IMPRESSIONISMO
 

QUATTRO  PITTORI  "MALEDETTI"
 

 

 

Giuliano Confalonieri

 

 

 

 

Nel 1854 a Firenze i fratelli Alinari[1] aprono il laboratorio di fotografia svolgendo una intensa attività ritrattistica (in stretto rapporto con la cultura pittorica del periodo) e documentaria. Nello stesso anno a Parigi il fotografo F.T. Nadar[2] inaugura il suo studio dedicandosi al ritratto di noti intellettuali, artisti e politici; nel 1874 ospita la prima mostra di pittori impressionisti. La novità della fotografia e del cinematografo dei fratelli Lumière[3] non interrompono il cammino dell’arte storica ma producono una nuova e più immediata forma di comunicazione che sarà raccolta con criteri settoriali nei musei, naturale evoluzione delle collezioni private.

Il termine museo deriva dalla voce museion, ovvero l'istituzione culturale pubblica creata ad Alessandria d'Egitto nel sec. III a.C. in collaborazione con la celebre biblioteca distrutta: uno spazio a disposizione di letterati, scienziati e filosofi, tra le cui funzioni probabilmente rientrava anche quella di esporre opere d'arte. Il termine ricompare nella cultura umanistica per indicare una raccolta di oggetti antichi che, inizialmente, adornavano le sale delle Corti italiane.

Nel 1506 venivano esibiti pezzi celebri studiati da generazioni di artisti. Il Giardino delle statue è stato realizzato dal Bramante[4] per il Papa Giulio II. Il lascito testamentario del  cardinale Grimani donava alla Serenissima nel 1523 la collezione privata. Proprio per una raccolta di antichità è stata realizzata una delle prime strutture architettoniche appositamente adibita a funzione espositiva, la Galleria degli Antichi a Sabbioneta (1583/90). Le selezioni medicee del Palazzo degli Uffizi (1581) vennero progettate in funzione delle opere esposte confermando il passaggio da privato a pubblico e quindi considerando il patrimonio artistico come bene collettivo.

Il decreto con cui 1'Assemblea Nazionale trasformava (1793) le collezioni reali del Louvre nel Musée Central des Arts prospettano una novità nella storia museale anche se il Louvre non fu il primo museo europeo aperto al pubblico: in Inghilterra nel 1759 era stata aperta una sezione del British Museum, l’Hermitage[5] di S. Pietroburgo istituito nel 1764 da Caterina II nel Palazzo d’Inverno, residenza degli Zar fino al 1917. In Italia furono rese pubbliche le raccolte dinastiche, nel 1769 a Firenze gli Uffizi, a Roma nel 1734 il Museo Capitolino. Nella Francia napoleonica le opere d'arte dei paesi sconfitti faranno del Louvre il simbolo dell'universalità dell'arte e della cultura. La Pinacoteca di Brera a Milano,  il Museo del Prado a Madrid, l'Altes Museum a Berlino, la National Gallery a Londra. Il “Tempio delle Muse” ebbe una considerevole affermazione in tutto il mondo nell’Ottocento con la novità di differenziare  le materie e  di inserire l’importante concetto di conservazione e restauro delle opere.

Dopo la seconda guerra mondiale si diffondono le conoscenze  del Museum of Modern Art di New York, del Centre Pompidou di Parigi ed i Parchi  Archeologici o Architettonici musei all’aperto – e la novità della monumentale piramide del Louvre[6],  simbolico ponte tra presente e  passato. La ritrattistica, precedentemente destinata a limitate categorie abbienti, si allargò – per i costi molto più contenuti – alle classi popolari: la veranda-sala-di-posa completa di tende regolabili per dosare la luce del giorno, con la macchina fotografica in legno lucidato a mano immortalò, sulle lastre di vetro o sui filmpack, centinaia di fieri militari, spose belle, famiglie altere e giovani speranze (eventuali difetti fisici venivano regolarmente eliminati da pose appropriate o da un attento ritocco della lastra sensibile di vetro).

Un vecchio film ipotizza che durante la notte i vetusti cimeli riprendano vita e si muovano nelle sale facendo improbabili incontri. Perciò l'opinione diffusa del museo come cosa amorfa viene qui ribaltata rimandando lo spettatore agli ambienti e alle epoche nelle quali i reperti erano attivi: una teoria interessante che riabilita la funzione delle esposizioni in tutto il mondo e di ogni genere. Pensiamo ai personaggi ritratti, pensiamo alle grandi tele delle storiche battaglie, pensiamo alle belle donne, ai principi, ai condottieri ed ai loro destrieri, tutto fissato per secoli nella scultura o nel quadro, riviviamo il loro tempo e allora la funzione museale apparirà più autentica.

Una accanto all'altra le belle donne firmate Modi, Rubens, Tiziano, Velazquez:
"Il grande nudo" "Le tre grazie" "Amor sacro e profano" "Venere allo specchio". Donne abbandonate in posa languore, linee sfumate, curve evidenziate. Ritmi di donna tra comici dorate, forme offerte, esibizioni placate. Risaltano seni e pube casto, chiappe mosse e fianchi duri, volti saldi e spalle ricche, sfondi tinti e gamma grigi. Emozionante ricco quadro appeso a parete di museo, emozionante caldo sesso che rimuovi istinti non paghi, emozionante corpo femmina intriso d'alone desiderio, emozionante penombra evocante profumi d'alcova, emozionante sfoggio di rilievi in vivido colore. Vita vita vita alle donne crocefisse, vita vita vita al morbido patire. 

 

 

Impressionismo

 

Corrente pittorica nata in Francia tra il 1867 e il 1880. Il gruppo cominciò a crearsi qualche anno prima quando a Parigi si incontrarono C. Monet[7] e P. Cézanne[8]. Nel 1863 Manet[9] espose Le dejeuner sur l'erbe iniziando un dibattito fra il gruppo dei giovani pittori e della critica più avanzata (sono gli anni degli scritti appassionati di Emile Zola in difesa dell’arte di Manet). La ricerca del nuovo stile diede i primi maturi risultati quando Monet dipinse dal vero le spiagge della Normandia   e   quando   tentò  di riprodurre  gli  effetti della luce sull’acqua della Senna e dell'Oise. Al Salon del 1868 parteciparono quasi tutti i giovani pittori ma la critica ed il pubblico non ne furono entusiasti probabilmente perché ancora influenzati dal romanticismo.  La guerra del 1870 disperse il gruppo fino a quando si cominciarono ad apprezzare e raccogliere le loro opere fino alla ricchezza dell'attuale Musée d'Orsay parigino. Nel 1874 E.G.H. Degas[10] organizzò la prima esposizione del nuovo movimento nello studio del fotografo Nadar; in quella occasione si iniziò ad usare il termine impressionisti derivato dal  quadro di Monet Impression, soleil levant. Seguirono altre mostre ed il pubblico cominciò a gradire questo genere di quadri pungolato dalle evoluzioni stilistiche dei singoli artisti e dalla novità.

La pittura dal vero, basata sull'impressione individuale di fronte al soggetto, qualunque esso  sia, è l'impressione visiva di un insieme di colori che variano col mutare delle condizioni di luce: dipingendo paesaggi en plein air  dove la luce non è più unica, e si verificano effetti multipli” (E. Zola) si ottengono nuove esperienze espresse sul quadro con le infinite possibilità del colore, sempre più luminoso. La rivoluzione degli impressionisti fu una rivoluzione di stile. I paesaggi, i delicati ritratti e le scene di vita quotidiana riflettevano una società senza problemi, incline a godere della bellezza delle piccole cose.

La loro caratteristica sono i contrasti di luci ed ombre, colori vividi fissati sulla tela, gli alberi assumono forme e tinte insolite come l’azzurro, il nero viene quasi escluso preferendo le sfumature del blu e del marrone. Gli artisti dipingevano con il cavalletto portatile, con una tecnica rapida per completare l’opera in poche ore, avvinti dallo studio dal vero del cielo, dell’atmosfera, dell’acqua: oggetti e persone hanno la medesima pennellata ampia e decisa. La nuova concezione pittorica fu alla base di tutte le avanguardie artistiche che seguirono, non escluse le correnti astratte: l’Impressionismo infatti è considerato il precursore dell’arte moderna.

