GRANDE GUERRA
(1915-1918)
Le origini remote
I. S. Reggio
Chi della grande
guerra italiana ricerca le prime remote origini le trova in quel lungo
dramma di tenace passione e d'indescrivibili sacrifici, che si riassume
in una parola: irredentismo.
La parola è più nuova della cosa ch'essa indica. Fu creata una
quarantina d'anni addietro, quando più amara si sentiva in Italia
l'umiliazione di Lissa, più ardente urgeva il desiderio di riscossa di
Custoza, e nelle terre staccate dalla patria era più febbrile, sotto il
peso dell'esasperata persecuzione, l'ansioso palpito della libertà. Ma
ben più antico è quel cumulo di angoscie e di battaglie, di passione e
di sacrificio, di speranze tante volte deluse e di devozione sempre
inalterata, che la magica parola rievoca con una potenza di sintesi che
nessun'altra parola saprebbe uguagliare. Questa parola, entrata ormai
per sempre nella storia d'Italia, è stata usata in questo libro nel suo
più largo significato. Se per irredentismo, — disse un giorno alla
Camera italiana il triestino Salvatore Barzilai, — s'intende la
solidarietà continua ed attiva con quei popoli che possono essere avulsi
dal nesso politico dello Stato, ma non sono e non possono esserlo dalla
religione delle nostre tradizioni e dei nostri affetti; se per
irredentismo s'intende l'obbligo, la necessità di un appoggio costante
ed attivo a coloro che si vorrebbero cancellare dai registri dello stato
civile d'Europa, dai quadri della nazione italiana, allora si può bene
affermare che questo programma è o dovrebbe essere il programma di tutto
il paese. Questa parola fa rivivere il secolare martirio di terre
nobilissime, che contro ogni ostile evento della storia, contro ogni
rappresaglia dell'implacabile oppressore, tennero viva la fiamma ardente
della loro italianità.
Questa parola evoca pure il cammino lento, difficile, contrastato,
percorso in Italia dalla coscienza pubblica, prima che la causa dei
fratelli soggetti allo straniero fosse finalmente sentita da tutti come
un dovere della ricostituita nazione. Queste due forze operanti ciascuna
per conto proprio — Tuna sempre costante, fidente, nutrita d'abnegazione
e d'entusiasmo, l'altra dapprima incerta, esitante, ma poi gradatamente
cresciuta d'intensità e di diffusione — finirono per fondersi
completamente : e così sorse quell'impeto di volontà efficiente che
condusse l'Italia alla sua grande guerra. Altre cause indubbiamente
concorsero a questo massimo avvenimento della nuova storia d'Italia. Le
molteplici ripercussioni della guerra mondiale, il mutato orientamento,
della politica europea, la prevedibile trasformazione della carta
geografica del mondo, non potevano evidentemente lasciare indifferente
l'Italia : e forse l'avrebbero comunque spinta a partecipare al grande
conflitto. Ma il tempo e il modo della partecipazione, gli obbiettivi
che l'Italia si prefisse scendendo in campo, furono in primo luogo
determinati dal problema dell'irredentismo, che si presentava finalmente
maturo, improrogabile, alla coscienza della nazione. Roma antica aveva
riconosciuto nelle Alpi la guarentigia della propria incolumità. A
ventìcinque secoli di distanza, la terza Italia doveva raccogliere
quell'ammaestramento e rinnovare l'avita difesa. Ma all'infuori delle
ragioni militari, parlava alto il legame del comune pensiero, del
linguaggio comune, che stringeva quei rami divelti al gran tronco
italico : tutto un mondo d'affetti possenti e di purissimi ideali
rinasceva e rifioriva per virtù d'un esempio senza pari di fedeltà alla
propria storia, di fede nei propri destini. Di secolo in secolo, gli
abitatori delle terre ancora irredente avevano tramandato ai loro figli
il retaggio della indistruttibile latinità. Dagli albori del Medio Evo,
quando al plàcito del Risano era stato fatto il gran rifiuto di piegarsi
all'idioma straniero, l'anima di quelle popolazioni era restata uguale.
E quando i fati d'Italia ebbero un primo compimento, in attesa delle
rivendicazioni supreme, da Trieste e da Gorizia, da Trento e da Fiume,
dall'Istria e dalla Dalmazia erano accorsi i volontari a mescolare il
loro sangue al sangue dei fratelli sparso per l'indipendenza italiana.
Sui campi di battaglia e sui patiboli austriaci, gli irredenti avevano
compiuto il loro dovere. Quelli che restarono nelle loro terre subirono
senza piegare le persecuzioni; quelli che emigrarono nel Regno diedero
alla terza Italia deputati e senatori, uomini di penna e di scienza : ed
ebbero il conforto altissimo d'aver dato alla patria, nell'ora delle
grandi decisioni, il suo ministro della guerra, come le avevano dato con
Niccolò Tommaseo un maestro del nostro idioma e con Giovanni Prati un
ispirato cantore della nostra libertà. Le terre illustrate dagli
immortali monumenti di Roma e di Venezia; le antiche vie ove furono
impresse le orme delle vittoriose legioni; i mari solcati un giorno
dalle trionfanti galee di San Marco: tutto un mondo segnato col superbo
suggello dell'italianità risorse davanti al limitare della nuova storia.
E la famiglia italica d'oltre confine, il popolo dalle pazienti attese e
dai leonini ruggiti, fu scosso da un palpito supremo mentre la voce del
destino diceva : è giunta la tua ora....
I
L'USURPAZIONE
AUSTRIACA
Il proclama del
Commissario imperiale — La relazione al governo di Parigi — Un dispaccio
dell'incaricato d'affari sardo — La confutazione veneta — Protesta di
Venezia ai governi europei — Le città di terraferma — La richiesta di
Verona — Manifestazione plebiscitaria — Il popolo istriano contro i
fautori dell'Austria — Un rapporto segreto — Il memoriale d'un ministro
VENETO — Il deputato di Milano insorge — Il destino si compie.
____________________
L'inizio del dominio
austriaco in Istria è un caratteristico esempio di quello spirito
d'usurpazione che fu sempre una delle particolarità più spiccate della
politica dell'Austria. Importa stabilire quei fatti nella loro verità
storica per dimostrare la nullità dei diritti che l'Austria vanta
sull'opposta riva adriatica. Nel giugno del 1797 le truppe
austriache entravano nell'Istria e l'occupavano col solito pretesto che
in ogni tempo fu allegato per giustificar le invasioni: il
ristabilimento dell'ordine.
