I Diamanti più celebri al mondo

 

 

Alessandra Doratti

 

 

 




A che punto finisce la realtà e inizia la favola del diamante?
La produzione mondiale si valuta in milioni di carati ed è destinata, oltre al diffusissimo impiego in gioielleria, a vari utilizzi, come materia strategica che trova differenti richieste nell'industria. I depositi di chi ne detiene il monopolio, De Beers in testa, contengono riserve in cui le precise entità sono top secret; ogni anno in tali depositi entra un certo quantitativo di pietre grezze; ma solo una parte di esse ne esce, in relazione alle domande e alle offerte del mercato.
Il sindacato De Beers controlla in modo ferreo le quotazioni per difendere il diamante dalla speculazione. E il suo valore, da quando è in atto questa forma di protezionismo, è sempre salito.
Tale situazione particolare, unita a efficaci campagne pubblicitarie, ha reso il diamante la pietra più richiesta nelle gioiellerie di tutto il mondo.
Piccolo quanto vuoi, ma diamante: è diventato un luogo comune, una scelta quasi scontata per molti, tanto che spesso non si può nemmeno parlare di scelta: deve essere diamante indipendentemente dalla validità dell'alternativa. Ma se per un altissimo numero di persone l'avere un diamante al dito è un obiettivo tra i più irrinunciabili, se moltissimi anche nel ceto medio-basso, riescono a donare un brillante (se uomini) o a farselo donare (se donne), dove finisce questa innegabile realtà? Dove inizia la favola del diamante? Il discorso è anzitutto di tipo economico. Nel dopoguerra il più costoso diamante venduto, un fatto che ha riempito per lungo tempo le cronache dei giornali, fu la famosa gemma che Cartier cedette (in cambio di circa un milione e 150 mila dollari) a Richard Burton, il quale ne fece dono all'allora signora Elisabeth. Più recentemente un'altra grande pietra è entrata nelle cronache: si chiama Premier Rose e fu trovata nel 1978 nella miniera Premier (Sud Africa), la stessa da cui uscì il famoso Cullinan nel 1905 (il più grande diamante mai trovato).
Dai 353,9 carati della pietra grezza, acquistata dai tagliatori per poco più di 5 milioni di dollari, si è passati a 137,02 carati della gemma principale da essa ricavata e venduta, pare in America, per 11 milioni e mezzo di dollari.
Ignoto l'acquirente al quale è anche attribuito l'acquisto di due gemme minori (di 31,48 e 2,11 carati) ottenute dalla medesima pietra grezza. Sono questi i diamanti da favola? Verrebbe da rispondere in modo affermativo. Tuttavia manca loro qualcosa di molto importante, un ingrediente che deve essere sempre presente nelle favole che fanno veramente sognare. Manca il fascino della storia, il mistero del ritrovamento, le avventure dei grandi personaggi legati alle vicende del tale o del tal altro diamante.
Al Louvre, ad esempio, si può osservare il Regent, un diamante trovato nel '700 da uno schiavo nella regione della mitica Golconda, in India: fu indossato da Maria Antonietta prima di salire al patibolo e, successivamente, ornò la spada di Napoleone I (ma l'imperatore si rifiutò di portarlo ancora dopo la disfatta di Mosca). Questo, come alcuni altri, è un vero diamante da favola. E il Premier? E l'anello di Elisabeth Taylor? Bellissime gemme di grandissimo valore, degli "unica" eccezionali ai quali la storia non ha ancora avuto il tempo di dare quel qualcosa in più che li rende veramente da favola.

 

 

Gran Mogol

 

Uno dei più grandi mercanti di gioielli della storia fu il francese Tavernier.
Egli compì diversi viaggi in Oriente ed è unicamente dalle sue descrizioni che si è ricostruita l'esistenza di uno dei più fantastici diamanti mai trovati, il Gran Mogol.
Tavernier ebbe modo di osservarlo nel 1665 nel tesoro del Gran Mogol di Delhi dove era custodito dopo il ritrovamento, avvenuto nella regione di Golconda, e il taglio attuato dal veneziano Borgis. Dai 787 carati della pietra grezza si era passati a soli 280 carati della gemma finita: uno spreco altissimo che costò al tagliatore la confisca completa dei beni da parte del sovrano, che si era sentito derubato.
Dopo le cronache del Tavernier non si sono più avute notizie attendibili sul destino di questo diamante. Tanto che taluni ritengono che il famoso Koo-hi-Noor non sia altro che il risultato del successivo taglio del Gran Mogol; analoga supposizione è avanzata da quanti sostengono che sia l'Orloff a derivare dalla pietra descritta dal Tavernier. Fra le altre teorie, di cui nessuna è provata con certezza, c'è anche quella che il Gran Mogol originale faccia parte tutt'oggi del tesoro dello Scià di Persia. Oltre all'ipotesi che esso sia andato distrutto dopo un furto, è ancora da segnalare che secondo il russo Fersman l'Orloff e il Gran Mogol sarebbero esattamente la stessa pietra.