 

VAN GOGH – TOULOUSE-LAUTREC – MODIGLIANI – LIGABUE: quattro uomini, quattro artisti, quattro tragedie dovute a malformazioni fisiche e mentali che hanno lasciato un patrimonio d'ingegno da sommare a quello dei grandi nomi di un lungo passato. Abbiamo le loro sensazioni e le loro angosce trasmesse nelle opere diffuse in tutto il mondo: vite che si sono fissate nella memoria di ognuno come i quadri appesi nei musei. Hanno lasciato la testimonianza degli ambienti e delle persone con le quali hanno convissuto per non dimenticare e non farsi dimenticare. Forse è stata proprio la loro diversità a farli diventare protagonisti: la sofferenza che hanno vissuto quotidianamente ci è stata trasmessa in modo diretto e generoso, così come – in campo letterario – gli irrequieti Arthur Rimbaud e Charles Baudeleire[11]. Dei quattro il più longevo è stato Ligabue, gli altri sono usciti di scena a 37 e 36 anni in maniera drammatica anche se forse erano convinti - come affermava Gabriele D'Annunzio[12] - "la vita è un dono dei pochi ai molti, di coloro che sanno e che hanno a coloro che non sanno e non hanno".   

Nel 1960 uscì “Il taccuino di un vecchio”, conclusione della trilogia del poeta Giuseppe Ungaretti (1888/1970), versi che sottolineano l’ansia dell’esistenza quotidiana, sempre in bilico tra la positività e la negatività dell’esperienza. Nel lavoro di Giacomo Leopardi (1798/1837) affiorano i dualismi ‘natura e morte’, ‘piacere e dolore’, temi atemporali e universali che angosciano da sempre l'essere umano; anche il ‘poeta del limbo’ Francesco Petrarca (1304/1374) parla del regno dove il dolore è eterno. Marco Tullio Cicerone (106 a.C./43) ha lasciato lo scritto “La vecchiezza – De senectute” nel quale dialoga sull’argomento lodando “quella vecchiezza che sta salda sui fondamenti posti nella giovinezza ... La vecchiezza ha un’autorità così grande che vale più di tutti i piaceri della giovinezza”. Ippolito Nievo scrisse “Confessioni di un italiano ottuagenario”, Italo Svevo (1861/1928) si sofferma sull’arida inerzia della “Senilità”, Giuseppe Berto subisce il “Male oscuro” (1914/1978), ovvero una inquieta autoanalisi psicologica. Albert Caraco, nato a Costantinopoli nel 1919 e morto suicida nel 1971 il giorno dopo la morte del padre, ha pubblicato due libretti nei quali nichilismo e anarchia soverchiano ogni altra interpretazione della realtà: “Post mortem” e “Breviario del caos”.

L’inglese Oscar Wilde (1854/1900) in “De profundis” – opera scritta in carcere e pubblicata postuma – esprime una torbida amarezza cancellando la sua propensione all’autocompiacimento estetico. Fèdor Dostoevskij (1821/1881) in “Umiliati e offesi” e in “Memorie del sottosuolo” esprime la sofferenza infernale della solitudine e della malinconia: “Se ciascuno di noi fosse obbligato a rivelare i lati più nascosti di se stesso, nel mondo si spargerebbe una tale puzza da soffocare tutti quanti”. Il suo contemporaneo Ivan S. Turgenev (1818/1883) in “Padri e figli” appoggia l’analisi dei comportamenti sul nichilismo che nega la realtà. William Shakespeare (1564/1616) propende in molte sue tragedie al pessimismo con il quale conferma l’irrazionale tramite personaggi sanguigni. L’astrofisica Margherita Hack (Firenze 1922) commenta “L’idea che esista Dio mi sembra talmente assurda! Non c’é né Dio, né l’aldilà, né l’anima. Quello che noi chiamiamo anima è il nostro cervello”.

L’anticonformismo sulla ‘mostruosa quotidianità’ dell’americano Charles Bukowski (1920/1994) è un altro modo di negare l’esistenza così come – con un azzardato confronto letterario – in “Viaggio al termine della notte” lo scrittore francese Louis Céline (1894/1961) riflette la sua concezione della vita, disperata e sarcastica. Cesare Pavese (1908/1950) è perentorio quando afferma che “la guerra rialza il tono della vita perché organizza la vita interiore di tutti intorno a uno schema d’azione semplicissimo – i due campi – e sottintendendo l’idea della morte sempre pronta fornisce alle azioni più banali un suggello di gravità più che umana”. Blaise Pascal (1623/1662) completa il sintetico “So solo che non so nulla” di Socrate (Atene 469/399 a.C.) con la riflessione: “Io non so chi mi abbia messo al mondo né che cosa siano il mondo o me stesso. Sono in una terribile ignoranza di tutte le cose. Non so cosa siano il mio corpo e i miei sensi, la mia anima e quella parte stessa di me che pensa ciò che io dico, che riflette su tutto e su se stessa e non si conosce più che le altre cose. Non vedo intorno a me che infiniti, che mi imprigionano come un atomo e come un'ombra destinata a durare un attimo senza ritorno. Ciò solo io conosco: che presto dovrò morire; ma quel che più mi è ignoto è questa morte appunto cui non posso sfuggire”.

 

Vincent Van Gogh (Olanda 1853/1890)

 

Film: Lust for Life del 1956 diretto da Vincente Minnelli. Vita, sofferenza e morte di Van Gogh che produsse 800 quadri in dieci anni. L'aderenza fisica dell’attore Kirk Douglas al personaggio è sconcertante e Antony Quinn – premio Oscar per i suoi otto minuti di interpretazione – ha dato alla figura del pittore francese Paul Gauguin un risalto indimenticabile. Interessante il lavoro sul colore compiuto da Minnelli e dei tre operatori. La sceneggiatura è basata sul libro del 1935 di Irving Stone.

Film: Van Gogh del 1991 diretto dal francese Pialat racconta gli ultimi tre mesi di vita del pittore  trascorsi in una casa di campagna con il suo medico curante e ammiratore. Dipinge e corteggia la figlia del suo protettore. La salute minata, il rancore verso il fratello-mecenate Theo  che non riesce a vendere i suoi quadri, la smoderatezza in bordelli e bettole lo portano all’autolesionismo. Tenta il suicidio in modo non grave ma muore per mancanza di cure appropriate. Sceneggiatura scritta dallo stesso regista, otto mesi di riprese.

Film: Vincent del 1987 diretto dall’australiano Paul Cox. Vita di Van Gogh, figlio di un pastore protestante che, giunto a Parigi nel 1886, conobbe gli impressionisti, l'arte giapponese e Paul Gauguin. Trascorse il periodo di creatività ad Arles e morì suicida. A confronto delle biografie romanzate di altri film, ‘Vincent’ è un approfondito documentario dedotto dal suo epistolario.

Film: Vincent et Théo del 1990 diretto da Robert Altman. Realizzato per la televisione, racconta dieci anni (dal 1880 al 1890) del pittore e del fratello Théo, gallerista che lo mantiene e lo sostiene con un affetto commovente. È imperniato non tanto sulla grandezza artistica quanto sulla quotidianità del personaggio.

