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Fantasia ed arte
nel tappeto
Alessandra Doratti
Frammento di tappeto del XIII
secolo.
Per il profano, il tappeto persiano è solitamente il tappeto per
eccellenza e, in quanto tale, gli si attribuiscono prestigio, alta
considerazione e una buona dose di luoghi comuni. L'esemplare di qualità
deve quindi essere caratterizzato da nodi fittissimi e da un
aggrovigliarsi di arabeschi floreali. È una visione estetica deformata,
che deriva dall'enorme confusione generata dalla produzione moderna la
quale, non avendo nulla di artistico da proporre, pone l' accento solo
sulle qualità tecniche (il numero di nodi) e di conseguenza sulle ore di
lavoro impiegate. Per lo studioso e il collezionista occidentale la
produzione persiana della fine dell'800 viene invece vista con una certa
sufficienza e considerata unicamente quale copia minore degli antichi
originali safavidi e quale prodotto commerciale adatto soltanto
all'arredamento.
Tappeto safavide a scene di
caccia, XVI secolo.
Come spesso accade, la verità stà nel mezzo. Gli esemplari annodati
nelle organizzatissime manifatture di Tabriz, Heriz, Kashan, Kirman,
Saruk e di altri centri sono certamente il risultato di operazioni
commerciali, ma raggiungono altissimi livelli qualitativi prima di
precipitare nella totale decadenza nei primi decenni del XX sec. Anzi,
vanno visti come l'ultimo guizzo di qualità nelle produzioni cittadine
persiane, che dal tempo degli splendori safavidi erano rimaste quasi del
tutto inoperose.
Tappeto mamelucco del XV
secolo.
La maestra dei nomadi
Un'immagine di secondo piano hanno sempre avuto le ottime produzioni dei
numerosi gruppi seminomadi di varia origine etnica, sparsi per il
territorio persiano. Ciò a causa non solo dell'isolamento geografico in
cui vivevano queste popolazioni, ma soprattutto dei formati poco
"vendibili" e della diffusa mentalità occidentale di considerare i
manufatti delle popolazioni primitive di qualità inferiore. Il parziale
superamento di tale mentalità e la conseguente variazione di gusto,
hanno portato alla ribalta negli ultimi anni questi esemplari dai colori
vivaci nei quali i disegni di derivazione urbana si fondono con la
tradizione tribale, raggiungendo risultati di grande genuinità e
immediatezza, tali da renderli accomunabili a certe produzioni
anatoliche e caucasiche non imbastardite dalle richieste commerciali
dell'Occidente.
Tra essi vanno ricordati quelli dei nomadi Baluci (da non confondere con
la dozzinale produzione moderna) e quelli fantasiosi delle popolazioni
della Persia meridionale (Fars) conosciuti anni fa con il termine
generico e spregiativo di Shiraz. Inoltre i raffinati tappeti annodati
dagli Afshari residenti nell'area di Kirman, i tappeti tribali curdi
della Persia nord-occidentale (da non confondere con la produzione
seminuova dei cosiddetti Mossul), quelli degli Shahsavan dalle forti
connotazioni caucasiche e dei Lori e Bakhtiari della Persia occidentale.
Dei Bakhtiari sono famose le sacche da tenda. Un campo d'azione
collezionistica quindi ancora vasto, vergine e pieno di possibili
interessanti scoperte.
Tra le diverse produzioni di tappeti orientali, quella delle popolazioni
turkmene (da "turkmen" è quindi inesatta la denominazione di turcomanni,
dal persiano "turkuman") costituisce un gruppo a sé stante e omogeneo,
facilmente identificabile.
I turkmeni abitavano prevalentemente gli attuali stati russi del
Turkmenistan, del Karakalpakistan, dell'Usbekistan e dell'Afghanistan
settentrionale. Erano popolazioni nomadi o seminomadi che avevano
mantenuto intatta attraverso i secoli la configurazione archetipa della
tribù, libera da sovrastrutture e non soggetta a sostanziali mutamenti
politico sociali. Grazie a questa continuità di usi e costumi, lo studio
dei tappeti turkmeni si è rivelato fondamentale per ricostruire la
storia di un'arte sottoposta, in altre circostanze e in altri ambienti,
a modificazioni così frequenti da rendere difficile o addirittura
impossibile risalire alle origini. Per i Turkmeni il tappeto era al
centro del basilare meccanismo socio-economico della tribù: il
matrimonio. Per questo era parte preponderante del corredo di ogni
sposa. La società nomade, al contrario di quella sedentaria, non ha
dimora fissa, non ha templi, punti di riferimento, non possiede un
centro fisico che rappresenti la comunità, la sua religione, le sue
tradizioni comuni; in un certo senso questa funzione è assolta dal
tappeto. Ogni esemplare, ogni formato ha un ben preciso modello dal
quale la tessitrice non si allontana mai, eppure possiede
un'individualità ben precisa espressa in ogni particolare strutturale. I
tappeti turkmeni sono facilmente riconoscibili per la loro policromia
imperniata sull'uso costante della robbia, da cui si otteneva
un'infinita varietà di tonalità del rosso. Costanti anche gli schemi
decorativi ottenuti dalla ripetizione in file ordinate di motivi
ottagonali denominati "gul" (fiore), che grazie a chissà quale
misterioso meccanismo matematico o meraviglioso intuito danno origine a
delle composizioni semplici, ma profondamente suggestive.
I tappeti della prima metà del XIX sec. sono quelli che ci trasmettono
più di tutti, sia nel disegno che nei colori e nella qualità di
fabbricazione, la purezza di una lunga tradizione. Nella seconda metà
del secolo, la disgregazione della società tribale e l'apertura ai nuovi
mercati occidentali cominciarono a modificarne i disegni e lo spirito.
