Polvere di una stella
Glauco Cambon (Trieste 1875 - Biella 1930)
Walter Abrami
Quarantacinquenne, Glauco Cambon, fu ricoverato in una clinica lombarda a Regoledo, in provincia di Como, per disintossicarsi dal fumo; è noto, infatti, che nel quotidiano della sua breve vita, ma soprattutto nei momenti esaltanti di creatività o in quelli di insicurezza e delusione, la sigaretta fu la sua immancabile e seducente amica. Moralmente a terra, preoccupato, si consolava leggendo Il Piacere di Gabriele D’Annunzio e lo incoraggiavano alcune considerazioni del protagonista Andrea Sperelli: “- L’Arte! L’Arte! - Ecco l’Amante fedele, sempre giovine, immortale; ecco la Fonte della gioia pura, vietata alle moltitudini, concessa agli eletti; ecco il prezioso Alimento che fa l’uomo simile a un Dio...” Ma dopo essere stato dimesso dalla clinica, Cambon riprese subito la propria attività (doveva allestire una mostra personale a Biella) e in quel difficile momento faceva propri anche altri pensieri dello Sperelli: “Ma se la mia intelligenza fosse decaduta? Se la mia mano avesse perduta la prontezza? S’io non fossi più degno?” (...) “La lenta decadenza dell’ingegno può anche essere incosciente: qui sta il terribile. L’artista che a poco a poco perde la sua facoltà non si accorge della sua debolezza progressiva; poiché insieme con la potenza di produrre e di riprodurre lo abbandona anche il giudizio critico, il criterio. Egli non distingue più i difetti dell’opera sua, non sa che la sua opera è cattiva o mediocre; s’illude; crede che il suo quadro (...) sia nelle leggi dell’Arte mentre è fuori. L’artista colpito nell’intelletto non può non avere coscienza della propria imbecillità, come il pazzo non ha coscienza della propria aberrazione.” E proprio in una camera d’albergo della città piemontese dove si era recato con rinnovata speranza per assolvere l’impegno preso in precedenza, fu stroncato improvvisamente, il sette marzo 1930, da un attacco gastrointestinale. Erano trascorsi soli pochi mesi da quelli che, nonostante l’ansia, il nervosismo e il malumore, dovevano lo stesso essergli sembrati ‘irragionevoli timori’. Ma cosa avrebbe ancora potuto compiere e lasciare ai posteri un artista aristocratico, “neo passatista”, che aveva avuto splendide intuizioni soprattutto nella cartellonistica, ma che in pittura, pur brillante esecutore, aveva sempre seguito le correnti senza mai discostarsene concretamente se non nelle azzardate scelte del colore? Note le sue propensioni e i suoi interessi specifici, non è forse sbagliato supporre che egli avesse potuto rivolgere i suoi interessi al cinema, consolidare quelli sulla fotografia, avvicinarsi ancor più alla grafica pubblicitaria, alla fotocomposizione; la curiosità, infatti, lo aveva spinto ad analizzare le ‘conseguenze ‘su pellicola dell’opera di Alma Tadema e comprendere le felici intuizioni dei Preraffaelliti sull’uso redditizio della camera. La sua produzione artistica varia, sostanzialmente poco coerente che dall’iniziale pittura ad olio lo condusse alla ”attività applicata”, i soggetti della sua pittura spesso timidamente originali, oltreché la brevità della sua esistenza, hanno fatto sì che ancor oggi Cambon sia poco conosciuto, che le sue opere circolino raramente nelle botteghe antiquarie e che conseguentemente esse abbiano un mercato limitato a pochi intimi. Anche l’interesse critico nei suoi confronti si è a poco a poco affievolito nonostante il valido tentativo di rilancio di alcuni studiosi locali (Curci, Strukelj, Sgubbi) che hanno colto il valore della sua opera e hanno messo in luce i suoi meriti. Né una rassegna retrospettiva ha giovato a rinverdire la sua memoria, financo una pubblicazione ‘snella’, non dico una monografia, che consenta ai più giovani di conoscerlo: eppure la Salambò, un olio su tavola esposto in occasione della mostra Il Mito Sottile, piacerebbe di certo anche ai fumettisti dell’ultima generazione (e al loro pubblico) tant’è vicina a certi gusti odierni. Il mondo fantastico e simbolico della Salambò conserva i misteri psicologici connessi alla lussuria, al feticismo e alla perversione. Ma il serpente che avvolge la donna ha qualcosa in comune con l’uomo che Wostry - con mite ironia - definì “turbolento, caposquadra dei maldicenti, dei baruffanti, degli schiamazzatori”?