Nel biennio 1886/1888 Van Gogh ha rapporti con il movimento degli impressionisti che annovera Paul Gauguin e Toulouse-Lautrec, conoscenze fondamentali per il futuro lavoro più proficuo eseguito durante il soggiorno ad Arles (l’etichetta di questo stile deriva dal titolo di un quadro di Claude Monet). Di carattere ansioso, passò da un lavoro all’altro iniziando il percorso che lo avrebbe allontanato dal tessuto sociale, incrementando le  psicosi probabilmente di natura ereditaria (“tristezza che non avrà mai fine”). Figlio primogenito di un pastore protestante, terminati gli studi fu assunto da una ditta di mercanti d'arte all'Aia, nella sede londinese e infine nella filiale di Parigi. Ritornò in Olanda nel 1876 dopo il licenziamento tentando allora la strada di insegnante di lingue. Dopo altri lavori, andò ad Amsterdam per diventare teologo ma la prova fallì. Decise comunque di andare alle miniere presso Mons dimostrando fervore nel difendere la causa dei lavoratori anche negli scioperi più duri. Nell'autunno 1880, dopo mesi di solitudine, decise di dedicarsi alla pittura. Il ritorno alla casa paterna  non placò i conflitti interiori, acuiti dal suo amore per una prostituta con la quale convisse orgoglioso della sua indipendenza di pittore nella povertà.  La formazione artistica di Vincent continuò disegnando contadini, tessitori, le capanne, le stanze, fino al capolavoro Mangiatori di patate del 1885. Dopo la morte del padre si trasferì ad Anversa e raggiunse il fratello Theo a Parigi. Nei due anni di permanenza scoprì la pittura impressionista, l'arte giapponese e conobbe Toulouse-Lautrec. La rivelazione del colore della vita quotidiana venne appresa rapidamente da questo famelico divoratore di sensazioni.

Si trasferì nel Mezzogiorno della Francia stabilendosi ad Arles, entusiasta della luce del sud, pieno di ricordi e di cose viste e vissute che gli crescevano dentro. Nell'ambiente che gli era congeniale dipinse molti capolavori, tra i quali alcune delle sue immagini più serene (Giardino fiorito, Caffè di notte, La camera di Vincent). L'attività di Théo commerciante di opere d'arte – lo introdusse nel mondo nuovo per lui del colore e della comunicazione. Uno dei lavori del primo periodo fu proprio il quadro "I mangiatori di patate" dove mostrava simpatia verso le classi più umili rappresentando “coloro che esprimono la dignità della propria umanità, vivendo pur miseramente ma del prodotto del loro lavoro”. Anni dopo a Parigi era ancora convinto che “le scene dei contadini che mangiano patatefosse uno dei suoi dipinti più significativi per il contenuto etico. Van Gogh iniziò a dipingere a ventotto anni senza una precisa predisposizione, forse richiamato a questo lavoro dalla conoscenza dei braccianti e dei minatori perché figlio di un pastore protestante; qui volle unire la solidarietà sociale al messaggio evangelico ma gli organi ufficiali della Chiesa – ancora eccessivamente chiusa alle istanze sociali – gli negò il consenso alle novità 'missionarie'.  A Parigi comprese l'esigenza di concentrarsi sulla tecnica pittorica avvicinandosi al mondo impressionista senza tuttavia accettarlo perché voleva congiungersi con le cose senza falsi effetti. In Provenza trovò l'ambiente ideale per questa teoria: infatti nell'opera Pianura della Crau, dipinta ad Arles nel 1888, i colori  ”risultano a un tempo più intensi e preziosi e più calmi, di quella calma che è propria della certezza, alla fine raggiunta. Se in primo piano vi sono ancora i tocchi impressionistici, più lontano le zone danno al motivo una consistenza e una chiarezza assoluta. I toni di giallo, dal limone all'arancio, appaiono interrotti da una zona di verde, si spingono all'orizzonte che è alto ma lontano, così da apparire infinito, contro il cielo di un verde azzurro tendente al grigio. L'arte di Van Gogh, estremamente soggettiva, si è fatta oggettiva, l'anima dell'artista si è distaccata dal suo prodotto, si è annullata nell'oggetto, l'ha reso stupendo per sé, un'immagine da adorare”. Ad Arles, nel 1888, si rese conto della necessità di rendere con maggior forza la realtà alterando il colore per esprimere l'interiorità attraverso l'esagerazione: “dipingere l'infinito con il turchino più intenso e più violento,  dipingere uomini e donne con qualcosa di eterno mediante la vibrazione dei nostri colori, il ritratto con dentro il pensiero, l'anima del modello, esprimere l'amore di due innamorati con il matrimonio di due colori complementari”.  

Van Gogh “ha capito che l'arte non deve essere uno strumento, ma un agente della trasformazione della società e dell'esperienza umana contro la crescente tendenza all'alienazione ed alla mistificazione. Anche la tecnica della pittura deve mutare, opponendosi al razionalismo della macchina con le forze profonde dell'essere. Ogni segno di Victor è un gesto con il quale affronta la realtà per cogliere il contenuto essenziale della vita”: il quadro non è rappresentazione ma “È il Mestiere di Vivere”[13]. Miseria, tormento e solitudine lo avrebbero accompagnato tutta la vita  malgrado parentesi serene e commenti favorevoli per i suoi quadri da parte di personalità di spicco come Victor Hugo[14] ed Emile Zola[15]. La soggettività introversa lo avvicinò all’autodistruzione: elementi fossilizzati nel leitmotive complementare al suo genio artistico. Nel 1883 e nel 1905 furono allestite le grandi mostre degli Impressionisti francesi a Berlino e nel 1886 l’ultima esposizione collettiva a Parigi, accompagnata dalla stampa del volume critico di Felix Fénéon[16] “Gli impressionisti nel 1886”.

Dopo un periodo di convivenza armoniosa e ricca di reciproci stimoli con Paul Gauguin[17], il rapporto si deteriorò e quindi Vincent, disperato, si tagliò il lobo dell'orecchio (alcuni terribili autoritratti testimoniano l'episodio) con ricovero ospedaliero a Saint-Rémy. Qui dipinse molto, è il periodo dei Cipressi, dell'Oliveto e della Notte stellata, paesaggi, nature morte, ritratti, alberi tormentati come esseri umani, Campo di grano con corvi. La tragedia esistenziale dei fratelli si concluse nel 1890: sempre sofferente ma anche  ossessionato dalla pittura, Vincent dopo essere uscito per riprendere il proprio lavoro, rientrò nella locanda che lo ospitava confessando all'oste di essersi sparato al petto. Al medico accorso per medicarlo confessò che avrebbe riprovato. Morì la notte dopo con accanto il fratello che trovò in una tasca una lettera a lui indirizzata e mai spedita Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità ... per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione ...”, parole che riassumono lo strazio di una vita contrassegnata da alternanze di passione e scoramento. Anche Théo venne ricoverato per segni di squilibrio mentale: morì sei mesi dopo e alla fine delle loro vite i due fratelli si ritrovarono tumulati accanto. Vincent produsse circa 800 quadri e quasi altrettanti disegni,  gran parte dei quali conservati nel Museo Van Gogh di Amsterdam. Aveva venduto molto poco della mole creativa ma dopo la morte il valore della sua opera si estese rapidamente fino ad esercitare una profonda influenza sulle nuove tendenze artistiche per l'importanza delle innovazioni formali ed espressive.

Dopo l'iniziale pittura della povertà contadina e operaia, Van Gogh volle impersonare  tale miseria e viverla in prima persona. Influenzato dall'impressionismo, lo trapassò con la forza delle grandi passioni sociali del secolo. Pittura e vita, per lui, divennero una cosa sola. Emarginato dalla società borghese nonostante i ripetuti tentativi di integrarsi, affidò la sua contestazione alla semplicità esistenziale dell'artista che sta dentro la vita e nelle zone più povere, più malate, fu un sublime pittore della fisicità ma la visse nei suoi conflitti morali con una intensità così potente da sembrare così folle da non poter essere comunicata.Si potrebbe azzardare il declino di Vincent e delle acute nevrosi con quello altrettanto tragico di Francisco Goya y Lucientes, il grande pittore spagnolo (1746/1828), passato  dai fasti della Corte madrilena alla violenza dell'invasione napoleonica. Afflitto da  sordità dal 1792, continuò ad esplorare l'animo umano nei suoi aspetti peggiori; manicheo, faceva esplodere nel colore l'aspetto esteriore e interiorizzava il male con litografie monocromatiche nelle quali volti mostruosi esprimono odio e violenza[18].

