Il Ratto delle Sabine
(Dai Rendiconti della
R. Accademia dei Lincei, 1895).
E' stato già notato1 come la leggenda del Ratto delle Sabine
abbia carattere etiologico, e adombri cioè l'uso nuziale del ratto, uso
che ancora ai giorni nostri vige presso alcuni popoli; e ancor più
vigeva presso gli antichi.2 E par che ad una origine etiologica pensi
pur Dionisio, quando di Romolo rapitore delle Sabine dice (II, 30) si
accenna probabilmente in ispecial modo all'uso spartano.3 Se dunque sul
significato generale della leggenda noi non possiamo apportare nulla di
nuovo, crediamo all'incontro che vi saranno osservazioni non poche da
fare sull'origine di essa e sulle divinità che ad essa si collegano.
Ed anzitutto: perchè delle Sabine? La tradizione ci parla delle
tre primitive tribù romane, Tatientes, Ramnenses, Luceres4.
Si può credere5 che i Ramnes sieno gli Aborigeni del Lazio e i Tatientes i Sabini. Quanto ai
Luceres, la più diffusa tradizione li fa di stirpe etrusca. Or per
doppia via gli studi nostri ci han portato alla conclusione medesima. Ed
anzitutto nel lavoro sopra Acca Larentia mostrammo simboleggiato
in Tarutio Tusco il primo lavoratore etrusco di terra romana: e in
quello poi sulle Divinità infere e i Lupercali, mostrammo come i
miti primitivi del Palatino ci riportino agli etruschi, ed anche
cercammo di tracciare il corso di questa primitiva tribù etrusca, che da
Ardea e da Lanuvio si sarebbe fissata sul Palatino.6 Ma nella lotta cui diè luogo il leggendario ratto, si parla non più di tre popoli, bensì di
due: Romani da una parte, Sabini dall'altra; gli uni sono stabiliti sul
Palatino, gli altri hanno occupato il Campidoglio; la pianura che è tra
mezzo ai due colli, quella che poi fu il Foro Romano, è il teatro della
lotta. Ciò ne porta a due ipotesi: o sul Palatino i Ramnes e i Luceres,
i seguaci del condottiero Lucerò, il re etrusco di Ardea (Festo, 119
M.), si sono già fusi e, come a dire, conguagliati in un popolo solo:
hanno già unito i loro culti e i loro miti, nel modo che mostrammo nello
studio sopra Acca Larentia: o lo stabilimento della tribù sabina sul
Campidoglio è anteriore a quello della tribù etrusca sul Palatino. La
tradizione poneva i Luceres come combattenti insieme con i Ramnes contro
i Sabini.7 Ad ogni modo, ora la nuova tribù sabina viene ad occupare il
colle vicino al Palatino.
Indi la lotta. Questa nuova tribù rimane vincitrice o vinta? La leggenda
dopo aver fatto regnare insieme per alcun tempo Tazio e Romolo, si
sbarazza dell'uno e dell'altro; ma pone a successore un re Sabino, Numa
Pompilio. Ciò stesso ne sembra accennare a una preminenza sabina, della
quale ad ogni modo raccoglieremo in seguito altri indizi. E Livio, per
quanto interessato a concludere con la vittoria di Roma, pur timidamente
accenna a tal vittoria con le sole parole (I, 12) « sed res romana
erat superior », mentre nel corso della narrazione più volte accenna
alla sconfitta dei Romani (ibid. « confestim romana inclinatur acies
fusaque est ad veterem porta Palatii » - ibid- « Mettius Curtius....
