Che cos'è una carta geografica, a che cosa serve e a chi, lo spiegò
graziosamente e in rima nel '400 l'umanista Leonardo Dati: a... con la
carta dove son segnati i mari e i porti e tutta la marina, vanno per mar
mercatanti e pirati, qué per guadagno, e questi per rapina...»
Fosse vissuto oggi, accanto ai mercanti e ai pirati, il poeta non
avrebbe trascurato di nominare i turisti che di carte sono consumatori
voracissimi, anche se a farli andar per mare e terra non è la voglia di
guadagno e nemmeno quella di rapina (tranne qualche eccezione), ma un
onesto desiderio di svago o di curiosità di luoghi nuovi e strani. Le
prime carte, anche se impropriamente le chiamiamo così per abitudine o
curiosità, non sono di carta: ma di pietra, roccia viva come in
Valcamonica o in Val Meraglie nelle Alpi Marittime, su cui l'uomo
preistorico incise o graffiò i confini di un campo o di un recinto per
animali, la posizione di una sorgente e i sentieri per giungervi. Poi
vengono quelle di argilla disseccata al sole, come le tavolette trovate
in gran numero a Babilonia nel corso di tante campagne di scavi. La più
antica all'incirca del 2.400 a.C., rappresenta la vallata di un fiume
che probabilmente è l'Eufrate, con le montagne al posto giusto e le
direzioni chiaramente indicate. Altre che gli archeologi datano fra il
2000 e il 1.200 a.C. sono carte di regioni, piante di città e mappe di
tenute agricole, eseguite con grande accuratezza: per ovvie ragioni
politiche e militari forse, principalmente fiscali, le autorità
babilonesi tenevano moltissimo a conoscere il loro territorio. E non
trascuravano neppure il resto del mondo. Al British Museum è conservata
quella che gli esperti ritengono la prima descrizione delle terre allora
conosciute, e la fanno risalire al 500 a.C. o pressapoco. È una delle
solite tavolette d'argilla con al centro, proprio nel bel mezzo, la
capitale Babilonia tagliata in due dall'Eufrate mentre intorno si vedono
circoletti vaganti che sembrano isole e sono le città minori; poi i
paesi confinanti e ai margini estremi, indicate da triangoli, le nazioni
più lontane e meno note con il mare che le circonda.
Oltre alle carte geografiche, da quelle pateticamente sommarie dei
geografi antichi, a quelle gelidamente minuziose dei moderni, non
bisogna dimenticare che dietro vi è un ricchissimo "campionario" di
strumenti che l'uomo ha creato per giungere a definire razionalmente i
contorni e le dimensioni, l'ultima fisionomia del mondo reale: dai primi
astrolabi alle più recenti sonde spaziali. Accanto agli strumenti della
ragione, e come contrapposto ad essi, figura tutto ciò che sulle ali
della fede è stato immaginato oltre i confini di questo mondo: paradisi
e inferni, campi di freschi asfodeli e laghi di pece bollente, neri
abissi affollati di orribili mostri e verdi pianure abitate da creature
meravigliose. Tappe e traguardi dei solenni itinerari ultraterreni delle
religioni di cui, a diverso titolo di merito, l' "Eneide" di Virgilio,
la "Commedia" di Dante costituiscono alcuni fra i numerosi esempi.
Esiste anche una cospicua documentazione di carte geografiche dei
cosiddetti "luoghi fantastici": quelli che fingevano di muoversi nei
territori del reale, molti spiriti bizzarri che si scapricciarono a
ricostruire in forme stravaganti e a situare in latitudini improbabili o
arbitrarie. Paesi di sogno o di incubo o di pura invenzione come quelli
visitati dal paladino Astolfo, dal mercante Gullivere dal mozzo Jim
Hawkins quando con la "Hispaniola" fece vela verso un'isola delle
Antille alla ricerca del tesoro di Flint il pirata.
La cartografia nel corso dei secoli è stata sottoposta a diversi
processi di strumentalizzazione in nome della ragion di Stato.
Strumentalizzazione che il potere attuava o sottolineando la centralità
cosmica del proprio territorio (ad esempio per il mondo cristiano
medioevale il centro geografico era Gerusalemme, per quello arabo la
Mecca, per gli imperatori Ming il creato ruotava attorno a Pechino e per
il Re Sole intorno a Parigi) come vediamo, o avvolgendo nel mistero lo
stato reale delle proprie conoscenze del mondo in modo da chiudere ogni
fonte di informazione al possibile nemico o concorrente commerciale.
Un modo meno impegnativo e forse più semplice è senz'altro quello di
considerare le carte nella loro storia e nella loro evoluzione, e
valutarne i pregi artistici che assai spesso sono eminenti.