 

 

 

Henri de Toulouse-Lautrec (Francia 1864/1901)

 

Film: Lautrec del 1998 diretto dal francese Planchon. Breve vita di Toulouse-Lautrec, ultimo erede dei conti di Toulouse, antica famiglia aristocratica di provincia in declino, dall'infanzia alla giovinezza dissoluta fino alla morte all'età di Mozart con accanto la madre. Itinerario di un nano di genio che, quando riusciva a sfuggire alla sua consapevolezza di essere un ‘diverso’, visse con eccesso, scandalo, eleganza, disinvoltura e una profonda bontà. Il centro della narrazione è l'amore tra il pittore e una ragazza del popolo, modella, pittrice e madre di Maurice Utrillo. Altrettanto importanti sono i rapporti di Henri con la madre devota e l'eccentrico padre conte Alphonse. Nel film appare anche la rivoluzione pittorica alla fine dell'Ottocento con la nascita della modernità artistica, gli incontri con Van Gogh e Degas. La sceneggiatura dello stesso regista è basata sull'epistolario di Lautrec.

Film: Moulin Rouge del 1952 diretto da John Huston. Tratto dal libro di Pierre de La Mure, esplora la vita infelice, gli amori effimeri con ballerine e modelle del geniale pittore che un incidente d'infanzia aveva trasformato in nano. Solitudine e alcol. Colore stupendo, ottima interpretazione di José Ferrer, il cancan iniziale è da antologia.

Film: An American in Paris del 1951 diretto da Vincente Minnelli con Gene Kelly e Leslie Caron. Un artista americano a Parigi è coinvolto in una doppia relazione: pur innamorandosi di una commessa, lui ha scrupoli verso la sua mecenate mentre lei doveva sposare un amico. Le musiche sono di Gershwin, i balletti sono ispirati agli impressionisti. Costò tre milioni di dollari di cui più di mezzo milione per il balletto finale.

Film: French Cancan del 1954 di Jean Renoir con Jean Gabin. Nel 1900 il proprietario del Moulin Rouge a Montmartre, si innamora di una commessa e ne fa una ballerina di successo. È il film di un vecchio vitale che guarda le passioni con lo sguardo distaccato di un cinico saggio. Omaggio al music-hall insieme ai riferimenti agli Impressionisti. Il cancan finale è una sequenza che supera quella analoga di Moulin Rouge di John Huston.

Film: Moulin Rouge del 2001 con Nicole Kidman. Parigi 1899/1900. Un giovane scrittore deve preparare il nuovo spettacolo per il Moulin Rouge. Si innamora, ricambiato, della protagonista già ambita dal finanziatore dello show: la ragazza, malata di tbc, muore dopo la prima trionfale. Musical pop australiano traboccante di esagerazione audiovisiva, kitsch estremo che racconta la fine del XIX e l'inizio del XX secolo.

Assiduo frequentatore di Montmartre (café-concerts, bistrot e maisons closes), Henri assorbiva i colori, i volti, le atmosfere di quegli ambienti traducendo poi le sensazioni sulle tele coloratissime. La grande attrazione del Moulin Rouge lo attirava in modo particolare: malgrado la pesante menomazione – o forse per questo – era ben accetto ovunque, coccolato da ballerine e prostitute. Nato in una famiglia di antichissima nobiltà[19], cominciò a disegnare dall'infanzia; due disastrose cadute gli impedirono lo sviluppo degli arti inferiori, precludendogli la possibilità della vita sportiva e brillante che prediligeva[20]. Decise quindi di dedicarsi completamente alla pittura, frequentando gli ateliers di artisti e accademici ma studiando con particolare attenzione le opere degli impressionisti, in particolare di Degas. Fu introdotto nel mondo dei pittori da un fedele amico d'infanzia che accompagnandolo a circhi e teatri lo esortò a dipingere soggetti di vario genere. Altra fonte fondamentale  furono le stampe giapponesi, nelle quali ritrovava la spazialità bidimensionale definita dalla linea continua e dalla stesura compatta del colore, dati stilistici che caratterizzeranno i suoi manifesti.

Con Van Gogh partecipò al clima artistico parigino che tendeva a superare il periodo impressionista. Fu attratto da una pittura aderente alla realtà che, tramite lo stile, ne ritraesse le psicologie caratteristiche. Dietro i lustrini delle ballerine di cancan (ballo sfrenato) e dei costumi da circo, dietro i velluti e gli stucchi delle case d'appuntamento si nasconde la tristezza per la propria menomazione (Al Moulin Rouge, Jane Avril che danza la melinite, Al salon di Rue des Moulins, La clownesse). La pennellata rapida di derivazione impressionista è accostata a masse di colore brillante contornate dai segni neri che delineano i volumi. Disegnò una trentina di manifesti per cabarets, prodotti commerciali e libri, oltre a programmi teatrali, inviti e menus (Aristide Bruant, Jane Avril au Jardin de Pans, Yvette Guilbert): la produzione grafica è ricca di quella caratteristica immediatezza che influenzerà il genere in futuro. Divenne cliente del Moulin Rouge inaugurato nel 1889 nel quartiere di Pigalle[21]. Il  successo del locale fu immediato per il repertorio di danze e spettacoli, fra cui il celeberrimo cancan (derivazione della quadriglia naturalistica), assolutamente rivoluzionari per quei tempi e quindi ritenuti licenziosi da una parte dell'opinione pubblica. Ritrasse molti degli abituali frequentatori, in particolare la ballerina Louise Weber soprannominata "La Goulue" (la golosa). Sembra che nel 1891 fosse proprio lui a persuaderla ad abbandonare il Moulin de La Galette per il Moulin Rouge. Per l'occasione disegnò e fece stampare il manifesto con effigiata Louise. Agli inizi del XX secolo il repertorio del Moulin Rouge si trasformò parzialmente lasciando grande spazio all'operetta e aprendo la strada del successo a Mistinguett[22], riconosciuta come la più famosa vedette del locale parigino.

Con la diffusione del cinema, verso la fine degli anni Trenta, la fama del Moulin Rouge, sembrò offuscarsi, ma soltanto per un periodo transitorio. Nel secondo dopoguerra, i nuovi divi della canzone francese Edith Piaf (1915/1963) e Yves Montand (1921/1991) ne aumentarono la popolarità e tuttora è un'attrazione per il turismo internazionale: il sostanziale ricambio dei programmi con ballerine e artisti famosi come Josehine Baker[23], Frank Sinatra[24].

 La vita sentimentale di Lautrec fu molto turbinosa: a Parigi conobbe Suzanne che aveva svolto mestieri umili e l'acrobata del circo, attività che dovette abbandonare a causa di un incidente. Nel 1883 diventò madre di colui che diventerà il pittore Maurice Utrillo[25] la cui vera paternità rimane comunque incerta. La sua bellezza attirò diversi artisti di cui divenne modella ed osservandoli durante i periodi di posa riuscì ad apprendere le loro tecniche. Incoraggiata da Degas e Pierre-Auguste Renoir[26] a incentivare l'inclinazione alla pittura, fu attratta dalla personalità di Lautrec e nonostante la grave debilitazione fisica di lui nel 1886 ne diventò l'amante fino alla separazione violenta. Suzanne tentò il suicidio per  commuovere il pittore e farsi sposare. Nel 1889 Henri partecipò ai Salon des Indépendents dove espose "Bal du Moulin de la Galette" con giudizi positivi. Molte mostre nei ritrovi mondani come il Circolo Letterario ed Artistico tra il 1889 ed il 1992. Le opere erano prevalentemente ritratti, tra i quali quello di “Hélène V”. Dopo aver visto il manifesto di Pierre Bonnard[27], "France-Champagne", si appassionò alla litografia ed il proprietario del Moulin Rouge gli commissionò un manifesto pubblicitario. Sull'onda del successo giunsero altre ordinazioni da diversi impresari. Nel frattempo continuava ad esporre, nel 1889 a Reims, a Bordeaux nel 1893 e nel 1900.

