Il mobile laccato
veneziano
Alessandra Doratti
Prima che la Serenissima Repubblica di San Marco giungesse al suo
declino, era famosa in campo artistico, anche internazionale, non solo
per i suoi mobili laccati, una delle più alte espressioni dell'arte
mobiliera italiana del Settecento, ma anche per la pittura, la scultura,
la musica, il teatro, e chi più ne ha più ne metta. La perfezione della
linea e la plasticità raggiunta dai cosiddetti "marangoni" (i lavoratori
del legno) era veramente sublime e l'abilità dei pittori e dei
decoratori che li ornavano si manifestava in una fantasia inesauribile,
che trovava le sue radici e le fonti di ispirazione nell'arte del
lontano Oriente, anche se si rappresentavano paesaggi veneziani o
fiorellini tipicamente rococò.
A Venezia, nel Settecento, la clientela richiede uno stile nuovo,
sofisticato; apprezza le dorature, gli intagli e l'inserimento di
specchi o vetri nel mobile; è questa la moda che si impone o dilaga,
oltre che nel campo del mobile anche in quello dell'oggettistica,
infatti la stessa tecnica della "lacca cinese" viene applicata su vassoi
e scatole. Al contrario della Francia, nel Veneto si fa uso solo di
maniglie e bocchette dalle serrature in bronzo dorato e non se ne
tempesta il mobile.
Vi è, inoltre, un legame tra il mobile e la sala che esso occupa. I
pittori instaurano una connessione tra le decorazioni delle pareti e
quella dei mobili, come notò il critico Saul Lévy; essi appartengono,
appunto, all'arte detta "dei depentori" che in uno dei suoi sette
"colonnelli", ossia sezioni, accoglie i decoratori di mobili, di
suppellettili e di interni. Nel Settecento è questo il colonnello più
importante dell'arte, poiché i pittori veri e propri, dal quale la
corporazione aveva originariamente tratto il nome, si erano staccati nel
1682 per riunirsi poi nel 1691 nel "Collegio dei pittori". Anche i
falegnami veneziani appartengono da secoli a una precisa "fraglia"
(corporazioni delle arti) che nel 1710 si suddivide in quattro
"colonnelli" ben diversi e distinti l'uno dall'altro a seconda delle
specializzazioni. La decorazione pittorica di mobili e oggetti è di
origine molto antica e non è sicuramente stata inventata nel veneziano
del Settecento, del resto basti pensare alle famose lacche cinesi e
giapponesi. Comunque in un decreto del 1293 dei Giustichieri Vecchi si
imponeva che "cofani, anche rivestiti in cuoio, cassoni, mensori (grandi
piatti di legno da mensa), scudi dipinti su legno o rivestiti in cuoio
dovessero venir consegnati al cliente già inverniciati dal depentore,
che fissava anche il tempo necessario per una perfetta essicazione".
I mobili, una volta decorati, venivano verniciati e tirati a lucido,
molto probabilmente facendo uso della sandracca, già allora adoperata e
molto conosciuta, una resina prodotta da una conifera africana che
diventò uno degli elementi più importanti delle lacche veneziane. La
differenza sostanziale tra mobile "dipinto" o "colorito" e mobile
"laccato" consiste nello spessore e nella composizione di tale vernice
con la quale, a decorazione pittorica ultimata, si copriva la superficie
di un pezzo, come anche nella tecnica di applicazione: nelle "lacche"
veneziane la vernice raggiunge uno spessore di circa due millimetri. In
quanto alla lacca bisogna distinguere tra "lacche vere", ossia quelle
orientali, e le numerose imitazioni europee che sono tutt'altra cosa.
Etimologicamente il termine "lacca" ha origini latino-medioevali (dal
procrito "lakkha" e dall'indostano "lakh", usato in particolare per
indicare le speciali vernici orientali che hanno per base la resina o
lattice che stilla da un albero, la Rhus vernicifera della Cina e del
Giappone e che, unito all'olio di semi locale, veniva conservato in vasi
di legno pulitissimi. Stemperato e mescolato poi con materie coloranti
diventava la base delle varie lacche orientali "vere" o "colorate", la
cui lavorazione, di antichissima origine, era estremamente lunga e
delicata: il mobile o l'oggetto (di solito si trattava di suppellettili
domestiche o sacre) eseguito in legno leggerissimo, quale ad esempio il
cedro, la magnolia, o il palissandro, veniva accuratamente lisciato e
preparato con uno strato sottilissimo di speciale mastice e con fogli
leggeri di carta, o con seta o filacci di canapa.