effusos egerat Romanos toto quantum foro spatium est »), il che già
ne dice come le tradizioni da lui raccolte inclinassero a porre
vittoriosi i Sabini. La tribù di Ramni del Palatino, che già dalla parte
del Celio aveva subita l'invasione della tribù etrusca apportatrice
delle prime arti, or vede una tribù sabina spingersi dal Quirinale al
Campidoglio, ed occuparlo, e farne la sede augurale; e riuscir vani gli
sforzi per discacciarneli.8
Questa volta però la fusione non è perfetta; e benché a tutti i Romani
si sia imposto il nome sabino di Quirites, pure la notissima formola
Populus Romanus Quirites (= Populas Romanus et Quirites) mostra che le due
tribù rimasero politicamente divise, e che perciò i vinti conservarono
fin da principio una certa indipendenza.9 Ad ogni modo non solo il nome
Quiritis imposto a tutti i Romani ci parla della primitiva vittoria
dei Sabini, i quali avrebbero poi accolto, nella comunanza del loro
popolo, anche la tribù palatina; ma la tradizione che Numa, il re
Sabino, sia stato il padre e fondatore della maggior parte dei culti
Romani, ci dice abbastanza chiaro, come i Sabini imponessero ai vinti i
loro istituti religiosi, per quanto la tradizione romana invertisse qui
le parti.10
La nostra indagine
mostrerà come imposero altresì gli istituti civili. — Dionisio (II, 30),
dice che dopo il ratto, Romolo uni le rapite agli uomini suoi, secondo
il rito patrio di ciascuna. Dionisio chiaramente afferma come il rito
nuziale che dura sino ai suoi tempi sia un rito sabino. Tal
notizia bisogna porre a riscontro con quel che dicono gli scrittori
della identità dei costumi sabini coi costumi spartani. Giacché in
Isparta era, come già accennammo, rituale il ratto nuziale; cfr.
Plutarco, Lyc. 15. Or gli scrittori fan derivare da Sparta poco
men che tutti gl'istituti sabino-romani ed anzi la stirpe stessa sabina.11
Tale identità d'istituti e tal creduta origine spartana dei sabini ci è
non lieve argomento a ritenere che, se nella primitiva storia di Roma
troviam parlarsi di un ratto di sabine, e presso gli Spartani troviamo
rituale il ratto della sposa, i particolari usi nuziali in Roma dovranno
interpretarsi come sabini, comunicati poi alla vinta tribù dei Palatino.12
Il che si accorda con la esplicita testimonianza di Lucano, 2, 268, «
Non soliti lusere sales nec more Sabino Excepit tristis convicia festa
maritus ». Si aggiunga che un'altra leggenda, che manifestamente è
una variazione di quella del ratto, entrò tra i fatti storici attribuiti
ad età più recente, e in quest'altra redazione la violenza vien fatta
appunto dai giovani sabini: Livio II, IS: « eo anno ['252 u. c.] Romae
cum per ludos ab Sabinorum iuventute per lasciviam scorta raperentur,
concursu hominum rixa ac prope proelium fuit, parvaque ex re ad
rebellionem spectare res videbatur ».
I Sabini si mescevano
e fondevano con la tribù vinta, alla quale imponevano riti ed istituti
civili; ma, se tra questi istituti fosse stata la preminenza
dell'autorità maschile sulla donna, non si sarebbe il matrimonio
celebrato secondo il rito patrio della donna, bensì secondo quello
dell'uomo. Or noi crediamo che primitivamente presso i popoli sabellici,
e gii affini sabini, per ciò che ha attinenza alla costituzione della
famiglia, l'autorità materna avesse preminenza su quella maschile. Già
il Preller notò13
che presso non pochi popoli dell'antichità, anche della Grecia e
dell'Asia Minore, le nobili stirpi si facevano derivare non dai
guerrieri, ma dalle eroine.
Or nel caso nostro è da notare che le trenta sabine che la tradizione
poneva come rapite, erano le
progenitrici del patriziato palatino-romano e le eroine protettrici del
patriarcale istituto delle trenta curie, che da loro prendevano il nome.14
Qualche altro indizio pur v'ha di questa primitiva autorità matronale.
Ed anzitutto il passo di Paolo15
« axites
mulieres sive viri dicebantur una agentes », pone la precedenza della
femmina sul maschio, in date contingenze, probabilmente di cerimonie
sacre (« una agentes »); dov'è da notare che axites ci si rivelerà ben
tosto per voce sabina; ma documento ancor più solenne di tal precedenza
è l'epigrafe sabellica di Castignano, che il Lattes prima16
e noi poi cercammo dichiarare.17
Secondo la nostra
congettura tale epigrafe contiene alcune prescrizioni gentilizie,
secondo cui si ordina ad un C. Apaius il sagrifizio di espiazione
pei suoi maggiori. Or l'epigrafe finisce « push materes'h pateres'h
h. l.: », e cioè, per quanto è dato vedere: « ut matres patres h.
l. » precedenza della madre al padre, già avvertita dal Lattes, che pur
richiamò il passo di Paolo sopra citato, e che è molto importante,
trattandosi di rituale sacro.18
Se il ratto nuziale è rito sabino, passato alla tribù del Palatino,
anche nelle altre particolarità della leggenda dovremo noi ritrovare
questo duplice elemento. Ed anzitutto, quali sono le divinità
protettrici degli sponsali? Il ratto fu compiuto durante la festa dei
Consualia
19:
" ecco un punto del nostro esame: Consus. Di più, durante la cerimonia
nuziale era rituale il grido: Talassio, Talassio!
