L'accendino fra
ricerca, tecnica e arte
Alessandra Doratti
L'accendino a selce è formato da un pezzo di metallo di forma piatta,
ovale o allungata, lungo alcuni centimetri: è questo il corpo usato per
l'urto. La pietra focaia, dal bordo tagliente (una varietà di quarzo
chiamata selce piromaca), viene dunque colpita con forza mediante
l'accendino. Il punto di impatto è costituito dal taglio della lama di
ferro, per tutta la sua lunghezza. Il calore sviluppato fa staccare
delle minuscole particelle d'acciaio che ondeggiano copiose nell'aria
sotto forma di scintille. Esse comunicano il fuoco all'esca, terzo
elemento indispensabile. Si tratta del carburante in grazia del quale si
può infiammare il combustibile che un po' più tardi si presenterà sotto
forma di carta o di fiammifero. La materia prima dell'esca è fornita da
un fungo parassita che si trova sulle querce, sugli olmi, sui carpini e
sulle betulle, fungo che viene trattato in modo particolare. L'esca può
essere sostituita con i funghi del tipo "Lycoperdon" o "veccia" oppure
con il carbone prodotto dalla semicombustione della carta da zucchero,
della canapa o di un vecchio straccio. La pietra focaia può essere
sostituita da un pezzo di pirite ferrosa chiamata "pietra d'archibugio"
perché guarniva una volta il cane di quest'arma. Per secoli la selce
francese è stata fornita dal sottosuolo di Meneus sur Loire, dove si può
visitare il museo della Pietra focaia. Alla luce di queste spiegazioni
si capisce l'origine della parola francese "briquet" (accendino) che
deriverebbe dalla parola olandese "bricke" (pezzo o parte di acciaio)
che ricorda il verbo tedesco "brechen", rompere.
Questi "ferri semplici" presentano forme svariate pur rispettando lo
schema che abbiamo descritto; il formato deve essere ridotto per far
scivolare l'oggetto in una tasca; bisogna anche che l'accendino sia
facile da maneggiare: e perciò la forma è di preferenza ovale, ripiegata
ai due estremi, oppure a forma di "D", costituendo un'impugnatura. Per
migliorare la presa verso il XV secolo si praticano nella lama due buchi
per l'indice e il medio.
Talvolta la lama presenta una semplice forma oblunga, un'estremità della
quale è ripiegata. L'oggetto assume presto tutte le variazioni
decorative: fini cesellature di motivi geometrici o floreali, figure
umane e animali, motivi finestrati o punteggiati. L'accendino veniva
fabbricato usando come materiale delle lime consumate, che venivano
fuse, recuperando così il metallo. Possiamo suggerire che il fabbricante
di serrature era probabilmente l'artigiano che si occupava di fabbricare
l'accendino.
Spesso all'accendino venivano accoppiati strumenti d'uso corrente. In
tal modo un unico oggetto poteva rispondere alle necessità quotidiane:
lama di coltello (il dorso della lama fungeva da accendino), pinze da
tizzone, cacciavite, cavatappi o punteruolo erano talvolta riuniti in un
utensile multiusi. In tutte le case l'astuccio da fuoco era composto da
una scatola di legno o di metallo contenente la selce, il pezzo
d'acciaio, l'esca o un pezzo di straccio. Questi astucci sono oggetti
pressoché introvabili e per la loro rarità costituirebbero un pezzo
degno di una collezione di pregio. In Asia, negli accendini tibetani,
cinesi e dell'Estremo Oriente ritroviamo questi astucci ma in forma
diversa, poiché erano destinati a essere appesi, per esempio, alla
cintura. Si tratta di una busta di cuoio decorato oppure di tessuto
incrostato di pietre, spesso ornato di piastre di cuoio minuziosamente
lavorato. La ricchezza delle decorazioni fa capire che si trattava di un
oggetto di lusso riservato a una clientela privilegiata, così come gli
accendini a selce automatici.
Si tentò in pratica di automatizzare il gesto fastidioso di "battere
l'acciarino" e così si copiarono dai meccanismi delle armi da fuoco i
congegni degli accendini automatici.
Può anche darsi che ci sia stato un fenomeno inverso: è possibile che le
armi da fuoco abbiano tratto dall'accendino i suoi meccanismi: un
calcio, un grilletto, un cane e una batteria. In questa sorta di pistola
si fa azionare il cane-selce premendo il grilletto: il cane colpisce il
copribacinetto d'acciaio. Le scintille che così si producono accendono
la polvere di esca contenuta nel bacinetto, polvere della stessa natura
di quella da cannone e da fucile (e tuttavia diversa).
Sembra che questo tipo di accensione sia stato preceduto da un altro,
quello della puleggia, per cui si faceva girare mediante una molla una
pirite, pietra meno dura della selce che avrebbe consumato la rotella
d'acciaio. Le scintille ottenute con questo sistema erano
abbondantissime, tanto da diventare un inconveniente. A ciò si
aggiungeva il fatto che la pirite era difficile da trovare e quindi il
prezzo troppo elevato. Quest'ingegnoso sistema fu presto abbandonato in
favore dell'accendino-pistola.