Il Conte Raimondo di Thurn Hoffer e Valsassina, Commissario imperiale,
emanava a Capodistria questo proclama :
« Avendo il funesto sconvolgimento, che uno spirito di disorganizzazione
totale produce in questi momenti nelle diverse parti dello Stato veneto,
giustamente eccitata l'attenzione di Sua Maestà Imperiale Reale
Apostolica, la suddetta Maestà Sua, sollecita di assicurare a' suoi
sudditi la tranquillità, col mantenere il buon ordine nelle vicine
Provincie, avrebbe creduto mancare agli impulsi delle paterne sue
premure, se differisse più lungo tempo a prendere per sì importante
oggetto le misure le più opportune nelle circostanze attuali; quindi per
preservare la Provincia d'Istria da' tristi effetti della totale
sovversione, che ha già fatti tanti progressi nel resto degli Stati
veneti, come pure per conservarvi gli antichi suoi incontestabili
diritti, non ha creduto potersi dispensare di farvi avanzare le sue
truppe. Gli abitanti di questa provincia ravviseranno certamente
nell'ingresso delle truppe austriache un motivo di riconoscenza a Sua
Maestà Imperiale Reale Apostolica, alla di cui vigilanza divengono
debitori della continuazione di loro tranquillità nell'uso inviolato
delle loro proprietà; quindi spera Sua Maestà, che ogni abitante si farà
un dovere di cooperare, per quanto gli spetta, al mantenimento del buon
ordine, con che riceverà ciascheduno dalla parte delle truppe imperiali
la protezione la più efficace nei suoi beni e nella sua persona; mentre
incorrerebbe irremissibilmente i più severi castighi chiunque osasse in
qualunque siasi modo opporsi alle misure benefiche di detta Maestà Sua.
»
Il dado era tratto : e l'Austria aveva così fondato i suoi cosidetti
diritti storici.
Gli allarmi e le proteste si levarono da tutte le parti. Il
rappresentante francese a Venezia, Lallement, inviò al governo di Parigi
un diffuso rapporto sull'invasione austriaca, rilevandone tutta la
gravità. L'incaricato d'affari del Re di Sardegna mandò a Torino un
dispaccio, in cui era detto che gli austriaci entrati nell'Istria erano
seimila e che si parlava di una prossima invasione della Dalmazia
veneta. « È certissimo — soggiungeva il dispaccio — che Venezia non
lascerà cosa alcuna d'intentato per impegnar la Francia a secondare i
suoi sforzi per il ricupero di tali Provincie, le quali le sono di
grandissimo vantaggio, per l'abbondanza del vino e dell'oglio, e, quel
che più importa, per il legname da costruzione, che le si rende sì
necessario. La Francia senza dubbio non sarà restia a prestarle ogni
assistenza e soccorso, tanto più che questo ridonda in vantaggio comune,
sìper i comuni interessi, ora che Venezia è democratizzata, sì per i
mezzi che si tolgono d'ingrandimento al naturale nemico. Siccome quelle
provincie danno sudditi assai bellicosi, marinari li più esperti, e
porti eccellenti e opportuni, con cui potrebbe Casa d'Austria, nello
spazio di pochi anni, metter in piede una sufficiente marina e vieppiù
aumentandola dominar nell'Adriatico, influir moltissimo nel Levante e
ivi pregiudicar d'assai il commercio francese, quindi è che si spera
molto, che fra breve ritorneranno le suddette provincie allo Stato
Veneto, se per altro i Francesi non deluderanno la lusinga, che in essi
si ha riposta, la quale fra pochi giorni si chiarirà. » Fin da allora,
come si vede, traspariva quello che poi fu sempre uno dei precipui
obbiettivi dell'Austria: il dominio dell'Adriatico.
A Venezia
l'impressione fu profonda: e subito fu pubblicata una diffusa
confutazione del proclama austriaco.
In quel documento erano questi passi :
« Quel supposto sconvolgimento, prodotto nelle diverse parti dello Stato
Veneto (e perchè non in tutto lo Stato, reso intieramente libero almen
quanto all'Italia prima delli 10 di giugno?), scuote l'animo del pietoso
despota del Danubio (un tiranno può egli esser pietoso, se non per
finzione?), eccita la di lui attenzione (è egli dunque l'ispettore del
globo?) giacché si dice sollecito di assicurare alli suoi sudditi la
tranquillità col mantener il buon ordine nelle vicine provincie. Queste
sono le paterne di lui premure, questo è l'importante oggetto, che non
gli dà luogo a differire di prender le misure opportune nelle
circostanze attuali. « Ma qual diritto ha il despota primo della
Germania di mischiarsi nella forma del veneto governo, o di qualunque
governo costituito o da costituirsi nelle provincie a lui vicine? Qual
diritto di assicurare ai propri sudditi la tranquillità con dispendio
della tranquillità altrui? Cos'è che ha eccitato la di lui attenzione,
che ha scosso il di lui animo? Forse qualche tumulto ai confini, il
timore di qualche vicina guerra, di qualche irruzione?
« Niente di tutto questo: egli era avvicinato dai popoli più umani e più
tranquilli; la libertà sola, la santa libertà rinascente su queste
contrade lo ha allarmato, scosso, agitato, convulso, e lo ha portato
alle più violente risoluzioni. È dunque tanto terribile agli occhi tuoi,
o tiranno, questa preziosa libertà? Ma qual diritto hai tu di turbarla,
di arrestarla entro un confine, di assediarla?dov'è mai, ch'essa turbi
la tranquillità, perchè tu abbi a temere che questa sia alterata nelle
Provincie che ancora ti soffrono? Dunque noi pure, uomini liberi,
potremmo sotto pretesto di mantener il buon ordine assediare in casa sua
il dispotismo, o anche andare a tormentarlo per assicurare la
tranquillità? Dunque è la libertà che alla tranquillità si oppone? Il
veggo, o tiranno, questa ti fa tremare, questa ti fa impallidire sul
trono; e la tranquillità tua diviene per te il tipo e la misura della
pubblica.
« Ma perchè questo Imperatore sì sollecito trattò egli di pace co'
Francesi, che hanno radicato la libertà sopra una linea immensa di
confine coi di lui Stati? Come mai è la sola libertà Veneta la
sovvertitrice dell'ordine, la nemica della tranquillità, l'importante
oggetto delle sue cure? Que' poveri popoli rigenerati ai di lui confini
hanno forse brigato, hanno forse attentato ai di luì diritti, o
all'ordine politico delle vicine Provincie? Qual bisogno adunque di
prender delle misure? Qual differenza dalle circostanze passate alle
presenti per quanto sia confinazione, relazioni sociali, natura di
situazione, e cose simili? Se tutti i despoti, che avvicinano qualche
governo libero, avessero ad occuparsi di frenare, di arrestare entro i
suoi termini la libertà, vi sarebbe una perpetua guerra tra i governi
liberi, ed i dispotici. Ma l'Austria da tempo immemorabile è la più
timida, è la più angosciosa d'ogn'altra monarchia in faccia alla
Libertà. Sarebbe mai in oggi un presentimento segreto d'esser la prima a
soccombere?
« Quindi per preservare la Provincia d' Istria da tristi
effetti della totale sovversione (replicata), che ha già fatti tanti
progressi (e perchè non ultimate le sue incombenze?) nel resto degli
Stati veneti, come pure per conservarvi gli antichi suoi incontestabili
diritti, non ha creduto potersi dispensare di farvi avanzare le sue
truppe.
Tre velenose
espressioni degne di rimarco e di censura sono a vedersi in questa breve
enunciativa. Per preservare la provincia d'Istria: e perchè gettar gli
occhi sull'Istria? forse perchè è il monarca dell'Istro? Ma gli eruditi
avrebbergli insegnato, che il Danubio, conosciuto fin da' tempi degli
argonauti, non aprì mai la via all'Ionio, e che l'Istria fu detta da un
fiume nazionale, chiamato Istro esso pure. Non le provincie Venete più
intersecate colle sue, non le più vicine alla sede del suo impero, non
le più ricche, o popolose, hanno eccitato le paterne sue premure (ed un
despota osa chiamarsi col nome di padre?), ma l'Istria sola, la montuosa
Istria, l'Istria cui bagna il piede e per lungo tratto abbraccia e cinge
il Mar Adriatico.
