La carta geografica

 

Alessandra Doratti

 

 

 

 


Che cos'è una carta geografica, a che cosa serve e a chi, lo spiegò graziosamente e in rima nel '400 l'umanista Leonardo Dati: a... con la carta dove son segnati i mari e i porti e tutta la marina, vanno per mar mercatanti e pirati, qué per guadagno, e questi per rapina...»
Fosse vissuto oggi, accanto ai mercanti e ai pirati, il poeta non avrebbe trascurato di nominare i turisti che di carte sono consumatori voracissimi, anche se a farli andar per mare e terra non è la voglia di guadagno e nemmeno quella di rapina (tranne qualche eccezione), ma un onesto desiderio di svago o di curiosità di luoghi nuovi e strani. Le prime carte, anche se impropriamente le chiamiamo così per abitudine o curiosità, non sono di carta: ma di pietra, roccia viva come in Valcamonica o in Val Meraglie nelle Alpi Marittime, su cui l'uomo preistorico incise o graffiò i confini di un campo o di un recinto per animali, la posizione di una sorgente e i sentieri per giungervi. Poi vengono quelle di argilla disseccata al sole, come le tavolette trovate in gran numero a Babilonia nel corso di tante campagne di scavi. La più antica all'incirca del 2.400 a.C., rappresenta la vallata di un fiume che probabilmente è l'Eufrate, con le montagne al posto giusto e le direzioni chiaramente indicate. Altre che gli archeologi datano fra il 2000 e il 1.200 a.C. sono carte di regioni, piante di città e mappe di tenute agricole, eseguite con grande accuratezza: per ovvie ragioni politiche e militari forse, principalmente fiscali, le autorità babilonesi tenevano moltissimo a conoscere il loro territorio. E non trascuravano neppure il resto del mondo. Al British Museum è conservata quella che gli esperti ritengono la prima descrizione delle terre allora conosciute, e la fanno risalire al 500 a.C. o pressapoco. È una delle solite tavolette d'argilla con al centro, proprio nel bel mezzo, la capitale Babilonia tagliata in due dall'Eufrate mentre intorno si vedono circoletti vaganti che sembrano isole e sono le città minori; poi i paesi confinanti e ai margini estremi, indicate da triangoli, le nazioni più lontane e meno note con il mare che le circonda.
Oltre alle carte geografiche, da quelle pateticamente sommarie dei geografi antichi, a quelle gelidamente minuziose dei moderni, non bisogna dimenticare che dietro vi è un ricchissimo "campionario" di strumenti che l'uomo ha creato per giungere a definire razionalmente i contorni e le dimensioni, l'ultima fisionomia del mondo reale: dai primi astrolabi alle più recenti sonde spaziali. Accanto agli strumenti della ragione, e come contrapposto ad essi, figura tutto ciò che sulle ali della fede è stato immaginato oltre i confini di questo mondo: paradisi e inferni, campi di freschi asfodeli e laghi di pece bollente, neri abissi affollati di orribili mostri e verdi pianure abitate da creature meravigliose. Tappe e traguardi dei solenni itinerari ultraterreni delle religioni di cui, a diverso titolo di merito, l' "Eneide" di Virgilio, la "Commedia" di Dante costituiscono alcuni fra i numerosi esempi.
Esiste anche una cospicua documentazione di carte geografiche dei cosiddetti "luoghi fantastici": quelli che fingevano di muoversi nei territori del reale, molti spiriti bizzarri che si scapricciarono a ricostruire in forme stravaganti e a situare in latitudini improbabili o arbitrarie. Paesi di sogno o di incubo o di pura invenzione come quelli visitati dal paladino Astolfo, dal mercante Gullivere dal mozzo Jim Hawkins quando con la "Hispaniola" fece vela verso un'isola delle Antille alla ricerca del tesoro di Flint il pirata.
La cartografia nel corso dei secoli è stata sottoposta a diversi processi di strumentalizzazione in nome della ragion di Stato. Strumentalizzazione che il potere attuava o sottolineando la centralità cosmica del proprio territorio (ad esempio per il mondo cristiano medioevale il centro geografico era Gerusalemme, per quello arabo la Mecca, per gli imperatori Ming il creato ruotava attorno a Pechino e per il Re Sole intorno a Parigi) come vediamo, o avvolgendo nel mistero lo stato reale delle proprie conoscenze del mondo in modo da chiudere ogni fonte di informazione al possibile nemico o concorrente commerciale.
Un modo meno impegnativo e forse più semplice è senz'altro quello di considerare le carte nella loro storia e nella loro evoluzione, e valutarne i pregi artistici che assai spesso sono eminenti.