Cambon nacque a Trieste il 13 agosto 1875 da Elisa Tagliapietra poetessa ed animatrice del proprio illustre ‘salotto’ in Via Biasoletto e Luigi Cambon, avvocato, scrittore, uomo di cultura. La famiglia borghese le cui origini sono francesi (Montpellier) ospitò personaggi noti del mondo politico-culturale triestino: nella villa che vantava una ricca collezione di opere di Bison, si recaronono Hortis, Pitteri, Zamboni, Venezian; forse i Cambon ebbero ospite pure G. Carducci! Glauco fu coetaneo di Flumiani e di Lucano; diciassettenne si recò a Monaco e frequentò l’Accademia: dopo soli tre mesi ricevette una ‘menzione d’onore’ e ciò lo indusse a seguire gli insegnamenti privati del pittore H. Knirr (sulle orme del Grimani e precedendo Levier) e di von Stuck. La sua prima opera nota è Portatore di cero del 1889, ma l’esordio di Glauco fu da Schollian quattro anni più tardi: espose Il cieco e la musica dipinto eseguito qualche mese prima (1892) all’Accademia di Monaco per il concorso annuale a soggetto stabilito. I suoi primi lavori furono soprattutto ritratti alla moda, piuttosto cupi nei toni come quelli d’Attilio Hortis, della sorella Margherita, della madre, di diversi personaggi del mondo teatrale ma anche pastelli più morbidi alla maniera del Rietti, qualche paesaggio e alcuni audaci nudi femminili; partecipò alla Biennale veneziana del 1897 (portò due ritratti a pastello) e poco dopo l’esposizione di un nudo a Trieste, fece sensazione e destò scalpore! Nel 1900 sembra vinse il Concorso Rittmeyer e si recò a Roma dove rimase quattro anni anziché sette mesi, periodo vincolante per i premiati. Il soggiorno romano lo mise a contatto con la pittura di G. A. Sartorio e Cambon si inserì nella corrente romana del Sartorio appunto, iniziando la serie delle Gorgone; in anni successivi riprese questo soggetto mitologico e affrontò il tema della Medusa. I soggetti lo costrinsero di volta in volta a far molta attenzione ai fatti letterari. Durante il periodo romano continuò ad eseguire ritratti idealizzanti servendosi d’immagini e di fotografie. Vanno almeno ricordati i ritratti di Nicolò Tommaseo, di Napoleone, del pittore Bocklin - che rappresentava il suo mito vivente - e che forse incontrò a San Domenico di Fiesole. E’ di questo periodo il Ritratto dello scultore Rovan esposto a Trieste nel 1911, ma eseguito attorno agli anni 1903-1904 proprio nella capitale dove anch’egli si trovava. Il ‘fiero’ Rovan indossa vesti quattrocentesche... A Roma Cambon si accostò alle correnti neo rinascimentali, alla grafica cupamente fantastica di ambito klingeriano e a quella giapponese erotica e sensuale di Kitagawa Utanaro; la forza di nuove linee decorative indussero l’artista giuliano a compiere scelte precise. Tornò a Trieste con un bagaglio d’esperienze ‘decorative’ assai rilevante e si stabilì definitivamente in città dove esercitò fascino per la sua bellezza e robustezza, per il ‘buon gusto’ e portamento elegante di dandy borghese. Lavorò quotidianamente, eseguì tanti schizzi e disegni e fu mosso da passione vera: alternò figure femminili sfumate in atmosfere soffuse e figure demoniache che lo trovarono partecipe dei modi del simbolismo satanico d’O. Greiner. Agli inizi del 1905 presentò a Trieste una serie di motivi paesaggistici tendenzialmente eclettici, decorativi e si segnalò nel settore della réclame: è suo il manifesto per L’Esposizione Regionale Dilettanti Fotografi - Trieste che trasmette informazioni sulla fotografia usando il canale della grafica. Cambon s’interessò sempre alla ricerca fotografica e fu tra i primi pittori triestini ad usare la macchina fotografica traendone vantaggi in