I grandi designer muranesi dal 1930 al 1950

 

 

Alessandra Doratti

 

 

 



Gli anni Trenta con il trionfo dello stile Novecento, hanno significato molto per Murano perché hanno aperto all'arte vetraria veneziana moderna nuove prospettive tecniche ed estetiche. La ricerca di forme plastiche in sintonia con quello stile portò in un primo tempo all'adozione di materiali opachi o traslucidi, negazione della levità e della trasparenza che fino ad allora avevano caratterizzato la tradizione muranese. Negli ultimi anni Trenta trionfarono invece, per la prima volta nella storia dell'isola, materiali vitrei di inusitato spessore, la cui trasparenza era arricchita con effetti del tutto originali, da velature, strati sovrapposti di colori attenuati e preziosismi ottenuto con particolari espedienti tecnici.
L'immediato dopoguerra vide da una parte artisti vetrai impegnati nello sviluppo delle ricerche plastiche iniziale nel periodo Novecento, dall'altra designer stimolati dal nuovo clima internazionale a provocatorie stilizzazioni moderne.
Come prima tendenza bisogna menzionare Napoleone Martinuzzi. Noto più per le sue opere in vetro che per le sue realizzazioni in marmo, bronzo e gesso, egli fu tra gli artisti che contribuirono ad adornare e arricchire il Vittoriale, la dimora-museo di Gabriele D'Annunzio. L'interesse per l'arte vetraria, seppur tardivo rispetto all'attenzione verso la scultura, portò l'artista a contribuire in modo determinante all'evoluzione stilistica della produzione muranese soprattutto negli anni Trenta. Dopo le flessuosità del Liberty e i preziosismi del Déco, si affermò nel panorama italiano un nuovo movimento artistico: il Novecento.
Martinuzzi nel 1928 introdusse un nuovo stile a Murano: ideò un vetro verde o bianco, reso quasi opaco dall'inclusione di irregolari bolle d'aria chiamate "puleghe". In vetro pulegoso realizzò corpose anfore, cotte segnate da costolature ottenute con "mezza stampatura" (un'antica tecnica rinascimentale) e ancora piante grasse, cardi, carciofi, tutti di vetro massiccio e di grandi dimensioni. I critici accolsero in genere con cauta e dubbiosa approvazione i motivi prodotti muranesi, chiedendosi se tali innovazioni tecniche non tradissero le caratteristiche considerazioni imprescindibili dal vetro, fino a quel momento sottile, diafano, trasparente. Nel corso di un decennio i dubbi si trasformarono in lodi incondizionate e il vetro di grosso spessore venne considerato parte integrante della tradizione vetraria di Murano.
Questa seconda tendenza documentata con esempi di straordinario Impatto alla Biennale del 1948 e alla Triennale del 1951, raccoglie oggi i maggiori consensi del mercato antiquario. Essa recuperava i forti cromatismi, gli spessori sottili, le complesse tecniche della filigrana, della murrina, dei tessuti a tessere, che appartenevano alla antica tradizione e che erano state applicare al meglio negli anni Venti. Probabilmente fu il lungo oblio degli anni Trenta, orientati verso uno stile vetrario di segno opposto, a garantire una riscoperta e una rivalutazione in chiave assolutamente nuova dei capisaldi del mestiere.
In realtà la nuova tendenza venne inaugurata ancora in pieno stile Novecento, nel 1940 da Carlo Scarpa, direttore artistico della vetreria Venini. In un panorama di vetri di grosso spessore, spiccavano per contrasto, alla Biennale del 1940, i suoi sottili soffiati dai colori netti, "battuti" o "velati" a rotina su tutta la superficie, i soffiati bicolori veri e rossi, le splendenti murrine dai vivaci contrasti cromatici e, alla Biennale del 1942, i lievi soffiati decolorati a caldo da pennellate o fili avvolti a spirale e i piatti a macchie colorate, di straordinaria freschezza. Carlo Scarpa, nell'atto di concludere la sua ventennale esperienza col vetro, anticipo' proposte e tendenze degli anni a venire. Nel 1948 fu sostituito alla direzione artistica della vetreria Venini da Fulvio Bianconi, dotato di inventiva ed estro caricaturale. Alle maschere della commedia dell'arte e alle figurine in vetro lattimo o in vetro filigrana del 1948-50, caratterizzate da una arguta stilizzazione moderna, aggiunse i famosi pezzetti a patchwork di tessere colorate, i "fazzoletti", delicate coppe di filigrana, i soffiati a fili, a fasce, a melodie colorate di grande impatto cromatico.
