La fortuna critica di
Artemisia Gentileschi
Federica
Maria Dolores Taverna
Artemisia Gentileschi,
Giuditta che uccide Oleferne. Napoli, Museo di Capodimonte
Artemisia Gentileschi, figlia del pittore caravaggesco Orazio
Gentileschi, rappresenta una delle figure più importanti nel panorama
dell’arte italiana del XVII secolo, sebbene sia stato un personaggio
passato inosservato per molto tempo agli occhi degli storici, anche suoi
contemporanei, i quali si interessarono più alle vicende biografica (la
pittrice fu vittima di uno stupro da parte del pittore Agostino Tassi),
piuttosto che delle sue opere.
La fortuna critica di Artemisia Gentileschi si sviluppa, essenzialmente,
in due direzioni che, nel tempo, si sono alternate e, a volte,
incrociate. La prima riguarda la lettura in chiave femminista data alle
opere della pittrice. La seconda riguarda l’inclusione della Gentileschi
nella cerchia dei seguaci di Caravaggio.
Entrambe le tendenze intraprese dagli studi hanno, come punto di
partenza, l’articolo scritto da Roberto Longhi nel 1916, intitolato “Gentileschi
padre e figlia”1
. Definendo l’artista
come «l’unica donna in Italia che abbia mai saputo cosa sia pittura e
colore, e impasto, e simili essenzialità»2,
lo studioso per la prima volta mette in luce l’appartenenza legittima di
Artemisia al mondo di Caravaggio, considerandola fondatrice del
“primitivismo caravaggesco” a Napoli, città dove la pittrice vi
soggiornò due volte. Ma, cosa ancora più importante, Longhi è il primo a
considerare la Gentileschi non come donna bensì come artista,
esaltandone la professione e considerando le sue opere al pari di quelle
prodotti dai pittori, cercando di discostare la sua mano da quella del
padre Orazio. Significativo, in tal senso è il commento dello studioso
di fronte alla Giuditta e Oleferne conservata al Museo di
Capodimonte a Napoli: «Ma vien voglia di dire questa è la donna
terribile! Una donna ha dipinto tutto questo»3.
Quest’ultima affermazione racchiude in modo emblematico il pensiero
dello storico dell’arte riguardo la pittrice romana. Se “una donna ha
dipinto tutto questo” ciò significa che siamo di fronte ad una voce
fuori dal coro. In un’epoca quale il Seicento, dove il ruolo della donna
viene scarsamente considerato, Artemisia Gentileschi rappresenta
l’anticonvenzionalità. Il ruolo di figlia di Orazio Gentileschi non è
sufficiente per l’affermazione di sé stessa in quanto pittrice. La donna
che trapela dalle parole di Longhi va oltre certi stereotipi del tempo e
si inserisce in una condizione di netta parità con gli uomini artisti,
oltre che a pari livelli col padre.
Tali affermazioni vengono riprese negli anni Settanta attraverso
l’esposizione dedicata a Caravaggio e i Caravaggeschi a Firenze4,
curata dalla studiosa Evelina Borea, nella quale la Gentileschi viene
ascritta tra i seguaci del Merisi. Le sue opere, infatti, sono
caratterizzate, secondo la studiosa, “da immagini femminili
indimenticabili per la fierezza e spesso per la ferocia”, oltre che per
essere in bilico “tra violenza erompente o agguato sospeso”.
Sempre negli anni Settanta, precisamente nel 1976, al County Museum di
Los Angeles viene allestita la prima mostra internazionale dedicata alle
donne pittrici curata dalle studiose Ann Sutherland Harris e Linda
Nochlin, intitolata “Women Artists 1550-1950”5.
Tra le pittrici presenti in mostra vi è anche Artemisia Gentileschi. Le
esposizioni appena citate esprimono i due diversi modi di percepire la
personalità dell’artista. Se la mostra organizzata da Evelina Borea
include Artemisia nella schiera dei caravaggeschi, continuando a seguire
gli studi intrapresi da Longhi, “Women Artists 1550-1950”,
invece, segna un momento di svolta per la conoscenza dell’opera della
Gentileschi oltre Italia, poiché per la prima volta viene ricostruito il
percorso artistico della pittrice all’interno di un’esposizione
internazionale e viene sottolineata ripetutamente la forte personalità
dell’artista, caratterizzata da grande autostima, ribadendo la sua
autonomia professionale rispetto ad Orazio e fornendo elementi
importanti alle teorie femministe degli anni Settanta, delle quali la
Gentileschi è stata spesso considerata l’emblema.
