Gli Impressionisti

 

Alessandra Doratti

 

 

 

All'interno del gruppo degli impressionisti, cominciarono a delinearsi abbastanza presto differenze di rappresentazione. I diversi esiti stilistici, ovviamente negli autori maggiori, saranno direttamente responsabili della nascita delle avanguardie novecentesche. Così nel Salón del 1868 la rivoluzione pittorica in atto, esaltata da Duranty, superava l'idea di scuola unitaria e procedeva affinando le diversità di esperienze, di cui diamo un brevissimo quadro. Claude Monet (1840-1906), per esempio, non farà parte del gruppo degli impressionisti, anche se li seguirà da vicino e con simpatia; amerà sostare e studiare i grandi maestri del Museo del Louvre. Ossessionato dall'acqua e dai riflessi - come egli dice - riprodurrà solo il "blu, il rosa e l'oro", scoprendo quanto sia difficile attuare con profondità innovativa questa ripetizione. Auguste Renoir (1841-1919), che poi abbandonerà il gruppo, inseguirà l'ideale della pittura come fine, la tecnica come stile. Dopo il suo viaggio in Italia dove si entusiasmerà per la pittura pompeiana e per Raffaello, farà virare la sua pennellata verso il ritorno al classico. Con Degas (1834-1917), analista preciso e freddamente intelligente, l'oggettività e la sensazione visiva coglierà il ritmo e il fluire del mondo come costruzione mentale superiore, dove la minima vibrazione emotiva è totalmente assente. Con Paul Cézanne (1839-1906), fermatosi sui grandi maestri italiani e spagnoli, la pittura diviene vera e propria ricerca ontologica, svelando come lo spazio si riproduce composto essenzialmente da "sfera, cilindro e cono", aprendo così la via della ricerca pittorica del cubismo.

Con Henry de Toulouse Lautrec (1864-1901), entrerà nella pittura con pari dignità il manifesto pubblicitario e la nuova scoperta dei pittori giapponesi. Paul Gauguin (1848-1890), invece, invocherà il ritorno alla natura di un mondo mitico. Con Vincent van Gogh (1853-1890) l'Impressionismo diverrà realtà "altra", regno dell'angoscia e della solitudine dell'artista che scopre il limite che non si può varcare, dove la passione per l'arte diviene mestiere del vivere.

Il pubblico e la critica ufficiale assistevano scandalizzati alla crescita del movimento, non capivano i soggetti trattati e soprattutto non amavano che la provenienza sociale degli impressionisti fosse di una borghesia vicina al popolo. Essi osteggiarono attivamente con manifestazioni spesso iraconde i nuovi quadri che, storicamente, sono stati avvicinati, quale espressione figurativa, a quella che fu definita "la fine dei notabili"; fine dell'eleganza e dello splendore.

Le accoglienze negative, sia del grande pubblico che dei collezionisti, resero difficoltosa la sopravvivenza di molti pittori impressionisti.

 

 

La guerra franco-prussiana del 1870

 

In Germania, l'Impressionismo entra ufficialmente con la nascita della Seccessione berlinese, acquistando significato particolare: è la crisi del realismo, la sfiducia nel mondo oggettivo. Fra i pittori tedeschi di fine secolo, Max Liebermann (1847-1935) ha una pittura umanitaria venata di pessimismo, Lovis Corinth (1858-1925) vive in pieno l'ideale neoromantico, Max Slevogt (1868-1932) è quanto di più moderno produce la Seccessione di Berlino.

È il 1881 quando Durand-Ruel compie il primo tentativo di introdurre la pittura francese in America: i quadri provocano la reazione del conservativo ambiente bostoniano, gli impressionisti sono definiti pazzi o malati.

Nuovo rumore suscita un'altra mostra nel 1886 a New York: soltanto gli artisti aggiornati in senso francese (Chase fra i più sensibili) sostengono l'Impressionismo. Le posizioni della critica muteranno intorno al 1890 e nello stesso decennio si afferma l'impressionismo americano: la pittura chiara e luminosa di Fredrick Childe Hassam (1859-1935), Willard Leroy Metcalf (1858-1925), Theodore Robinson (1852-1933), considerato questo il primo vero impressionista americano.

In tutte quelle aree, l'Impressionismo ha costituito uno stimolo per rinnovare il linguaggio artistico; in altri casi, ha avuto solo influenze marginali. Così in Russia, dove nel 1890 si forma il "Mondo dell'arte", il primo raggruppamento di punta dell'area russo moderna. L'impressionismo è qui accolto con favore, sostenuto da mecenati aristocratici, ma non tocca gli artisti dell'avanguardia. Isolato il caso di Valentin Serov (1865-1911) che adotta i tratti salienti: divisione del tono, colori complementari, abolizione delle ombre.

Quanto all'Italia, la sua partecipazione al movimento impressionista fu assai limitata. «Sarebbe errato confondere la tecnica dei macchiaioli», scrisse in proposito il Jaccard, «ancora tributaria del chiaro-scuro, (...) con le intenzioni della "bande à Manet", attenta al cromatismo ed alla luce dell'aria aperta».

Delle novità francesi Diego Martelli ha costituito il tramite essenziale, ma i quadri di Pissarro che egli fece esporre alla Promotrice Fiorentina non furono apprezzati dai pittori toscani. Solo fra il 1903 e il 1905 la Biennale di Venezia accoglierà un numero limitatissimo di opere di Monet, Pissarro, Renoir, Sisley. Tra gli artisti, già nel 1874 De Nittis (1846-1884) si era avvicinato alla corrente francese, cogliendone la ricerca atmosferica e l'interesse ai temi della vita moderna, seguito con entusiasmo da Federico Zandomeneghi. Dalla follia dei ripetitori più tardivi, si staccarono Camillo Innocenti (1871-1961) che ebbe fama di raffinato impressionista e Plinio Nomellini (1866-1943).


 

Alessandra Doratti