Maison Fouquet - gioiellieri e orefici in Parigi

 

 

Alessandra Doratti

 

 

 


La storia dei Fouquet sarebbe piaciuta a Hugo: dalla miseria degli inizi, sullo sfondo di una Parigi degna dei Miserabili, agli onori ufficiali e ai fasti del negozio di Rue Royale, di fronte a Chez Maxim's (decorato dall'artista ungherese Mucha nel 1900), al fallimento del 1936 fino alla ripresa della tradizione familiare, legata al disegno, con Jean Fouquet, ancora vivente. "I Fouquet gioiellieri e orefici in Parigi". Personalità molto diverse, ma ugualmente appassionate dalla ricerca di nuove forme e di accostamenti insoliti, Alphonse, George e Jean Fouquet hanno avuto un ruolo determinante nella definizione del gioiello moderno: un oggetto d'arte reso prezioso dall'eleganza della lavorazione, dall'originalità delle linee e dello stile, destinato ad accompagnare i mutamenti di gusto della moda femminile.
Le vicende della maison Fouquet cominciarono nel 1838, quando un bambino di dieci anni, Alphonse, quinto di sette figli, venne mandato come apprendista presso un gioielliere di Parigi: in casa ci sarebbe stata una bocca in meno da sfamare. Molti anni più tardi, nei suoi Souvenirs de ma vie industrielle, con una penna asciutta e arguta, Alphonse, nel raccontare la propria storia, lascerà un documento essenziale sulla vita degli apprendisti parigini nell'Ottocento. Legato al proprio padrone per cinque anni e mezzo, l'apprendista lavorava in cambio di un mantenimento sobrio, scandito da pugni e schiaffi. Il tempo era interminabile: «La giornata breve durava dalle sette del mattino all'una di notte; il giorno dopo la giornata lunga andava dalle otto di mattina alle quattro del mattino seguente. Per mangiare c'erano un po' di pane raffermo e due soldi per comprare un pezzetto di formaggio o delle patate fritte». Alphonse Fouquet dedicò addirittura una poesia alla gloria delle patate fritte, sogno irraggiungibile di un ragazzo di dieci anni.

 


Con la rivoluzione il disegnatore diventa poliziotto


Da allora e per sessant'anni ancora, Alphonse lavorò ogni giorno 17 o 18 ore, senza fermarsi neppure alla domenica o nelle altre festività, cercando di impadronirsi di nuove tecniche e di migliorare quelle acquisite. La rivoluzione del '48 trasformò il giovane disegnatore in poliziotto, ma Alphonse non abbandonò il vecchio lavoro e continuò a esercitarsi nel disegno. Nel 1854 poté così entrare nel laboratorio di Jules Chase, gioielliere di grandissima fama. L'anno successivo il proprietario del negozio si consorziò con altri gioiellieri e disegnatori per partecipare al concorso per la corbeille di nozze di Ismail Pascià che prevedeva un diadema realizzato con una quantità di diamanti di ingente valore.
Punto sul vivo per non essere stato interpellato, la vigilia stessa del concorso Alphonse decise di presentare un suo progetto. Lavorò ininterrottamente e in 26 ore fece un lavoro che di norma ne richiedeva 100. Il diadema raffigurava una testa femminile (per mancanza di modelli Alphonse si era ispirato al profilo dell'imperatrice Eugenia) circondata da una profusione di fiori, spighe di grano, tralci di foglie che preannunciavano i caratteri del suo stile successivo. Il modello vinse il concorso e il padrone ricevette una commessa di 100 mila franchi.
"Il mio caro padrone a cui ero molto affezionato", racconta Alphonse, "mi ringraziò con un sorriso e una stretta di mano. E questo fu tutto". Decisamente poco. Alphonse Fouquet pensò allora di mettersi in proprio, associandosi per i primi tempi con un altro giovane disegnatore. Lavorava con accanimento. Per modellare un leone in agguato attorno a una perla scaramazza per una spilla da cravatta, passò un mese allo zoo e al museo di Storia naturale per studiare i leoni dal vero e conoscere la loro conformazione ossea. Il risultato compensò tanta fatica perché il leone "era veramente tale e non una specie di gatto bastardo".
Verso il 1878 la produzione di Alphonse Fouquet aveva ormai assunto un carattere personale e il suo saggio alla Esposizione universale venne molto apprezzato. Erano gioielli ispirati al Rinascimento con forti rilievi e ritratti incastonati in medaglioni realizzati su smalto: spille, chatelains, bracciali con immagini di sfingi, chimere, serpenti. In seguito e fino al 1875 le sue creazioni diventarono pezzi molto lavorati, ma dalle montature leggere: diademi e collane di gusto pompeiano, ornamenti da testa e per abiti, formati da rami di fiori, farfalle e uccelli. Alphonse iniziò l'uso di pietre semipreziose che fu una costante dell'attività dei Fouquet.
Nel 1895, Georges, succeduto al padre, abbandonò lo stile classico-rinascimentale che aveva reso famosa la ditta e, influenzato dall'art nouveau, orientò la sua produzione in altre direzioni. Agli inizi del nuovo secolo, insieme a Lalique e Vever, Georges Fouquet era fra i creatori più importanti. Fautore di un gioiello che riflettesse il gusto e la moda del suo tempo, Georges, con la collaborazione di Charles Derosière come disegnatore, eseguì una grande quantità di spille e di pendenti ispirati alla natura: fiori, insetti, alberi vennero inseriti nelle loro forme naturali o stilizzati in decorazioni inedite, ricche di grazia e di movimento. Per la loro realizzazione utilizzò l'oro e preferì le materie raffinate a quelle preziose: pietre dai riflessi iridescenti, perle dalle forme strane, smalti dalle incrostazioni trasparenti. Nel 1900 iniziò anche la collaborazione con Mucha, e nacquero le composizioni estrose, stravaganti, i gioielli molto teatrali in perfetta armonia con il gusto dell'epoca. Erano grandi spille, placche, fibbie, diademi, simili a quelle che comparivano sulle affiches di Mucha dedicati a Sarah Bernhardt, per la quale l'artista ungherese aveva disegnato un bracciale a serpente realizzato con grande maestria dagli atelier Fouquet. Desideroso di esporre le proprie creazioni in uno scenario adeguato, Georges Fouquet nel 1901 affidò a Mucha la decorazione interna ed esterna del nuovo negozio di Rue Royale, di fronte a Chez Maxim's. La facciata sarebbe stata cambiata nel 1921 secondo i nuovi gusti del proprietario.
Stanco dello stile floreale, Georges si orientò verso forme più strutturate e realizzò alcuni pendantif circolari con pietra centrale. Nel 1910 i balletti russi di Diaghilev rivelarono ai parigini la vitalità dei colori forti e dei contrasti decisi. Anche la gioielleria subì l'incanto dell'Oriente: l'oro e platino non furono più impiegati come semplici materiali di supporto, ma servirono a creare forme geometriche sulle quali si disponevano le pietre.
La guerra rallentò l'attività della maison Fouquet, ma Georges continuò nella ricerca di un suo stile in armonia coi tempi. "Dopo la prima guerra mondiale", scrisse nel 1925 nel rapporto della commissione della gioielleria all'Esposizione universale, "si è tornati all'idea del gioiello come investimento. Ciò richiede montature semplici e invisibili perché tutto il valore si concentra sulla pietra". Questa tendenza non piaceva affatto a Georges Fouquet: "A condizione che la tecnica e la fabbricazione siano perfette, un gioiello da duecento franchi ben concepito è bello quanto un gioiello ben congegnato da due milioni di franchi".