Koo-hi-Noor


Il Rajah di Malwa si vantava di possedere questa pietra divenuta famosissima per la sua eccezionale bellezza. Essa fu ripetutamente preda di guerra nel corso di cruenti scontri fra le dinastie Mogol e gli Scià di Persia. Il persiano Nadir, autore della distruzione del regno Mogol nel 1739, ne entrò in possesso ma la pietra cambiò nuovamente di mano all'inizio del secolo successivo ed entrò a far parte del tesoro del re di Lahore, nell'odierno Pakistan. Con l'avanzata del colonialismo britannico esso fu confiscato dalla Compagnia delle Indie e donata alla regina Vittoria intorno al 1850. Da allora costituisce uno dei pezzi più importanti della Corona d'Inghilterra.
Alla stessa epoca risale il secondo taglio operato sulla pietra, che la portò dai 186 carati iniziali a 108,93. Tale operazione, attuata da Vorsanger, della Coster di Amsterdam, ebbe lo scopo di eliminare i difetti preesistenti e, come riportato dalla bibliografia, comportò ben 456 ore di lavoro e una spesa di 8 mila sterline. Il taglio così eseguito portò a una pietra che presenta 64 facce e due tavole (contrariamente al più comune taglio che dà luogo alla sola tavola superiore).
Come accennato a proposito del Gran Mogol, si dice che il Koo-hi-Noor derivi dal Gran Mogol stesso. La pietra presenta una colorazione tendente al grigio, piuttosto lontana dai limiti di estrema purezza che molti diamanti raggiungono in base alle moderne valutazioni.

 


Scià


Presenta una caratteristica se non unica, almeno eccezionale. È un diamante inciso che porta tre iscrizioni persiane su tre delle facce. Una risale all'anno 1000, un'altra al 1051 e la terza al 1242; si tratta in pratica delle tre firme di tre dei suoi possessori: il primo fu il sovrano di Achmednagar (presso Golconda, India) nel 1591 dell'era cristiana, il secondo il Gran Mogol di Delhi nel 1641 e il terzo lo Scià di Persia nel 1824. Si tratta di un cristallo allungato lungo uno degli assi e solo parzialmente tagliato: presenta cioè alcune facce artificiali accanto ad altre naturali. Il colore è giallo bruno, il peso è di 88 carati. Oggi appartiene allo Stato sovietico.


Sancy


Sarebbe appartenuto a Carlo II il Temerario duca di Borgogna prima e a Nicola di Harlay signore di Sancy, ambasciatore francese a Istambul, in un secondo tempo. Costui l'avrebbe rivenduto alla regina Elisabetta d'Inghilterra.
Ma nel 1649 fu dato in pegno al cardinale Mazzarino passando così tra le proprietà del re Sole. Condivise la sorte del reggente durante la rivoluzione francese, quando fu rubato insieme agli altri gioielli della Corona. Ma, a differenza dell'altro famoso diamante, non fu ritrovato. Fonti non certe sostengono che Giuseppe Bonaparte lo rivide nel tesoro del re di Spagna Carlo IV. Pare invece certo che uno dei suoi successivi possessori sia stato il duca Domidoff. Poi s'è persa ogni traccia sicura. Il Sancy pesa 53 carati ed è perfettamente incolore.



Cullinan I e II


3106 carati pari a oltre sei etti. Le dimensioni sono quelle del pugno di un uomo. Era il 25 gennaio del 1905 quando Frederick Wells, sorvegliante nelle miniere Premier (Sud Africa), trovò il più grande diamante del mondo. E fu straordinaria anche l'eccellente purezza della pietra che venne battezzata Cullinan in onore del presidente della miniera Premier.
In seguito lo acquistò il governo del Transvaal che ne fece dono a Edoardo VII d'Inghilterra per il suo sessantesimo compleanno, nel 1907. L'invio a Londra fu un fatto straordinario.
Per evitare il più possibile il rischio di furti venne spedito come semplice pacco postale, non prima però di averlo assicurato per oltre due miliardi.
Allo scopo di sviare eventuali ladri, una falsa copia del Cullinan fu riposta nella cassaforte di un piroscafo diretto in Gran Bretagna e custodito da una nutrita schiera di agenti. Giunta felicemente a Londra, la pietra doveva essere tagliata. Era però troppo grande per ricavarne un'unica gemma. Fu un tagliatore di Amsterdam, Joseph Asscher, a ricevere l'ambitissimo ma quanto mai delicato incarico di procedere al taglio. Passarono alcuni mesi di attenti studi e progetti. Poi alle 14,45 del 10 febbraio 1908, Asscher passò alla fase pratica. Il primo tentativo di dividere in due la pietra, mediante clivaggio, fallì: essa era troppo grande e di conseguenza troppo resistente.
Fu la lama d'acciaio sulla quale era stato inferto un poderoso colpo a rompersi, non il diamante.
Il secondo tentativo fu coronato da successo. Il Cullinan si divise perfettamente in due parti, dalle quali si ottennero in seguito 9 grosse gemme e 96 piccoli brillanti. Delle pietre grandi che attualmente fanno parte dei gioielli della Corona britannica o sono di proprietà personale della famiglia reale, il Cullinan I ("Stella d'Africa") è il più grande diamante tagliato che si conosca (530 carati). In seconda posizione, anche rispetto a ogni altro diamante, è il Cullinan II (317 carati).
Entrambi si trovano nella Torre di Londra fra gli splendidi gioielli della Corona dove possono essere ammirati durante l'estate. Le visite sono invece sospese d'inverno.
Il Cullinan I è incastonato nell'impugnatura dello scettro reale. Il Cullinan II invece si trova sulla sommità della corona imperiale di Stato realizzata per Giorgio VI nel 1937.

Alessandra Doratti

 

 

 

 

 

 

ne del genio architettonico di Mario Botta, deve aver vissuto lo sgombero della mostra come una vera, propria e liberatoria evacuazione.