Il gruppo "Les XX” gli permise di presentarsi a Bruxelles, prima importante esibizione delle opere con gli artisti più innovatori del momento (al tappetto, come qualcuno lo chiamava, non interessavano tanto gli ambienti quanto le persone). Nel 1891 aprì con alcuni colleghi la galleria Le Barc de Boutteville dove organizzarono l'Esposizione dei pittori Impressionisti e Simbolisti. Nel 1893 si avvicinò al mondo del teatro eseguendo alcune opere che ritraggono momenti di scena (ritratto di Sarah Bernhardt[28], illustrazione dei programmi e ideazione delle scenografie). I suoi lavori si diffusero tanto da essere richiesto per illustrare per illustrare varie riviste. Nel 1896 realizzò la serie intitolata Elles con stampe dedicate alla vita del "bordello". Espose al "Royal Aquarium" di Londra e viaggiò in Belgio, Olanda, Inghilterra, Spagna, San Pietroburgo. Fu definito l'anima di Montmartre, il quartiere parigino dove abitava. Rappresentò spesso la vita al Moulin Rouge, in altri locali di Montmartre, di Parigi e, in particolare, nelle maisons closes dove talvolta risiedeva anche se ciò era vietato dalla legge. Incontrava amici e colleghi, ma è probabile che Lautrec dimorasse per lunghi periodi nei bordelli per la comodità di lasciare le opere da terminare sul posto di lavoro e non spostarle continuamente nello studio di Montmartre. Contrasse la sifilide da una prostituta perché sentendosi un emarginato come loro, diventò il testimone della loro vita più intima. Un altro dei suoi problemi fu l'alcolismo, la prima sbronza fu nel 1881 ed il vizio dell'alcol lo perseguitò per l'intera vita. Il suo stato di salute dopo il 1897 andò peggiorando, inoltre i danni provocati dalla sifilide, malgrado i trattamenti con il mercurio progredirono. Dopo il 1898 la sua produzione rallentò drasticamente, egli stesso dichiarò di trovarsi in uno stato di "rara letargia". Cominciò a soffrire di crisi paranoiche e fisiche accompagnate da allucinazioni. Durante le crisi etiliche sperperava il denaro ed imbrattava di vaselina i quadri e quindi venne ricoverato nella clinica per malattie mentali. I medici constatarono che Lautrec privato dell'alcol migliorava velocemente e si era nuovamente immerso nel lavoro.

Tornato a Parigi trascorse gli ultimi mesi molto debilitato; riportato nella tenuta familiare morì il 9 settembre 1901, pochi mesi prima del suo trentasettesimo compleanno. È sepolto a Verdelais, nella Gironda, a pochi chilometri dal suo luogo di nascita. Le opere dei primi anni furono ispirate dall'impressionismo, caratterizzate da una pennellata veloce e nervosa; la figura viene sempre rappresentata in primo piano e l'ambiente che la circonda è solamente un pretesto per caratterizzarla. In seguito Lautrec utilizzò nelle proprie opere una pittura ad olio molto fluida, come se dovesse eseguire un acquarello, dentro uno schema compositivo ben delineato. Estimatore della stampa giapponese ne divenne un collezionista: ciò si ripercosse anche nello stile con la semplificazione della linea e la stesura del colore. Le opere mature di Henri sembrano quasi create d'istinto invece sono il frutto di studi preparatori al carboncino basati qualche volta su immagini fotografiche.

Al termine della carriera, stanco fisicamente ma non spiritualmente crea  opere caratterizzate da pennellate molto larghe e di colore quasi spento. Alla fine del XIX secolo cominciò a rappresentare i locali di Montmartre: "AI Circo Fernado", "Ballo al Moulin de La Galette ", "Al Moulin Rouge", sono considerate dai critici le opere che attraverso le influenze di Dégas lo portarono alla maturità artistica. Mentre il centro di Parigi mutava con i grandi boulevard, Montmartre zona periferica a nord della città era rimasta intatta con “mulini, pergolati, scuole di campagna, silenziose e tranquille stradine, contornate da casupole contadine con tetti di paglia, fienili, fitti giardini e sconfinati prati verdi ... tutto ricorda in alcuni punti un paesaggio romano”.

I quadri di Henri sono la raffigurazione del proletariato e dei suoi divertimenti.“Lautrec rifiuta ogni genere di abbellimento sia nel disegno che nei colori. Bianco, nero, rosso a grandi macchie e forme semplici, è questo il suo stile. Non ce n'è un altro che come lui sia capace di riprodurre in modo così perfetto i volti dei capitalisti rimbecilliti, che si siedono ai tavoli in compagnia di puttanelle che li accarezzano per eccitarli” ma il ricordo di molti personaggi sarebbe svanito senza la sua simbiosi con gli ambienti bohemienne “dove vi si va trasandati, alla buona, si fuma, si beve birra, si fa dello spirito, lo spettacolo comincia tardi e finisce presto ed è ad un prezzo più che modesto”. In tutte le rappresentazioni Lautrec procedeva verso la semplificazione del soggetto: “Come avrebbe potuto, essendo feroce con sé stesso, non esserlo con gli altri! Nella sua opera non si trova un solo viso umano di cui non abbia volutamente sottolineato il lato spiacevole. Era un osservatore implacabile ma il suo pennello non mentiva”. L'artista raffigurò le maisons rimanendo sempre all'interno di uno schema ben preciso non utilizzando l'allegoria né la caricatura ma raffigurando le prostitute "a tutto tondo" sia nelle ore del lavoro che nel loro ambiente domestico. Trascurò il lato erotico della rappresentazione poiché le scene trasmettevano donne che aspettavano con rassegnata docilità.

Probabilmente senza l'amicizia del compagno di liceo Joyant non avrebbe raggiunto la fama: quest'ultimo nel 1890 subentrò a Theo Van Gogh nella direzione della galleria sul boulevard di Montmartre. Promosse l'attività di Lautrec con due retrospettive, la prima nel 1893 a Parigi e nel 1898 a Londra. Mostre a  Nantes (1889), a Nancy e Bordeaux (1890), a Parigi (1891, 1892), a Reims (1896) e durante L'Esposizione Universale del 1900. Alla morte del figlio, il padre Alphonse lo designò esecutore testamentario, funzione che gli permise di convincere la madre di Henri, contessa Adèle, a donare alla città di Albi il patrimonio di opere conservate del figlio. Nel 1922 nell'antico palazzo dei vescovi di Albi il museo Toulouse-Lautrec venne infine inaugurato e da allora il pubblico si avvicinò maggiormente alla sua opera. La mostra del 1931 a Parigi segnò la consacrazione di Lautrec anche da parte delle istituzioni. L'opera di catalogazione iniziata da Joyant proseguì nel 1971 con 737 dipinti, 4748 disegni ed 275 acquarelli. L'opera grafica è stata catalogata nel secondo dopoguerra: 334 stampe, 4 monotipi e 30 manifesti. Essendo la litografia eseguita su blocchi diversi di pietra calcarea inchiostrata e impressa con un torchio manovrato a mano, si utilizzavano solitamente pochi colori, una tecnica che si adattava allo stile di Henri che con pochi segni essenziali riusciva a cogliere l'essenza della rappresentazione.

 

Amedeo Modigliani (Italia 1884/1920)

 

Film: Montparnasse 19 del 1958 diretto da Jacques Becker con Gérard Philipe e Anouk Aimée,  Nel 1919 Amedeo Modigliani, pittore geniale ignorato dai contemporanei, sosta alcolizzato, drogato e miserabile a Montparnasse. Amato da due donne, l'inglese Beatrice e una giovane borghese che lascia la famiglia per vivere con lui. Morirà in un ospedale di Parigi.

Film: Le tatoué del 1968 diretto da Denys de La Patellière con Jean Gabin e Louis de Funès.  Un conte francese ha un quadro di Modigliani tatuato sulla schiena. Un mercante d'arte lo compra pagandolo con il restauro della casa di campagna del nobiluomo.

Film: The Moderns del 1988 di Alan Rudolph con Keith Carradine. Nel 1926 a Parigi, per riconquistare l'ex moglie risposata con un industriale, un pittore americano accetta di dipingere  falsi Modigliani per una ricca famiglia. Risultano talmente perfetti da essere acquisiti nella collezione del Modern Art Museum: una riflessione sulla pittura tra vero e falso.