Anche Paolo Venini si impegnava in prima persona nella progettazione, con una maggiore attenzione alla tecnologia tradizionale, rivitalizzata però con colori e forme nuove. Sapeva inoltre analizzare con acuto senso civico i cataloghi degli altri produttori muranesi, interpretando con maggior sobrietà cromatica, ad esempio, gli "zanfrici" di Dino Martens nei suoi "Zanfrici musaici" e traendo ispirazione dai "merletti" di Archimede Seguso per i suoi "reticelli zanfrici", tecnicamente meno complessi. Il designer Dino Martens, direttore artistico della vetreria Aureliano Toso, era stato un pittore novecentista, anche se non di livello nazionale. Nel settore vetrario, tuttavia, fu autore di audaci stilizzazioni, tra le più provocatorie degli anni Cinquanta.
Nel 1948 ideò gli "zanfrici", che consistevano in un tessuto di canne ritorte, ora disposta in senso orizzontale, ora in senso verticale, nell'intreccio di vivacissimi colori. Irregolari macchie con inserti di aventurina e filigrana caratterizzavano invece gli "oriente". Più massicci, ma ravvivati da intarsi policromi erano i curiosi vasi in forma di baccelli, dalla superficie interamente "battuta" a rotino.
Per estro cromatico erano accostabili a quelli di Martens i tessuti vitrei di Ercole Barovier, più rispettoso della tradizione nell'uso delle tecniche muranesi. Socio e direttore artistico della vetreria Barovier & Toso, Ercole Barovier contava su una consuetudine familiare e personale con le più complesse manipolazioni del vetro incandescente e, pur non lavorando egli stesso, ne conosceva a fondo le infinite possibilità. Nella sua instancabile attività di designer condusse due ricerche parallele, ora attratto dai materiali nebulosi e ricchi di inclusioni che aveva già adattato nel periodo Novecento, ora dalle potenzialità cromatico-compositive dei vetri e tessere, a canna e a murrine. Dai finissimi "damasco" e "oriente", presentati alla Biennale del 1948, ai "saturnei" del 1951 a canna e murrine, gli stilizzati "millefili" del 1956, sviluppo' uno stile personalissimo, che riscosse successi, fino ai primi anni Settanta.
Carlo Scarpa, Fulvio Bianconi, Paolo Venini, Dino Martens ed Ercole Barovier si accostavano al vetro, forti di varie esperienze. Tutti comunque dovevano misurarsi con le capacità interpretative dei maestri vetrai, cui affidavano la realizzazione dei propri modelli. Alla schiera dei grandi designer muranesi degli anni Cinquanta, cui si dovette un recupero in chiave moderna delle tecniche antiche, appartiene però a buon diritto anche un maestro vetraio, Archimede Seguso, che unì ad un'eccezionale maestria una creatività degna del più aggiornato designer. Esperto nei vari settori del vetro artistico; dalla scultura al sottile soffiato, dopo aver dato negli anni Trenta e Quaranta il meglio di sé nella creazione di massicci vetri in stile Novecento, realizzò nel dopoguerra, sottili filigrane di inusitata raffinatezza. In realtà Seguso aprì nuovi orizzonti alla tecnica della filigrana, proponendo con i "merletti", le "fantasie a nastro", le "composizioni lattimo", i "festoni" e le "piume", e le "spinaline", le prime varianti alla tecnica della filigrana, a quattrocento anni dalla sua invenzione.
Assieme a pochi altri, Archimede Seguso sembrava il rappresentante di un mondo in estinzione, quel mondo già medioevale e rinascimentale, nel quale il maestro concepiva ed eseguiva autonomamente le proprie opere. Oggi però molto della vitalità di Murano viene proprio da personalità che svolgono il suo stesso doppio ruolo.

 

Alessandra Doratti