I mobili Lilliput
Alessandra Doratti
Giocattoli di lusso per case da bambola? Modellini da presentare ai
committenti? Campionari per i commessi viaggiatori dei mobilieri o per
le loro vetrine? Oggetti di devozione per i presepi e le composizioni
sacre? Saggi di prova degli apprendisti? Qualunque fosse la loro
origine, sono rarissimi: nella "dimensione gnomo", esistono dei mobili
capolavoro capaci di far perdere la testa ai collezionisti.
Il modello in scala ridotta fu probabilmente inventato da un architetto
che, oltre ad assolvere la legittima curiosità del committente e
finanziatore, se ne servì per verificare la resistenza, soprattutto alle
sollecitazioni di taglio e flessione. Realizzata con gli stessi
materiali, la struttura del plastico veniva sottoposta a cariche e
spinte pure ridotte nella stessa proporzione. Se reggeva, bene; se no
tutto il progetto doveva essere rivisto.
Forse il più celebre tra i modelli
realizzati a scopi dimostrativi sui procedimenti costruttivi da adottare
e sulla realizzabilità dell'opera fu quello predisposto dal Brunelleschi
per la cupola di S. Maria del Fiore (Firenze), poi distrutto perché
diventato involontario ricovero di fornicazioni. Dovevano invece dare al
committente una più esatta idea del progetto i vari modellini lignei di
costruzioni barocche, dalla basilica di Superga ai vari teatri disegnati
dal Bibiena.
Tra gli artigiani del mobile, la predisposizione di modellini per
risolvere problemi tecnici o ad esemplificare al cliente vero o
potenziale l'aspetto degli oggetti di falegnameria o di ebanisteria
"finiti" e il funzionamento di ingegnosi meccanismi costituì una pratica
certo antica. Ma i piccoli mobili che oggi si conservano, dalla fine del
XIII sec. in avanti, furono costruiti come modelli per quelli di
dimensioni normali solo in piccola parte; la maggioranza fu realizzata
fine a se stessa seppure in una estrema varietà di funzioni, dall'uso
specifico di conservazione a quello più vago di drôleries
ornamentali e di ninnoli rococò.
Perché questi mobiletti, oggi rarissimi cimeli e contesissimi, ad
elevate quotazioni dai collezionisti anglossassoni, ebbero particolare
sviluppo nei tempi andati, è un interrogativo su cui i pochi storici
dell'arte che se ne sono finora occupati (soprattutto inglesi), si sono
rotti la testa.
Le teorie sono quattro: 1) i mobiletti sono lavori di prova, cioè come
dimostrazione pratica di una raggiunta capacità esecutiva; 2)
costituivano il campionario di produzione per agenti di vendita o
modelli per la vetrina di botteghe di ebanisteria; 3) erano giocattoli
destinati ai pargoli di famiglie facoltose; 4) si tratta di modelli in
scala realizzati a beneficio del committente.
Benché queste ipotesi non si elidano a
vicenda, ma possano ragionevolmente coesistere, gli storici ne mettono
parzialmente in crisi le prime due. Che si trattasse di lavori di prova
di un apprendista, chiamato a fornire testimonianza di un'acquisita
capacità manuale, è improbabile: perché le congregazioni artigiane
prevedevano, per l'abilitazione all'esercizio del mestiere (e tuttora i
termini della prova non sono di molto mutati) l'esecuzione, nella
fattispecie, di un vero mobile; perché questo "saggio" doveva essere
vendibile in quanto il materiale impiegato e il tempo necessario alla
sua lavorazione, anche se di un apprendista, erano troppo costosi per
sprecarli in un giochetto accademico.
È altresì improbabile che i piccoli mobili costituissero il campionario
di produttori viaggianti, o è improbabile prima del XIX sec., cioè da
che la pratica del "rappresentante" mobiliere è documentata. Ma di
mobili in miniatura ne sono noti esemplari addirittura tardogotici e
comunque databili alla fine deI XIII sec. Mentre non è così improbabile
che i modellini servissero a far bella mostra di sé e a costituire un
richiamo per il pubblico nelle vetrine di laboratori artigiani: ma
sempre con notevoli limitazioni temporali che non si possono
ragionevolmente arretrare oltre il XVIII sec. La terza teoria, quella
dei mobilini-giocattolo, che si sa essere esistiti, non soddisfa che in
minima parte l'interrogativo di fondo. Serve semmai, ove circostanziata,
a distinguere fra pezzi nati per finire tra le mani di bimbi e pezzi
realizzati con altre finalità. Che si tratti di giocattoli e non di veri
e propri modelli è sovente arguibile dalle proporzioni di alcuni piccoli
mobili, o di loro parti (fatte salve le eccezioni di costosissimi
esemplari), semplificate, solo approssimazioni degli originali. Sono più
massicci e le gambe di sedie e armadi risultano sovente più corte; sono
anche più solidi, più stabili dei mobili veri, per accrescere la propria
resistenza alla mercé dei bambini; né è possibile, ingrandendoli in
proporzione, pervenire a credibili esiti, come dovrebbe invece accadere
con dei veri modelli. Per i piccoli mobili che presentano questi precisi
requisiti, cioé sono eseguiti strettamente in scala, in ogni loro parte,
l'ipotesi che essi siano nati come veri e propri modelli lillipuziani
della loro futura versione Gulliver, dovrebbe ottenere maggior credito.