Quartogenito della famiglia di origine ebraica di Raminio e Eugènie Garsin, residente a Livorno, da adolescente si ammala di pleurite, poi di tifo e quindi di tubercolosi: ciò renderà la sua salute cagionevole, una debilitazione che lo condizionerà per l'intera sua breve vita. Crebbe nella povertà, dopo che l'impresa di mezzadria in Sardegna del padre andò in bancarotta e oltretutto ereditò la tara di famiglia, una forma di depressione condivisa con alcuni fratelli. Già da piccolo mostrò una grande passione per il disegno, riempiendo pagine e pagine di schizzi e ritratti; chiese perciò alla madre di andare a lavorare nello studio del pittore più noto di Livorno dove conoscerà, nel 1898, Giovanni Fattori[29]. Modigliani sarà così influenzato dal movimento dei Macchiaioli approfondendo nel contempo la conoscenza della pittura impressionista italiana. Nel 1902, Amedeo si iscrisse alla Scuola libera di Nudo di Firenze e un anno dopo si spostò a Venezia, dove frequentò l'Istituto per le Belle Arti (bazzicando i quartieri più disagiati della città provò per la prima volta l'hashish).

  Nel 1906 andò a Parigi nel periodo della nascita della pittura cubista, esperienze d’avanguardia da lui utilizzate per lo sviluppo di uno stile personale. Conobbe Toulouse-Lautrec, Gauguin, Van Gogh e soprattutto Cézanne dal quale riprese le figure con grandi masse cromatiche già evidenti in opere del 1909 come Il mendicante di Livorno e Il suonatore di violoncello. Dopo un breve ritorno in Italia, si stabilì definitivamente a Montparnasse dove scolpisce teste in pietra che risentono della plasticacità greca arcaica e disegna una serie di cariatidi. Questi caratteri ricordano le maschere africane, con occhi a mandorla, bocche increspate, nasi storti e colli allungati. Tra il 1915 e il 1920 l'artista eseguì la parte più nota della sua opera tra cui i ritratti di   Max Jacob, Paul Guillaume seduto, Jacques Lipchitz e la moglie, Contadinello, La servetta, poi Nudo sdraiato, Nudo sdraiato a braccia aperte, Il grande nudo ("era un aristocratico, la sua opera intera ne è la testimonianza più possente, la grossolanità, la banalità e la volgarità ne sono escluse"). Un giovane mercante d'arte (Paul Guillaume) si interessò al suo lavoro riuscendo ad introdurre una serie di sculture al Salone del 1912. A causa delle polveri generate dalla manipolazione della materia, la tubercolosi peggiorava tanto da fargli abbandonare la pietra e il legno per concentrarsi sulla pittura. Tra le personalità ritratte: Chaïm Soutine[30], un amico alcolizzato, una scrittrice inglese alla quale rimase legato sentimentalmente per due anni, Moise Kisling[31], Pablo Picasso[32], Diego Rivera[33], Max Jacob[34] e Jean Cocteau[35] (altro grande amico fu Maurice Utrillo che visse i medesimi problemi di alcolismo che caratterizzarono la vita di Amedeo). Dicembre 1917: prima mostra personale i cui nudi in vetrina scandalizzarono il capo della polizia parigina che lo costrinse a chiudere la mostra poche ore dopo l'apertura. Trovò il grande amore in Jeanne con la quale si trasferì in Provenza dopo che lei rimase incinta: il 29 novembre 1918 nacque una bambina. Mentre era a Nizza, un gallerista tentava di vendere lavori di giovani artisti ai ricchi turisti ma ricuperò per Modì (pseudonimo come Dedo) solamente pochi franchi. Nonostante ciò, fu il periodo in cui egli produsse la gran parte dei dipinti che sarebbero diventati i più popolari e di valore. I finanziamenti che Modigliani riceveva svanivano rapidamente in droghe e alcol. Nel maggio del 1919 fece ritorno a Parigi dove, assieme a Jeanne e alla loro figlia, affittò un appartamento e lì dipinsero ritratti l'uno dell'altro e di tutti e due insieme.

 Continuò a dipingere ma la salute si stava deteriorando rapidamente. Dopo che il suo gruppo non ebbe notizie per vari giorni, un vicino di casa trovò Dedo delirante nel letto, scatolette di sardine aperte, bottiglie vuote e Jeanne al nono mese di gravidanza. Il medico constatò che l'artista soffriva di meningite tubercolotica. Ricoverato all'Hospital de la Charitè in preda al delirio, circondato da pochi amici e da Jeanne, morì all'alba del 24 gennaio 1920: al funerale parteciparono tutti i membri della comunità artistica di Montmartre e Montparnasse. La tragedia non era finita: Jeanne dalla casa dei genitori, si gettò da una finestra al quinto piano, il giorno dopo la morte di Amedeo, uccidendo con sé la nuova creatura che portava in grembo. Modigliani venne sepolto furtivamente per eludere altri scandali e fu soltanto nel 1930 che la famiglia concesse che le spoglie dei due  venissero tumulate insieme. La loro figlia di soli 20 mesi, Jeanne, venne adottata dalla sorella di Modì a Firenze e fu lei a scrivere la biografia del padre Modigliani senza leggenda. Jeanne morì nel 1984 a Parigi (proprio nei giorni in cui si discuteva sull'autenticità di tre teste scolpite che l'artista avrebbe gettato nel Fosso Reale) cadendo dalle scale in modo misterioso. In occasione della mostra nel 1984 a Livorno per il centenario della nascita  si volle verificare se la leggenda fosse vera. Sembra infatti che nel 1909 Modì tornò per qualche tempo a Livorno mostrando le sculture ad amici artisti che lo avrebbero deriso (dopo alcuni giorni un gruppo di studenti universitari livornesi dichiararono che una  scultura era opera loro, realizzata per burla con attrezzi banali).Oggi le sue opere sono ritenute espressione di uno stile unico ma quando dovette lottare contro povertà e malattie croniche, eccesso di alcol e droghe, a parte i colleghi consapevoli delle qualità intrinseche, Modì fu snobbato dalla critica e dal mercato. La forte influenza di Paul Cézanne nei dipinti è evidente, sia nella deliberata distorsione della figura sia con l'inserto di grandi aree di colore piatto, un linguaggio caratterizzato da ritmi lineari, semplici forme allungate e verticalità. Nonostante la loro estrema economia di composizione e sfondi neutri, i ritratti trasmettono un senso acuto della personalità del modello, come nel Nudo disteso, un elegante insieme di linee curve e piani, nonché una notevole idealizzazione della sessualità femminile. Diventato celebre per i ritratti femminili caratterizzati da volti stilizzati e colli affusolati, la fortuna critica di Modigliani crebbe rapidamente dopo la morte e fu definitivamente consacrata con la grande mostra alla Biennale di Venezia del 1930.

 

Antonio Ligabue (Italia 1899/1965)

 

Film: Ligabue del 1977 di S. Nocita con Flavio Bucci. Mezzo secolo nella vita di Toni Ligabue soprannominato “ul matt” o “ul tedesch”, padano di nascita nordica che portò un soffio d'arte europea nel manierismo della pittura italiana. Riduzione di una biografia televisiva in tre puntate sul pittore emiliano. Perfetta l'immedesimazione del personaggio interpretato da Bucci.

Film: I lupi dentro del 2001 di R. Andreassi. Il sottotitolo di questo lungo documentario è “Il mondo incantato di Antonio Ligabue pittore”. Su Laccabue, in arte Ligabue, solitamente definito di stile naïf, il maggiore in Italia, l'abruzzese Andreassi aveva ripreso nel 1965 con pellicola  16 mm. molti ambienti del Po e della sua gente: contadini, pescatori, navigatori fluviali e artisti tentando di restituirne la cultura arcaica che stava per essere sopraffatta dalla civiltà industriale.