I papiri cartografici egiziani, le grandi tavole cinesi e giapponesi, le
piante di città e le mappe costiere degli Aztechi al di là della loro
funzione scientifica e pratica, si possono godere come autentiche opere
d'arte: ne hanno tutta la capacità di trasfigurazione del reale, tutta
la freschezza e la fantasia. Magari ai loro tempi, un capitano di nave
in acque infide, o un comandante di truppa alla ricerca di un'oasi nel
deserto senza orizzonti avranno avuto qualcosa da obiettare
sull'esattezza di quegli strumenti troppo approssimativi. Chissà le
volte che li avranno maledetti, loro e chi gliene aveva garantito
l'attendibilità: poi in qualche maniera si saranno arrangiati, o forse
no. A noi, che non abbiamo più problemi di orientamento, quelle carte
appaiono come incantevoli giochi di immaginazione, favole grafiche
deliziose, piacevolissimi fumetti ante litteram.
Delle carte realizzate dai greci, pare bellissime, non rimane traccia:
sopravvivono soltanto le attestazioni letterarie che riferiscono con
ammirazione di quelle disegnate da Anassimandro di Mileto (VI sec. a.C.)
e Dicearco di Messina (fine IV sec. a.C.) seguiti da Eratostene di
Cirene (III sec. a.C.) che fu il primo a teorizzare la sfericità della
terra e a tentare di calcolarne le dimensioni, e da Marino di Tiro della
cui opera, oggi perduta, si servivano gli arabi ancora nel X secolo
d.C.. Egualmente disperso è andato il patrimonio cartografico dei romani
che, per far fronte alle esigenze di quegli infaticabili viaggiatori per
guadagno o per rapina, come avrebbe detto Leonardo Dati, doveva essere
immenso.
L'unico documento che ci è pervenuto è la famosa "Tabula Peutingeriana"
che descrive tutto il mondo allora conosciuto, ma è una carta romana per
modo di dire, perché risale ai primi anni del 1400. Si tratta di uno dei
gioielli della cartografia di tutti i tempi: è un rotolo di pergamena
lungo quasi sette metri, che quand'era integro si sviluppava lungo un
percorso di 50 mila miglia, dalla Spagna alla Cina, con 534
illustrazioni di cui 311 si riferivano all'Europa, 62 all'Africa e 161
all'Asia.
La cartografia medievale è poco affidabile sotto il profilo pratico, ma
è fra le più apprezzabili sotto quello dell'esecuzione grafica, delicata
e squisitissima. Nei cosiddetti secoli bui i geografi avevano idee
piuttosto curiose sulla struttura del cielo e della terra e le
esprimevano in forme quanto mai singolari, ma per noi, spettatori
moderni, di grande fascino.
Meno devoti e meno politici, ma più pertinenti all'uso, sono i portolani
e le carte nautiche che, con la bussola, apparvero verso la fine del
1200. Se ne possono vedere di ogni tipo, da quelli schematici, che si
limitavano a segnare le coste e i porti, a quelli alquanto più tardi,
che indicavano le città e i paesi con i loro stemmi o erano illegiadriti
da decorazioni di velieri in navigazione fra mostri marini e venti in
figura umana con le guance gonfie di bufera e gli occhi minacciosi.
La transizione dalla cartografia medievale a quella moderna si compie
con lo splendido, anche se un po' troppo sovraffollato planisfero di
Fra' Mauro da Murano eseguito fra il 1457 e il 1459 (conservato alla
Biblioteca Marciana di Venezia) nel quale la preoccupazione scientifica
prevale su quella religiosa. Si disegnano intanto le prime carte
propriamente terrestri come la "Carta marina et descriptio
septentrionalium terrarum" di Olaus Magnus del 1539, mentre artisti di
eccelso nome come Dürer e Hans Holbein avevano accettato di collaborare
all'esecuzione di alcune mappe eccezionali per la qualità grafica.
Scade l'importanza di quella che per secoli era stata considerata la
guida più sicura per la compilazione delle carte: la "Cosmographia" di
Tolomeo, dalla quale i viaggi di scoperta di Colombo e altri navigatori
ne hanno rivelato la fallacia. Verso la metà del '500 cominciano a
circolare carte generali e particolari in cui il mito e la fantasia non
hanno più spazio e l'unico obiettivo è l'esattezza: Gerardo Mercatore
realizza nel 1569 il metodo di proiezione su basi matematiche che prende
il suo nome e sul quale si fonda anche oggi tanta parte del lavoro
cartografico.
Di qui in avanti è tutto un moltiplicarsi di iniziative editoriali
intese a promuovere la conoscenza del mondo esplorato e a sollecitare la
penetrazione nei luoghi vergini, le terre incognite e quelle dove "sunt
leones". L'elenco è sterminato. C'è anche chi, pur sempre senza venir
meno all'impegno scientifico con le carte geografiche si diverte e fa
divertire. Infatti vi sono cospicue rappresentazioni di planisferi ad
esempio in forma di aquila bicipite o a testa di buffone; o altre
raffiguranti paesi come animali o mari sotto le spoglie di Caronte, e
così via. Nel '700 poi, e più ancora nell '800 e fino ad oggi, le carte
"capricciose" con intenzione di satira o per semplice sfizio, diventano
di moda. Vi si dedicano in particolar modo gli inglesi, oltre a tutti
gli altri, però non mancano mai carte serie e serissime.