L’ ESPERIENZA DEL FARE
Istituto Statale d’Arte "Enrico ed Umberto NORDIO" 1955-2005
Walter Abrami
Scrivere una biografia significa ripercorrere, dopo aver raccolto il maggior numero di testimonianze ed una documentazione il più possibile completa ed ampia, la vita di una persona, rivivere momenti fortunati e periodi difficili, trovare i legami con il suo passato e le ricadute del suo vissuto nel futuro. Viene portato alla luce tutto un mondo, interiore ed esteriore, fatto di opere concrete, ma anche di sensazioni, pensieri, desideri, speranze. Anche per scrivere la “biografia” di una scuola il modo di procedere è lo stesso, solo che in questo caso le persone coinvolte sono tante, tantissime, ognuna con il suo mondo che, però, si insinua in quello degli altri creando un intreccio straordinario di rapporti umani. E se si tratta di una scuola particolare, come in effetti è l’Istituto d’Arte, questa storia diventa affascinante. La parola “arte” evoca da sempre un mondo di sensibilità particolari, di creatività, di genio. Il compito dell’Istituto d’Arte non è stato e non è, però, quello di formare artisti, anche se in effetti da questa scuola sono usciti molti artisti contemporanei. Il fascino di questa storia, iniziata “anagraficamente” cinquant’anni fa, sta nello scoprire le tante affinità tra passato remoto e passato prossimo, nel rivivere i rapporti tra grandi Maestri ed i loro allievi, anche attraverso le voci di molti di questi allievi, ora personaggi di rilievo in vari campi, ma sempre riconoscenti e fieri del loro passato in questa scuola. Ascoltando le loro testimonianze, conoscendo il cammino da essi percorso da allora ad oggi, prende forma un periodo straordinario di vita triestina, costruito sull’entusiasmo, l’amore per il fare ed il profondo credere dei giovani in quello che apprendevano ed avrebbe loro aperto la strada verso il futuro,ed al contempo sulla consolidata esperienza, la serietà, l’abnegazione e la grande capacità di comunicare questo entusiasmo da parte dei loro insegnanti che, pur pretendendo molto, molto in cambio davano. Rileggendo verbali, osservando fotografie, rivedendo i lavori portati a termine negli anni, venendo a conoscenza dei tanti avvenimenti che hanno coinvolto docenti e studenti ci si accorge di quanto le vicende storiche, economiche, sociali, abbiano condizionato, come è ovvio, la vita della città e di conseguenza quella di questo istituto che tanti “adattamenti” ha subito nel corso degli anni, e si chiariscono i motivi che hanno determinato in alcuni momenti i grandi successi o le “crisi di identità”. Anche oggi come trent’anni fa diverse e intricate prospettive impongono di guardare con mente aperta e coraggiosa ai problemi che travagliano il mondo della Scuola e del Lavoro. Ma capacità, operosità, passione ed entusiasmo non mancano:
“Il tempo presente e il tempo passato sono forse entrambi presenti nel tempo futuro, e il tempo futuro è contenuto nel tempo passato” (T.S. Eliot).
Il passato remoto
Dalla Scuola triestina di disegno alla Scuola Tecnica 1859-1943
“Trieste vanta una secolare tradizione nella formazione degli arredatori e dei decoratori”, scriveva nel 1966 il dottor Giulio Montenero. “Il barone Pasquale Rivoltella ed il mobiliere Francesco Gossleth fondarono il banco modello per l’insegnamento del disegno professionale. L’Istituto Industriale esercitò durante molti anni un benemerito magistero nei Corsi speciali ad indirizzo artistico.” Citando l’Istituto Industriale il dottor Montenero fa riferimento alla Scuola triestina di disegno le cui origini risalgono alla metà del XIX secolo, in pieno clima artistico e culturale austro-ungarico. Infatti il grande sviluppo industriale della città in quegli anni (in meno di trent’anni il numero degli abitanti era quasi raddoppiato raggiungendo nel 1850 le 83000 unità) richiedeva una corrispondente preparazione delle maestranze, non essendo più sufficiente l’apprendimento sul posto di lavoro ad opera di personale più esperto. L’industria legata alle attività marinare e portuali stava allora subendo una profonda trasformazione, qualitativa e quantitativa. Fu così che la classe dirigente triestina (assicuratori, spedizionieri, commercianti, banchieri, armatori navali, liberi professionisti e possidenti) affrontò organicamente e coerentemente i problemi dell’istruzione. Essa era aperta alle innovazioni economiche e tecniche, nonché ad alcuni problemi di ordine sociale, tra i quali l’istruzione popolare obbligatoria ed il miglioramento di quella professionale che avrebbero condotto all’elevazione ordinata e progressiva della classe operaia. E per questo, almeno inizialmente, i dirigenti e gli imprenditori triestini videro la scuola più in funzione tecnica professionale che non umanistica e culturale. Due benemeriti cittadini, proprio il Revoltella ed il Gossleth citati da Giulio Montenero, istituirono una Scuola Domenicale per i giovani che intendevano avviarsi alle industrie. L’importanza della scuola fu ben presto evidente, tanto che dal 1859-60 assunse il nome di Scuola Triestina di disegno e professionale e venne gestita, oltre che da privati, dal Comune, la Camera di Commercio e gli stabilimenti industriali cittadini. La Scuola consisteva di una sezione maschile in cui erano istituiti corsi annuali di Geometria e disegno lineare, Geometria descrittiva, Meccanica, Costruzioni edili, Plastica, Intaglio del legno; un corso biennale per “Ornato”, con un terzo anno di “Gesso”; e di una sezione femminile che comprendeva un corso biennale di Disegno, un corso biennale di “Ricamo”, con un terzo anno di “Merletto”. Con il passare degli anni la situazione politica cambiò ed il nuovo ordinamento costituzionale dello Stato asburgico trovò applicazione in campo scolastico con le Leggi fondamentali, emanate nel 1867-69 e rimaste in vigore sino alla sua dissoluzione. Nel contempo cambiava anche la situazione economica e, se lo sviluppo commerciale era in fase di stasi, l’apparato tecnico industriale, in particolare l’industria cantieristica, era in costante progresso. La Scuola Triestina di disegno e d’istruzione tecnica per artieri dovette perciò modificarsi anche perché l’attività aveva continuato a svolgersi soltanto nelle giornate festive, se pur con l’orario, oggi inconcepibile, 9–12 e 15-17. Nel corso del ventennio 1865-1885 i corsi furono serali ed assunsero temi professionali più corrispondenti alle nuove esigenze. Gli allievi, infatti, erano muratori, pittori, scalpellini, tappezzieri, orefici, falegnami, calderai, fabbri, meccanici, tornitori, studenti, provenienti, oltre che dalla città, anche da Gorizia e dall’Istria. Nel 1884-85 gli iscritti della sezione maschile erano 350, ma via via si sviluppo' molto bene anche la sezione femminile. Con decreto imperiale del 18 aprile 1887 la Scuola Triestina di disegno venne a far parte di quella che si chiamò “Scuola Industriale dello Stato”di Trieste. Venne designato Direttore l’ing. Carlo Hesky, nativo di Pisino d’Istria, imperial regio consigliere di governo, cavaliere dell’ordine di Francesco Giuseppe I che mantenne la direzione fino al 1916.