Con l'inizio del '900, i preponderanti interessi commerciali e la quasi
totale scomparsa della società tribale decretata dalla dominazione
russa, ne provocano la completa degradazione.
Tappeto Samarcanda del XX
secolo.
Gli straordinari
Samarcanda
Tra le tribù più rinomate per le loro produzioni vanno citate quella dei
Tekke, che raggiunse nel XIX sec. la supremazia sulle altre e alla quale
si deve buona parte della produzione moderna, quella degli Yomut e degli
Ersari, le cui popolazioni annodano esemplari tra i più vari e
fantasiosi all'interno del nucleo turkmeno, e infine le nobili tribù dei
Salor e dei Saryk, la cui limitata e raffinata produzione raggiunge
all'estero quotazioni altissime.
Nel Turkestan orientale, che attualmente fa parte della provincia cinese
del Sinkiang, la produzione di tappeti risale a epoche antichissime.
Dagli esemplari sopravvissuti, per lo più databili dalla fine del XVIII
sec. e il XIX sec., appare evidente la particolarità e l'unicità dei
loro disegni: per lo più di origine preislamica, sono rimasti invariati
nel corso dei secoli. In Occidente essi sono impropriamente noti come
Samarkanda, dal nome della città del Turkestan occidentale, oggi
nell'Unione Sovietica, dove veniva convogliata, sin dalla fine del XIX
sec., la maggior parte della produzione destinata ai mercati europei e
americani. Parallelamente, in Cina, sono conosciuti sotto la
denominazione di Gansu (Kansu), dal nome della provincia nella quale
erano venduti.
La maggior parte della produzione di questa regione era concentrata
nelle fertili oasi di Kashgar, Yarkand e Khotan, costellate di villaggi.
La somiglianza strutturale e l'uniformità dei disegni rendono talvolta
ancora incerta l'attribuzione a ciascuna di esse, com'è, e probabilmente
resterà, impossibile una suddivisione all'interno di ognuna.
Per la datazione degli esemplari che ci sono pervenuti sono fattori
determinanti il deterioramento progressivo dei disegni e soprattutto il
mutamento cromatico. Quelli di "buona epoca", erano contraddistinti da
colori intensi, contrastanti e al contempo caldi e morbidi. Con
l'introduzione delle aniline attorno al 1870 la policromia cambia
totalmente. Appaiono i viola pallidi, i rosa, i grigi, i verdi e i
gialli chiari molto di moda e conformi al gusto occidentale, che crede
di riconoscere nei colori smorzati o, meglio, smorti, la "buona epoca".
Nascono così in grande numero i famosi "Samarkanda del '700" prodotti
tra la fine del XIX sec. e l' inizio del XX.
Collezionare tappeti
del Turkestan orientale non è un'impresa semplice in quanto gli
esemplari di qualità sono decisamente rari. In più il loro costo è in
genere elevato perché non solo sono molto attraenti, ma anche facilmente
adattabili ad ogni tipo di arredamento. Quelli attualmente sul mercato
presentano soprattutto il classico impianto a vasi dai quali si sviluppa
una grande e articolata pianta di melograni, o l'ancor più tradizionale
schema a tre medaglioni sovrapposti. In realtà le variazioni sono molto
numerose e affascinanti e senza dubbio questa tipologia meriterebbe una
più attenta considerazione da parte dei collezionisti.
Tappeto cinese del XIX secolo.
La produzione cinese
I tappeti cinesi, rispetto a quelli delle produzioni finora considerate,
sono sempre stati tenuti in scarsa considerazione o addirittura ignorati
da parte della cultura ufficiale e dei collezionisti. La Cina è
generalmente associata ad altre forme artistiche (porcellane, ceramiche,
bronzi, pitture, sculture, ecc.) che hanno raggiunto vertici altissimi
di raffinatezza e che sono al centro dell'attenzione di studiosi e
collezionisti. Al contrario, i tappeti sono quasi del tutto sconosciuti
o, peggio, noti soltanto attraverso la produzione della fine dell'800 o
dei primi di questo secolo, destinata prevalentemente al mercato
americano.
Eseguiti in genere nei laboratori gestiti direttamente da società
straniere o comunque condizionati dalle esigenze di mercato, questi
esemplari si riducono spesso ad interpretazioni superficiali e prive di
estro della tradizione ornamentale cinese.
Sono i cosiddetti tappeti "da camera da letto" di dimensioni facilmente
adattabili alle abitazioni occidentali, a fondo unito (in genere blu o
beige) e disseminati in ordine sparso di motivi floreali solitamente
oleografici, adatti per l'arredamento ma non da collezione. Esiste però
un gruppo limitato e poco conosciuto di tappeti di altissima qualità,
anteriore a quelli comunemente noti, che può a buon diritto essere
affiancato alle più famose espressioni artistiche cinesi.
Contraddistinti da un'efficacissima ma limitata policromia, sono
caratterizzati da un'annodatura molto più larga di quella degli esempi
tardi, da un pelo mediamente lungo, soffice e serico e da motivi
rigorosi e severi ma al contempo delicati e fortemente impregnati, come
tutta l'arte cinese, di simboli atti a comunicare o ribadire concetti
filosofici, religiosi e di gerarchia sociale. Il loro esiguo numero
rende ancora piuttosto problematici l'origine, i luoghi di produzione e
la datazione. Inoltre il costo decisamente elevato limita il
collezionismo a pochi privilegiati..
Alessandra Doratti