pittura. Gli studiosi Curci e Strukely propongono una suddivisione in tre fasi della produzione grafica di Cambon: dalle prime opere legate al simbolismo di matrice tedesca egli passò ad un periodo centrale dove la struttura coloristica “assunse il ruolo di netta prevalenza” e fu usata con maggior libertà; un terzo gruppo fu caratterizzato da un ‘ritorno’ alla pittura sulla base di un’analogia fra ‘macchia’ litografica e pennellata. E’ del 1906 il pannello pubblicitario con un puttino intento a soffiare bolle di sapone nel quale egli introdusse chiari elementi dell’Art Nouveau innestati su una matrice naturalistico-simbolista; nello stesso anno Cambon partecipò all’Esposizione di Palazzo Modello presentando lo schizzo Castello di Vittorio (non più reperibile), ma documentato nell’Album Venezian conservato presso i Civici Musei di Storia ed Arte. Ne Le figlie del Reno il pittore adottò la tecnica divisionista: la pittura del Segantini era stata vista ed era nota a Trieste poiché egli fu presente all’importante Mostra di Belle Arti organizzata dal Circolo Artistico nel 1890, ma è possibile che Cambon avesse visto numerosi lavori divisionisti durante la partecipazione all’Esposizione di Brera del 1906 che presentava tra l’altro anche un padiglione Segantini Previati. Ancora nel 1906 realizzò Torneo Internazionale di Scherma che richiama il celebre manifesto di Klimt per la Kunstaustellung Secession (1898), ed eseguì il cartellone Liga “Lucza” - Szivarska Papirosat. Il manifesto nel quale l’elemento cromatico non rinuncia alla sua funzione decorativa, fu redatto in lingua ungherese e la sua organizzazione strutturale dimostra una forte analogia con la linea evolutiva della grafica tedesca. Nel 1907 illustrò il frontespizio di un’opera di C. Flammarion astronomo, editore e autore di vari periodici scientifici che nel 1882 ebbe un osservatorio personale a Parigi; Cambon lesse le sue pubblicazioni e fu membro della Società Astronomica di Francia. Proprio nella sede della società Flammarion presentò il quadro di Cambon Il tramonto della Terra visto dalla Luna che prelude ai suoi interessi per il cinema. Del 1907 è Velo Azzurro proprietà del Civico Museo Revoltella che recentemente è stato rispolverato per non essere esposto al Costanzi in occasione della mostra Le donne di Giacomo (Il mondo femminile nella Trieste di James Joyce), ma che risulta nel catalogo. Contemporaneamente Cambon produsse le cartoline per il III Convegno interregionale degli studenti, e per i superstiti delle vittime del mare e due interessanti bozzetti per cartellone furono premiati al concorso “Per l’incremento dei forestieri”. Forse è del 1908 il manifesto pubblicitario per Indra Tea; poco dopo Cambon eseguì il manifesto teatrale Rappresentazioni di A. De Sanctis che risulta una trasposizione pubblicitaria in chiave allegorica dell’omaggio-incontro tra Commedia e Tragedia: esso segna un momento d’incertezza nel procedere verso un punto d’equilibrio nel proprio linguaggio grafico e mantiene irrisolta l’antitesi tra ‘nuovo’ e ‘tradizione’. Nel 1907, 1909 e 1910 in compagnia dei triestini Flumiani, Grimani, Levier, G. Marussig, G. Mayer, C. Wostry, A. Rietti, Cambon partecipò ancora alla Biennale di Venezia; nel 1910 portò il pannello decorativo Venere Anadiomene concepito in precedenza per la villa Modiano di Trieste e il ritratto di Ferruccio Benini nel “Don Marzio”. Si ripresentò in laguna nel 1912 (con L’Anima e la Nuvola) nel 1914 (con l’encausto Primavera-Maternità, L’Elegia del vento e del mare tipologicamente preraffaellita e con il ritratto di Emilio Zago) e anche nel 1920, 1922 e 1924.
Ma ritorniamo a Trieste...
