La Secessione Viennese, design contemporaneo

 

 

Alessandra Doratti

 

 

 


Quando nel 1903 la "Wiener Werkstätte Produktiv Genossenschaft von Kunsthandwerken in Wien" e cioè il "Laboratorio viennese, cooperativa di produzione di oggetti di artigianato artistico in Vienna" fece la sua comparsa sulla scena artistica, non si trattava di un fenomeno isolato. La sua formazione era infatti perfettamente in linea con lo spirito delle arti che aleggiava in tutta l'Europa alla fine dell'800: il laboratorio della "Guild of Handicraft" di Charles Ashbee a Londra, i raffinati mobili dei coniugi Mackintosh a Glasgow, i lavori dell'architetto, pittore e designer Henri van de Velde in Francia e in Belgio erano tutte espressioni di una profonda esigenza di cambiamento, all'insegna di una strettissima collaborazione fra artisti e artigiani.
Spirando su tutta l'Europa, la fresca brezza di rinnovamento interessò in particolare le arti decorative, creando in ciascun paese forme e nomi diversi: Liberty, Modern Style, Art Nouveau, Jugendstil, Sezessionstil. Nessuno degli oggetti cosiddetti di uso comune sfuggì all'attenzione di uno stuolo di fantasiosi artisti, che si dedicarono con eguale fervore e slancio alla progettazione di gioielli e di lampadari, di statuette in ceramica e di oggetti in metallo e pelle, di stoviglie e di mobili, di stoffe e di scarpe.
A Vienna la scintilla scocca sul nascere del XX secolo, quando nella capitale asburgica viene inaugurata l'ottava mostra dell'ormai famosa Secessione viennese, di quel gruppo di artisti cioè, che attorno alla figura del pittore Gustav Klimt perseguiva l'ideale dell'opera d'arte totale, di un'opera finalmente in grado di dare un nuovo volto a tutti gli aspetti della vita umana.
Fra gli oggetti esposti nelle sale della mostra, figurano anche i mobili e le creazioni di Charles Ashbee e dei coniugi Mackintosh, che colpiscono in particolare due prestigiosi membri del gruppo viennese: Josef Hoffmann e Kolo Moser. Tre anni dopo, arricchiti da un soggiorno in Scozia e in Inghilterra per studiare da vicino il fenomeno artistico anglosassone, i due poliedrici artisti decidono di dare il via a un'iniziativa analoga a Vienna. Fermamente decisi a realizzare il loro progetto, Hoffman e Moser trovano nell'amico industriale Fritz Wärndorfer il mecenate illuminato di cui hanno bisogno per dare alla loro impresa la base economica necessaria e aprono non lontano dal centro della capitale il primo laboratorio della Wiener Werkstätte.
All'inizio un gruppo di capaci artigiani provvede a eseguire oggetti in metallo e in pelle, nonché lavori di legatoria e di falegnameria, progettati da Hoffman e Moser. La vendita avviene senza intermediari, direttamente nelle sale di esposizione annesse a laboratorio. Il motto è creare semplici oggetti di uso quotidiano e di buona qualità, funzionali e belli a vedersi.
E per sottolineare la fondamentale importanza della collaborazione fra artista e artigiani, anche questi ultimi appongono su ogni oggetto prodotto il loro monogramma assieme a quello del progettista e al marchio WW della Wiener Werkstätte.
Nel brevissimo spazio di due anni, il laboratorio assurge a fama internazionale, forte d un ricco catalogo di prodotti garantiti dall'accurato lavoro di un centinaio di artigiani. E col riconoscimento internazionale giunge per la Wiener Werkstätte l'occasione attesa da tutti gli artisti che gravitano attorno alla Secession viennese: l'incarico per la progettazione completa di un edificio, senza alcuna limitazione finanziaria o stilistica. Nasce così a Bruxelles il palazzo Stoclet, opera totale ed emblematica dello Jugendstil costruito fra il 1905 e il 1911 ancor oggi visibile nelle su linee chiare e nei suoi interni studiati fin dal minimo dettaglio. Tutto il gruppo della Wiener Werkstätte partecipa alla realizzazione del grande edificio: oltre all'architetto e designer Josef Hoffmann, anche il designer Otto Czeschka il grafico Berthold Löffler, i ceramista Michael Powolny, ai quali si affianca anche Gustav Klimt, che assieme all'architetto Otto Wagner e agli artisti della Wiener Werkstätte ha