     L’introduzione del catalogo di una mostra dedicata a “ul matt” afferma:“L’eccezionalità di Ligabue nel panorama figurativo italiano, la capacità visionaria e la sapienza cromatica sono la prova di un enorme talento da non ricercare nella sua eccentricità ma piuttosto – malgrado le difficoltà psicologiche emarginanti – nel riuscire ad esprimersi con la sua caratteristica intensità; un individuo che è riuscito a liberarsi delle sue angosce proprio grazie a scultura e pittura”. Nato a Zurigo e registrato come Laccabue all’anagrafe  per problemi di un affido non legittimato, il ragazzo di lingua tedesca e già con problemi psicologici, verrà internato in un istituto per handicappati. Riuscirà a superare solamente la terza elementare e pur risaltando per l'irrequietezza e la cattiva condotta esprime abilità nel disegno che lo porterà da adulto – quando assumerà il cognome di Ligabue – a diventare l’artista conosciuto in tutto il mondo. Espulso dalla Svizzera per colpa della madre adottiva, viene condotto dai carabinieri prima a Como e successivamente a Gualtieri, comune della Bassa reggiana, originario del presunto padre. Sempre inquieto, fugge per ritornare nel nebuloso ricordo che ha della vita elvetica  ma viene riportato sotto la tutela del comune italiano che, però, non riesce a dargli la necessaria assistenza. Sopravvive come Robinson Crosuè nei boschi e lungo le rive del Po. Lo sorreggeva l’ansia di esprimersi e quindi inizia a disegnare, scolpire e pitturare con più frequenza malgrado le pressanti difficoltà della vita randagia. In quel periodo incontrò lo scultore Marino Renato Mazzacurati (1908/1969), autore tra l’altro dei monumenti al partigiano a Parma e allo scugnizzo delle quattro giornate di Napoli; incoraggiò l’attitudine di Antonio insegnandogli i rudimenti dell’arte. Dal primitivismo incerto all’esplosione espressionistica dal colore violento e dalla pennellata convulsa; disse dell’amico: “Quando dipingeva animali feroci, ne assumeva gli atteggiamenti si identificava in loro, ruggiva come il leone, la tigre e il leopardo quando azzannano la preda imitandoli con una stupefacente conoscenza della loro anatomia, della forza, degli istinti”.

Nel 1937 Ligabue incomincia la via crucis nei manicomi per ‘psicosi maniaco-depressiva’; durante uno di questi ricoveri, pur facendo da interprete alle truppe tedesche, rischia severe punizioni per avere colpito un militare con una bottiglia. Dopo la guerra, mendico, si diffonde la fama di questo strano personaggio e su di lui e per lui vengono organizzate mostre e realizzati film; il guadagno conseguente e l’autostima non diminuiscono la psicosi naturale tanto da pretendere un autista che si tolga il cappello quando sale nell’autovettura privata. Nel 1962 sarà colpito da una paresi e in questa circostanza chiede di essere battezzato e cresimato.

È la sintesi di una tragedia individuale, da una parte il limite della pazzia dall’altra lo stimolo di una mente geniale: la simbiosi ha creato quadri di un autodidatta che identifica se stesso e le proprie manie in quadri raffiguranti animali feroci ed esotici ("Io so come sono fatti anche dentro") ambientati in paesaggi familiari con una violenza cromatica vicina a quella di Van Gogh; è la spinta interiore di esprimere la sofferenza durata l’intera esistenza di un uomo incapace di inserirsi nella società e quindi costretto dalla patologia mentale a rinchiudersi in se stesso.

Sporco, selvatico, brutto, il  corpo consunto e deforme per l’infanzia stentata, il gozzo ed il naso camuso che tentava di raddrizzare colpendosi con poderosi colpi di pietra, metodo che preludeva alla moderna chirurgia estetica. L’arte di Antonio nasce sulle sponde sabbiose del Po perché qualcosa dentro di lui lo pressava a modellare animali con l’argilla che barattava con il cibo dei contadini. Il grande fiume lo avvolge con atmosfere primordiali in sintonia con le passionalità del subconscio.

La genialità della sua pittura è l’altra faccia di un Giano bifronte che lo salva dalla disperazione totale (Toulouse-Lautrec crea i manifesti del cancan, Ligabue produce cartelloni per circhi e fiere, un altro modo per distrarsi dagli incubi che lo attanagliavano). La violenza simbolica e la profonda passionalità che identifica il suo lavoro è l’estrinsecazione delle violenze interiori. Amava la solitudine del bosco alle baldorie d’osteria, scorrazzava con la Moto Guzzi Rossa sui viottoli di campagna, ulteriori conferme di un uomo diverso che resterà uno dei grandi enigmi del nostro tempo.

 

Dai cavalli e umili buoi al lavoro o lotte da pollaio fra galli spumeggianti, immersi in paesaggi padani, ma punteggiati da casette e campanili tutti svizzeri del primo periodo, alle tigri dalle fauci spalancate, i leoni mostruosi, i serpenti e le aquile che ghermiscono la preda o lottano per la sopravvivenza, una giungla che l'artista immagina con allucinata fantasia fra i boschi del Po. Dal primitivismo  ingenuo con tonalità grigiastre all'esplosione del colore violento che esprime il dramma di una  esistenza concomitante alla naturale veemenza animalesca. Il buon selvaggio, malgrado tutto, riuscì a traslare le proprie inquietudini nell'innato dono di una originalità artistica che lo poneva al riparo di ulteriori eccessi che avrebbero totalmente distrutto la precarietà di una psicologia tarata.  

La critica comincia ad interessarsi del poeta-contadino come incarnazione dell'artista popolare, autodidatta e istintivo. La fama di pittore naïf gli procura i primi guadagni e qualche mostra con gli oli, disegni, incisioni ed i bronzi delle sculture: una personale  nel 1961 a Roma, nel 1962 a Guastalla, nel 1965 a Reggio Emilia pochi giorni prima della morte. Ligabue è un fenomeno unico nella storia dell'arte italiana, un malato, un infelice che conferma la tesi sostenuta da Jean-Jacques Rousseau[36] nel "Discorso sull'origine dell'ineguaglianza tra gli uomini". In uno degli scritti pubblicati postumi ('Le fantasticherie del passeggiatore solitario') affiorano affinità  con  il  vagabondaggio nei boschi dello scorbutico Antonio e quindi con l'incondizionata libertà di pensiero fantastico.

Luce d'incanto in vortice di pensieri, luce d'ambra che attira falene bianche.
Silente attesa nel mondo degli gnomi nascosti, brividi lievi del vento di marzo che accarezza cose riposte. Il sottobosco bruno, fitto di creature aduse al brusio muto, osserva il germoglio delle gemme ed il rigoglio verde. Bianco, danzante Pan caprino, lieve e silente dio dei boschi, svegliati al suono della natura e offri fior di loto. Ecco il mondo atemporale di Ligabue dal quale ricava tele gonfie di colore, violenza ed angoscia, isolato eppure partecipe.                   

 

 

 

Giuliano Confalonieri

giuliano.confalonieri@alice.it (2012)

 

 

 

NOTE:


[1]     - Famiglia di editori d'arte. Possiedono un notevolissimo archivio di fotografie documentarie di grande interesse storico.

[2]     - Francia 1820/1910. Fu il primo a fotografare al magnesio le catacombe parigine e da bordo di un aerostato.

[3]     - Il termine cinematografo (dal greco, scrittura del movimento) compare in una relazione del 1895, lo stesso anno in cui iniziarono le prime proiezioni pubbliche al Salon Indién. I biglietti d’invito stampati per l’occasione annunciarono: ‘La phothographie animée ‘Cinématographe’ de Lumière Frères’.

[4]     - Italia 1444/1514. Architetto e pittore, raccolse l'eredità artistica del Quattrocento ponendo le premesse per un nuovo corso dell'architettura rinascimentale. Ingegnere ducale, allestì spettacoli alla Corte sforzesca, discusse sul tiburio del Duomo di Milano, progettò i chiostri e la canonica della basilica milanese di S. Ambrogio, a Pavia lavorò per il Duomo e a Vigevano per il Castello.