In effetti, a corroborare questa teoria concorrono sia l'esistenza di
modelli antichi in quasi tutti i campi dell'invenzione tecnica,
artistica e artigianale (vale a dire la prima idea di "struttura" o di
"funzionamento" provata sulle dimensioni ridotte), sia il conforto di
testimonianze storiche e documentali proprio per la modellistica di
falegnameria. A proposito degli architetti, particolarmente smaliziati
nello sfruttare il fascino esercitato sul committente dal "piccolo",
autori sin dall'antichità di modelli, di cui si hanno precise notizie ed
anche si conservano esempi numerosi, almeno a partire dal tardogotico:
dalla stessa epoca di cui conserviamo i piccoli mobili più antichi. Il
parallelo può essere utile per accertare più intime relazioni di
parentela fra plastici di architettura e modelli dei manufatti di arredo
quando il paragone sia ravvicinato fra il piccolo in architettura e il
grande nel mobile, dal plastico di un altare, ad es., al modello di un
confessionale; o quando si ponga mente alla collaborazione intervenuta
fra architetto e intagliatore in qualche marchingegno progettato
dall'uno per la parte strutturale, dall'altro per l'apparato decorativo,
com'è in una carrozza da parata. D'altro canto anche la documentazione
dei piccoli mobili realizzati a guisa di modelli, seppure non
straordinariamente ricca, è sufficiente ad accreditare questo tipo di
pratica che si generalizza nel 1700; nel 1810 il catalogo di G.H.
Bathermeier di Norimberga esplicita: o di tutti i mobili esistono
modellini per coloro che non possono accedere alla manifattura; li si
può usare come modello o come giocattolo ed è possibile ottenere, su
richiesta, un intero magazzino di mobili in miniatura». La casistica è
numerosa, ulteriormente confermata dalla sopravvivenza di qualche
modellino noto dalle fonti. Ad es. allorchè Maria Antonietta sposò, nel
1770, il Delfino di Francia, tra i doni nuziali ebbe anche un prezioso
armadio-medaglione, per il quale furono affrontati diversi modelli.
Sarebbe troppo semplice classificare nella categoria dei modellini tutti
i piccoli mobili che non siano giocattoli. Una modesta aliquota forma il
capitolo a sé stante dei mobiletti "di devozione": culle e sedie di Gesù
Bambino, troni e tronetti destinati ad ornare i grandi presepi
settecenteschi o a costruire quadri tridimensionali di offerta, una
sorta di ex-voto particolarmente amati nell'area iberica. L'imitazione a
scala di gnomo della realtà è in questi casi così persuasiva da rendere
problematica la distinzione del mobilino votivo dal modello vero e
proprio. Tuttavia la regola fondamentale per discernere, anche in questo
caso, è la corretta ed attenta lettura delle proporzioni del manufatto.
Se l'ingrandimento in sede conduce a un mobile proporzionato esattamente
in tutte le sue parti, allora si può quasi essere certi di trovarsi di
fronte ad un modello, sempre ricordando che il lavoro nel piccolo, per
quanto superaccurato, non poteva costantemente garantire l'esatto
dettaglio, ad esempio, della decorazione.
Dopo tutte queste divisioni dei piccoli mobili, ne rimangono altri,
numerosi, in attesa di una catalogazione che, di massima, si può
indirizzare su tre binari: i piccoli mobili in vari materiali, nati come
carrozzeria di ninnoli; i piccoli mobili, nati piccoli e senza alcuno
scopo, semplici oggetti di ornamento per una vetrinetta. Infine i
piccoli mobili, costruiti tali come prodotto finito, per conservare cose
piccole, in genere microcassapanche, comò lillipuziani, scrittoietti da
gnomi. I loro mini-cassetti erano usati per conservarvi corrispondenza,
per riporvi gioielli o l'occorrente per cucire, in una frenetica corsa
al sempre più piccino così che anche il ditale, l'ago e le forbicine,
per esservi accolti, venivano miniaturizzati sino a risultare
inservibili. Succede che la fortuna agevoli il ricercatore giacché più
di una volta in questi mobilini-cassetti è rimasto il contenuto
originale, sì da rendere elementare il riconoscimento. Il gusto del
piccolo, che è un leit motiv anche dei nostri tempi (sia pure
deviato sull'elettronica) è una componente istintiva, connaturata
dell'essere umano.
La sopravvivenza di tutti questi piccoli mobili, che nella maggior parte
dei casi non serviranno mai a nulla o cessarono di essere utili con
l'estinguersi della loro funzione di modelli, è dovuta all' intrinseca
piacevolezza degli oggetti. "L'arte non è mai così grande come quando è
in piccolo" disse Tommaso d'Aquino.
Alessandra Doratti