20 così
come in Grecia si gridava: Imeneo, Imeneo! Dovremo dunque ricercare il
significato e l'origine di questo nume italico Talassio. —
Divinità femminile, di cui la nova nupta entrava in protezione,
era Giunone Curitis, di cui il nome già rivela l'origine sabina,
esplicitamente del resto dichiarata dagli antichi.21
Sotto altro soprannome era venerata Giunone nelle nozze, e cioè sotto
quello di Cinxia.22
Ora tal nome ci si rivela pure per sabino, avendovisi un fenomeno di
assibilazione (da * Cincti-a), estraneo al latino, comune
nell'osco: vedi Bansae da * Bantiae (cfr. Bantinus).
e multasikad di fronte a lat. multatico-, e Marsus
da * Martì-us e Compsa, Anxia, ecc.:
23
e si aggiunga il già citato arites (= * acti-). Lo stesso
è da dirsi dell'altro soprann. Unxia, invocato dalle spose,
perchè « cum postes ungunt faustum omen affigat » (Mart, Capella, II,
149).
Unxia è Untia.
Erano divinità maschili del matrimonio, come dicemmo, Conso e Talassio.
L'una noi crediamo di
origine ramnica, l'altra sabina. Per quanto ha rapporto alla leggenda,
notiamo anzitutto come il giorno sacro a Conso sia stato fissato da
Romolo, e cioè dalla tribù ramnica; tal culto dunque nella tribù
preesisteva alla fusione coi Sabini, simboleggiata dal ratto. — Di più,
anche il fatto che il centro della religione di Conso era il circo
massimo parmi accennare ad un primitivo culto romano, non sabino. —
Circa al carattere della divinità è noto che i Greci, a causa delle
corse dei carri, solite a celebrarsi nella festa del dio, lo
parifìcarono al loro, e che se n'ebbe quindi un Neptunus Consus
Equester;
24
come altri antichi, a cagione del nome, vi videro un deus consìlii;
e come Consus sia invece da ritenersi divinità infera e agraria,
secondochè venne dichiarato dal Rossbach, e dal Mannhardt, e ampiamente
dimostrato nella bella trattazione dello Schwegler, alla quale
rimandiamo il lettore.
25
Ivi appunto è mostrato come questa divinità infera della fertilità del
suolo sia in pari tempo, come tutte le altre consimili, divinità della
fecondità umana ed animale; e protettrice quindi delle prime nozze
romane. — Solo, a spiegare il passaggio da tal carattere del dio a
quello di divinità delle corse, o di « Nettuno equestre », vogliamo
aggiungere alla trattazione dello Schwegler una osservazione. L'altare
di Conso, come il lapis manalis del mundus, come l'altare
di Dite, ecc., era sotterraneo, coperto di terra tutto l'anno, visibile
solo il giorno della festa. Tale altare era nel Circo, come attestano
Varrone, Plutarco e Servio. Ma una più particolare designazione viene
data dai seguenti due passi: Tertulì., De spectac, 5 « Et nunc
ara Conso illi in Circo defossa est ad primas metas sub terra », e ivi 8
« Consus, ut diximus, apud metas sub terra delitescit Murtias ». Ora tal
postura corrisponde esattamente al confine dell'antica città palatina.
Il che invero è esplicitamente dichiarato da Tacito, Ann.,XII,
24, dove cosi descrive i limiti del pomerio palatino:
« Inde [a magna Herculis ara] certis spatiis interiecti lapides per ima
montis Palatini ad aram Consi, mox ad Curias veteres, tum ad sacellum
Larium forumque romanum ». L'ara Consi si trovava dunque appena al di
fuori dei lapides del pomerio. Era naturale che al dio della
fecondazione campestre, si ponesse l'altare, appena finita la città, e
cioè al cominciare della campagna. Ma quando quella campagna divenne
pianura per le corse, era pur naturale che le corse stesse si ponessero
sotto la protezione del dio che aveva colà il suo altare.