« Diffidate, o Veneti liberi, di queste cure paterne; diffidate di
queste sollecitudini per un affare, che in fondo è tutto d'opinione. E
qual diritto o ragione d'invadere piuttosto l'Istria, che qualunque
altro territorio? « Ne assegnano forse una ragione falsissima le parole
che seguono immediatamente : per conservarvi gli antichi suoi
incontestabili diritti. Non è dunque il solo zelo di arrestare il
torrente dell'opinione, non è la sola esclusione della libertà, che
muovono il despota dell'Austria a questa occupazione; entrano in campo
le sognate di lui pretese, quelle pretese, che non trovò bene per il
corso di tanti anni di far valere, o anche sol di produrre. Vorrebbe
forse richiamare i rancidi titoli dei conti dell'Istria, per cui
potrebbe la mania dispotica estendersi ad altri paesi fortunatamente
liberi? Vorrebbe richiamare i già spenti titoli, derivanti dalle
usurpazioni dei Patriarchi d'Aquileja? Vorrebbe egli impugnare in oggi
le conquiste dei Veneti, che rispettò sì lungo tempo? È noto, che nel
secolo passato uscì in Germania un grosso volume in-4° : Dei diritti
dell'Imperatore sull'Istria.
« Non per questo
cercò mai di farli rivìvere, non per questo suppose mai l'Austria un sol
momento, che quei diritti fossero incontestabili. La confutazione di
quel volume, fondato tutto sulla base insussistente dei diritti trasfusi
dai Patriarchi d'Aquileja, che si potrebbero impugnare nel loro
principio, vai a dire nell'essenza e nella loro modificazione, vai a
dire nel trapasso, mostrando il primo illegittimo, perchè
appoggiato a carte e diplomi falsi decisamente; il secondo ingiusto,
perchè appoggiato alla sola pretestata usurpazione; la confutazione,
dissi, di quel volume, ove a torto e diritto sono accozzati bestialmente
migliaia di passi di pubblicisti, che in oggi non contano un zero, non è
né di questo tempo, né molto meno di questo scritto. Basti solo l'aver
accennato, ch'ei poggia sul falso, e che si confuterà pienamente, e ad
abbondanza, quando si
propongano altri modi di pretesa, che quelli dell'armi. » Più oltre la
confutazione diceva :
« L'Istria è di una incalcolabile importanza per l'interesse, per la
grandezza, per la gloria della Veneta Nazione. Ricca di utili prodotti,
ed atta a fruttificare maggiormente con una migliorata coltivazione,
essa offre un genere necessario alla consumazione nelle sue saline, un
elemento necessario alla marina ne' suoi legnami di costruzione, un
sostegno al commercio ed alla narvigazione ne' suoi porti comodissimi, e
più ancora una copia di ottimi marinai. Quanti positivi vantaggi essa
offre per questo lato, altrettanti principi di scapito e di rovina essa
darebbe a travedere nel dubbio che vi si stabilisse il despota invasore.
« Privazione di prodotti essenziali, privazione di porti, distruzion del
commercio, abolizione di forza armata sul mare, diminuzione
rilevantissima di forze interne, impossibilità di mantenere lontani
stabilimenti, prospettiva di nuove perdite : queste sarebber le
conseguenze luttuosissime, e non sarebbero ancora che una parte di
quanto avrebbe in quel caso a temersi. »
Il documento chiudeva con queste fiere parole, rivolte a tutti i veneti
:
« Soffrirete voi che i vostri fratelli dell'Istria, che aveano già
cominciato a fraternizzare con voi, porgano la mano ad infami catene?
Soffrirete ch'essi cedano al Tiranno, o se alcun di loro l'avesse anche
invitato, non ne giurerete vendetta? Questa è la pietra di paragone
della vostra energia, del vostro coraggio, del vostro spirito
patriottico. Unitevi in buon numero ai vostri liberatori; andate a
scacciar 1' invasore; allontanatelo per sempre dai vostri confini. Vegga
egli nel contegno vostro bellicoso, che mal si attenta ai diritti di un
Popolo, che ha riacquistato l'indipendenza; veggano i Francesi, che voi
non siete punto indegni della libertà, che vi hanno sì generosamente
donata. »
L'incaricato d'affari sardo tornò alla carica; in un altro dispaccio
inviato al suo governo poneva in rilievo gli effetti che la a rovinosa
perdita dell'Istria e di una parte della Dalmazia » avevano per Venezia.
Poi proseguiva in questi termini :
« La Provincia dell'Istria ha parecchi porti di rimarco, e benché la sua
popolazione sia limitata a 110 mila uomini circa, li quattro quinti dei
marinai della Veneta marina, tanto pubblica che privata, sono Istriani;
di più essa è generosamente abbondante di legnami da costruzione; i suoi
prodotti principali sono sale, vino, oglio, castrati e anco legne da
fuoco; generi che concorrevano al bisogno della Dominante. La quale non
sarà mai vero, che altrove riparar possa principalmente ai due
essenzialissimi oggetti, che viene a perdere per il distacco
dell'Istria, quelli cioè del legname da costruzione e dei marinari.
Massima è dunque la perdita dell'Istria per li Veneziani, all'incontro
di beneficio incalcolabile è la medesima in tutti i rapporti per Casa
d'Austria, che ha genio, forza, e mezzi di trarne il più gran profìtto.
Si sta ora con ansietà aspettando dal tempo le occasioni per poter
prendere le determinazioni opportune, tanto contro l' Istria, che contro
la Dalmazia...
« All'annunzio che Bonaparte ebbe dell'invasione dell'Istria, fatta
dagli Austriaci, e dell'imminente della Dalmazia, chiamò a se due
deputati da Udine, i quali sono tosto partiti e saranno a quest'ora di
già a Milano.
Se ne ignora il fine. Ha consigliato inoltre che questa Municipalità
formi un manifesto, in cui protesti contro l'usurpazione Austriaca, lo
comunichi a tutte le Corti, e principalmente alla Porta, appresso la
quale sarà vivamente appoggiato da quel Ministro Francese cittadino
Dubayet, osservandole il gravissimo danno che a lei ne viene, e di
spedire pure persona a Parigi per rappresentare tai fatti al Direttorio,
e maggiormente interessarlo a favore dei Veneziani, e proporgli quindi
l'alleanza.