Una volta essiccata e levigata la preparazione, aveva inizio la
laccatura vera e propria. Si eseguiva sovrapponendo più strati di
vernice-lacca (fino a trenta circa, nei pezzi più pregiati) e avendo
cura di lasciar asciugare e di levigare ogni strato prima di apporre
quello successivo. Operazioni meticolose e assai lunghe per le quali
poteva occorrere anche qualche anno e che dovevano essere compiute al
riparo più completo da ogni granello di polvere, tanto che, si dice, i
laccatori più scrupolosi eseguivano le ultime operazioni nel mezzo di
uno specchio d'acqua. E questa era solo la base sulla quale veniva poi
eseguita con varie tecniche la decorazione liscia o in rilievo, di
solito in oro, ma anche in altri metalli, cui potevano aggiungersi anche
pezzetti d'avorio, madreperla, corallo, pietre colorate, conchiglie e
smalti a fuoco su disegni fantastici in cui eccelsero soprattutto i
giapponesi e i cinesi.
Sui mercati artistici d'Europa le lacche cominciarono a essere capite,
apprezzate e ricercate già verso la metà del Seicento, col fiorire del
commercio e delle importazioni dai Paesi orientali. L'interesse dilagò
ben presto e si creò subito un gran numero di appassionati raccoglitori
per queste opere tanto da indurre artisti e artigiani europei a
eseguirne di uguali in base solamente alle notizie che trapelavano dai
viaggi di alcuni religiosi dell'epoca. Uno dei primi tentativi in Italia
sembra sia stato quello di padre Eustachio Jannart, che a Roma, verso la
metà del Seicento, riuscì a comporre una vernice che sebbene non fosse
la cinese era però stimata tale e tanto piaceva.
La difficoltà a trovare la materia prima e i segreti della lavorazione,
gelosamente custoditi, obbligarono gli artisti europei a inventare delle
nuove tecniche, che davano però dei risultati ben diversi dalle "lacche
vere" e così si svilupparono tante "maniere" diverse, in Olanda, in
Francia e Inghilterra.
Tutte presero il nome francese di "vernis".
La lacca veneziana, come le altre imitazioni, è anch'essa facilmente
deteriorabile, tanto che oggi non è facile reperire dei pezzi
completamente intatti. In ogni caso per riconoscere un pezzo buono da
uno falso troveremo una fitta rete di screpolature chiamata "craquelé"
che si forma naturalmente con il trascorrere del tempo e che non è
assolutamente possibile rimuovere, ma anzi costituisce il maggior pregio
del mobile o dell'oggetto. È, insomma, una specie di garanzia di
autenticità.
A Venezia il legno prevalentemente usato era il cirmolo, e a volte anche
il tiglio o il noce, facilmente abbordabili perché originari delle
Prealpi venete; dato che l'intaglio e la lavorazione sono più semplici
rispetto ad altri legni più duri e resistono bene agli sbalzi di
temperatura, se ben stagionati. Una volta costruito il mobile ogni
giuntura o asperità derivata da venature veniva saldata con garza
impregnata di colla forte, per rendere più liscio il tutto si stendeva
sopra una mano di colla di coniglio e uno strato di stucco, poi
abilmente levigato con la carta vetrata o con pomice finissima, finché
non diventava lucido. A questo punto il mobile era pronto per essere
affidato al decoratore che stendeva una prima mano con i colori a
tempera - un monocromo di fondo e i dettagli a colori - e quindi
procedeva alla doratura delle parti intagliate. Il mobile veniva poi
lucidato con la sandracca, resina in blocchi che veniva sciolta in alcol
e diventava un fluido simile al miele; e se ne passavano sopra più mani,
dalle 15 alle 18 per l'esattezza, tanto da ricoprire il tutto con uno
strato di due millimetri di spessore.
Tramite la decorazione pittorica si possono riconoscere le varie epoche
di fattura dei mobili veneziani. La prima in ordine di tempo è quella
della più diretta imitazione dei modelli d'Oriente. Su fondi neri o
rossi spiccano cineserie dorate, mandarini avvolti in ampie vesti,
alberi, animali esotici, fiori e arabeschi. Verso la metà del secolo,
invece, i colori vanno dal rosso al verde al giallo e i pittori
sostituiscono le cineserie con scenette nostrane di derivazione
arcadica, farfalle e fiori a mazzi con alcuni pastori fra i quali volano
degli uccelli. L'ornato accompagna sempre le fattezze del mobile
esaltandone la plasticità.
La terza fase coincide con la compostezza strutturale imposta
dall'affermarsi del neoclassico. Non più fantasie, ma medaglioni e
ghirlande su sfondi tenui. Nel 1792 con l'avvento di Napoleone e
l'Impero cadono i "depentori" e nessuno vuole più queste "variopinte
esuberanze"; anche se i prezzi sono saliti alle stelle.
Alessandra Doratti