Ed ora, la ragione del nome.
Ad una derivazione da
conditus (* cond-to) credettero l'Hartung e il Rückert,
con riferimento all'altare sotterraneo del dio;
26
a
quella invece dalla rad. su- « generare » (Con-su-) il
Bopp e il Benfey.
27 Questa seconda ipotesi supponebuna composizione al tutto strana di una proposizione
con una radice, della quale composizione la prima parte
avrebbe ad ogni modo carattere troppo recente; quanto alla prima
derivazione, essa, oltre all'avere anche carattere
tardivo e al supporre una corruzione inammissibile
in un participio, per quanto mal legittimata da altri
esempì (clauditus è formazione analogica posteriore rispetto
a clausus), è da respingersi per la seguente ragione.
Consus, col suo Consu-alia, e con Consivia, risale
a un tema Consu- (non Conso-), e la forma originaria
è dunque * Consu-us. Questo * Consu-us sta a Consivo-
(Ops Consìvia) come vacuus a vacivus, come nocuus a
nocivus. Consu-us diventò poi Consus per assimilazione
come probus, da * probu-us, cfr. sscr. prabhù-; fenomeno,
frequente in latino (vitta da vitua, aperio da ap-uerio,
ecc.), di che discorriamo in altro lavoro.28
Nel tema Consu- noi vediamo il suffisso -tu-, e la radice
keudh-, keundh-, « nascondere »,
forma originaria * keundh-tu- « il nascosto, il sotterraneo
(dio)». Quanto al fonema -dh-t- = s, esso non
ha bisogno di esemplificazione (rudh-to-, russus; vid-to-visus
ecc.); quanto al vocalismo, esso parrebbe far difficoltà, giacché si
aspetterebbe da eu, u. Ma accanto a Rumo, « Tevere
» rumina, rumen ecc., che risalgono alla radice sreu
« scorrere », vi ha pure il nome Róma che non si può da quelli
discompagnare; ed anzi il Solmsen
21,
-" poneva la forma originaria sròve-ma, con ampliamento vocalico
di sreu. Nel caso nostro, avremmo, da keundh-, kouendh-,
onde Consus avrebbe spiegazione compiuta (kouendh-tu-,
kóndh-tu-, konsu-) qual « dio infero » o « sotterraneo ». —
Ed or di Talassio.
È noto come gli antichi non sapendo spiegarsi questo nome, immaginassero
che Talassio fosse un compagno di Romolo, cui fosse stata portata una
vergine « longe ante alia specie ac pulchritudine insignem »;30
coloro che la portavano, per salvarla dalle concupiscenze altrui,
avrebbero gridato « Talassio, Talassio »; indi la voce nuziale.31
Varrone però derivava il nome da « quasillum, pensum muliebre ».32
Il Preller ritiene che Talassius o Talassio sia soprannome di Quirino;
il Mercklin suppose un soprannome greco di Conso, identificato a
Nettuno.
33 —
Or noi riteniamo che Tala(s)sius sia nome sabino. Basta infatti
esaminarne la composizione. Il suffisso -asio, ci richiamerà
subito alla mente, come notò il Cocchia,34
il sabino Loebasius = Liber. Di più, il Preller vide giustamente in
Talasius una derivazione del nome Talus, che Fasto (359 M.)
afferma frequente tra i Sabini. E quanto all'enigma dell'origine di tal
nome, non so invero comprendere come si sia pur sempre invocato l'Edipo
invano.35
Giacchè una radice tal (tal) sembra appartenere a tutta la
nostra famiglia di linguaggi indo-germanici, nel significato di « esser
forte, crescere, fiorire ». Cfr. gr. femm. « giovane da marito, sposa »,
lat. talea « ramus virens »; slavo talija « id, », lit.