La nuova istituzione scolastica comprendeva cinque scuole:
1. la Scuola Industriale Superiore con due sezioni: edilizia e meccanica 2. la Scuola per Capi d’Arte con tre sezioni: industria del legno e scultura ornamentale (quadriennali) e pittura decorativa (quinquennale) 3. la Scuola per ricamo e lavori in merletto (quadriennale) 4. la Scuola serale domenicale per artieri, con sezioni triennali e corsi speciali (ad esempio quello per “stipettai”, cioè artigiani specializzati nella costruzione di armadietti di bordo) 5. la Scuola serale domenicale per apprendisti (biennale).
Interessante è notare che il maggior centro dell’industria italiana in quegli anni era Milano, ma avrebbero dovuto trascorrere ancora ventun’anni (1908) perché ivi si istituisse una scuola simile a quella triestina! Per quanto riguarda gli sviluppi in un futuro ancora lontano è interessante soffermarsi un momento sulla “storia” relativa alla Scuola per Capi d’Arte. Obiettivo principale di questa scuola fu quello di formare “abili ed intelligenti operai per i diversi rami: dell’industria del legno, dell’arte della scultura ornamentale e della pittura decorativa”. L’orario scolastico era di 48 ore alla settimana dedicate la metà o poco più alla pratica (laboratori) ed il resto alle materie di cultura generale e tecnica. L’istituto, cui si accedeva dopo la scuola popolare, forniva materiali ed attrezzi per l’esecuzione dei lavori, i quali passavano poi di proprietà della scuola. Anche nella Scuola per lavori di ricamo artistico e merletti ed in quella complementare per apprendisti il “disegno” fu insegnamento fondamentale, e la frequenza di quest’ultima era obbligatoria per i giovani assunti dal Lloyd e da altre aziende cittadine. Le lezioni della Scuola Industriale superiore iniziarono il 26 gennaio 1888 con 16 allievi e professore capoclasse fu nominato l’architetto Enrico Nordio. La Scuola per Capi d’Arte iniziò le lezioni con appena 12 iscritti soltanto il 3 marzo 1888 e gli insegnamenti professionali furono affidati a Giuseppe Marass, pittore accademico, ed a maestri e capi d’arte severamente selezionati. La Scuola di ricamo artistico e merletti ebbe un successo notevolissimo: l’attività ebbe inizio nella metà di aprile del 1888 con ben 112 ragazze iscritte. Alla fine del primo decennio di attività la Scuola era frequentata nei corsi diurni da circa 300 allievi equamente ripartiti tra le varie sezioni, mentre i corsi serali e domenicali ne vedevano la presenza di circa 900 tra giovani ed adulti: un desiderio di apprendere ed uno spirito di sacrificio purtroppo quasi inconcepibili ai giorni nostri! Tutto procedette con sempre maggior successo e senza variazioni notevoli sino allo scoppio della I Guerra Mondiale che vide cadere, internare e perseguire parecchi allievi e docenti della scuola. Dopo il lungo periodo bellico di ristagno pressoché assoluto, l’economia triestina stentò molto a risollevarsi causa la trasformazione della carta politica del suo retroterra tradizionale e l’inserimento in un organismo statale nuovo. Inoltre, data l’instabilità politica, tra il 1919 ed il 1922 mancarono precise direttive per affrontare i problemi delle nuove province tra cui quelli legati all’istruzione. Solo a partire dal 1924-25 anche a Trieste venne adottato il sistema scolastico italiano che comportò parecchi cambiamenti. La Scuola Industriale superiore subì una profonda riorganizzazione sia nei programmi d’insegnamento che negli orari sino a divenire dall’1 luglio 1932 Istituto Tecnico Industriale, l’attuale Istituto “Alessandro Volta”. La Scuola di ricamo e merletto divenne prima Scuola Industriale femminile, poi Scuola Professionale femminile di durata triennale. Percorso più difficile dovette invece essere affrontato dalla Scuola per Capi d’Arte, che aveva visto sempre operare vicini artigiani ed artisti, ispirata sin dall’inizio dall’educazione del gusto e della mano. E la scuola di Trieste, come sappiamo, ebbe maestri validissimi e prestigiosi. La Scuola subì un riassetto nel 1929 diventando Scuola quadriennale di tirocinio, con tre sezioni: falegnami-ebanisti, pittori decoratori e scalpellini. Con il 1934-35 si trasformò radicalmente dovendo adottare l’ordinamento nazionale della Scuola Tecnica, biennale, con due nuovi indirizzi: meccanici ed edili. Vennero mantenuti gli indirizzi per la pittura decorativa e per la lavorazione della pietra, neppure previsti dal legislatore, ma che a Trieste avevano avuto una bella tradizione. Infatti i pittori accademici Enea Ballerini e Giuseppe Marass erano stati docenti di disegno a mano libera; gli insegnamenti di disegno di figura e pittura decorativa erano stati affidati ad Eugenio Scomparini, rappresentante di un periodo brillante dell’arte cittadina, Carlo Wostry, inquieto spirito eclettico (tela del martirio di San Giusto in Cattedrale, affreschi dell’abside della chiesa di San Vincenzo), Giuseppe Torelli, sensibile e fantasioso pittore postimpressionista e Giuseppe Matteo Campitelli, diplomato al Museo austriaco di Vienna, autore fra l’altro di opere per S.M. la Regina, S.A.R. il Principe Ereditario e per moltre altre personalità. Vi avevano insegnato composizione decorativa e storia dell’arte l’architetto Lodovico Braidotti, scultura monumentale e modellatura Antonio Camaur, artista sobrio e quasi austero (opere al Museo Revoltella ed a quello di Storia Patria), intaglio e modellatura Francesco Schranz, il cui nome è legato alla fontana con Nereidi e Tritoni in piazza Vittorio Veneto, costruita nel 1898 a tempo di record per iniziativa del partito liberalnazionale che scongiurò in tal modo la costruzione nello stesso luogo di un monumento a Francesco Giuseppe. La sezione di lavorazione della pietra si chiuse nello stesso 1934-35 e l’anno dopo si estinse la sezione edile. Maggiore, anche se effimera, fortuna ebbe la sezione per pittori decoratori che si chiuse nel 1942 durante il II conflitto mondiale, seguita l’anno dopo dalla sezione meccanica (trasformata dal 1961 in Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato “Luigi Galvani”). A guerra finita, la città ed il suo territorio passarono sotto l’amministrazione fiduciaria anglo-americana. Non fu possibile riprendere l’attività didattica della Scuola Tecnica: ben altri erano i problemi che i cittadini e le autorità dovettero affrontare in quei nove lunghi anni che precedettero il 1954 nel clima travagliato ed inquieto di una città che improvvisamente si era trovata al centro di uno snervante contenzioso internazionale, confinata nell’estremo lembo dell’Occidente, con il suo territorio gravemente ridotto, e totalmente incerta sul suo futuro.