« Tutto è già disposto. Il generale di brigata cittadino Rocco Sanfermo,
già Ministro Veneto presso la R. nostra Corte, fu eletto per Parigi ed è
partito ieri l'altro per rendersi alla sua destinazione. Tali
suggerimenti del Generale in Capo smentiscono pienamente la voce corsa,
che la Corte Imperiale, per la rinuncia fatta della Lombardia, avrebbe
avuto in compenso l'Istria e la Dalmazia Veneta, come se le era promesso
nei preliminari di Leoben in un articolo secreto... »
Il Governo provvisorio di Venezia mandò a tutti i Governi d'Europa
questa protesta :
« Mentre il Governo Provvisorio di Venezia, fedele ai sacri doveri che,
nell'intraprendere la confidatagli amministrazione, ha giurati in faccia
all'Europa, rende comune ai popoli tutti che fanno parte integrale della
Veneta nazione, i dolci effettì di quella rigenerazione politica, che
uno spontaneo voto di chi sosteneva l'antico governo ha solennemente
pronunziato, e fu già comunicato ai ministri delle potenze amiche
residenti in Venezia; mentre a questo solo oggetto rivolte le cure sue e
i pensieri, viver doveva tranquillo che la sua moderata condotta, le
mire sue di coltivare la buona amicizia e vigilanza coi limitrofi,
avesse a confermare li medesimi in quei sentimenti di franca
corrispondenza, che da epoca rimota, ed a fronte di aspre vicissitudini,
ha così felicemente resa costante l'armonia tra le rispettive nazioni,
fu ben vivo il suo dolore, e somma la sorpresa, nel conoscere che le
provincie dell'Istria e della Dalmazia sieno state repentinamente invase
ed occupate dalle armi austriache in tempo che spoglie di truppe, e
tranquille riposando all'ombra della buona fede e dei trattati, stavano
assai vicino a cogliere il frutto delle ultime disposizioni prese tra il
passato ed il nuovo governo in Venezia, alla quale città, fino da quei
tempi nei quali la Costituzione Veneta non reggevasi che con principii e
forme democratiche, vivevano esse Provincie unite.
« Un atto così inatteso per parte di una Potenza amica, e verificato
contemporaneamente alla pubblicazione del manifesto, annunziante la
necessità di farvi entrare le sue truppe, onde assicurare ai propri
sudditi la tranquillità col mantenere il buon ordine nelle vicine
Provincie, preservare l'Istria dai tristi effetti di asserita totale
sovversione, e conservarvi gli antichi suoi diritti, non può concedere
che un popolo libero, ne il Governo Provvisorio che lo rappresenta, si
mantengano più oltre in silenzio.
« Incontendibile il veneto diritto sui luoghi occupati; il diritto, che
la legittimità di ben antico possesso, confuso or mai nella caligine dei
tempi più rimoti, riconosciuto e sancito da molteplici trattati, ha
consacrato in faccia l'Europa tutta, se mal fondato lasciò apparire
l'appoggio che ama di darsi alle armi di Cesare per conservare a se
stesso ciò che ad altri appartiene, non è niente meno inattendibile la
supposizione che si vorrebbe far valere, che possano per la nuova forma
di governo arrivare giammai in sua colpa cose turbative della quiete dei
confinanti.
« La Veneta Nazione non si scosterà giammai da quello spirito di equità
e di giustizia, che forma la base di un Democratico Governo; ella non
pensa, né pretende, che i popoli ad essa limitrofi sieguano il suo
esempio; vuole consolidare la propria felicità, a questo solo aspira.
« Ma quanto temperate sieno le sue direzioni, le sue mire, ella non può
guardare con indifferenza che si tenti di smembrare dalla sua unione
porzione dei suoi legittimi fratelli, volonterosamente poi anche accorsi
sin dai primi momenti a partecipare del comun bene; né le nazioni, con
le quali tiene comune la causa della libertà, potranno tranquillamente
vedere impedita una popolazione di riprendere quei diritti che,
restituitigli dal governo cui apparteneva, la natura e le leggi sociali
imprescrittibilmente gli accordano, e spettatrici oziose attendere, che,
tolti i mezzi della sussistenza al veneto arsenale e alla sua marina,
sia trasfusa ad una formidabile potenza la principal forza d'Italia, la
tutela della sua navigazione, del commercio, dei mari del Levante.
« Dovute queste dichiarazioni in faccia all'Europa, il Governo
Provvisorio di Venezia, mentre ampiamente protesta contro la occupazione
fatta dalle truppe austriache dei luoghi dell'Istria e della Dalmazia, e
contra quegli atti tutti, che per parte dei comandanti le truppe stesse
si fossero tentati, o venir lo potessero in offesa degl'interessi e dei
sacri diritti della veneta nazione, non può a meno di coltivare una
piena fiducia che l'equità dell'imperial Maestà Sua, verso la qual non
si è mai dipartito dall'esercitar quel maggior riguardo che le professa,
assicurata com'è dalle leali venete intenzioni, vorrà metter un giusto
limite al zelo de' suoi generali, e facendo rientrare le sue truppe
nelle proprie Provincie, dar anche nel caso di cui si tratta, una prova
luminosa della sua rettitudine, e far conoscere che, guidate le sue
direzioni dalla giustizia, ella non sa mancare a sé stessa, né a quella
buona armonia che la Veneta Nazione vivamente desidera sia durabile e
costante. »
Giovanni
Prati
La municipalità di Venezia invitò poi le città della terraferma a
concorrere alle proteste contro la occupazione dell'Istria e della
Dalmazia, dichiarandola fatale alla libertà di tutti i popoli d'Italia.
In quell'invito era detto :
« L'Istria e la Dalmazia sono perdute per voi, e per noi. Queste
Provincie sarebbero restate unite alla nazione, la loro separazione é
fatale, principalmente alla nostra Repubblica, ma generalmente a tutta
l'Italia. Non abbandoniamo i grandi oggetti della ricupera e
dell'unione.
Mandate anche voi deputati a Milano, a cooperare col nostro ministro
plenipotenziario al grande oggetto. « Voi vedete la ingenuità della
nostra procedura, necessaria in questa situazione provvisoria di cose.
La ratifica del trattato che si attende dalla Repubblica francese
toglierà ogni ostacolo alla vostra riunione. Se anche prima avesse
potuto aver luogo un'amministrazione centrale di tutta la nazione,
questa avrebbe assunta la rappresentazione nazionale, avremmo deposto
nelle sue mani il governo provvisorio, questi avrebbe eletto il ministro
della Repubblica francese, il ministro al Congresso, i ministri alle
Corti, per sostenere la nostra comune esistenza e i nostri comuni
diritti. Se ciò potesse farsi anche in presente, siamo prontissimi a
tutto questo; ma se ciò non può farsi, l'urgenza delle circostanze è
imperiosa. « Mandate i vostri deputati a Milano, cooperate al ben comune
a voi, a noi, a tutt'i popoli liberi dell'Italia. »
La Municipalità di Verona, a sua volta, chiese l'unione diretta
dell'Istria e della Dalmazia alla Repubblica Cisalpina.
E l'incaricato d'affari del Re di Sardegna a Venezia scriveva ancora al
suo governo.
« Questa Municipalità provvisoria si è, come dissi, decisa d'unirsi con
qualunque popolo libero dell'Italia in una sola Repubblica Democratica,
una e indivisibile, con protesta di voler o la libertà democratica o la
morte, e non avere pretesa alcuna di dominazione, di primazia o di
centralità. Essa non aspira che ad essere col suo particolar territorio,
che è il Dogado, un Dipartimento della Repubblica eguale agli altri,
pronta si mostra di riconoscere quella sede centrale che verrà eletta
dal Governo, ed invita tutti i popoli liberi dell'Italia a concorrere al
ricupero dell'Istria e della Dalmazia, perdita fatale alla libertà
italiana, e alla marina e al commercio non solo di questa città, ma di
tutta la Nazione. Questa solenne determinazione è stata pubblicata colla
stampa, dopo che il cittadino Villetard, partito da qui domenica scorsa,
ne ha portato l'originale al Generalissimo Bonaparte, e se n'è spedito
un esemplare alle Municipalità tutte delle città e territorii della
Veneta Nazione.