I papiri cartografici egiziani, le grandi tavole cinesi e giapponesi, le piante di città e le mappe costiere degli Aztechi al di là della loro funzione scientifica e pratica, si possono godere come autentiche opere d'arte: ne hanno tutta la capacità di trasfigurazione del reale, tutta la freschezza e la fantasia. Magari ai loro tempi, un capitano di nave in acque infide, o un comandante di truppa alla ricerca di un'oasi nel deserto senza orizzonti avranno avuto qualcosa da obiettare sull'esattezza di quegli strumenti troppo approssimativi. Chissà le volte che li avranno maledetti, loro e chi gliene aveva garantito l'attendibilità: poi in qualche maniera si saranno arrangiati, o forse no. A noi, che non abbiamo più problemi di orientamento, quelle carte appaiono come incantevoli giochi di immaginazione, favole grafiche deliziose, piacevolissimi fumetti ante litteram.
Delle carte realizzate dai greci, pare bellissime, non rimane traccia: sopravvivono soltanto le attestazioni letterarie che riferiscono con ammirazione di quelle disegnate da Anassimandro di Mileto (VI sec. a.C.) e Dicearco di Messina (fine IV sec. a.C.) seguiti da Eratostene di Cirene (III sec. a.C.) che fu il primo a teorizzare la sfericità della terra e a tentare di calcolarne le dimensioni, e da Marino di Tiro della cui opera, oggi perduta, si servivano gli arabi ancora nel X secolo d.C.. Egualmente disperso è andato il patrimonio cartografico dei romani che, per far fronte alle esigenze di quegli infaticabili viaggiatori per guadagno o per rapina, come avrebbe detto Leonardo Dati, doveva essere immenso.
L'unico documento che ci è pervenuto è la famosa "Tabula Peutingeriana" che descrive tutto il mondo allora conosciuto, ma è una carta romana per modo di dire, perché risale ai primi anni del 1400. Si tratta di uno dei gioielli della cartografia di tutti i tempi: è un rotolo di pergamena lungo quasi sette metri, che quand'era integro si sviluppava lungo un percorso di 50 mila miglia, dalla Spagna alla Cina, con 534 illustrazioni di cui 311 si riferivano all'Europa, 62 all'Africa e 161 all'Asia.
La cartografia medievale è poco affidabile sotto il profilo pratico, ma è fra le più apprezzabili sotto quello dell'esecuzione grafica, delicata e squisitissima. Nei cosiddetti secoli bui i geografi avevano idee piuttosto curiose sulla struttura del cielo e della terra e le esprimevano in forme quanto mai singolari, ma per noi, spettatori moderni, di grande fascino.
Meno devoti e meno politici, ma più pertinenti all'uso, sono i portolani e le carte nautiche che, con la bussola, apparvero verso la fine del 1200. Se ne possono vedere di ogni tipo, da quelli schematici, che si limitavano a segnare le coste e i porti, a quelli alquanto più tardi, che indicavano le città e i paesi con i loro stemmi o erano illegiadriti da decorazioni di velieri in navigazione fra mostri marini e venti in figura umana con le guance gonfie di bufera e gli occhi minacciosi.
La transizione dalla cartografia medievale a quella moderna si compie con lo splendido, anche se un po' troppo sovraffollato planisfero di Fra' Mauro da Murano eseguito fra il 1457 e il 1459 (conservato alla Biblioteca Marciana di Venezia) nel quale la preoccupazione scientifica prevale su quella religiosa. Si disegnano intanto le prime carte propriamente terrestri come la "Carta marina et descriptio septentrionalium terrarum" di Olaus Magnus del 1539, mentre artisti di eccelso nome come Dürer e Hans Holbein avevano accettato di collaborare all'esecuzione di alcune mappe eccezionali per la qualità grafica.
Scade l'importanza di quella che per secoli era stata considerata la guida più sicura per la compilazione delle carte: la "Cosmographia" di Tolomeo, dalla quale i viaggi di scoperta di Colombo e altri navigatori ne hanno rivelato la fallacia. Verso la metà del '500 cominciano a circolare carte generali e particolari in cui il mito e la fantasia non hanno più spazio e l'unico obiettivo è l'esattezza: Gerardo Mercatore realizza nel 1569 il metodo di proiezione su basi matematiche che prende il suo nome e sul quale si fonda anche oggi tanta parte del lavoro cartografico.
Di qui in avanti è tutto un moltiplicarsi di iniziative editoriali intese a promuovere la conoscenza del mondo esplorato e a sollecitare la penetrazione nei luoghi vergini, le terre incognite e quelle dove "sunt leones". L'elenco è sterminato. C'è anche chi, pur sempre senza venir meno all'impegno scientifico con le carte geografiche si diverte e fa divertire. Infatti vi sono cospicue rappresentazioni di planisferi ad esempio in forma di aquila bicipite o a testa di buffone; o altre raffiguranti paesi come animali o mari sotto le spoglie di Caronte, e così via. Nel '700 poi, e più ancora nell '800 e fino ad oggi, le carte "capricciose" con intenzione di satira o per semplice sfizio, diventano di moda. Vi si dedicano in particolar modo gli inglesi, oltre a tutti gli altri, però non mancano mai carte serie e serissime.

 

 

Alessandra Doratti