Il passato prossimo
L’Istituto Statale d’Arte per l’arredamento e la decorazione della nave e dei suoi interni 1955-1974
Nel 1953, l’anno precedente il ritorno di Trieste all’Italia, la storia sembra ripetersi. Come un secolo prima alcuni notabili triestini si erano adoperati per istituirla, così allora un gruppo di professionisti di chiara fama sentì l’esigenza di raccogliere l’eredità della vecchia, gloriosa Scuola per Capi d’Arte, indirizzandone gli obiettivi verso quel ramo dell’industria cittadina che affondava le sue radici nell’epoca in cui Trieste era stata dichiarata “porto franco“ dell’Impero asburgico (1719): la cantieristica. La tradizione, quindi, era antica e, nonostante le alterne vicende legate ai due conflitti mondiali del XX secolo, in quegli anni l’attività dei cantieri navali era in espansione. Inoltre, sin dagli anni ‘30, un gruppo di architetti, arredatori, artisti locali altamente qualificati avevano operato e continuavano a dare il loro apporto culturale e professionale nel campo dell’arredamento delle navi. Furono proprio essi, gli architetti Umberto Nordio, figlio di quell’architetto Enrico che nel 1888 era stato nominato insegnante capoclasse alla Scuola Industriale Superiore e che tante opere notevoli ha lasciato a Trieste, Frandoli, Boico, Cervi, il professor Piero Florit, l’arredatore navale Sbocchelli che, affiancati da artisti quali Mascherini, Cernigoj, Sbisà ed altri ancora, presero i primi contatti con il Governo Militare Alleato per l’istituzione della scuola. Successivamente, dopo il ritorno di Trieste all’Italia (26 ottobre 1954), la sua nascita fu sancita con decreto del Commissario del Governo n° 167 del 23 maggio 1955, poi ratificato con decreto del Presidente della Repubblica dell’1 agosto 1959. Lo stesso decreto stabiliva la dipendenza diretta del nuovo istituto dall’Ispettorato per l’Istruzione Artistica del Ministero della Pubblica Istruzione (solo dopo l’emanazione dei Decreti Delegati del 1974 la scuola venne a dipendere dal locale Provveditorato agli Studi ) che ratificava le delibere del Consiglio di Amministrazione presieduto fino al 1973 dall’architetto Umberto Nordio. Dopo 12 anni il nuovo Istituto d’Arte per l’arredamento e la decorazione della nave e degli interni raccoglieva l’eredità della Scuola Tecnica, divenendo l’unica scuola in Italia con tale indirizzo! Infatti il passato garantiva la qualificazione e l’aggiornamento professionale degli arredatori triestini, l’alta professionalità delle maestranze e l’estrema serietà delle ditte realizzatrici dei progetti. In questo contesto sembrò giusto reinserire un tale organismo scolastico che continuasse a portare avanti, con i dovuti cambiamenti, tale gloriosa tradizione. Il corso di studi prevedeva 3 anni di scuola inferiore, cui si accedeva dopo la V classe elementare, e 3 anni di corso superiore. Allora in Italia erano ben pochi gli Istituti d’Arte così organizzati: esistevano in maggioranza le Scuole d’Arte (3 anni di corso inferiore e 2 di corso superiore) con sbocco unicamente professionale, tanto che al termine degli studi fornivano una certificazione, non un diploma. In seguito si istituì simile istituto anche a Gorizia e, molto più tardi, a Udine. Comunque solo a Trieste nell’a.s. 1959-60 venne aperto il corso post – diploma di Magistero rivolto soprattutto alla specializzazione artistico – professionale, e si insegnò la lingua straniera (inglese) sin dall’inizio. L’annuncio dell’apertura dell’Istituto, pur giungendo quasi inaspettato, suscitò vivo interesse nella cittadinanza e creò molte aspettative. Venne incaricato di “creare” la scuola e di diventarne il Direttore il professor Romano Barocchi, fiorentino, diplomato in architettura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Egli, prima di entrare nel mondo della scuola, fino al 1940 era vissuto in Lombardia operando nel campo dell’industria quale disegnatore e progettista nel settore dell’arredamento. Aveva poi insegnato in una scuola artistica serale di Como e successivamente era stato nominato direttore della Scuola d’Arte di Cantù, dove contemporaneamente insegnava disegno professionale e prospettiva, disegno geometrico e tecnologia. Reca la data del 3 agosto 1955 la lettera di congratulazioni inviata al professor Barocchi dal direttore della Pubblica Istruzione del Commissariato Generale del Governo Giuseppe Fadda, al quale il 9 agosto Romano Barocchi testualmente rispose:” Mentre ringrazio sentitamente per le gentili espressioni della S.V. , mi preme dire che da parte mia è stato accolto con entusiasmo l’incarico della direzione del nuovo istituto per l’arredamento navale e degli interni di costì e, come ho sempre fatto per la scuola di Cantù, sono disposto ad impegnarmi in modo che della modesta opera mia possano sortire i risultati sperati per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. “ L’entusiasmo ed il desiderio di realizzare al più presto risultati concreti traspaiono anche meglio da un’intervista concessa al quotidiano locale “ Piccolo Sera “ il 12 ottobre 1955 nel quale il professor Barocchi, illustrando le possibilità d’impiego offerte a coloro che si sarebbero diplomati nella nuova scuola, dichiarava con toscana sicurezza: ”L’ingegno e l’operosità dei triestini mi sono ben noti: ecco perché ho accettato con entusiasmo l’incarico direttivo; ho fiducia di conseguire i migliori risultati e sono altrettanto certo che in un centro quale Trieste le possibilità di impiego non mancheranno ai nostri futuri diplomati. Conto di vedere ben presto all’opera i giovani triestini e sono certo che anche in questo specialissimo campo Trieste saprà in breve affermarsi con onore.