talókas « adulta, nubile »: anche il greco « fiorire » non può
discompagnarsene. Talus dunque sabino venne a dire « uomo fatto, uomo
forte », e fu insomma quasi sinonimo di vir. — Si aggiunge un altro
prezioso indizio che ci viene da un passo di Festo, (359 M.) « Tallam
Cornifìcius posuit, unde et Talassus. Tallam alii folliculum cepae ». La
lezione tallam invece di taliam fu giustamente riposta
dallo Schmidt,
36
sulla scorta di un passo Luciliano (162 Lachm.). Il passo di Festo così
com'è, è corrotto, giacché le prime parole non significano nulla: non si
dice infatti, in che significato Cornificio pose la parola
talla. Ma le parole folliculum cepae ci aprono la via alla
spiegazione. Folliculus è la pelle dei legumi, del bestiame,
degli alberi ecc.: ma un altro significato della parola ci mostra il
seguente passo di Servio, a Verg. Georg. III, 136, « genitali
arvo : prò muliebri folliculo, quem (scilicet) vulvam vocant, ut etiam
Plinius docet; nani antea folliculus dicebatur ». Questo passo* ci fa
ritenere ineccepibile la correzione, che lo Schmidt, op. cit., pag. 87,
propose del passo di Festo : « Tallam Cornificius posuit [prò muliebri
folliculo], unde et Talassus. Tallam alii folliculum cepae ». — Tal
riscontro di Talus e Talasius con talla « folliculus muliebris » ci
richiamerà alla mente quello del corrispondente dio greco della virilità
con « membrana » o « vulva genitalis ». — Né dal rapporto suddetto ci
terrà lontani il doppio l di talla essendo ben nota l'equazione
fonetica: tala = talla (cfr. rad. tal-).
Or noi abbiamo qualche indizio, per ravvisare sotto qual simbolo questo
sabino dio era adorato nella festa nuziale. Abbiamo da un passo di Paolo
37
che Talassione era chiamato un cestello, lo stesso che si portava nelle
nozze.38
Ora dal trovare nominato Talassione il canestro nuziale, bisognerà
argomentare esservi contenuto il simbolo di Talassius.
39
E che cosa fosse nel cestello è facile immaginare. Non vi erano gli
utensili del pensum muliebre perchè questi erano portati dalla
sposa stessa, non dal camillus:
40
e chi ripensi che il vaso si portava coperto (opertum), che era
tra le cose più occulte (Varr., loc. cit.), e che i più ignoravano che
cosa vi fosse (ivi), ricorrerà subito con la mente alle mistiche paurose
ciste (Val. Flacc. Argon., II, 267 « plenas tacita formidine
cistas »), ove erano i simboli tutti della generazione, né mancava il
phallus o fascinum :'' sicché nel bassorilievo pubblicato dal
Winckelmann
42
il Genio della Pudicizia, appena discoperta la cista, si ritrae
spaventato, — Se dunque nel « talassione », o « cumero nuziale » tra gli
altri occulta sacra, era l'immagine di Talassio simboleggiata dal
fallo, ci spiegheremo la procace petulanza di questo grido in occasione
delle nozze. Giacché è noto come i giovani non si ristessero
dall'accompagnare la sposa, oscenamente motteggiandola con i versus
fescennini
43 e
come il nome stesso di fescennini gli antichi derivassero dal
fascinum.44
Il rito antico del ratto nuziale rimase in Roma?
Le cerimonie degli sponsali romani ne conservarono non poche vestigia.
Lo Schwegler (I, pag. 469) indicò le seguenti,
45
alle quali altri residui del primitivo rito faremo noi seguire. La sposa
veniva tratta dal grembo della madre; non da se andava essa sulla soglia
della casa del futuro consorte, ma vi era tratta dai paraninfi; l'hasta
caelibaris con cui si divideva il crine della sposa sembra anch'
essa appartenere a questo ciclo simbolico; infine il divieto di eseguire
sposalizi in un dies feriatus, perchè nelle nozze « vis fieri
virginibus videtur ».48
Alle considerazioni dello Schwegler aggiungeremo le seguenti. Le nozze
anticamente non si celebravano se non di notte, giacche le tenebre
favorivano il rapimento.47
Lo sparviero, uccello di rapina, era di ottimo augurio per le nozze.48
Inoltre l'uso del nubere e cioè del coprire la sposa, mi pare che si
ricolleghi a questo ciclo di rappresentazioni, quasi si voglia celar la
donna all'altrui vista, e agevolarne il rapimento.