Nel 1989 Mary Garrand, attualmente considerata la principale
conoscitrice della Gentileschi pubblica la prima monografia6
dedicata all’artista. L’obiettivo della studiosa è, innanzitutto, quello
di focalizzare l’attenzione, attraverso lo studio stilistico e
iconologico delle principali opere gentileschiane (per citarne alcune:
Giuditta e Oleferne, Susanna e i Vecchioni, Lucrezia,
Cleopatra, L’Autoritratto come Allegoria della Pittura), sulle tante
sfaccettature che compongono la figura di Artemisia. L’altra parte alla
quale la Garrand cerca di dare voce è quella riguardante il fattore
femminista presente nei dipinti della pittrice. Susanna, Giuditta,
Lucrezia, Cleopatra, l’Allegoria della Pittura sono figure che incarnano
il diritto della donna di affermarsi all’interno della società e, nel
caso di Artemisia, nell’essere riconosciuta, oltre che come donna, anche
come artista.
Negli anni Novanta la Gentileschi diventa oggetto di molteplici ricerche
da parte degli studiosi. Partendo dalla mostra dedicata alla pittrice,
organizzata a Firenze nel 19917
esposizione che, per la prima volta, cerca di ricostruire in modo
accurato il percorso dell’artista, soffermandosi sul soggiorno toscano
della pittrice e sull’influenza che esercitò presso i pittori locali un
importante punto di svolta è rappresentato dal catalogo pubblicato da
Richard Ward Bissell8
nel 1999. Bissell, già autore di un articolo dedicato ad Artemisia ed
edito nel 19689
(articolo dal quale, attraverso una lettura più accurata del carteggio
della Gentileschi con i suoi principali committenti, sono emersi
importanti elementi cronologici che hanno consentito di datare alcune
opere-chiave dell’artista), in questo volume analizza i singoli ruoli
ricoperti dalla Gentileschi, quale pittrice di nature morte (secondo
quanto sostenuto dal biografo Filippo Baldinucci), donna che per prima
ebbe il privilegio di essere ammessa all’Accademia del Disegno di
Firenze nel 1616, donna-artista indipendente, emblema del femminismo. Su
quest’ultimo aspetto, lo studioso propone una nuova chiave di lettura
per comprendere ulteriori peculiarità della pittrice. Prendendo più
volte in considerazione lettere scritte dall’artista ai suoi
committenti, ossia il commendatore Cassiano del Pozzo e don Antonio
Ruffo, nelle quali emerge una scarsa solidarietà verso le donne, Bissell
sostiene che il femminismo è presente nelle opere di Artemisia ma non
deve diventare l’unico parametro di giudizio per comprendere l’artista,
tenendo conto anche della difficile situazione della donna, specie della
donna-artista, in una società come quella del Seicento. Le ricerche di
Bissell vengono riprese nella seconda monografia su Artemisia pubblicata
dalla Garrand nel 200110.
La studiosa fin da subito espone l’obiettivo prefissato dal suo saggio,
ossia definire l’identità della Gentileschi e, rivisitando le ricerche
inserite nella monografia del 1989, si rende conto che il femminismo non
può essere al giorno d’oggi considerato ancora lo strumento determinante
per interpretare le opere di Artemisia.
Limitandosi ad un accurato studio di due opere poco indagate della
pittrice, vale a dire la Maddalena come Melanconia conservata
alla cattedrale di Siviglia e la Susanna e i vecchioni
appartenente alla collezione Burghley House, la studiosa pone
l’identificazione di Artemisia ad un bivio: da un lato c’è la volontà
dell’artista di adeguarsi alle richieste di mercato; dall’altro, la
determinazione a voler mostrare la propria personalità sotto una nuova
luce che non sia il filtro biografico, ricollegandosi quindi alle
affermazioni di Bissell.
Nell’ambito della critica più recente, invece, la questione relativa
alla componente femminista presente nelle opere gentileschiane, viene in
parte accantonata per lasciar spazio all’altra tendenza su cui si basa
la fortuna critica dell’artista, ossia il dibattito incentrato sul
rapporto tra Artemisia Gentileschi e il caravaggismo, e sul ruolo svolto
dalla pittrice nella diffusione dei principi del Merisi. In tal senso le
affermazioni di Bologna contenute in un saggio pubblicato nel catalogo
dedicato a Battistello Caracciolo11
(pittore attivo negli stessi anni della carriera di Artemisia) nel 1992,
anticipano le ricerche svolte da Riccardo Lattuada nel 200112
e Gianni Papi nel 201013
, i quali hanno analizzato l’importanza della Gentileschi
rispettivamente negli ambienti artistici napoletano e fiorentino. I tre
studiosi, infatti, ridimensionano il ruolo di Artemisia nella cerchia
dei “caravaggeschi”, specie quelli napoletani, considerandola un’artista
aperta agli influssi e alle innovazioni di altri pittori presenti sulla
scena artistica del Seicento. Diversa, per certi versi, è l’opinione
della studiosa Judith Mann in un saggio pubblicato, sempre nel 2010,
all’interno dell’opera I caravaggeschi. Percorsi e protagonisti14.