“ Con questi presupposti di entusiasmo e fiducia iniziava la storia del nostro Istituto. E di entusiasmo dovevano averne tanto, allievi, insegnanti e personale, viste le condizioni logistiche iniziali ed il modesto contributo dello Stato: 18.000.000 di lire per “creare“ dal nulla una scuola! Dire che la sede provvisoriamente (!) assegnata fosse spartana è senz’altro dir poco: 3 aule, una direzione, un piccolo sgabuzzino per i bidelli e due servizi si affacciavano su di un corridoio chiuso da una vetrata alla fine del quale era stata ricavata una segreteria, al pianoterra dell’Istituto Tecnico Commerciale “Leonardo da Vinci”. La nuova scuola aveva inoltre a disposizione nel cortile Basevi due capannoni in muratura, uno in legno ed uno in legno e muratura (che fungeva da magazzino) lasciati liberi dai soldati americani. Le condizioni erano tali che il 5 novembre, solo pochi giorni prima dell’inizio del primo anno scolastico, si stavano ancora effettuando lavori di sgombero, pulizia ed arredamento! Primo giorno di scuola fu il 14 novembre 1955. L’anno iniziò quindi con la I classe inferiore a cui erano iscritti 26 allievi, dei quali poi 24 effettivamente frequentanti, dai 12 ai 17 anni. Per i più “anziani” che avevano dimostrato buone attitudini e capacità, venne richiesto successivamente all’Ispettorato per l’Istruzione Artistica di poter sostenere a fine anno scolastico un esame di Stato per conseguire la licenza del corso inferiore al fine di accedere l’anno successivo a quello superiore. Parallelamente si tenne, a partire dal 20 febbraio 1956, un corso serale, comprendente soltanto le materie professionali, di qualche mese per ragazzi che, avendo abbandonato gli studi superiori, avrebbero potuto rendersi pienamente conto di quali fossero le caratteristiche del corso superiore di Istituto d’Arte. La prima riunione del Collegio dei Professori si tenne il 13 dicembre 1955 e vi parteciparono, oltre al direttore professor Barocchi, gli insegnanti : Dino Predonzani – professore di disegno dal vero ed orientamento professionale Emanuele Annieri – professore di educazione fisica Laura Chiurco – professoressa di educazione fisica Enzo Cogno – professore di disegno geometrico Don Tullio Delconte – catechista Antonio Passagnoli – professore di lingua inglese Licia Sambo – professoressa di cultura generale Giovanni Torelli – professore di cultura scientifica e la signorina Lia Carli, nominata, previa autorizzazione paterna!, segretario economo, unico membro della segreteria dell’Istituto sino al 1958. Dalla lettura dei verbali di questa e delle successive riunioni appare chiaro che l’insegnamento in quel primo anno fu a carattere del tutto “sperimentale” non esistendo programmi specifici, né testi compilati espressamente per tali istituti. Inoltre, provenendo gli allievi da scuole diverse e con diverso grado di cultura, l’insegnante di cultura scientifica (divenuto successivamente brillante docente universitario) utilizzò con successo il sistema di dividere la classe in gruppi in modo da poter svolgere un programma diverso e più appropriato per l’età e gli studi precedentemente seguiti dai vari allievi. Alla fine di questo primo “avventuroso” anno scolastico si svolsero gli scrutini del III trimestre e degli esami di licenza alla presenza del Commissario esterno (art. 71 del R.D. 31.12.1923 n° 3123 – Ordinamento istruzione artistica), lo scultore Marcello Mascherini, che avrebbe ricoperto questo incarico fino al 1965, affiancato dall’anno scolastico 1958-59 dall’architetto Aldo Cervi. Questi, in sintesi, i risultati: 6 studenti ritirati entro il 15 marzo e successivamente licenziati e quindi ammessi al I anno del corso superiore, 4 non promossi, 8 promossi alla classe II inferiore, 6 rimandati a settembre di cui 5 poi promossi ed uno respinto. Nell’anno scolastico successivo, il 1956-57, l’Istituto potè aprire cinque classi: due prime ed una seconda inferiore e due prime superiori, per un totale di 119 iscritti. Un bel passo avanti rispetto ai 26 dell’anno precedente! Le aule divennero cinque e si istituirono, vista la specificità del corso superiore, i laboratori di “arte del legno”, “arte del tessile” e “decorazione pittorica”, i tre indirizzi in cui si articolava tale corso, ubicati molto precariamente nei capannoni del giardino Basevi. Comunque l’entusiasmo per la nuova scuola era tale che, ad esempio, il docente di laboratorio di arte del legno m.l. Mario Slocovich abbandonò il suo precedente lavoro presso la nota falegnameria Sbocchelli (specializzata, tra l’altro, in arredamenti navali) per dedicarsi all’insegnamento. Si deve a persone come lui, o come la m.l. Maria Hannich, allieva della Bauhaus e vicina a Kandinskij, o come il m.l. Riccardo Bastianutto, ed alla loro ferrea volontà e grande esperienza nei rispettivi campi se i tre laboratori vennero allestiti e cominciarono ad operare. Con l’apertura del corso superiore il corpo docente si ampliò visto che si venivano ad aggiungere altre materie d’insegnamento. [Allora le graduatorie