L'Orientalismo
Alessandra Doratti
"Il paese è bellissimo, pieno di novità.
Vivo nelle mille e una notte". Scriveva Théodore Chassériau durante un
viaggio in Africa. Nel 1846 l'Algeria aveva impresso l'impulso decisivo
al nuovo corso della sua pittura, e il Marocco lo aveva favolosamente
riconfermato. Il suo romanticismo creolo (era nato nelle Antille, dove
il padre era inviato di Francia a Santo Domingo) trovava nella realtà
africana l'esaltazione concreta del colore e del movimento, già
letterariamente esplosi nel 1844 con il suo ciclo shakespeariano di
litografie e dipinti su "Otello" .
L'ex–bambino prodigio, che appena adolescente era stato l'allievo fuori
classe di Ingres, abbandonava il classicismo sensuoso del maestro per
una fantasia più ambigua, vissuta nell'impatto con paesi esotici e
costumi alieni. Il mito plurisecolare dell'Oriente assumeva un sapore
nuovo nella curiosità metafisica del romanticismo e nell'euforia del
colonialismo, perché questa volta si manifestava sotto il segno della
verità, e questa verità spaziava ritualmente dal misticismo
dell'inconscio alla mistificazione dell'ideologia: chilometri di tele e
di soggetto orientale dilatarono l'informazione visiva dell'Ottocento,
come fotogrammi di un film d'amore che trovavano nel Salon parigino il
culmine della loro celebrazione sociale.
Tali esperienze divennero definitivamente "ismo", cioè linguaggio
istituzionale, quando i soggetti orientali si tradussero in un genere
consumistico e quindi in una produzione professionale con modelli
iconografici precisi e stereotipati: nell'amore della cultura di massa
(o come veniva definita allora in rapporto allo sviluppo rapido del
giornalismo) "popolare".
L'orientalismo è stato riscoperto tra gli
ultimi anni '70 e i primi '80, nel corso di una più generale
riesplorazione dell'Ottocento che ha portato a rivalutare anche in
termini di mercato la pittura "condannata" senza possibilità di appello
dal "terrorismo" avanguardistico e modemo.
I rapporti con l'Oriente ruppero l'isolamento europeo ben molti secoli
prima dei viaggi orientalisti. Ma i riflessi culturali dei contatti
commerciali o politici si manifestavano quasi sempre nei termini di una
raffigurazione generica o immaginaria. Già nel tardo gotico e nel primo
rinascimento fecero la loro comparsa motivi esotici, spesso collegati a
soggetti biblici oppure infernali e simbolici, con citazioni mutanti
dall'arte islamica a quella cinese. Nel 1479 Gentile Bellini fu ospite
di Maometto II a Costantinopoli: Venezia era il fulcro delle relazioni
con l'Oriente.
Fino al '600 prevalsero come aree di riferimento i paesi del Medio
Oriente come la Turchia o la Persia, e nel '700 emerse l'Estremo
Oriente, la Cina. "Depentori alla cinese" decoravano le ville patrizie
venete. I modelli estremo-orientali confluivano anche nel gusto del
giardino inglese, del pittoresco e del rococò. Ma nello stesso secolo la
divulgazione europea delle Mille e una notte riattivava l'interesse per
il mondo arabo.
Nella letteratura artistica aveva fortuna la tesi dell'origine araba e
islamica dell'architettura gotica. Turcherie e cineserie si sprecavano e
a volte si mescolavano con disinvoltura, manieristicamente, nel secolo
dei lumi. Nel 1751 gli allievi dell'Accademia di Francia a Roma si
travestono da turchi per la rituale mascherata.
La svolta avvenne nel 1798, con la spedizione napoleonica in Egitto.
L'Oriente e l'Africa mediterranea di tradizione islamica divennero
oggetto di esperienza diretta. Sbarcando ad Alessandria, Napoleone aveva
portato con sé D.V. Denon, un barone scampato alla ghigliottina come
protetto di David, collezionista, incisore erotico e scrittore
libertino. I suoi disegni di rovine faraoniche e costumi, e il diario
pubblicato nel 1803 con il titolo di "Viaggio nell'Alto e Basso Egitto"
durante la campagna del generale Bonaparte, costituì uno dei primi
documenti del nuovo giornalismo per immagini archeologiche e orientali.
