I segreti della lacca cinese

 

Alessandra Doratti

 

 

 


Le prime lacche orientali, giunsero in Europa agli inizi del XVII secolo importate un primo tempo dai portoghesi e subito dopo dagli olandesi. Si era press' a poco all'epoca dei primi tentativi dei mobilieri veneti e genovesi di creare un tipo di mobile a vernice brillante colorata e dipinta che costituì la grande moda d Settecento. La evidente grande superiorità della lacca cinese sulle vernici europee non mancò di destare ammirazione e parecchi, anche fuori d'Italia, tentarono d'imitarli. Per tutto il 1700 e parte del 1800 l'arte del mobile ne fu in qualche modo influenzata. Sia le lacche che le porcellane Cinesi che cominciavano ad a fluire in gran copia, con la decorazione figurativa tipica dell'epoca, affatto nuova per la maggioranza degli occidentali, favorirono a Venezia e Inghilterra quello stile - piuttosto discutibile per il gusto odierno - che è conosciuto come laccato veneto a chinoiseries e china chippendale.

 


I maestri giapponesi alla gran corte dell' imperatore Koan

Verso la fine del 1700, quando cioè l'arte della lacca Cina già marcava una netta decadenza (è anche da tener presente che gli oggetti fatti per essere esportati nel "paese dei barbari occidentali" non erano certo della migliore qualità) apparvero sul mercato europeo pezzi laccati, generalmente di piccole dimensioni e a fondo oro di così perfetta e squisita esecuzione che data la loro origine giapponese e non cinese, sorse il convincimento che la vera e originale arte della lacca fosse prerogativa del Giappone. Gli inglesi crearono addirittura un curioso vocabolo per indicare le lacche orientali: Jappaned ancor oggi parzialmente usato. E i Giapponesi per lungo tempo rivendicarono la priorità dell'invenzione. Questa asserzione era in certo qual modo suffragata dal fatto che mentre in Cina erano solo considerate arti la calligrafia, la pittura, la poesia e in parte la musica e i loro autori più famosi ricordati e commentati in tutti i tempi, la laccatura era considerata una manifestazione artigianale o arte minore, sempre ammirata ma cui esistevano solo scarse tracce letterarie che facessero menzione sia ai suoi sviluppi che ai suoi artefici antichi. Al contrario in Giappone erano sempre state trascritte e riportate le cronache che narravano di un'ininterrotta serie di "maestri della lacca" di cui il capostipite si pretendeva fosse stato Mitsumi-no-Sukunè che sarebbe vissuto alla corte dell'imperatore Koan Tennò verso la fine di IV secolo a. C.

Tennò, il vocabolo che accompagna il nome di tutti gli imperatori giappenesi, si può tradurre con l'espressione "disceso dal cielo" e sta a significare la pretesa origine divina di una famiglia che regna ininterrottamente da circa 26 secoli. Il primo imperatore con il quale il Giappone inizia la sua storia dinastica fu Jimmu Tennò, salito al trono nel 660 a. C.  La sua origine è più mitica che storica poiché lo si fa discendere direttamente da Ninighi, nipote di Amaterasu, la dea della luce (o del fuoco).
Le notizie fornite da antichi testi cinesi sull'uso della lacca in Cina fin dalla più remota antichità erano rigettate dai Giapponesi come apocrife, poiché essi non ne ammettevano la conoscenza in quella nazione per lo meno anteriormente all'Era volgare, cioè dopo che in Giappone e fino a pochi decenni or sono, nessuna scoperta archeologica poteva in modo indiscutibile smentire questa pretesa.

 