erano compilate da una commissione interna di docenti e membri del Consiglio di Amministrazione. Per le materie professionali il punteggio veniva attribuito in base alla documentazione artistica presentata, peculiarità, questa, che se da un lato garantiva l’estrema competenza, portò in seguito come conseguenza negativa l’immissione in ruolo tardiva per gli insegnanti di arte applicata in quanto il Ministero non trovava corrispondenza tra le materie d’insegnamento e le classi di concorso]. Oltre a quelle citate per il corso inferiore, erano previste quali materie comuni a tutti e tre gli indirizzi la storia dell’arte, la chimica e le scienze, la tecnologia, la fisica, la plastica, e quali materie d’indirizzo i tre laboratori ed il relativo disegno professionale. Entrarono quindi a far parte dei “pionieri” dell’Istituto i professori Maria Walcher, Nora Schromeck”, Ladislao de Gauss e Giovanni Russian, Ugo Carà, oltre ai su citati Slocovich, Hannich e Bastianutto. A marzo entrò a far parte del gruppo anche il m.l. Franco Basaglia che cominciò immediatamente ad organizzare la creazione del nuovo laboratorio di “arte dei metalli”. Nomi, questi, che, assieme ai precedenti, hanno segnato la storia e “sono entrati nella leggenda” del nostro Istituto e la cui eredità è stata successivamente raccolta da alcuni dei loro allievi, docenti essi pure della scuola o che, pur operando in altri settori, si sono sempre riferiti ai principi ispiratori del loro insegnamento. Venne nominato vicedirettore il professor Dino Predonzani che sarebbe poi entrato anche a far parte del Consiglio di Amministrazione quale rappresentante del Collegio dei Professori, ed il direttore Barocchi assunse anche l’incarico di insegnante di disegno professionale e tecnologia. Non a caso in un articolo pubblicato da “Il Meridiano di Trieste” negli anni ’70 venne riportato il giudizio degli studenti riguardo il loro direttore: “Ama e si interessa alla nostra scuola come fosse sua figlia, anche un poco troppo”. Ogni insegnante venne invitato dal direttore a stilare il programma relativo alla propria disciplina ed a rapportarsi costantemente con i docenti di materie affini al fine poi di redigere, sotto la supervisione dello stesso direttore, una programmazione d’Istituto il più possibile completa e dettagliata, basata anche sul lavoro d’equipe del corpo docente. A fine anno scolastico gli alunni migliori vennero premiati per la media dei voti e per l’operosità estiva. Perché gli allievi, allora, lavoravano anche d’estate a progetti che avrebbero sviluppato nell’anno successivo e l’Istituto poteva anche accettare commesse esterne (navi, aziende)! Alcuni anni più tardi, intorno al 1967, il Consiglio di Amministrazione decise anche la vendita di alcuni elaborati dei laboratori visto l’alto prestigio raggiunto dall’Istituto. Ricordano oggi il professor Basaglia ed il professor Schiavon, ex allievo ed ex docente: “Si lavorava in grande libertà. Gli insegnanti costituivano un gruppo di grande esperienza, molto unito, che, nel rispetto di idee diverse, tendeva sempre ad un fine comune: lavorare con entusiasmo assieme ai ragazzi partendo da esercizi di base per sviluppare via via la loro manualità e successivamente far emergere la loro creatività. Ogni esperienza era singola, ogni studente andava seguito ed instradato secondo le capacità che dimostrava, la tecnica andava legata indissolubilmente alla formazione dell’allievo. Si visitavano le aziende leader (Fantoni, Mondatori, ecc.), si lavorava per le navi – in particolare sotto la direzione dei professori Carà, Predonzani, Reina, Russian, Slocovich – , soprattutto per imparare ed essere sempre informati sulle esigenze e le necessità del mondo del lavoro. Uno dei tanti esempi che si potrebbero portare di come docenti ed allievi collaborassero strettamente in questo specifico può essere offerto dalla cappella della m/n Galileo Galilei a cui lavorarono con entusiasmo il professor Carà e l’allora allievo Marcello Siard.” Alla fine dell’anno scolastico 1958-59 si ebbero i primi diplomati Maestri d’arte e l’anno seguente si aprì il corso di Magistero. La scuola aveva raggiunto i trecento iscritti! Un successo di enorme portata risultato dell’azione di un gruppo eccezionale di persone che si era prefissato uno scopo ben preciso: educare, formare ed informare gli alunni affinché si apprestassero ad entrare nella società quali individui evoluti, bene inseriti nel proprio tempo. “Gli allievi non devono sentirsi trascinati”, diceva il direttore Barocchi,”ma essere introdotti alla materia dall’insegnante e quindi entrare nel vivo della stessa con la sua guida e con l’entusiasmo della scoperta.” E raccomandava ai docenti di non teorizzare troppo al fine di non standardizzare l’insegnamento e di conseguenza l’individuo. L’Istituto cominciò a farsi conoscere in Italia ed all’estero: oltre ai concorsi annuali riservati agli alunni per il manifesto pubblicitario, alle mostre annuali degli elaborati ed alla mostra permanente dei lavori, fu presente a varie mostre e fiere e partecipo' a molti concorsi con esiti sempre brillanti (medaglie d’oro, d’argento, coppe, targhe, premi ai singoli allievi). In questa situazione si rendeva più che mai necessario poter disporre di una sede più adeguata. Nella riunione dell’1 ottobre 1959 il direttore informò il Collegio dei Professori delle trattative in corso già da tempo con l’Amministrazione Provinciale per la sede definitiva. All’unanimità il Collegio approvò una pesante mozione da inviare al Commissario Generale del Governo, al Direttore della Pubblica Istruzione, al Presidente dell’Amministrazione Provinciale ed al Sindaco di Trieste con la quale deplorava di dover rinviare l’inizio delle lezioni causa l’inadempimento dei lavori da tempo