49
Infine il sagrifizio del porco, che si faceva seguire alle nozze è il
simbolo della pace fatta e della unione già sancita.50
_________________________
1 Preller,
Römische Myth. 1l3 pag. 350; Schwegler,
Röm. Gesch., I, pag. 469.
2 Cfr. Welcker, Ueber eine kretische Colonie in Theben, 1824,
pag. 68 segg.
3 Cfr. O. Müller, Dorier, II, 278, n. 4; Hermann, Gr. privat-Alterth.,
§ 3l, 11,
C. Pascal.
4 Varrone.
L. L. V; 55; Festo 119 M.
5. Schwegler,
Röm. Gesch., I. pag. 498 seg.
6 Vedi i due lavori
nel volume: Studii di antichità e mitologia, Milano, Ulrico
Hoepli, 1896.
7 Festo, 119, M. :
Lucerenses et Leuceres appellati a Lucero Ardeae rege qui auxilio fuit
Romulo adversns Tatium bellanti.
8 Anche la leggenda
di Tarpeia, oggetto di uno studio alcuni anni or sono pubblicato dal
Pais (Nozze Fraccaroli-Rezzonico, Settembre, 1895), direttamente
ci riporta ai Sabini. Tarpeia è nome sabino, e sta al romano Tarqu-(inia)
come pompe a quiuqne, come petur a quatuor,
e come osco popina (rimasto poi al latino) al romano coquina.
Altra tradizione intatti racconta della vestale Tarquinia, che avendo
donato ai Romani il campo sottostante al Campidoglio, ne venne
rimeritata di molti doni (Plut., Popl., 8, 7». Tarpeia, la
custode della rocca capitolina, era quindi in origine divinità benefica,
protettrice del monte, e identica alla Tarquinia. Qualche fonte ci parla
della sua natura benefica (cfr. Pais, op. cit., pag. 19-21). La leggenda
del tradimento nacque dopo, per l'uso speciale cui fu destinata la rocca
(Pais, pag. 21).
— E nata quella, era naturale che si ponesse Tarpeia come romana, non
potendosi in altra maniera spiegare il tradimento. Ma Tarpeia era in
origine divinità protettrice del colle (e perciò la leggenda ne fece la
custode della rocca) ed era divinità sabina. Ciò stà a provare, oltre la
forma del nome, di che già discorremmo, anche altri argomenti. Giacché
la leggenda, benché costretta, per ispiegare l'occupazione sabina del
Campidoglio, a farne la romana traditrice della rocca da lei custodita,
non fu in ciò costante. Alcuni scrittori fra i quali Antigono, sembrano
aver conservata la forma più genuina della leggenda, giacché la facevano
sabina e figlia di Tito Tazio. Cel dice Plutarco, Romolo, XVII: — E la
tradizione rimase nel popolo, giacché sulle monete di alcune famiglie
sabine, e che tali si vantavano, era raffigurata Tarpeia ; cfr. le
monete di P. Petronio Turpiliano e di L. Titurio (Babelon, Mon. d. la
rep. rom., II, pag. 301, 498), nomi entrambi che ci parlano di
origine sabina (Petronius, da petru-, osco petora «
quatuor », come osco Pompilius = lat. Quintilius ; circa
Titurius cfr. i Titienses e Tito Tazio, e i sodales
Titii).
9 V. per la formola
Liv. VIII, 6, 13 ; Acta fr. Arvalium CXVIII, 59 ; la primitiva
formola era però forse Quirites Romani che troviamo in Livio V,
41, 3. Più tardi si volle che il nome Romanus avesse
assolutamente la preminenza e si cambiò il Quirites in genitivo:
Populus Romanus Quiritium ; v.
Cocchia, Livio I, Comment., p. 63.
10 Cic. Rep. II, 7, 13 : quo foedere (Romulus) et Sabinos in
civitatera adscivit, sacris communicatis.
11Athen.
VI, 106; Geli. II, 15, 1; Servio, ad Aen. VII, 176; Vili, 638;
Dionisio II, 14; id. 11,23; Plutarco, Rom. 16; Numa, 1:
Strab. V, 4, 12.
12
Identico
significato del ratto delle Sabine, ha, tra i miti spartani, il ratto
delle Leucippidi, che era rappresentato su tavola di bronzo nel tempio
di Deraeter a Sparta (Pausauia, III. 16; IV, 2, 31). — Che poi il rito
del ratto sia anche etrusco, dimostrò il Comm. G. F. Gamurrini, in una
bella illustrazione ch'egli fece di un importante bassorilievo chiusino
(Mittheil. Afeli. Inst. zu Rom, 1889, pag. 89 segg).