[5]     - Interessante a questo proposito è il documentario del 2002 “Russki Kovcheg - Russian Ark” realizzato in un unico piano-sequenza, ossia senza stacchi della videocamera digitale portatile ad alta definizione – nessun montaggio in post produzione – su un labirintico percorso di 1300 mt. attraverso 33 set illuminati. Mesi di prove 867 attori, 3 orchestre, 22 assistenti alla regia e la troupe tecnica russo-tedesca sono entrati in scena tutti insieme per novanta minuti.

[6]     - Palazzo residenziale dei re di Francia a Parigi, iniziato da Filippo Augusto nel 1204, rifatto da Francesco I, ampliato da Luigi XIV e terminato da Napoleone III. Dal 1793 è sede dell’importante Museo, la Piramide è stata installata nel cortile del palazzo nel 1989, progettata dall’architetto statunitense di origine cinese Ieoh Ming Pei.

[7]     - Francia 1840/1926. Paesaggista ‘en plein air’ , svolse il servizio militare in Algeria, dipinse ‘La colazione sull’erba’ e alcuni scorci della Senna studiandone i riflessi della luce sull’acqua.

[8]     - Francia 1839/1906. Studi di Diritto e impiego nella banca paterna. Al Louvre studiò Velàsquez e Caravaggio. Cominciò a mandare ai salons quadri che furono sempre rifiutati fino all'interesse dei galleristi dal 1899. Nel 1907 si aprì una vasta retrospettiva postuma.

[9]     - Parigi 1832/1883. Dopo un primo successo al Salon del 1861 con il quadro 'Chitarrista spagnolo' la sua pittura suscitò scandalo negli ambienti ufficiali. Molte volte preferì allestire 'personali' nel suo studio e non partecipare alle esposizioni degli amici impressionisti.

[10]    - Parigi 1834/1917. Scoprì la pittura visitando l'Italia. Le ballerine sono il soggetto ricorrente.

[11]    - Poeti francesi. Rimbaud (1854/1891): fuggito dalla famiglia borghese e dal 'male d'Europa', girovagò nella convinzione che 'l'Io è un altro', ovvero quello che ci sfugge sempre. Baudeleire (1821/1867): esistenza libera e sregolata, interessato all'uso dell'alcol e delle droghe, ossessionato dai debiti.

[12]    - Pescara 1863/Gardone 1938. Poeta idealista estetizzante con lo scopo di comporre l'abbagliante mosaico di 'una vita inimitabile'.

[13]    - Diario postumo dello scrittore Cesare Pavese (Cuneo 1908/Torino 1950), anche lui suicida, traduttore di scrittori inglesi e americani, autore di “Lavorare stanca”, “Il diavolo sulle colline”, “Tre donne sole”, “La luna e i falò”, “Dialoghi con Leucò”. Il Premio Strega nel 1950 conclude il lavoro e la vita di Pavese afflitto da un carattere fragile, introverso e da difficili rapporti umani. 

[14]    - Francia 1802/1885. ‘Enfant prodige’ della letteratura francese, autore di importanti opere romantiche delle quali fu il capofila (“Notre-Dame de Paris”, “Le misérables”).

[15]    - Parigi 1840/1902. Giovane orfano e povero, sopravvisse lavorando per la casa editrice Hachette. Considerato il caposcuola del naturalismo divenne popolare con la lettera aperta ‘J’accuse’ legata al caso dell’ufficiale francese Alfred Dreyfus condannato e poi scagionato per presunto spionaggio a favore della Germania.

[16]    - Torino 1861/Chatenai Malabry 1944 – Critico letterario e artistico francese. Sostenne il valore dell’arte simbolista in letteratura e in pittura sulle pagine di La revue indipendante da lui fondata e della Revue blanche che diresse dal 1895 al 1903. Segnalò la novità, nei confronti dell’impressionismo, della pittura di G. Seurat basata sulla scomposizione scientifica dei colori.  

[17]    - Parigi 1848/Isole Marchesi 1903. Visse in Perù e nel 1865 divenne per cinque anni cadetto di marina. Iniziò a dipingere occasionalmente, conobbe Van Gogh la cui amicizia si concluse drammaticamente. Notevoli problemi familiari e materiali lo sospinsero a girovagare nei paesi esotici alla ricerca del mitico Eden che condizionò il suo primitivismo pittorico.  

[18]    - Nel 2006 il regista Milos Forman realizzò il film 'L'ultimo inquisitore – Goya's Ghosts' . Nel film l'agnostico Goya è un testimone del suo tempo, aperto al compromesso ma senza mortificare il genio della propria arte.

[19]    - Agiata proprietaria terriera con castelli, vigneti, poderi e appartamenti. Henri soffriva di malattie genetiche ma soprattutto furono le due cadute – nel giro di un anno – a impedirgli di crescere normalmente.

[20]    - Rottura prima del femore sinistro poi di quello destro; da adulto era alto solamente 152 cm. con un busto normale e le gambe di un bambino.

[21]    - Creato a somiglianza del Moulin de la Galette, un ristorante danzante ricavato nel 1870 in un vecchio mulino a vento.

[22]    - 1875/1956. Cantante e ballerina francese, protagonista del varietà negli anni Venti/Trenta.

[23]    - 1906/1975. Cantante e ballerina di colore, dal 1925 una delle dive del musical.

[24]    - 1915/1998. Cantante romantico con inflessioni jazzistiche statunitense soprannominato 'the voice'; attore cinematografico in 'Da qui all'eternità' e 'L'uomo dal braccio d'oro'.

[25]    - 1883/1955. Pittore francese, adottato dal critico spagnolo Miguel Utrillo y Molins; dedito all'alcol dovette essere internato per qualche periodo in cliniche psichiatriche. Come antidoto la madre naturale lo spinse alla pittura e ciò lo salvò dal baratro. Il suo periodo di attività più intensa è tra il  1908 e il 1914. 

[26]    - 1841/1919. Pittore francese che nel 1874 partecipò alla mostra nello studio di Nadar con il capolavoro 'Il palco'. Paesista, è insuperabile nella resa delle figure femminili, nudi in particolare; dipinse anche 'Le moulin de la Galette'.    

[27]    - 1867/1947. Pittore francese che con alcuni compagni dell'Ecole des Beaux-Arts reagì all'impressionismo con una pittura più meditata.

[28]    - 1844/1923. Attrice francese tra le più acclamate dell'Ottocento.

[29]    - Livorno 1825/Firenze 1908. Figlio di un artigiano, si unì al movimento dei macchiaioli fiorentini. Lasciò Firenze solamente per brevi periodi durante i quali conobbe Manet. 

[30]    - 1894/1943. Pittore lituano trasferito a Parigi nel 1911. La sua pittura era basata su un esasperato individualismo con una visione sempre tragica di una interiorità espressa con atroce verismo.

[31]    - 1891/1953. Pittore slovacco trasferito a Parigi dove si accostò allo stile cubista.

[32]    - 1881/1973. Pittore e scultore spagnolo di famiglia andalusa. Divenne uno dei maggiori animatori della nuova cultura internazionale parigina. Passò dal 'periodo blu' a quello 'rosa' caratterizzato dalla sottigliezza di tono posti impressionista. 

[33]    - 1886/1957. Pittore messicano maturando in Europa uno stile di epica popolare su grandi superfici per una fruizione di massa.

[34]    - 1876/1944. Poeta e narratore francese morto nel campo di concentramento di Drancy, personaggio molto noto nella bohéme letteraria all'inizio del secolo XX. Di origine ebraica si convertì al cattolicesimo nel 1914.

[35]    - 1889/1963. Scrittore francese, amico di Picasso, Stravinskij, Apollinaire, Diaghilev. Molto attivo nell'avanguardia parigina tra le due guerre mondiali.

 [36]    - 1712/1778. Filosofo e scrittore francese, autore di 'La nuova Elisa', 'Il contratto sociale', 'Emilio o dell'Educazione', 'Le confessioni'.