richiesti per la sistemazione dell’attuale sede, nonché per l’impossibile situazione logistica e l’eccessiva ristrettezza di spazio vitale persino per il ristretto numero di classi ancor più affollate di quanto consentito: da 32 sino a 38 alunni! Inoltre, a conoscenza che la costruzione della nuova sede sembrava decisa sul terreno di via d’Alviano, terreno infelice per le esigenze dell’Istituto, qualora da parte dell’Autorità tutoria si fosse voluto insistere su tale evidente errore, il Collegio si riprometteva di denunciare al Ministero della Pubblica Istruzione ed all’opinione pubblica la scarsa considerazione dimostrata nei confronti di un Istituto indispensabile all’economia triestina. Con una nota del 23 aprile 1965 il Comune di Trieste propose il trasferimento della sede provvisoria dell’Istituto nell’edificio scolastico che al momento ospitava la Scuola “G. Brunner” di Roiano. Da un sopraluogo effettuato dal presidente e dal direttore accompagnati dal Provveditore agli Studi si rilevò evidente l’incapienza del fabbricato per le necessità del nostro Istituto. A seguito di tale concreta dimostrazione il Provveditore promise di interporre i suoi buoni uffici per la risoluzione nel più breve tempo possibile della costruzione della nuova e definitiva sede. Essendo lo sviluppo dell’Istituto strettamente connesso con la possibilità di lavorare in locali adatti, il direttore nella riunione del Consiglio di Amministrazione del 6 maggio 1965 ribadì che, in considerazione delle possibilità culturali ed economiche della città, egli era sempre più convinto che occorresse potenziare e sviluppare la scuola in modo da renderla unica nel suo genere e vi potesse quindi accedere una scolaresca non solo locale, ma proveniente almeno da tutto il Paese. Per raggiungere questo impegnativo fine era necessario “inderogabilmente ed assolutamente” modificare l’ordinamento attuale raggruppando le sezioni in modo da formare una sezione Arredamento con specializzazione arte del legno ed arte dei metalli ed una sezione Decorazione con specializzazione decorazione pittorica ed arte del tessile. In tal modo sui diplomi sarebbe risultata ben chiara la qualifica di “arredatore” o “decoratore”. Il direttore informò inoltre i consiglieri che, da un indagine condotta tra i licenziati, era emersa la sentita necessità che il ciclo di studi dovesse assolutamente essere completato con un corso speciale superiore per disegnatori d’arredamento e, date le richieste e le esigenze locali, per offrire maggiori possibilità di occupazione ai licenziati nel corso di Magistero alla sezione di Decorazione pittorica si sarebbe dovuta affiancare una per Disegnatori grafici che, non solo avrebbe dato maggior prestigio all’Istituto, ma anche” a Trieste, città di cultura media generale superiore ad altre.” Il Consiglio fece sue le proposte del professor Barocchi sia per quanto riguardava la sede che il nuovo ordinamento e le inoltrò all’Ispettorato per l’Istruzione Artistica immediatamente. Purtroppo la situazione non si sbloccò. Alla mozione del 1959 ed alle sollecitazioni del 1963 e 1965 seguirono nel corso degli anni successivi lettere, telegrammi all’Ispettorato, senza però venire a positiva conclusione. Nella riunione del 24 maggio 1965 il direttore riferì al Consiglio di Amministrazione che il progettista della nuova sede, ingegner Tamburini, era a buon punto con il progetto definitivo. Quanto tempo passò perché il progetto divenisse un edificio concreto! Nel 1967 la scuola inferiore, divenuta ormai scuola media dall’anno scolastico 1963-64, venne trasferita in toto nella sede delle Scuole Slovene in via Frausin 14. Il professor Barocchi, tramite il Presidente architetto Nordio, inviò allora un esposto all’Ispettorato in cui declinava ogni responsabilità circa la gestione e l’andamento della trasferita scuola media annessa all’Istituto! Dovettero trascorrere ben dieci anni perché le autorità provvedessero ad un cambiamento di sede. Trasferimento subito dall’Istituto che oggi in alcun modo sarebbe stato tollerato, non solo per i disagi che comportava, ma anche per il modo come era stato imposto. Infatti, non si veniva in alcun modo incontro alle esigenze per tanti anni fatte rilevare da direttore, presidente, docenti e studenti, ma si imponeva da parte dell’Amministrazione Provinciale (28 novembre 1969) testualmente di “lasciare immediatamente” i locali occupati presso l’Istituto “L. da Vinci” per trasferirsi in via Besenghi nell’ex laboratorio di sartoria della ditta “G. Beltrame”. Sollecitati ad intervenire, i sindacati S.N.S.M. e S.A.S.M.I., oltre a concordare con le autorità provinciali, fecero pervenire alla Direzione ed al Consiglio di Amministrazione dell’Istituto un “invito” all’immediato trasferimento onde evitare scioperi studenti, insegnanti ed altro personale Istituto “L. da Vinci”, nonché proteste famiglie interessate a cessazione turni pomeridiani allievi medesimo istituto causa presenza allievi Istituto d’Arte! Il trasferimento comunque ebbe luogo, in una sede in cui tutte le finestre, di dimensione tripla del normale e prive di persiane o avvolgibili, non possedevano tende; la caldaia per il riscaldamento era del tutto insufficiente, anzi dovette essere sostituita; i lavori di adattamento sarebbero continuati per tutto l’anno scolastico; non esistevano né palestra né aula magna, e l’arredamento fu in gran parte opera di allievi e docenti. Questi ultimi, assieme al personale non insegnante, stavano ancora vivendo una situazione di estrema precarietà: erano tuttora quasi tutti “incaricati”, e fin dal 1963 il direttore ed il presidente avevano fatto presente al Ministero l’opportunità di un provvedimento specifico sia per assicurare la continuità dell’ottimo indirizzo dell’insegnamento sino ad