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Il tappeto anatolico Kilim
Alessandra Doratti
Kilim persiano Sharkoy,
Per molti anni si è creduto che i kilim anatolici fossero una
sottospecie dei tappeti annodati, insomma tappeti più comuni, certamente
inferiori sul piano estetico. I kilim invece, opere ragguardevoli
per spessore simbolico e culturale, si differenziano dai tappeti
"normali" per quantità di caratteristiche sostanziali: anzitutto sono
tessuti con la tecnica dell'arazzo; in secondo luogo perché le
iconografie sono molto particolari, con ascendenze nelle tradizioni di
ciascuna tribù produttrice. Infine, kilim autentici possono essere
definiti soltanto quelli anatolici, tessuti a strisce verticali che
vengono poi cucite tra loro (al contrario dei kilim caucasici, che sono
sempre tessuti in un pezzo unico, e che sono chiamati "palas", e dei
kilim persiani, anch'essi tessuti in un pezzo unico, chiamati "fars").
L'origine dei tappeti tessuti si perde nella notte dei tempi: sono stati
trovati alcuni affreschi che li rappresentano, negli scavi archeologici
di Catal Hükük, in Anatolia, databili addirittura tra il 6350 e il 5400
avanti Cristo. L'importanza di questi ritrovamenti è stata in un primo
tempo offuscata dall'eccezionalità della struttura complessiva portata
alla luce: uno dei più antichi esempi di civiltà avanzata, intendendo
con ciò un vasto nucleo umano (Catal Hükük arrivò ad avere cinquemila
abitanti) basato su un'economia differenziata, con classi sociali ben
distinte e strutturate sulla divisione del lavoro, e con un potere
statale legittimato ideologicamente. Proprio verso il tramonto della
civiltà anatolica del neolitico, questa "età dell'oro", si cominciò a
usare il kilim in sostituzione delle pitture murali, assorbendo quindi
un patrimonio di simbologie che si è tramandato fino ai giorni nostri.
L'integrità di questi contenuti, culturali, cromatici e formali,
specifici di ogni tribù, a volte assai diversi gli uni dagli altri, è
stata garantita attraverso quattrocento generazioni circa di tessitrici:
essi costituiscono infatti importantissimi elementi di identità di ogni
particolare gruppo e, quindi, di distinzione rispetto ai gruppi
estranei.
Nel corso dei secoli l'arte della tessitura è rimasta affidata
esclusivamente alle donne, specialmente alle più anziane, privilegiate
all'interno della famiglia perché potevano disinteressarsi dei comuni
lavori domestici, affidati invece alle figlie e alle nuore, le quali, a
loro volta, apprendevano di mano in mano le tecniche e le iconografie
dei kilim e si preparavano a dar vita in questo modo a raffigurazioni
assai ripetitive, somiglianti a quelle di sempre, e corrispondenti a
un'ideologia di comportamento particolarmente conservatrice adeguata
alle primitive necessità di sopravvivenza. Queste antiche tecniche di
lavorazione, rimaste intatte fino alla fine del secolo XIX, sono state
documentate da due studiosi, Belkis Balpinar e Udo Hirsch, che si sono
dedicati alle modalità di esecuzione dei kilim.
Numerosissimi sono i motivi decorativi che possono essere catalogati
come tipici, tanto che per ora non è possibile elencarli per intero;
limitati sono, invece, i "motivi di base", cioè gli elementi archetipici,
come la losanga, simbolo della fertilità maschile e legata quindi
all'iconografia del pesce, tipica di tutta l'area indoeuropea e
trapassata nel cristianesimo come rappresentazione di Gesù Cristo. Oltre
alla losanga, semplice o dentellata, che si ritrova nel patrimonio
culturale di molti gruppi, un altro motivo fondamentale è il cosiddetto
"mani sui fianchi" o "elibelinde", il cui significato è legato ad alcune
più tarde divinità dell'abbondanza e della fertilità, come la frigia
Cibele, la greca Artemide, l'italica Diana, eccetera. Importante anche
il motivo "gökköl", il motivo "corna di montone", probabilmente legato
ad un antichissimo culto degli animali praticato dai popoli cacciatori.
Con il passare del tempo, i motivi di base sono stati elaborati e hanno
dato origine a raffigurazioni tipiche e complesse; le grandi, primitive
losanghe, ad esempio, sono state trasformate presso il gruppo Hotami,
residente a Karapinar, in grandi medaglioni esagonali, arricchiti
all'interno da altre losanghe e stagliati su un fondo bianco, anch'esso
tradizionale per questa tribù.
I gruppi sedentari Aydinli, sparsi per l'Anatolia occidentale, adottano
invece esagoni sovrapposti, caratterizzati da decorazioni minutissime e,
soprattutto, dal motivo "gökköl", tessuto di preferenza in azzurro e per
questo detto anche "braccia di cielo".
Da tutto questo dipende, quindi, la relativa rarità dei kilim autentici,
incomparabilmente più delicati e preziosi di quelli confezionati in
questo secolo in modo affrettato e grossolano. E forse in ciò risiede
anche una ragione del loro fascino: la certezza che ci troviamo davanti
a testimonianze di una civiltà scomparsa per sempre, di cui forse non è
nemmeno più possibile ricostruire del tutto la storia.
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