l'inflazione, sposare una donna costa, ieri
come oggi, sempre e soltanto duecento zuzim!
Ne è testimonianza questo passo che è stato tratto dal testo ufficiale
della kettuba: "Sii tu mia moglie secondo la legge di Mosé e d'Israele e
io ti nutrirò, ti onorerò, ti sosterrò e manterrò secondo l'usanza dei
mariti ebrei. E io qui accluso faccio per te il saldo delle vergini pari
a duecento zuzim d'argento che ti appartengono secondo la legge di Mosé
e d'Israele".
Il manoscritto, generalmente in pergamena, è contrassegnato dalla data
delle nozze, secondo il calendario ebraico, e dai nomi degli sposi e
delle loro rispettive famiglie. Non mancano, in alcuni casi, riferimenti
a titoli onorifici e nobiliari dello sposo. Sarà la famiglia della sposa
a custodire gelosamente la kettuba, come ricordo di uno dei momenti più
solenni della vita della donna ebrea. La particolarità di questo
documento è, quindi, di essere indissolubilmente legato alla realtà
familiare. Venderlo o non conservarlo, sia esso di avi lontanissimi, è
considerato ancora oggi un gesto irrispettoso e di malaugurio. È
evidente come questo elemento costituisca un ostacolo non indifferente
allo svolgersi di un mercato regolare.
Come osservano i collezionisti, se "la kettuba fosse un oggetto
qualunque, anonimo, un mercato, magari silenzioso, esisterebbe". A tutto
ciò può essere aggiunto che il numero di kettubot (non è un termine
aramaico, è semplicemente il plurale di kettuba) conservato è assai
scarso a causa dell'estrema deperibilità del materiale e della grande
quantità di esemplari andati distrutti nel corso del tempo per i più
svariati motivi.
Ma a questo punto rimane da risolvere il problema centrale. Come mai
tanto interesse per un foglio di pergamena, sia pure scritto a mano?
Certamente per spiegare il suo valore, anche in ambito collezionistico,
non sono sufficienti, per quanto importanti, i fattori storici e
giuridici sopra descritti.
C'è qualcosa di più, infatti, e di molto interessante: il suo valore
artistico. Non a caso il Caster, storico e studioso di antichi documenti
ebraici, ha definito la kettuba, forma d'arte unica nel suo genere, come
"il capitolo più poetico nella storia della cultura ebraica". Ornare e
decorare le kettubot fu un'arte diffusa fin dal Medioevo in gran parte
delle comunità ebraiche sparse in tutto il mondo, da Calcutta ad
Amsterdam, da Amsterdam a Istanbul, in Turchia. Un esempio tra i più
antichi conservati è una kettuba austriaca risalente al 1392. È ornata
su ogni lato del testo dalle figure della sposa e dello sposo. Il marito
ha un cappello ebraico e porge un anello alla sposa, che con una corona
sul capo gli tende la mano destra. I colori brillanti, le ghirlande che
circondano il testo, il carattere dello scritto, dimostrano l'influenza
gotica.
L'opera citata conferma che inizialmente l'arte di decorare la kettuba
fosse diffusa nelle comunità ashkenazite, formate da ebrei originari
della Germania spinti, a causa delle persecuzioni, nell'Europa
orientale, in Polonia, Russia e Ungheria. Ma a ereditare e a sviluppare
tale tradizione artistica furono successivamente le comunità sefardite
composte da ebrei provenienti dalla Spagna che, dopo l'espulsione del
1492, si stabilirono in Europa centrale, Nord Africa e America.
In Italia, centro d'incontro tra le culture ashkenazite e sefardite, il
senso decorativo e ornamentale era così vivo che nei centri comunitari
più importanti, come Roma e Venezia, alla fine del XV secolo nacquero
delle vere e proprie scuole artistiche per gli ornamenti dei manoscritti
religiosi che influenzarono l'intero ambito europeo.
Ma, paradossalmente, è più facile trovare una bella kettuba romana o
veneziana nelle aste di New York, Londra e Parigi, piuttosto che in
Italia. In America e sia pure in forma più ridotta in Francia e
Inghilterra, esiste un ricco mercato di ogni genere di oggetti ebraici
tra cui primeggiano le kettubot, caratterizzato da valutazioni e prezzi
che non possono avere alcun riscontro nella nostra realtà.
Il mercato internazionale degli oggetti ebraici, promosso soprattutto
dagli Stati Uniti, raggiunge cifre altissime, che talora possono
trascendere il valore reale delle singole opere. In quest'ottica il
prezzo di una kettuba del periodo '700—'800 si aggira intorno ad alcune
migliaia di euro. Per quanto concerne i manoscritti di un certo valore
artistico, nelle aste di ChristiÈs a New York i prezzi possono arrivare
con facilità a cifre sorprendenti.
Raramente si possono trovare alcuni esemplari nelle aste italiane.
Tuttavia le scoperte più interessanti si possono fare andando a
curiosare nei retrobottega di quei negozietti del centro di Roma che
fanno la gioia degli appassionati d'arte. Quattro passi si possono fare
anche nel caratteristico centro storico di Venezia. Ma esistono anche
luoghi in cui le kettubot appositamente conservate si possono ammirare,
e precisamente l'Archivio di Stato di Roma e Milano, i musei ebraici di
Roma e Venezia, dove esistono collezioni di enorme valore e, sempre a
Venezia, l'importante museo Correr. Interessanti raccolte si possono
trovare in molte città italiane aventi una ricca tradizione ebraica,
come Firenze e Ancona, o ancora, in Piemonte, nell'archivio "Benvenuto e
Alessandro Terracini" della comunità israelitica di Torino.
Il periodo (un manoscritto anteriore al 1700 è praticamente introvabile
sul mercato), la provenienza, il valore e l'originalità decorativa sono
gli elementi che influiscono sui prezzi delle pergamene ornate a mano.
Lo sposo e la sposa, vestiti secondo la moda del tempo e del luogo,
circondati da scene tratte dalla Bibbia, sono uno dei temi tradizionali
di molte kettubot italiane ed europee, in altri contesti predominano
figure allegoriche della mitologia greca e romana, rappresentanti le
buone qualità dell'uomo. Motivi floreali di gusto esotico creano
brillanti composizioni che richiamano alla mente le kettubot orientali
ornate con elementi vegetali e animali. Evidentemente risultano le
influenze del Rinascimento, prima, del Barocco poi, e infine del
neoclassicismo. Lo studioso David Davidovich definisce le kettubot
ornate come "la rappresentazione un po' ingenua del proprio tempo e del
proprio luogo", sottolineando in questo modo la genuinità di un'arte che
può essere definita autenticamente popolare.
Alessandra Doratti