allora esperito, sia per dare tranquillità a tanti artisti e tecnici di valore. La situazione si sbloccò per alcuni nel giro di qualche anno, ma ci fu chi, come la segretaria Lia Carli, dovette sostenere un esame con riserva per entrare nei ruoli ordinari degli istituti d’arte, o il professor Basaglia che dovette attendere ben 17 anni prima di entrare in ruolo! Unico dato positivo il fatto che, allora, la qualità del servizio prestato veniva giudicata ed ad un giudizio lodevole corrispondeva un aumento di stipendio. La scuola media continuò ad essere ubicata nella sede di via Frausin fino all’anno scolastico 1970-71 in quanto dall’anno 1968-69 l’Istituto assunse l’assetto attuale diventando esclusivamente scuola superiore. Per i docenti e gli allievi dell’Istituto d’Arte, che dal 1963 era stato intitolato all’architetto Enrico Nordio, anche questi disagi furono comunque di stimolo per lavorare e dimostrare il valore della scuola. Non furono anni facili, anche perché videro in sede locale la chiusura del Cantiere San Marco a difesa del quale si schierò tutto l’Istituto aderendo allo sciopero generale del 1965, ed in sede nazionale il disinteresse da parte delle autorità ministeriali per quanto riguardava un’auspicata riforma dell’istruzione artistica relativa ad ordinamento, orario curricolare e programmi, cui si fa riferimento in relazione a molteplici incontri dei direttori degli istituti d’arte di tutto il Paese. Unica innovazione, a partire dall’anno scolastico 1967-68, l’istituzione della sezione “disegnatori di architettura e arredamento” che prevedeva dei cambiamenti nella denominazione di alcuni insegnamenti e nella struttura degli indirizzi: le sezioni “arte del legno” e “ferro battuto e sbalzo” si trasformarono in sottosezioni. La nuova sezione comprese, quindi, “arte applicata per la modellistica”, “arte applicata per i metalli” ed “arte applicata per l’ebanisteria e tarsia” e gli insegnamenti di disegno professionale con direzione di laboratorio confluirono in un unico insegnamento relativo alla nuova sezione. Nel giugno del 1968 il Consiglio di Amministrazione approvò la proposta, avanzata dal direttore ed accolta dall’Ispettorato, di apertura di una nuova sezione per le arti della stampa e del libro con annessi laboratori di tipografia, xilografia e calcografia, litografia e serigrafia. Sin dal marzo 1960 le organizzazioni delle tipografie e delle case editrici della città avevano inoltrato un’istanza al presidente facendo presente che “con l’odierno progredire dei sistemi di stampa e la conseguente necessità di un’aggiornata produzione, sempre più si ravvisa l’opportunità di una maestranza altamente specializzata tanto nel campo tecnico che in quello artistico e che possa assolvere compiti direttivi e di progettazione. Maestranza, questa, veramente selezionata che solo una scuola adeguatamente dotata ed organizzata, frequentata da soli elementi naturalmente predisposti per le arti grafiche, può assicurare. Riconoscendo sinceramente l’apprezzato e fattivo cammino percorso nel campo delle arti applicate in soli cinque anni dalla fondazione dall’Istituto d’Arte, la fiducia di noi tipografi ed editori non può essere riposta, per il particolare compito, che in questa aggiornata scuola.” Il Consiglio deliberò l’apertura della sezione a partire dall’anno scolastico 1968-69, rendendosi libere alcune aule della scuola media che andava ad esaurimento. Così non fu. Infatti, pur avendone auspicato l’apertura, l’Ispettorato avanzò delle perplessità, consigliando piuttosto di proporre per il successivo anno scolastico (!) l’apertura di una sezione di arte della moda e del costume. Lo scoraggiamento cominciò a serpeggiare anche tra quanti avevano, nonostante tutto, riposto comunque sempre fiducia nelle istituzioni. Anche perché la richiesta di apertura della sezione arte della stampa era stata conseguenza di un suggerimento venuto dal Ministero a seguito della mancata autorizzazione da parte dello stesso per la sezione di arte grafica, richiesta più volte a partire dal 1960. Tale sezione era stata invece concessa a partire dall’anno scolastico 1967-68 all’Istituto d’Arte di Udine! Le iscrizioni cominciarono a calare sensibilmente (145 iscritti nell’anno scolastico 1968-69). Alla fine degli anni ’60 cominciarono, come dovunque, i primi movimenti studenteschi: già nell’anno scolastico 1968-69 si decise l’elezione di un alunno “capoclasse” per ciascuna classe e, scelto tra di essi, la nomina di un rappresentante d’Istituto,a cui vennero affiancati tre docenti, uno di materie umanistiche o scientifiche, uno di materie di indirizzo professionalizzante ed uno di arte applicata per formare un gruppo di studio permanente docenti – allievi. Continuarono le sollecitazioni, ora affiancate da scioperi ed occupazioni da parte studentesca, per una riforma degli istituti d’arte, che, comunque, non diedero risultato tangibile. Si continuava a lavorare con entusiasmo, a partecipare a mostre e concorsi anche internazionali (ad esempio il concorso”Cucchiaio d’oro” di Colonia che vide il nostro Istituto più volte vincitore), a passare praticamente tutta la giornata a scuola. All’inizio dell’anno scolastico 1970-71 prese l’avvio il biennio di Sperimentazione, di completamento del corso istituzionale, accanto a quello di Magistero, che vide finalmente l’apertura della sezione di Arredamento, e il numero degli iscritti, anche se lentamente, cominciò a riprendere quota (179). Si formò, su indicazione dell’Associazione Nazionale Direttori e del Sindacato Istruzione Artistica, una Commissione formata da cinque alunni – uno per ogni anno dei corsi d’istituto e di Magistero – e da cinque insegnanti, uno per ciascun gruppo di materie, i professori Maria Campitelli, Fulvia Kostoris, Romano Ferrari, Dino