 


Un matrimonio di contrasti fra bianco e nero


In linea con i mutamenti della moda, Georges giocò sui contrasti fra il bianco e il nero usando onici, cristalli, platino e diamanti, studiò anche nuovi accostamenti fra i colori vivaci delle pietre dure. Il matrimonio fra moda e gioiello diventò fondamentale nella filosofia di Georges Fouquet. Nel 1927-'28 presentò le sue creazioni insieme agli abiti di Patou. In quegli anni il gioiello era un'opera d'arte da portare senza troppa solennità ma veniva ancora considerato dai sarti un accessorio, e dagli acquirenti una delle numerose forme di investimento. Con la consueta impertinenza e con l'occhio di chi vede lontano, Coco Chanel non si stancava mai di ripetere alle sue ricche clienti in cerca di stile: «un gioiello serve a rifinire un abito, non a farlo ricco».
Sensibile all'atmosfera artistica del suo tempo, Georges, alla continua ricerca di forme strutturate, si avvale della collaborazione di architetti, di disegnatori e di pittori. Testimoni di queste esperienze sono alcune spille ispirate alle maschere africane e all'arte negra, realizzate in cristallo e smalti di colore, altre spille con grosse pietre disposte secondo uno schema geometrico-cubista e bracciali dal grafismo rigoroso.
Nel 1936, gli effetti della grande depressione portano la maison Fouquet al fallimento. Il negozio fu chiuso ma l'attività proseguì con Jean, figlio di Georges, che aveva cominciato a lavorare nell'azienda di famiglia già dal 1919. Jean impresse ai suoi modelli un tocco risolutamente moderno. Proprio nell'anno nero del crack Jean ricevette dallo Stato una commessa per l'Esposizione internazionale del 1937: da allora l'ultimo dei Fouquet abbandonò la fabbricazione e si dedicò al disegno. Il modernismo costruttivista, tipico dell'attività degli anni '40, si attenuò nel decennio successivo quando nacquero i gioielli a forma di foglia e decorati da delicati smalti, presentati all'Esposizione universale di Bruxelles nel 1958.
I gioielli di Jean mostravano una particolare filosofia: "Un gioiello serve talora a sostenere, chiudere, spillare alcuni elementi della toilette, ma come gioiello deve essere composto da masse leggibili da lontano. La miniatura è detestabile: è impossibile distinguere la gioielleria dall'oreficeria. L'oreficeria in origine comprendeva tutti i lavori su metallo prezioso. Oggetti estetici o pratici, gioielli e pezzi di oreficeria, devono costituire delle opere d'arte rispondenti agli stessi bisogni degli articoli industriali".

 

Alessandra Doratti