Alla fine del primo decennio del secolo Cambon condivise con Orell lo studio sito nella cupola del Palazzo Carciotti e dipinse quella Notte d’aprile (conosciuta come Trieste di notte nonostante il titolo al retro!) nella quale l’inserimento di due figure in primo piano ricordano alcune ambientazioni di Bison e danno all’opera un sapore ottocentesco più accentuato; le curve dei rami degli alberi contornano la visione ed assumono la funzione di fregio; Notte d’aprile fu presentata all’Esposizione Internazionale di Roma nel 1911. Non è privo di significato il fatto che i valori decorativi del rapporto fra scena notturna e luci artificiali abbiano avuto un immediato successo anche fra i pittori locali: nel medesimo anno l’amico Orell riprendeva questo studio in Pioggia d’oro e molti anni dopo (1938) Timmel realizzò Luci di notte. Pur nella loro rielaborazione essi sembrano essere un richiamo culturale alla ricerca decorativa svolta da J. Whistler (1834-1903) che fu autore nel di Notturno in blu e oro e di Notturno in nero e oro: dipinti che furono un sicuro riferimento per i pittori triestini. Proprio nel 1909 che segnò il successo di Stuck alla Biennale, Cambon soggiornò a Venezia ed espose a Parigi; l’anno seguente fu presente a Ca’ Pesaro, ma in laguna l’interesse generale fu per Klimt... Nel frattempo il collega Gino Parin organizzò una mostra d’artisti triestini a Monaco e Cambon vi aderì entusiasta; egli inviò alcuni quadri anche a Firenze e a Capodistria. Sono del 1910 Corredi da Sposa-Carlo Brugstaller - Trieste e il Bando di concorso per l’addobbo di poggioli che prelude ad un linguaggio di colore. Il passaggio seguente è rappresentato dal manifesto per Il Portorose Palace Hotel che accentua il personale cromatismo di Cambon nella produzione grafica; egli sostituì al concetto di ‘ornamento-linea’ quello di ‘ornamento-colore’ e i suoi accostamenti azzurro-giallo, verde-rosa furono quelli delle scelte stilistiche istituzionalizzate dall’Art Nouveau. Tra il 1910 e il 1912 Cambon guardò agli esiti artistici e alle caratterizzazioni culturali nati intorno alla rivista Pan e nei suoi lavori vi sono elementi vicini alle allegorie simboliste. In seguito realizzò il Club Specialite’ - La Grande Marque che divide la complessità stilistica e l’impegno di ricerca con il citato manifesto per il Portorose Palace Hotel che mise in evidenza il triestino nella produzione della grafica pubblicitaria non solo locale; poco dopo portò a termine Carta da sigarette Excelsior (1910-1911) e Tubes & Papier Excelsior (1911-1912). Cambon sperimentò tecniche pittoriche nuove (su una superficie preparata a caolino stendeva colori all’acquerello che poi rendeva lucidi con vernici coprenti) ed esegui il Perseo che doveva decorare la sala di lettura del Circolo Artistico triestino. Inviò Procellaria Nera all’Esposizione Internazionale di Roma: egli volle che le sue opere fossero esposte nella sala italiana, ma per le proteste dell’ambasciatore austriaco furono spostate in quella internazionale. Nel 1912 fu in Dalmazia, organizzò una mostra personale a Zara ritornò in Italia e soggiornò a Varazze dove dipinse con il pittore Eugenio Olivari. Nei mesi seguenti espose al Palazzo di Vetro di Monaco con Croatto, Parin, Sofianopulo, G. Marussig, che fu suo amico, Fragiacomo e Brass. Alternò la produzione di cartoline con quella dei Manifesti: la Settimana Aviatoria, Trieste e le più tarde cartoline di propaganda di guerra (1916-1918) forse indicano un mutamento peggiorativo del suo linguaggio, una regressione. Il limite più tardo della sua produzione grafica è Cinghie Magliola, Biella (1920 c.) C’è, in ogni modo, un filone che corre autonomo nella sua produzione ed è lo stretto legame che talvolta intercorre tra l’attività grafica e la pittura da cavalletto. Uno dei suoi quadri più famosi Trieste di notte (esistono più versioni e alcune cartoline che hanno diversi motti letterari scelti a distinguerle - interpretazione intellettualistica della visione poetica) trova, infatti, origine