13Röm.
Myth., II, pag. 350.
14
Plut. Rom. 14 Livio I, 13, 6:itaque (Romulus)
cum populum in curias triginta divideret, nomina earum curiis imposuit.
Cicerone, Rep. II, 8: quas curias earum nominibus nuncupavit,
quae ex Sabinis virgines raptae postea fuerant oratrices pacis et
foederis.
15
Excerpta ex
Festo, 3 M.
16Cfr. Lattes,
Rend. Ist. Lombardo, 1891, pag. 155 e segg.
17 Pascal, Atti Accad. Scienze Torino, 1895.
18
V. ora anche Lattes
in Atene e Roma, anno V, n. 40, Aprile 1902.
19
Livio I, 9, 6 ; Plut.,
Rom. 14, ecc.
20
Liv., I. 9; Plut.,
Rom. 15: Qu. Rom. 31; Festo, 351 M. s. V. Talassionem
; Aen. I, 651 ; (Aur. Vitt) De vir. ill. 2, 2.
21
Paolo, ex Festo,
62 M. [Curitis] quae ita appellabatur a ferenda hasta, quae lingua
Sabinorum curis dicitur.
22
Paolo ex Festo 63 M. Cinxiae Iunonis nomen sanctum habebatur in
nuptiis quod initio coniugii solutio erat cinguli, quo nova nupta erat
cincta.
23
V. Buck, Vok. d. osk. Spr. p. 15, 44; Planta, Gramm. d.
osk.-umhr. Spr. pag. 384.
24
V. i passi nell'art. Consus del Wissowa in Roscher's Lexikon,
pag. 927.
25
Circa il deus consilii v. l'art. ora citato del Wissowa. Cfr. Poi
Rossbach, Untersuch. ueber d. röm.
Ehe, pag. 330 segg.; Mannhardt, Mythol. Forsch., pag. 172;
Schwegler, Röm. Gesch., I, p.
473 segg. L'altare di Conso era sotterraneo, dove poi fu il Circo, Varr.
L. L. VI, 20; Plutarco, Rom. Cfr. Poi Rossbach,
Untersuch. ueber d. roem. Ehe, pag. 330 segg.; Mannhardt, Mythol.
Forsch., pag. 172; Schwegler, Roem. Gesch., I, p. 473
segg. L'altare di Conso era sotterraneo, dove poi fu il Circo, Varr.
L. L. VI, 20; Plutarco, Rom. 14; Servio, Aen. VIII,
636.
26
Hartung, Rom. Rel., II, 87; Riickert, Troia, pag.
214.
27
Bopp, Gloss. sanscrit, pag. 377, 378 ; Benfey, Wurzellex., I,
410.
28
V. Di alcuni fenomeni di assimilazione nel latino in Arch. Glott.
Ital. Supplem. period. 1900. — Evidentemente il sig. H. Steuding
giudicò senza cognizione esatta, quando, nella recensione di questo mio
studio, scrisse (Wochenschrift fuer kl. Philol. 1890, pag. 1086):
« Ebenso ist Consus jedenfalls besser mit Wissowa als deus condendi, d.
h. als Gott des Getreideeinerntens und Bergens, nicht mit Pascal als
deus conditus = interus zu betrachten ». Io anzi respingo l'etimologia
da conditus, pure ammettendo il significato di « infero ».
29
Studien z. lat. Lautgeschichte, pag. 97.
30
Livio, I, 9, 12.
31
La leggenda di Talassio, cui sarebbe stata portata una vergine sabina
rapita, e delle felici nozze conseguitene, leggenda foggiatasi su quella
greca delle felici nozze di Imeneo, si trova nei seguenti passi: Plut.
Pomp. 4; Rom. 15; Qu. rom. 31; [Aur. Vitt.] De
viris ill. II; Euseb. chron. I ed. Schoene, pag. 81; Servio a
Verg. Aen. I. 651, Festo pag. 351. Isidoro, Etym. XV, 3, 6
ha invece il nome Talamone, che egli adduce per ispiegare il nome
thalamus. (Male quindi lo Schmidt, De
Hymenaeo et Talasio, pag. 84, corregge Thalassioni).