Il segreto racchiuso in un impasto di linfa e resina


Oggi alla luce di ricerche e di scavi, sia pure ancor ben lungi dall'essere esaurienti e completa, si è raggiunta la prova che assai prima dell'ipotetico giapponese Mitsumi-no-Sukuné, la lacca era conosciuta e di normale uso in Cina. Questo rafforza la teoria che il Giappone, debitore alla Cina di quasi tutta la sua arte, lo sia anche per le lacche. Un fatto sembrò per lungo tempo suffragare l'ipotesi della indipendenza giapponese dell'invenzione della lacca, unitamente alla mancanza totale d reperti archeologici di origini cinese: è l'isolamento marittimo del Giappone e l'assoluta precarietà degli antichi mezzi navali cinesi, utilizzabili soli per percorrere tratti fluviali ma inadatti ad affrontare un mare aperto, specialmente quello che divide le due nazioni, così frequentemente battuto da terribili tempeste.
Molti giapponesi sostenevano che anche nel caso di alcune forme d'arte da loro prodotte e di cui non si poteva negare un'influenza cinese questo apporto si doveva al loro superiore spirito avventuroso e a scorribande di loro navigatori che, approdati sulle coste della Cina, ottenevano dai nativi oggetti che con i loro genio imitativo riuscivano a riprodurre e a migliorare senza insegnamento alcuno. Durante tutto il periodo torbido degli "Stati combattenti" (481-221 a. C.) sul finire della dinastia dei Chou in Cina, come durante quello successivo di guerre e di lotte nella stessa Corea, pacifici artigiani cinesi, già emigrati dalla loro patria in questo nuovo Paese in cerca di tranquillità, finirono per stabilirsi in Giappone anche a seguito di notizie pervenute che assicuravano buona accoglienza e certezza di guadagno. Gli stessi Giapponesi che potevano senza soverchia difficoltà raggiungere la punta meridionale della Corea mandavano ambascerie con richieste di mano d'opera. Appare logico ritenere che sia i cinesi che i coreani, che dai primi avevano appreso la loro arte, la introdussero in Giappone, colà stabilendosi. Infatti c'è stata di recente un'abbondanza di ritrovamenti di oggetti in lacca nella zona di Lolang, che risalgono al IV secolo a. C. e fino al II dell'Era volgare. Questo lascia supporre che non solo esistessero fin da allora in Corea varie manifatture in pieno sviluppo, ma che lo stesso albero da cui si estrae la resina fosse naturale del luogo. Non è affatto arbitrario ammettere la possibilità che gli antichi cinesi, oltre ad aver introdotto in Giappone l'arte della lacca, vi avessero portato le sementi che crearono lì le piantagioni di Rhus vernicifera.
Sia in Cina che altrove l'origine e la preparazione della materia sono identiche. La lacca è fornita naturalmente dalla linfa o resine di un albero: la Rhus vernicifera menzionata. Questa pianta ancor oggi nativa allo stato selvaggio in alcune zone della Cina, particolarmente in altipiani di 2.000-2.500 metri di altitudine, anticamente doveva allignare anche in vaste regioni della pianura centrale dove, in epoche posteriori, fu sostituita dalla coltivazione di cereali più necessari per il continuo aumento della popolazione. La grande abbondanza di pezzi trovati in tombe nella zona di Chang Sha nell'Hunan sono un sicuro indizio che anteriormente all'Era volgare non solo là esistevano manifatture di lacche, ma che la materia prima, cioè gli alberi, si trovava sul posto, anche se oggi non esiste più. La tecnica di estrazione della resine non ha subito nei secoli alcun mutamento ed è simile a quella usata per la gomma. La corteccia del tronco quando ha raggiunto gli 8-10 anni di età, viene incisa con tagli orizzontali. Sotto il taglio viene legata una piccola ciotola di rame che raccoglie la resina che trasuda goccia a goccia. Questa si presenta inizialmente come un linfa biancastra e trasparente che si addensa e scurisce all'aria fino a diventare naturalmente nerastra. A differenza della gomma che viene foggiata in pani e poi affumicata, la lacca appena estratta viene sottoposta ad una lunga bollitura, schiumatura e filtrazione attraverso un telo di canapa, per separare le impurità vegetali e terrose. Quindi è pronta per il commercio e l'impiego e si presta per coprire i più diversi materiali.

 


Estro artistico abilità artigiana e tanta pazienza

La tecnica di applicazione se si vuol ottenere un perfetto risultato, così come sempre si operò per il passato in Cina e in Giappone, è invece delicata e lentissima. Per acquistare una speciale lucentezza e resistenza richiede innumerevoli strati successivi. Ogni mano di lacca pennellata dove essere perfettamente indurita e secca prima di ripetere l'operazione. Il lavoro comporta pazienza e tempo perché l'essicazione non può essere rapida, ma deve avvenire in ambiente umido, senza di che la lacca risulterebbe fragile e con possibile tendenza a sfaldarsi. Per queste ripetute operazioni molti cinesi impiegano ancor oggi la stufa a vapore inventata tanti secoli or sono. Ogni strato di lacca una volta secco viene lisciato a dito con finissima polvere di cenere vegetale. Infine, quando la laccatura ha raggiunto uno spessore giudicato sufficiente, la superficie viene nuovamente levigata con cenere di corno. Naturalmente questa è la tecnica classica così come hanno sempre operato gli antichi artisti cinesi per oltre due millenni. Se si pensa che in certe lacche profondamente incise furono date da 200 a 300 mani di lacca, è facile immaginare la ragione per la quale quest'arte è rimasta un'esclusività della pazienza orientale. Questo lunghissimo e difficile procedimento non costituisce che la parte artigianale dell'arte della lacca.

 

Intarsi d'argento e d'oro e madreperla per un'opera perfetta


Quello che aiuta a determinare un'epoca e costituisce in certo qual modo la parte nobile dell'opera è la decorazione. Questa può essere eseguita a pennello usando la stessa lacca addizionata di pigmenti colorati, così come un pittore crea un quadro, o può essere arricchita con intarsi d'oro o d'argento a imitazione degli antichi bronzi rituali ageminati. L'uso di intarsi di madreperla o di avorio ha origini antiche, anche se divenne di grande moda solo dopo il XVII secolo. Per questo tipo di lacca i Francesi crearono il nome di laque burgautèe.
Infine la lacca portata con successivi strati a sufficiente spessore può anche essere incisa a disegni geometrici, floreali o decorativi. Ogni oggetto di lacca richiede in genere uno scheletro sul quale applicarla. Per i grandi pezzi, soprattutto in Cina, questo a stato sempre di legno dolce e leggero. La laccatura, oltreché come funzione decorativa, serviva anche per preservarlo dalle ingiurie dell'umidità e del tempo. Il processo antico era il seguente: si tagliava o si scolpiva il legno nella forma voluta; se era piano per fare pannelli o mobili, usualmente si riduceva a sottili fogli abilmente congiunti e incollati; se doveva servire per una scultura di una certa grandezza lo scopo era raggiunto con diversi pezzi separatamente scolpiti e uniti a incastro eventualmente con qualche cavicchio di legno (viti e chiodi sono entrati in uso in Cina solo durante il secolo scorso).
Ultimate lo scheletro, sulla superficie veniva incollata una tela di canapa o ramiè. Sopra la tela a pennello era posta un appretto di tipo gessoso che conteneva un qualche ingrediente che gli conferiva una certa durezza una volta secco, e dopo tutte queste operazioni si procedeva al laccaggio vero e proprio
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Alessandra Doratti