Predonzani e Livio Schizzi. La Commissione avrebbe avuto il compito di perseguire quell’auspicata riforma riorganizzativa che appariva sempre più necessaria quanto lontana. In occasione dell’apertura dell’anno scolastico 1971-72 il direttore, molto in anticipo sui tempi, auspicò come sempre “una fattiva collaborazione tra gli insegnanti in modo da poter instaurare una comunione di idee e di intenti fra tutti i membri dell’Istituto al fine di favorire le lezioni interdisciplinari ed il lavoro di gruppo”. Nell’estate del 1972 i 25 allievi del secondo anno del biennio di Sperimentazione avevano affrontato i primi Esami di Maturità d’Arte Applicata, supportati dalla presenza rassicurante del commissario interno professoressa Campitelli. Nel contempo giunse la proposta dall’Ispettorato di Roma (!) di ristrutturazione del biennio di Magistero per elevarlo a vero corso di alta specializzazione orientato su due indirizzi: uno a carattere professionale, uno abilitante all’insegnamento. Il corso di Magistero era stato sin dall’inizio molto impegnativo tanto che alla fine del II anno si concludeva con una vera e propria tesi riferita a più discipline: d’obbligo il disegno professionale ed il disegno dal vero, la storia dell’arte, le teorie geometriche, la tecnologia, laddove necessario anche la matematica. Era prevista anche una monografia. Dal 1974 in poi l’argomento, singolo o globale, della tesi finale sarebbe invece stato scelto liberamente dagli allievi che avrebbero avuto la possibilità di svolgere gli argomenti in gruppo o individualmente a seconda delle loro capacità e dei loro interessi. Inutile dire che il corso andò declassandosi! Il corpo insegnante nel corso degli anni si era arricchito di molti validi insegnanti tra i quali Romano Ferrari, grande maestro di teorie geometriche, Giuseppe Negrisin, allievo di Marcello Mascherini, Maria Campitelli, storica e critica d’arte, Edda Serra, docente di lettere e segretaria del poeta Biagio Marin, Giorgina Konig, Lucio Arneri ed Alessandro Psacaropulo, architetti di chiara fama, Girolamo Caramori, artista che ,avendo insegnato presso l’Istituto dal 1958, va considerato anch’egli uno dei “pionieri”; e poi Marcello Siard, Giampaolo Amstici, Livio Schiozzi, Virgilio Forchiassin, Antenore Schiavon, e tanti altri ex allievi, affermatisi poi anche al di fuori dal mondo della scuola. Qualcuno venne pure a mancare, il professor de Gauss nel 1970 e la professoressa Reina nel 1971. Altri andarono un pensione. I tempi stavano cambiando e le novità incalzavano. Fu del dicembre 1973 la proposta da parte di allievi, genitori ed alcuni docenti di un orario unico, con ore di lezione di 45 minuti, per uniformarsi il più possibile agli altri istituti superiori, ridurre il monte ore settimanale, e per avere più tempo per studiare e assimilare quanto svolto a scuola visto che l’impostazione dei programmi, da un indirizzo più propriamente professionale, si andava orientando verso una sempre più completa e vasta formazione culturale. Anche in Consiglio di Amministrazione si prese atto del gravoso orario degli alunni impegnati per 41 ore settimanali con lezioni antimeridiane e pomeridiane, e del fatto che i giovani dimostravano sempre maggior interesse verso attività extrascolastiche e parascolastiche. Non ultimo argomento a favore dell’orario unico fu il fatto che il Comune aveva ridotto le forniture di carburante per il riscaldamento e nel pomeriggio di conseguenza la temperatura calava sensibilmente. Chissà come avrebbero commentato queste motivazioni gli allievi di vent’anni prima che, a volte, d’inverno lavoravano all’aperto perché al sole faceva più caldo che nei capannoni militari! Il direttore, ricordando che già due anni prima si era sperimentato un nuovo orario, articolato su quattro giorni la settimana solo al mattino e due in doppio turno, che era apparso poi incongruente sia a docenti che ad allievi dopo solo poche settimane di prova, si dichiarò anche questa volta contrario al cambiamento. Non perché poco sensibile alle motivazioni addotte, ma perché, anziché prendere provvedimenti parziali, e quindi incompleti, per portare la scuola al passo con i tempi, ribadiva ancora una volta la necessità di una ristrutturazione radicale dell’ordinamento artistico sia nei programmi che negli orari risultando entrambi poco organici ed anacronistici. L’annosa questione si era ripresentata ancora una volta, ma il Ministero continuò a non dare risposte in merito. Nell’ ultimo anno di direzione del professor Barocchi, il 1973-74, venne infine prospettato al Collegio dei Docenti di aggiungere, nella denominazione dell’Istituto, anche il nome dell’architetto Umberto Nordio, suo presidente sin dall’inizio e scomparso nell’ottobre 1971, e di togliere la dicitura “per l’arredamento e la decorazione della nave e degli interni”, ormai troppo limitativa. Rileggendo oggi il relativo verbale viene spontaneo chiedersi “Perché?” Qualche dubbio e qualche perplessità, però, devono essere stati avanzati anche allora in quanto, se la prima proposta venne approvata a larga maggioranza, la seconda con pochissimo scarto di voti. Comunque, il 25 gennaio 1974 il direttore comunicò ai docenti che con Decreto Ministeriale era stato ufficializzato il cambiamento di nome dell’Istituto: Istituto Statale d’Arte “Enrico e Umberto Nordio”. Nel settembre del 1974 il professor Barocchi andò in pensione lasciando quindi la direzione dell’Istituto per cui tanto si era prodigato. Entrarono inoltre in vigore i Decreti Delegati che videro il Consiglio di Amministrazione sostituito dal Consiglio d’Istituto affiancato dalla Giunta esecutiva, composto in modo del tutto diverso e con differenti mansioni. Si chiudeva così un’ epoca.
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