32
Cfr. Festo 351 M. e Paolo 350 M.; Serv. ad Aen. I 651 Plutarco,
Rom. XV.
33
Preller, Roem. Myth3,
II, pag. 216; Mercklin, Ind. Schol., Dorpat. 1860, pag. 14.
34
Comm. a Livio I, pag. 53.
35
Rossbach, Untersuch. ueber roem. Ehe, pag. 331 e 340
36
De Hymenaeo et Talasio, pag. 87.
37
Exc. Fest. 350 M. : Talassiouem enim vocabant quasilluin, qui
alio modo calathus, vas utique ipsis lanitìciis aptum. Ciò per spiegare
che il vaso o cestello (v. nota seguente) portato nelle nozze era
signum lanifìcii.
38
Calathus è propriamente « cestello di vimini » e tale è pure
invero il significato di quasillus, il che ben si accorda con la
parola cista, usata da Ovidio e Tibullo nei passi che citeremo
più sotto. Che l'uso di quasillus non sia limitato al pensum
muliebre, mostra il passo di Catone, R. R. 133. — La parola
vas è poi generica, e può denotare quindi anche il « cestello » o «
panierino.
39
Sul cestello nuziale si hanno i seguenti passi: Paolo Diacono, Exc.
Fest. 50 M.: Cumerun vas nuptiale; ibid. 63 M. : Cumerurn
vocabant antiqui vas quoddam, quod opertum in nuptiis ferebant, in quo
erant nubentis utensilia. Varr. L. L. VII, 34: Caraillam qui glossemata
interpretati, dixerunt administram ; addi oportet, in his quae
occultiora; itaque dicitur nuptiis camillus qui cumerum fert, in quo
quid sit in ministerio plerique extrinsecus nesciunt.
40
Plutarco, Qu. rom. 31 (la sposa)
41
Ovid. Amat. II, 609: Condita si non sunt Veneris mysteria cistis.
Tib. 1, 7, 47 : Et levis occultis conscia cista sacris,
42
Mon. ined. Tav. 87, n. 204.
43
Nonio, 330; Festo 244; Catullo XI, 126.
44
Porphyr. ad Horat. Epod.. 8. 18; Petronio, 92; Priap. 78.
45
V. anche Gamurrini, Mitt. Arch. Inst. 1889, pag. 91 segg.
46 Macrob.
Sat. I, 15, 21. Le altre testimonianze degli scrittori per gli
usi ora rammentati v. presso lo Schwegler, l. c.
47
Servio ad. ecl. VIII, 29 : Varro in Aetiis dicit sponsas ideo
faces praeire quod antea non nisi per noctem nubentes ducebantur a
sponsis. Festo, 245 M. : quia noctu nubebant.
48
Plinio, H. N. 10, 21 : Accipitrum genera sedecim invenimus: ex
iis aegithum — prosperrimi augurii nuptialibus negotiis (giacché prima
delle nozze si prendevano gli augurii: Servio ad Aen. III, 136;
IV, 45).
49
Ci discostiarao in ciò dalle dichiarazioni del Gamurrini, Mitt. Arch.
Inst. 1889, pag. 94 segg.
50
Cir. foedus icere = foedus pangere porcum icendo. Varr
R. Rust. II, 4, 9: in coniunctione nuptiali nova nupta et novus
maritus primum porcum immolant. (Seneca), Octaria, 700 segg.;
Tac. Ann. XI, 26; Apuleio, Met. IV, 36.
Non vogliamo chiudere questo studio senza tener conto di questa luminosa
osservazione del sig. H. Steuding in Wochenschirift fuer klass.
Philol. 1896, p. 1089: « Dass nun aber die Hochzeitsgoetter und die
auf frauenraub hinweisenden Braeuche ursprunglich sabinisch seien, wie
Pascal will, ist kaum anzunehmen, da dieser bei allen Indogermanen
vorkommt ». Che presso tutti gl'Indogermani sieno divinità nuziali e
riti del ratto, non è chi neghi; ma nella nostra ricerca si tratta di
speciali cerimonie e di speciali divinità (Curitis, Cinxia, Talassius),
importate dai Sabini a Roma.
C. Pascal, Fatti e
leggende di Roma antica - Firenze, 1903