Il testo della Mann verte su un aspetto importante della carriera di
Artemisia: la componente caravaggesca presente nelle opere della
pittrice e in che misura l’artista romana possa essere ascritta tra i
seguaci del Merisi. Mettendo a confronto alcune opere di Artemisia con
quelle eseguite dal padre Orazio (confronto già effettuato nella mostra
dedicata ai due Gentileschi svoltasi tra Roma, New York e Saint Louis
nel 2001), la studiosa sostiene che l’influenza esercitata da Caravaggio
su Artemisia, in realtà, sia molto meno rilevante di quanto sia stata
ritenuta fino ad ora. L’adozione al caravaggismo da parte della pittrice
non è totale. L’artista utilizza il linguaggio del Merisi come un
repertorio da cui attingere solo per determinati elementi e in
determinate fasi. La studiosa è propensa a credere più ad una componente
caravaggesca mediata dalla pittura di Orazio piuttosto che derivata da
una visione diretta delle opere di Caravaggio. Il dibattito attualmente
rimane aperto, aspettando ulteriori contributi da parte degli studiosi.
Federica Maria
Dolores Taverna
Riferimenti
bibliografici:
1
Cfr. R. Longhi,
Gentileschi padre e figlia, in ‹‹L’Arte››, n. 19, 1916, pp. 245-
314.
2
Ivi, p. 253.
3
Ivi, p. 258.
4
Cfr.
Caravaggio e i Caravaggeschi nelle Gallerie di Firenze, catalogo
della mostra (Firenze, Galleria di Palazzo Pitti, 1970), a cura di E.
Borea, Sansoni Editore, Firenze 1970.
5
Cfr. Le
grandi pittrici: 1550-1950, catalogo della mostra (Los Angeles,
County Museum of Art, 1977), a cura di A. Sutherland Harris, L. Nochlin,
trad. it. a cura di M. Leardi, Feltrinelli, Milano 1979.
6
Cfr. M.D.
Garrand, Artemisia Gentileschi: the image of the female hero in
italian baroque art, Princeton University Press, Princeton 1989.
7
Cfr.
Artemisia, catalogo della mostra (Firenze, Casa Buonarroti, 1991), a
cura di R. Contini, G. Papi, L. Berti, Leonardo de Luca Editore, Roma
1991.
8
Cfr. R.W.
Bissell, Artemisia Gentileschi and the authority of art: critical
reading and catalogue raisonné, The Pennsylvania State University Press,
Pennsylvania 1999.
9
Cfr. R.W.
Bissell, Artemisia Gentileschi. A new documented chronology, in
«The Art Bulletin», vol. 50, n. 2, giugno 1968, pp.153-168.
10
Cfr. M.D.
Garrand, Artemisia Gentileschi around 1622: the shaping and reshaping
of an artistic identity, University of California Press, Los Angeles
2001.
11
Cfr. F Bologna,
Battistello Caracciolo e gli altri. Il primo tempo della
pittura caravaggesca a Napoli, in Battistello Caracciolo e il
primo naturalismo a Napoli, catalogo della mostra (Napoli, 1992), a
cura di F. Bologna, Electa Napoli, Napoli 1992, pp. 15-180.
12
Cfr. R.
Lattuada, Artemisia a Napoli, Napoli e Artemisia, in Orazio e
Artemisia Gentileschi, catalogo della mostra (Roma, New York, St.
Louis, 2001-2002), a cura di K. Christiansen, J. Mann, Skira, Milano
2001, pp. 379-390.
13
Cfr. G. Papi,
Caravaggio, Artemisia e gli altri. Introduzione alla mostra, in
Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, catalogo della mostra
(Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti e Galleria degli Uffizi,
2010), a cura di G. Papi, Giunti Editore, Firenze 2010, pp. 22-41.
14
Cfr. J.W. Mann,
Artemisia caravaggesca? (Roma 1593-Napoli post gennaio 1654),
in Caravaggeschi. Percorsi e protagonisti, a cura di A. Zuccari;
vol. II, Skira, Milano 2010, pp. 407-419.