Questo sistema di accensione, abbandonato per un po' di tempo a causa
dello sviluppo dei metodi chimici sperimentati nel XIX secolo e
dell'industrializzazione del fiammifero, ha un nuovo e straordinario
successo a causa della tassazione dei fiammiferi nel 1871. Gli artigiani
inventano nomi curiosi e spesso piacevoli per questi "piccoli articoli
di Parigi": "accendino-pistola", "il fiammeggiante", il "meraviglioso",
il "grazioso", il "magico", il "pugno", lo "spingi-spingi".
Il principio era sempre lo stesso, ma gli accendini presentavano
variazioni nei dispositivi e nelle decorazioni, ad esempio quello con
quadrante orario regolato in modo tale che all'ora fissata il cane
cadeva a infiammare un cannoncino la cui detonazione svegliava il
dormiente e accendeva una candela. Questa usciva da un alveolo
dissimulato sulla superficie della scatola che racchiudeva il
meccanismo. Alcuni oggetti meno elaborati si accontentavano di offrire
un candeliere piccolo, un orologio, un calamaio...
Il XIX secolo è per la storia dell'accendino un'era di sperimentazione
che dà origine ad apparecchi che utilizzano le proprietà infiammabili di
certi corpi. Il risultato di questi esperimenti si limita, nella maggior
parte dei casi, a far parte della curiosità scientifica: questi
apparecchi sono troppo complessi, troppo costosi e, bisogna pur dirlo,
anche pericolosi. Alcuni sono stati usati per un tempo limitato, per
esempio gli accendini al sodio o quello all'ossigeno inventato da J. J.
L. Chancel nel 1805; gli accendini fosforici di F. J. Fénian
utilizzavano il fosforo mescolato al solfuro di carbonio, ossido di
ferro o magnesite.
L'accendino ad aria pneumatica, detto anche a "compressione adiabatica",
risale all'antichità e pare sia ancora usato in Malesia e nelle isole
della Sonda. Si basa sul principio che l'aria dilatata abbassa la
temperatura dei corpi vicini e li scalda quando è compressa: un'asta di
piombo è fissata in una scatola cilindrica, in fondo è sistemata una
cavità nella quale è stata posta l'esca. Abbassando violentemente la
sbarra, l'aria compressa emana un calore sufficiente a dar fuoco
all'esca. Nel 1806 il colonnello Grobert lo perfezionò mediante un
pistone e un cilindro di metallo, anticipando così il sistema di
accensione Diesel. L'accendino a esche illustra un altro procedimento
chimico di accensione: un piccolo percussore colpisce delle esche a base
di fulminato di mercurio disposte sotto forma di pastiglie in una
striscia di carta, le infiamma a una a una e comunica il fuoco all'esca
contenuta in un piccolo recipiente. Altre esche rivestite a base di
clorato di potassio, di zolfo e di pasta di gomma s'infiammavano al
contatto con l'idrogeno quando venivano punte con un ago umido. Si può
facilmente immaginare che questo rumoroso sistema è stato rapidamente
giudicato molesto...
Due scoperte, alla fine del XIX secolo, segnarono la svolta decisiva
nell'evoluzione dell'accendino. Al principio del XX secolo la via è
ormai aperta (dopo cent'anni di ricerche perseveranti, spesso
brancolanti, mai scoraggiate) all'era del perfezionamento, della
raffinatezza. Uno studioso austriaco, Auer von Melbach, è il padre della
pietra artificiale, della pietrina per accendino (costituita da una lega
di ferro e di cerio), mentre la scoperta della benzina permette
all'accendino di produrre una fiamma istantanea. L'accendino a
sfregatoio necessita di uno sfregamento manuale: un'asta cava di acciaio
contenente uno stoppino è posta nel corpo dell'accendino, che contiene
un serbatoio di benzina. Si sfrega l'asta imbevuta di benzina contro la
pietrina dell'accendino.
Con gli accendini a rotella si ottiene, pur conservando lo sfregamento
meccanico, un ingombro molto minore: un pezzo di acciaio cilindrico
sfrega la pietrina con movimento rotatorio. Lo stoppino imbevuto di
benzina si infiamma istantaneamente. Non c'è che da perfezionare il
sistema e si arriva, dopo la seconda guerra mondiale, agli accendini
automatici e semiautomatici che conosciamo.
L'uso del gas butano, derivato dal petrolio, che fornisce una fiamma
regolabile e inodore, conferisce all'accendino una totale autonomia.
Basta miniaturizzare la valvola di espansione per ottenere una fiamma
invariabile. Una perfezione tecnica ma anche estetica. Piccolo,
maneggevole, mai pericoloso, funzionante istantaneamente con un unico
gesto, ormai divenuto meccanico, l'accendino, ora d'uso corrente,
diventa un prodotto industriale: l'effimero accendino da buttare riempie
i nostri supermercati mentre gioiellieri e orefici, mettendo a profitto
le ultime tecniche moderne (ora l'elettronica), fanno di quest'oggetto
un'opera d'arte.
Alessandra Doratti