in una prova grafica. Queste opere si manterranno nell’alveo della pittura simbolista di paesaggio, con evidenti intenti decorativi d’influenza Art Nouveau. Dopo la partecipazione alla Permanente di Trieste nell’aprile del 1915, partì per Milano probabilmente a causa del richiamo alle armi della sua classe (1875) fissato per il 15 maggio di quell’anno. In Lombardia si ambientò facilmente, espose una serie di paesaggi dalmati alla Permanente e partecipò all’Esposizione Nazionale al Palazzo dell’Arte. Ebbe lo studio prima in via dei Monti poi in corso Magenta e dal 1923 in via Cesare da Sesto; da Cambon, che fu un brillante oratore, si recarono molti personaggi del bel mondo per farsi ritrarre o semplicemente a conversare; abitualmente li incontrava al caffè Cova, famoso ritrovo della ricca borghesia milanese. Negli anni della guerra fu spesso ospite in Toscana del conte Spannocchi nei castelli di Lucignano e di Modanella o a Sommalombardo dei Visconti di San Vito. Spese spesso oltre le proprie possibilità e cacciò commissioni nei grandi Hotel delle località climatiche alla moda come Rapallo, Levico ed Abbazia; si faceva vedere nei caffè e nelle Gallerie ben frequentate in compagnia di levrieri e belle donne; il suo studio aveva pesanti tendaggi, ottomane e vasi greci; in bella vista aveva alcune riproduzioni d’opere del Mantegna e una fotografia della scultura ellenistica di Leda col Cigno. Negli anni della Guerra espose a Milano e nel 1919, dopo la liberazione, tenne una mostra personale presso l’albergo Savoia di Trieste; nel 1921 iniziò i soggiorni a Pusiano (Como) e nel settembre fu a Rapallo. Qualche anno più tardi fu ospite ad Abbazia presso il violinista Kubelik e organizzò una mostra personale. Conobbe Marinetti, stimò D’Annunzio e gli inviò una fotografia del quadro Violante contraccambiata dal poeta con il volume autografo con dedica La vergine delle rocce. Nel 1923 Cambon sposò la pittrice milanese Gilda Pansiotti; la coppia ebbe due figli Glauco jr. (1923) e Gerardo (1926). Piace ricordarlo mentre all’annuncio della liberazione di Trieste accese un fuoco di giubilo nell’hall dell’Hotel de la Ville a Milano! Oltre quanto già scritto, Cambon dipinse pure numerosi paesaggi nel Lazio, a Roma, sul Lago di Pusiano (Alta Brianza), in Istria, in Dalmazia, diverse vedute a Trieste (da Prosecco), paesaggi presso le Grotte di San Canziano: in essi si mescolano elementi impressionistici e macchiati contrasti coloristici tardo romantici portati in città da pittori passati per l’Accademia veneziana; negli anni in cui il gusto borghese si orientò verso la pittura di ritratto e di paesaggio, Cambon pur condizionato dal proprio gruppo sociale, importò il clima del simbolismo europeo. Più volte dipinse animali, galli, tacchini, bovi, capre, cani, gatti e pellicani in seguito ai contatti che ebbe con la tradizione dell’Ottocento tedesco rafforzata dall’influenza romana del Sartorio e composizioni allegoriche e simboliche di carattere politico che rispondevano alle necessità ed ai sentimenti del momento ma, numericamente più importante, è la produzione di ritratti. Nel settembre del 1930 una mostra postuma allestita in una sala della IV mostra Regionale del Sindacato Fascista al Giardino Pubblico di Trieste ricordò l’artista. E’ attribuito al Wostry un noto Ritratto di Cambon eseguito nel 1910 per la Mostra di Caricature al Circolo Artistico Triestino.
NOTE AGGIUNTIVE Nel 1913 espose a Napoli alla II Esposizione di Belle Arti del Comitato giovanile (Lucano, Silvestri e Sambo allestirono la Sala dei triestini che comprendeva dipinti di Bolaffio, Croatto, Flumiani, Marussig, Parin, Timmel) Nel 1937 Glauco Cambon espose a Trieste nel Castello di San Giusto (estate) nella Rassegna di Pittura e Scultura dell’800 Trieste di notte proprietà della Galleria d’Arte antica e Moderna della città d’Udine (n. 183 in catalogo) e La nonna collezione signora Nella Doria Cambon (n.190 in catalogo).
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