In un'epoca che aspirava alla macchina fotografica così ardentemente da
inventarla poco tempo dopo, l'artista doveva anche assumersi questo molo
di automa della riproduzione artigianale delle immagini. Tale missione
informativa si prolungò per tutto l'arco dell'orientalismo e nei decenni
successivi si avvalse effettivamente della fotografia.. Ma nell'età
napoleonica le due ali mitiche del romanticismo (quella neoclassica e
quella simbolica) volavano ancora alte in ricognizione, aprendo la
strada ai futuri paparazzi del deserto. Nel Salon parigino del 1804 un
altro nobile J. A. Gros, esponeva "Gli appestati di Jaffa": iniziava
cosi la spettacolare esibizione del "fenomeno" Oriente. I pittori
napoleonici di battaglie spianavano il terreno ai pittori di vedute e
costumi. Il self-control del neoclassicismo rivoluzionario si stemperava
nella "Rivolta del Cairo" dipinta nel 1809, mentre al di fuori di
soggetti storici la sua formazione davidiana si apriva ad effusioni
romantiche; T. Géricault preferiva dipingere i pretoriani sul viale del
tramonto e i mammelucchi sconfitti.
Il trapasso dal quadro storico a quello
paesistico e di costume avvenne rapidamente. Dalla conquista militare al
turismo, l'Oriente era più vicino. A differenza di quello vagheggiato
nei secoli precedenti, l'Oriente dell'Ottocento era a portata di
viaggio: una grande occasione per lo spirito del nuovo secolo, romantico
e poi positivista e scientifico che aspirava più che in passato al
riconoscimento dell'individuality, alla rivelazione del folklore, al
feticismo del documento.
Anche per la sua maggiore accessibilità, e questa volta il Levante, cioè
l' Oriente Vicino, oltre al Medio e all'Estremo, a polarizzare
1'attenzione, creando le premesse dell'orientalismo in senso stretto. Il
viaggio nei paesi esotici divenne una moda culturale, e anche numerosi
artisti che non la seguivano come turisti rendevano omaggio alla
tematica orientalista producendo opere su tali temi nel chiuso dei loro
studi. Non solo 1'Egitto, 1'Algeria e il Marocco, ma anche la Grecia, la
Turchia, la Terra Santa, la Siria, la Persia e altre aree geografiche
cariche di tradizione e di significati vennero percorse da questi
pellegrini dell'arte, avidi di sensazioni e visioni insolite. Per tutto
il secolo la sensibility dei viaggiatori alternò le proiezioni
simboliche alle percezioni veristiche, e queste due "vie" orientali
della pittura crearono modelli visivi che si diffusero fino alla
divulgazione più popolare attraverso le cartoline illustrate, le
figurine, l'erotismo di massa.
L'Oriente pittoresco inteso come luogo alieno, emotivamente forte,
lontano, veniva dato in pasto al grosso pubblico - dell'Occidente. La
sua diversità geografica ed etnica gli conferiva il valore di un
simbolo: l'estraneità ad ogni tradizione occidentale diventava anche
differenza spirituale, possibilità di espressione inconscia, alibi
esotico nei confronti delle censure della coscienza.
Se il romanticismo fu il più esasperato fanatismo della differenza,
l'Oriente romantico e neoromantico divenne campo proiettivo dei
conflitti psichici dell'Occidente, un test delle sue nevrosi latenti, lo
specchio magico dei complessi storici ed erotici del potere. L'esorcismo
delle relative ossessioni venne effettuato dalla pittura attraverso una
registrazione della realtà spaziante dal naturalismo positivista al
realismo accademico. E tra le due anime dell'orientalismo (quella della
suggestione simbolista e quella dell'informazione documentaria) fu
ovviamente la seconda a prevalere sul mercato.
Così le vicende politiche e commerciali che avevano incrementato questa
produzione artistica assunsero forme mitiche o descrittive in una
proliferazione di quadri e disegni. La "questione orientale" imperniata
sulla decadenza dell'Impero Ottomano in Turchia, la lotta per
l'indipendenza del popolo greco, Egitto occupato dai francesi e poi (dal
1882) dagli inglesi, l'Algeria occupata dai francesi, che avevano
conquistato Algeri nel 1830, e altre vicende del secolo costituirono i
temi di un orientalismo utopico e geografico-artistico esaltato anche
dalla letteratura, da Byron a Hugo.
Alessandra Doratti