« Per dare poi maggiore solennità al suo espresso atto, ha ordinato la
Municipalità che alcuni cittadini eletti andassero di casa in casa a
ricercare a ciaschedun capo di famiglia se concorreva liberamente a
prestare la sua approvazione al portato dal sumenzionato proclama,
ritirando le soscrizioni dei propensi, che sono nella più gran parte di
questi cittadini. I fogli sottoscritti furono consegnati al Comitato di
salute pubblica, esattamente trascritti ed uniti in un libro,
autenticato da quattro notari pubblici, e spedito con un Municipale al
Generale in Capo; indi sarà desso presentato al Direttorio Esecutivo, e
comunicato in copia a qualunque popolo libero d'Italia ».
Intanto in Istria e Dalmazia il malcontento si manifestava vivissimo. Il
popolo insorgeva contro certi nobili, sospetti di simpatie per
l'Austria. Un rapporto segreto, conservato all'Archivio di Stato di
Venezia, dice :
« Rapporto all'Istria consta da varie deposizioni giurate che quasi
tutti li popoli di quelle Città hanno dimostrato tutto il genio per la
nuova forma di governo adottato in Venezia, e volevano democratizzarsi;
ma che li nobili, particolarmente di Capodistria, Parenzo e Pola,
possano aver avuto qualche intelligenza cogli austriaci per un contrario
effetto.
« Su tal particolare viene indiziato per sospetto il nobile Carli di
Capodistria, avente delle relazioni di parentela con un altro Carli
stanziante in Trieste. E così pure si pensa delli due nobili di Parenzo
per essersi in tali circostanze portati in Trieste ove contano delle
relazioni materne, tanto più che ritornati al loro paese eccitarono
pubblicamente tutti quelli che portavano coccarde tricolorate, a
dimetterle...
« Pochi sconcerti
sono accaduti in quella provincia ove le popolazioni, tergiversate prima
dalla nobiltà, hanno dovuto poi cedere alla forza delle Armi Imperiali
che improvvisamente invasero l'Istria, il Quarnaro e la Dalmazia.
« Nella terra d'Isola fu dal Popolo interdetto quell'ex Rappresentante
per essersi dimostrato di genio Austriaco. Ed in alcuni altri luoghi si
sono solamente verificate delle semplici tumultuazioni popolari.
« Anche nelle Isole del Quarnaro si rileva che a un dipresso li medesimi
sentimenti vi fossero e le stesse diverse tendenze, a causa delle quali
certo Antonio Bernardin Petris, nobile di Cherso, restò gravemente
ferito dal popolo nel giorno dell'arrivo a quella parte dell'armata
austriaca cui non hanno voluto assoggettarsi se prima non mandavano
espressamente (come fecero) una barca a Zara, per dipendere
dall'autorità di quell'ex Proconsole Querini, dal quale si dice ebbero
in risposta che nulla potendo far loro, conveniva rassegnarsi al
destino; mandato però avendo una pubblica lettera a quell'ex
Rappresentante, di cui s'ignora il nome. »
Il Botta, nella sua raccolta della corrispondenza di Bonaparte col
governo francese, ha questa nota dei plenipotenziari francesi agli
austriaci :
« Se i sottoscritti Plenipotenziari della Repubblica Francese sono stati
sorpresi di veder le truppe di S. M. Imperiale e Reale impadronirsi —
contro il tenore de' preliminari di Leoben e prima della conchiusione
definitiva — dell'Istria e della Dalmazia, essi non possono dissimulare
che la loro sorpresa è stata estrema quando sono stati informati che
queste stesse truppe hanno preso possesso della Repubblica di Ragusi. »
La sorte di quelle terre volgeva incerta : e l'incaricato d'affari sardo
scriveva a Torino :
« ...Sempre maggior fondamento parmi d'avere per confermarmi nell'idea
che la Francia sia per unire ai suoi Dipartimenti anco quello del
Levante, di cui deve fare il più gran conto, sia che resti, o no,
all'Imperatore l'Istria, la Dalmazia e l'Albania Venete; al qual
proposito ho l'onore d'osservarle che cresce la lusinga che dette
Provincie non resteranno tutte sotto il Dominio Austriaco, quantunque si
sappia da buona fonte che il generale Ruccavina sia entrato colla sua
truppa a Cattaro, e che la Nazione Ungarese sia al possibile interessata
a mantenere a Casa d'Austria la Dalmazia Veneta, mercè i di cui porti
può certamente 1'Ungheria compromettersi la maggior floridezza...
« Li Veneziani sperano che la Spagna e la Porta protesteranno contro la
invasione dell'Imperatore. »
Il generale Sanfermo, ministro di Venezia, inviò al Ministro delle
Relazioni Esteriori della Repubblica francese una memoria in cui
trattava a fondo la questione, allargandola a tutte le ingerenze
austriache in Italia.
« Per la sua gloria non meno che per il suo vantaggio — era scritto
nella memoria — conviene alla Francia preservare questa bella parte
d'Europa nella sua integrità; impedire per sempre che la Casa d'Austria
possa penetrarvi, e valersi delle sue ricchezze per sostenere le guerre,
che da epoche lontane hanno turbata la tranquillità del continente; né
l'uno ne l'altro di questi due grandi oggetti potrebbonsi sperare senza
l'unione. Due o tre Repubbliche, che si pensasse giammai di conformare
ne' Paesi rigenerati, un sistema federativo che si cercasse
d'introdurre, lo prova la storia, lo dimostra il genio nazionale, non
valerebbero che a rinnovare gli antichi ben tristi esempi di fatale
rivalità, da cui gli aristocrati non lascerebbero al certo di trarne
partito. Di più: quale speranza sorger mai potrebbe, che Provincie
isolate, necessariamente poco fra esse d'accordo, e forse dai nemici
della libertà ridotte rispettivamente nemiche, resister potessero agli
attacchi improvvisi delle Potenze che la circondano e tengono sede nello
stesso suo seno?
« Messa l'Italia all'ombra dell'influenza della nazione francese,
sarebbe indispensabile, qualora disunita fosse nella porzione
rigenerata, che v'intrattenesse numerose armate per sua difesa e per
comprimere l'ambizione ed i faziosi; o che abbandonandola della sua
benefica assistenza, restasse in preda all'anarchia ed ai rischi
evidenti di una invasione straniera che l'asservirebbe di nuovo...
« Egli è infinitamente importante che l'Istria, che la Dalmazia, così
repentinamente, senza verun diritto o pretesto occupate da Cesare,
restino congiunte agli Stati liberi d'Italia. Su questo gravissimo
argomento, sul quale non fu fino ad ora concesso che di fare una
semplice protesta e prendere delle assai deboli misure, egli è dovere di
mio ufficio. Cittadino Ministro, di sottoporre ai vostri saggi riflessi
alcune osservazioni le quali mentre interessano la mia patria e gli
altri popoli cui è suo voto di essere unita, non lasciano di meritare
per parte vostra la più matura considerazione. Il vantaggio della
Nazione Francese, gli suoi oggetti di commercio, li politici stessi
imperiosamente domandano la vostra attenzione. L'Istria e la Dalmazia,
comprese le terre dell'Albania appartenenti ai veneziani, può contarsi
ch'estendano il lungo loro littorale per oltre 170 Leghe sopra 18 circa
di larghezza, ed in molti luoghi assai più ancora. La popolazione
dell'Istria ammonterà ad oltre 150.000 anime, e ad altre 300.000 quella
della Dalmazia e terre dell'Albania, ben capaci di sostenere due terzi
di più.