appena abbandonato il circolo della Secessione viennese. È questo un periodo fertili di idee e di progetti. L'attività della Wiener Werstätte è febbrile, lo stile si fa più preciso e si differenzia notevolmente da quello francese e belga. Sono infatti le linee geometriche prevalere in un primo tempo a Vienna, emblematicamente rappresentate dalla perfezione del modulo quadrato scelti da Josef Hoffmann. Chiusi in un quadrato saranno infatti tutti i monogrammi e le sigle delle punzonature della Wiener Werkstätte, chiuse in un quadrato saranno nei primi anni le decorazioni degli oggetti, anch'esse di forma geometrica e ordinate in raffinate composizioni cromatiche.
I materiali usati sono preziosi e semipreziosi, i pezzi prodotti sono di numero limitato o sono, più spesso, creazioni uniche: lo slancio delle dichiarazioni programmatiche che annunciavano prodotti di uso comune, a grande diffusione, viene frenato dalle ambizioni artistiche. Gli oggetti creati dalla Wiener Werkstätte saranno infatti sempre assai costosi e il loro gusto ricercato e avanguardistico corrisponderà soprattutto agli ideali di quell'alta borghesia viennese che si fregiava dell'amicizia degli artisti raccoltisi attorno a Gustav Klimt, e che spesso abitava in case e ville progettate dallo stesso Josef Hoffmann o dal grande Otto Wagner o, più tardi, da Adolf Loos. Instancabili nello sfornare idee, gli artisti della Wiener Werkstätte progettarono per intero tutti gli spazi della vita privata e di quella pubblica della classe sociale artistica più avanzata, che per appagare il proprio desiderio di auto rappresentazione farà a gara per aggiudicarsi gli oggetti più nuovi e insoliti. E là dove le capacità produttive della Wiener Werkstätte diventano insufficienti, i suoi artisti affidano le proprie idee alle industrie, dando il via anche alla produzione di serie di oggetti con firma d'autore: sulla scia delle celeberrime sedie Thonet, i mobili dilagano nel mondo anche sotto altri marchi che, come quello di Kohn si avvarranno della collaborazione dei più apprezzati artisti del momento.
La Wiener Werkstätte si ingrandisce: non vengono più prodotti solo oggetti di metallo, stupendi servizi da the o da caffé in argento, con manici in metalli preziosi o semipreziosi; cestini per il pane o per la frutta in cui per la prima volta il metallo viene perforato da tanti quadrati che lasciano intravvedere il colore di ciò che vi è contenuto; o posate in argento dalle forme avanguardistiche. Non solo vengono prodotti gioielli raffinati, nei quali l'argento viene abbinato al rame, l'oro alla madreperla e alle pietre semipreziose. Ad essi e ai mobili, alle sovraccoperte per libri delle ricche biblioteche private, alle trousses per signora e alle tabacchiere in pelle si affiancano le stoffe, le scarpe e i vestiti, e anche le carte da paratie, da regalo, e le cartoline postali. Una fantasmagorica produzione che ha reso famosa nel mondo l'immagine della Vienna di inizio secolo.
Sono queste infatti le ultime, meravigliose battute del tempo delle operette, del walzer, dei quadri di Makart e Klimt, delle composizioni di Gustav Mahler, della rivoluzione musicale di Arnold Schönberg, della ribellione artistica di Egon Schiele e di Oskar Kokoschka, di quella architettonica di Otto Wagner prima di Adolf Loos poi, della psicoanalisi di Sigmund Freud, delle commedie di Arthur Schnitzler e di Hugo von Hofmannstahl. Presto tutto ciò verrà spazzato via definitivamente dallo scoppio della prima guerra mondiale.
Durante la guerra la Wiener Werkstätte continua a produrre a Zurigo per opera di Dagobert Peche, venuto a dare il proprio ineguagliabile contributo al fianco di Hoffmann e a riempire il vuoto lasciato  dal ritiro di Kolo Moser.
Ma i tempi sono già cambiati: il messaggio artistico del laboratorio viennese è già stato raccolto dai futuristi italiani di Filippo Tommaso Marinetti prima e dal Bauhaus tedesco di Walter Gropius poi, mentre le difficoltà soffocano a poco a poco la produzione artistica viennese. Dopo quasi trent'anni, nel 1932 la Wiener Werkstätte viene messa in liquidazione.

 

 

 

Alessandra Doratti