« Il suolo è felice, abbonda di miniere, di pasture, di fiumi, di
boschi, di grani e di oglio; la pesca delle sardelle e de' sgombri è già
conosciuta; le sue genti sono armigere ed ottimi marinai. L'Istria è
parimenti felice per eguali prodotti, e preziosa poi per i molteplici
suoi porti, e per gli abbondanti legnami da costruzione, singolarmente
stortami, i soli può dirsi dell'Italia, e de' quali veniva fornito
l'arsenale di Venezia. Li suoi abitanti sono eglino pure eccellenti
marinai. Possessore qualor fosse Cesare di queste due provincie, egli
vedrebbe tutte di un colpo soddisfatte le mire che il suo Gabinetto ha
da secoli inutilmente coltivate per condursi a figurare sui mari.
« I tentativi ad
Ostenda, quelli a Fiume, a Trieste, gli sforzi che Giuseppe II ha fatti
per ottenere una picciola porzione soltanto, un porto nell'Istria,
offrendo in cambio ai Veneti i suoi Stati del Friuli, lo provano
abbastanza. Le perdite, ch'egli soffrirà nel Belgio e nell'Alemagna,
troverebbero un ben abbondante compenso nel elevarsi tutto d'un colpo a
grado di Potenza Marittima. L'Istria gli offrirebbe porti eccellenti e
capaci delle più gran flotte, boschi preziosi per costruire de'
vascelli; e dessa e la Dalmazia e l'isole adiacenti, una copia
abbondante di marinai. Quindi padrone del Golfo, tutta l'Albania e le
terre ottomane che bagnano l'Adriatico sino all'imboccatura del Canale
di Corfù, sarebbero precarie nel loro commercio e nella loro esistenza.
Ragusi diverrebbe preda necessaria della Casa d'Austria.
« Agevolate, com'ella necessariamente non tarderebbe di procurarlo, le
terrestri comunicazioni cogli Stati suoi ereditari, delle quali ne ha
tracciate le strade, protetto il mare da una squadra, il commercio
dell'Italia sarebbe distrutto, e rese inutili ad essa l'imboccature de'
suoi fiumi nell'Adriatico. Sarebbero gli Austriaci sostituiti nel
commercio che attualmente fanno gl'Italiani nel Levante, e quello stesso
francese correrebbe rischio di molto. Sono noti già gli avvantaggi che
il trattato di Sistow e quello d'Jassi accordano alla Casa d'Austria nel
Mar Nero.
« Li prodotti dell'Ungheria vi troverebbero uno smercio costante: li
suoi pesci salati, li cuoj fra gli altri. Non gli manca per questo che
una marina mercantile. Gli ogli dell'Istria e della Dalmazia
fornirebbero la materia più essenziale alla fabbrica de' saponi. Le
raffinerie de' zuccheri a Fiume sarebbero spinte al più alto grado di
floridezza; le immense pasture nella Dalmazia somministrerebbero in
abbondanza le lane alla erezione di differenti manifatture. Le miniere
di tante spezie, di zolfo, di ferro, nuovi rami al commercio, e di
ricchezza ai suoi arsenali. Se Trieste, se Fiume, due piccioli punti cui
la natura ha negate le opportunità necessarie al commercio, recano già
massimi danni a quello dell'Italia, cosa potrebbe attendersi, padrona
che fosse l'Austria di un littorale di 175 Leghe di estensione? Il
commercio di Marsiglia sarebbe egli egualmente che in oggi felice nel
Mediterraneo e nei mari ottomani? Le manifatture del Mezzogiorno della
Francia avrebbero lo stesso smercio che in oggi? La prosperità della
nazione francese in tanti rami d'industria sarebbe la stessa? Non tocca
a me il deciderlo. Venezia, questa sede di un'antica repubblica,
soggiorno delle belle arti, perirebbe nella miseria. E chi in questo
caso potrebbe assicurare che gli sforzi dei nemici della libertà, che
Cesare avido di dominio e di gloria, non rendessero vane le cure dei
patrioti? Chi potrebbe garantire, che animato lo stuolo degli
Aristocrati dalla disperazione, sostenuto dagl'intrighi, non
abbandonassero Venezia medesima al dispotismo austriaco, e la libertà
con essa dell'Italia? Ott'ore soltanto di tempo bastano a far sbarcare
dall'Istria sui suoi lidi un'armata, e sorprendere la sua tranquillità.
Quest'Istria, che al momento stesso dell'abdicazione della Sovranità per
parte dell'Aristocrazia, ha manifestato il più grande attaccamento alla
causa della libertà. Senza l'Istria, essa non solo, ma l'Italia tutta ha
perduta per sempre la speranza di difendere le sue coste, di proteggere
il suo commercio.
« L'idea della forza navale sarebbe sbandita. Venezia, che sotto
l'antico governo, non ostante la sfasciata amministrazione delle
finanze, i sommi disordini, l'incuria che vi regnava, vedevasi a mettere
tal volta sul mare in tempo di pace fino a 18 vascelli e 35 fra galere e
mezze galere, non potrebbe contare di poter far sortire dal suo porto
nemmeno un brik.
« Tale sarebbe il destino dell'Italia senza l'Istria. Là soltanto sono i
legni per le costruzioni, là i marinai, là i porti; notorio essendo, che
se nell'arsenale di Venezia vengono costruiti i vascelli da guerra, il
loro armo conviene si compietti nei porti dell'Istria, colà lascino
l'artiglieria ed una parte della savora, e si forniscano di pilotti per
rientrare nei canali di Venezia. Lo stesso egli è dei vascelli
mercantili. Trasporti che fossero tutti questi mezzi, questa forza
navale in potere di Casa d'Austria, a qual grado di potenza non potrebbe
ella elevarsi sul mare in breve spazio di tempo? L'Impero ottomano
quanto non vedrebbe accresciuti i suoi pericoli, e in così improvviso
aumento di forze de' naturali suoi nemici, avvicinati quei tristi
momenti che fecero altre volte tremare la sua capitale? La Russia
potrebbe attaccarlo colle sue squadre esistenti nel Mar Nero, l'Austria
con quelle sortite dall'Adriatico.
« Cadendo la Dalmazia in partaggio dell'Imperatore, e con essa le sue
fortezze, non sarebbe meno azzardata la sua situazione per la via di
terra. La Bossina, l'Erzegovina e l'Albania divengono precarie, e ad
ogni tratto potrebbe ingoiarle, perchè mancante il paese di fortezze...
Circondata la Bossina dagl'Imperiali, eccettochè al lato d'Oriente, i
Bossinesi Cristiani di religione, e ad essa molto attaccati,
coglierebbero di buon grado la prima opportunità per esservi uniti.
Considerate che le Bocche di Cattaro poste quasi in faccia di Brindisi
offrono un'abbondante marina ed un vasto porto, e che da di là ad
addoppiare il Capo di Santa Maria ed entrare nel Mediterraneo non vi è
che una veleggiata. Né potrebbe esser ammesso il riflesso, che
conservandosi le isole di Corfù, Ceffalonia, Zante, Cerigo, Santa Maura,
e gli altri Luoghi nel Golfo di Prevesa, sul Canale di Corfù, potessero
esser Questi bastevoli per la loro situazione a dominare il Goffo
Adriatico ed a frenare le operazioni di una flotta.
« Converrebbe, che a Corfù vi esistesse una Squadra; ma ne le altre
Isole, ne i Luoghi adiacenti forniscono materiali alla sua costruzione,
ne al suo radobbo. Egli no erano trasportati dagli Arsenali di Venezia.
Se egli è costante che non vi vuole meno oggidì che la grandezza, che la
potenza della Repubblica Francese per frenare le viste ambiziose della
Casa d'Austria limitata ad essere Potenza continentale, qual forza
potrebbe opporsi alla medesima, lorchè unisse dei mezzi anche marittimi?
Lorchè per li medesimi potesse meglio darsi mano colle operazioni della
Russia anche per mare? Li piani di queste due Potenze a danno
dell'Impero Ottomano sono conosciuti. La loro alleanza coll'Inghilterra
è palese, come i disegni di questa, ne altro da essi si attende, che
l'opportunità di verificarli; lorchè non potrebbe accadere senza danno
altresì della Spagna, dell'Olanda, e dei loro rapporti commercievoli.
Appartiene però alla saviezza del Direttorio Esecutivo di pesare le
conseguenze terribili che potrebbero derivarne, gettare lo sguardo
sull'avvenire, calcolare i suoi interessi, a' quali sono strettamente
congiunti.
« L'amore al pubblico bene, l'obbligo di servire agl'interessi della
libertà d'Italia, ai quali stan uniti quelli della Francia medesima, ha
determinato la mia patria ad incaricarmi di assoggettare alle vostre
considerazioni, Cittadino Ministro, queste domande e questi riflessi,
perchè, scortati dal vostro appoggio, sieno fatti presenti al Direttorio
Esecutivo. »
Un'altra voce sorge. È il Sopranzi, deputato dello Stato di Milano, che
manda una denunzia al Direttorio francese dei danni nazionali
dell'occupazione austriaca dell'Istria.
« Tutti i fogli pubblici — è detto in quel documento — annunziano
unanimemente e senza alcuna contraddizione che le superbe coste
dell'Istria e della Dalmazia devono passare sotto la dominazione
austriaca.
« Li Commissari Imperiali fanno proclamare altamente l'atto di possesso
preso di diverse parti dello Stato Veneto in virtù di certi sognati
antichi diritti della Casa d'Austria.
« Questi rapporti e questi proclami pubblici non sono stati fin'ora
smentiti, ed è appunto ciò che fa temere ai repubblicani d'Italia che
queste due Provincie possano essere state implicitamente o
esplicitamente cedute all'Armate Imperiali.
« Quanto a me, io amo meglio di prolungare il dubbio in cui ci lascia
ancora il silenzio del Direttorio su questo punto, ma non posso per
altro dispensarmi dal considerare almeno come un progetto ciò che le
apparenze ed i clamori esagerati dal timore fanno riguardare come una
realtà; ed è dietro quest'ipotesi che io vi prego. Cittadini Direttori,
di considerare quanto i vostri interessi, li principi di una sana
politica, e sopratutto l'equilibrio dell'Europa verrebbero compromessi
dall'incorporazione dell'Istria e della Dalmazia alla monarchia
austriaca.
« Questi due possessi marittimi forniscono allo Stato Veneto a cui
appartengono, tutti gli elementi di una marina assai considerabile, la
di cui comparsa sull'Adriatico deve renderlo necessariamente influente
nella bilanzia del commercio e della politica delle nazioni, che la
natura ha situate su questo mare.
« Venezia, che dopo la pace di Passarovitz si aveva fatto un sistema di
debolezza, che non voleva dare ombra a nessuno, ma che pensava
unicamente a farsi scordare da tutti, Venezia, che da lungo tempo aveva
rinunziato allo sviluppo della sua forza e de' suoi mezzi, si è vista
nel 1788 a spiegare contro Tunisi una forza navale di 20 vascelli di
linea, con molte fregate : senza contare la sua squadra leggiera.
« Ora se il governo di Venezia nel suo stato d'inerzia e di nullità ha
saputo tirare in un momento e senza sforzo queste considerabili risorse
dall'Istria e dalla Dalmazia, considerate. Cittadini Direttori, quanto
saprà utilizzare i prodotti di queste miniere così feconde un governo
inquieto, ambizioso, tormentato già da lungo tempo dalla smania di avere
un commercio, di dare uno sfogo alle produzioni d'un suolo immenso, un
Governo tanto formidabile per la sua potenza continentale, e che
diventerebbe ancora più formidabile per l'aggiunta di una marina che
crescerebbe in ragion duplicata di queste stesse forze continentali.
« Sarebbe certamente una combinazione singolare della fortuna di questa
astuta potenza, se in un momento in cui era a due dita dalla sua
perdita, in un momento in cui doveva riputarsi abbastanza fortunata di
poter salvare i suoi Stati ereditari, riuscisse ad ottenere in Italia da
un governo repubblicano e vincitore quella forza marittima, che con
tutta la sua potenza, con tutti i suoi matrimoni e trattati, con tutti i
suoi intrichi, costantemente diretti a questo punto favorito della sua
ambizione, non aveva mai potuto ottenere dai Gabinetti dei Re, ove ella
aveva acquistata la più attiva influenza.
« Ma se l'Austria venisse in fatti ad ottenere l'accrescimento di potere
di cui si tratta, bisognerà subito mettersi in misura contro di lei, per
difendere gl'interessi dell'Italia, della Francia, e degli altri suoi
Alleati.
« In fatti l'Italia, libera, ma senza marina per la privazione
dell'Istria e della Dalmazia, diventerebbe per la forza delle cose una
provincia imperiale. Ella sarebbe aperta agli Austriaci e per terra e
per mare : essi soli sarebbero padroni delle comunicazioni e dei
trasporti, e il commercio, i suoi vantaggi, i suoi bisogni, la
renderebbero sicuramente tributaria del vostro nemico.
« La Spagna e
il Turco sono alleati così naturali per voi, che la loro situazione
sembra farvi la legge di coltivarne l'unione e d'impedire al più
possibile la diminuzione della loro Potenza. Vediamo dunque d'un colpo
d'occhio, se la cessione dell'Istria e della
Dalmazia sarebbe indifferente al loro commercio e ai loro rapporti
politici...
« Egli è certo e indubitato che la Russia non rinunzierà mai ai suoi
progetti di allontanarsi sempre più dai ghiacci del Nord per portare la
sua attività nei mari più interni e stabilirsi al centro d'unione
dell'Asia e dell'Europa.
« Il successo dell'usurpazione della Polonia è tutto in una volta un
eccitamento ed un mezzo di più dato alla sua ambizione; la triplice
alleanza conchiusa a Pietroburgo, tutt'affatto calcata sulla base del
Trattato di Pilnitz, l'assiduità colla quale una fazione Russa
circonduce in oggi il Divano, mantiene il suo sonno e la sua confidenza,
paralizza i tentativi da voi fatti per illuminarlo e dargli
dell'attività, sono le prove le più proprie a convincere della
perseveranza della Russia in questi progetti.
« Ma se l'Austria acquista in questo momento l'Istria e la Dalmazia, voi
vedrete ben presto realizzarsi questi progetti. Il Mediterraneo si
renderebbe accessibile alle flotte russe ed imperiali, e le due Corti
non tarderebbero a strascinare nel torrente delle loro ambizioni unite i
vostri alleati più fedeli e sicuri. L'Austria e l'Inghilterra
stringerebbero colla più grande facilità i legami della triplice
alleanza con cui hanno già minacciato di precipitare un'altra volta il
mondo politico nella barbarie e nella schiavitù; l'Inghilterra
sopratutto si troverebbe largamente indennizzata dalla riunione de'
Paesi Bassi alla Francia, perchè il nuovo padrone dell'Istria e della
Dalmazia le offrirebbe, in luogo di quelle Provincie così favorite dalla
natura e tormentate dalla politica, un punto di contatto, più lontano,
sì, ma più sicuro, e più indipendente da' Francesi, servendo esso a
legare più strettamente l'Austria e l'Inghilterra coi rapporti della
loro politica costantemente nemica della Francia, e colla reciprocità
de' bisogni e de' mezzi rispettivi del commercio e della navigazione.
« Allora voi avreste dato luogo di dire, che voi stessi, mediante queste
concessioni fatte all'Austria, avreste gittato nella bilancia politica
tanti nuovi interessi, tanti eccitamenti d'ambizione e di cupidigia, e
mille sorgenti feconde d'inimicizie e di querele, di guerre e di rapine:
allora infine, avreste dato luogo a pensare, che avreste dato all'Europa
un trattato di guerra, piuttosto che un trattato di pace.
« Io credo di aver portato sino all'evidenza i pericoli della seguita
occupazione dell'Istria e della Dalmazia per la parte delle armate
imperiali; ma altronde, se mai l'abbandono di queste due provincie
entrasse nel piano attuale di pacificazione, se vi fosse impossibile di
arrivare alla pace sostituendo un nuovo progetto; se mai l'onore
politico, l'interesse della pace, il bene dell'umanità non vi
precettassero di abbandonare intieramente il vostro piano, non potreste
voi almeno, posta la durezza delle circostanze, procurare di conciliare
gl'interessi, di restringere le pretensioni, e di diminuire o di
allontanare alomeno una parte del pericolo? Mi parrebbe che l'ambizione
di un vinto potrebbe trovarsi soddisfatta, se per la cessione della sola
Dalmazia egli acquistasse un paese che gli offre 160 Leghe circa di
lunghezza, molti buoni porti, una popolazione di 3 a 4 cento mila
abitanti, buoni marinari, un paese in somma affatto proprio, con tutti
questi vantaggi, a soddisfare l'ardente passione dell'Austria.
« Ma non perdete di vista, Cittadini Direttori, che questa divisione di
cui oso azzardarne l'idea, non ve la presento che come la conseguenza di
un'ipotesi la più disperata, e come un mezzo di conciliazione, tra la
dura necessità di ricominciare la guerra, e la condizione non meno dura
di soddisfare l'ambizione dell'Austria con cessioni troppo vantaggiose,
che la metteranno a portata fra pochi anni di riassumere le ostilità, e
di raccogliere essa stessa tutti i frutti delle vostre vittorie.
« Ammettendo la cessione della Dalmazia, come un peggio andare, voi
assicurereste almeno l'Istria all'Italia libera. Quella provincia sola è
abbastanza ricca di legnami di costruzione per innalzare i vostri nuovi
alleati al rango di potenza marittima, la di cui concorrenza
bilancerebbe l'intrapresa dell'Austria, e la di cui rivalità sarebbe una
garanzia di più all'indipendenza del commercio e delle relazioni
francesi ed italiche.
« Questa divisione, per quanto sia dura, è però la meno ingiusta
possibile, mentre dando all'Austria ciò che ella non aveva, non toglie
almeno all'Italia ciò che essa aveva.
«Questi principi una volta emessi. Cittadini Direttori, non vi
resterebbe più altro a fare, che di costituire Venezia. Ed è appunto
qui, che unendomi al voto di questa città e dei popoli di terra ferma,
io vi ricorderò che tutte queste volontà tendono unicamente all'unione
in un solo corpo di tutti i popoli liberi d'Italia, e che tutte le
circostanze, tanto interne che esterne, secondano mirabilmente questo
piano così semplice e così fecondo di gravi risultati...
« Certamente cedendo all'Austria la sola Dalmazia, secondo la premessa
supposizione, voi andate a dotare troppo largamente questa nemica
irreconciliabile del nome francese, e voi dovete per ciò, assai forse
più a riguardo della vostra sicurezza che della vostra gloria,
ristabilire il sistema d'equilibrio marittimo considerabilmente alterato
da questa concessione; voi dovrete, sopratutto a riguardo della
tranquillità d'Italia, contrabilanciare con forze contrarie e
proporzionate la forza che la vostra liberalità aggiunge alla potenza
imperiale.
«Ora, quest'equilibrio, questo contrappeso di forze ove lo troverete voi
se non che nello stabilimento di una sola repubblica di tutti i popoli
liberi d'Italia, che facendo una sola massa di tutti i mezzi,
confondendo tutti gli interessi, togliendo di mezzo tutte le rivalità e
lo spirito di divisione, possa presentare nella sua unità una massa
d'azione capace di arrestare i progressi della preponderanza austriaca,
e di far perdere alle potenze che la circondano ogni speranza di
neutralizzare il repubblicanismo in Italia?
« Ritorniamo pertanto al vero stato della questione, e concludiamo, sia
a causa dell'ingrandimento che acquisterebbe l'Austria nella supposta
concessione della Dalmazia, sia per l'interesse urgente che ha la
Francia di sottrarre l'Italia all'influenza dell'estero, concludiamo,
dissi, la necessità di costituirla una, libera, indipendente, e capace
in conseguenza di fare in ogni tempo una potente diversione in vostro
favore.
« Concludiamo che questa potenza non può esistere senza la marina
dell'Istria, e col federalismo di due o più repubbliche, ove la
disunione d'interessi produrrebbe ben presto, come in America, una
funesta divergenza dal sistema francese. La sorte degli Stati che non
possono esistere da loro medesimi, è di essere diroccati dalle potenze
più grandi e più vicine; l'istoria d'Italia n'è una prova continuata di
questa sgraziata verità.
«Dietro tutte queste considerazioni, io non dubito, Cittadini Direttori,
che voi non adotterete per l'Italia quel sistema di federalismo
impotente che avete proscritto per la Francia, ma che vi determinerete a
creare per la mia patria una potenza, che per la riunione dei popoli
liberi e delle coste marittime che lì circondano, non potrà più essere
imperializzata, ma li conserverà sempre liberi e indipendenti, e
diventerà per voi un'alleata
altrettanto utile, che necessaria e fedele. »
Da questi documenti
emergono due fatti: l'usurpazione compiuta dall'Austria e il valore
altissimo che veniva attribuito alle terre usurpate.
Ma tutti i ragionamenti, tutti gli sforzi riuscirono vani. Il 17 ottobre
1797 veniva concluso il trattato di Campoformio, in cui si stabiliva il
consenso della Repubblica francese al passaggio delle terre venete
all'Austria...
(Storia della
Grande Guerra d'Italia, Milano 1920 ca. - Isidoro Reggio)