La collezione
di giocattoli
Alessandra Doratti
Narra la leggenda che Venere, dea della bellezza, divertisse Giove,
padre degli dei, con una palla che lanciata in aria lasciava una scia
infuocata.
Mitologia a parte, le bambole, il cerchio e la palla sono uguali in
tutti i popoli. Un bambino gioca oggi come giocava 4.000 anni fa: solo
la tecnica e l'impiego dei materiali sono cambiati. La storia del
rapporto tra il balocco e il bambino, quella almeno che coincide con i
primi passi della civiltà tecnologica e con gli albori della produzione
in serie, cominciò molto tempo dopo con la prima rivoluzione industriale
alla fine del 1600. L'antesignano dei giocattoli tecnologici è del 1600,
frutto dell'abilità di un architetto francese, Sebastian de Vauban, e di
due artigiani di Norimberga, Gottfried Hautsch e suo padre. Dopo quattro
anni di lavoro, questa équipe mise a punto una piattaforma con soldatini
automi che marciavano l'uno contro l'altro sparandosi dei veri
proiettili.
Se i primi giocattoli tecnologici, dati gli altissimi costi di
fabbricazione, furono compagni di gioco dei soli fanciulli di corte, il
merito di avere favorito la produzione in serie di oggetti molto meno
complessi spetta a Napoleone, che pensò di colmare il vuoto di tante
famiglie di orfani dei suoi soldati caduti in battaglia con l'acquisto
di migliaia di giocattoli.
Agli inizi dell'Ottocento l'industria del giocattolo ebbe un secondo
importantissimo impulso. Con la scoperta della tecnica di stampaggio dei
metalli, avvenuta in Germania intorno al 1815, si aprì l'era
industriale: Norimberga fu il centro di maggior produzione.
Il giocattolo piano piano divenne un prodotto di largo consumo. Ai
francesi e agli inglesi si aggiunsero gli americani con i loro esemplari
meno precisi ma dai colori più brillanti. Tra le fabbriche d'oltre
oceano, la Althof, Bergman & Co., sorta nel 1856, e la Ives che, nata
nel 1868, produsse uno dei primi motoscafi a molla, perfettamente
funzionante sia in acqua che in terra ferma (ovviamente su ruote).
La storia dell'automatismo ebbe inizio con l'elastico. Poi si passò al
volano, grazie al quale è sufficiente un buon abbrivio manuale per
ottenere e prolungare il movimento di carrozze o pupazzi con le ruote.
Solo verso il 1880 i costruttori europei e americani generalizzarono
l'uso dei meccanismi a molla, pur sempre costosi perché non
completamente standardizzabili.
La Germania divenne subito la vera patria del giocattolo meccanico: nel
1859 Theodore Marklin e sua moglie Karoline dettero vita ad una delle
fabbriche più famose del mondo. All'inizio la produzione fu limitata
alle sole cucine giocattolo, ma con la morte di Theodore il campionario
si arricchì per iniziativa di Karoline, forse la prima donna
imprenditrice della storia economica.
A loro seguirono i tre figli, Karl, Wilhelm ed Eugen. La ditta,
diventata Gebruder-Marklin, si specializzò dal 1880 in carrettini per
bambole, piccole navi, giostre meccaniche, trottole, e naturalmente
trenini: i primi non avevano rotaie e correvano lungo un filo. Intanto
era sorta la Bing, che sarà temibile concorrente almeno fino al 1929,
quando la crisi economica la metterà fuori mercato. Alla fine
dell'Ottocento nacquero fabbriche un po' dovunque. La Gunthermann iniziò
l'attività nel 1877; nel 1881 nacque la famosa Lehmann di Brandeburgo.
Al suo fondatore, Ernst Paul Lehmann, va il merito di aver notevolmente
perfezionato il meccanismo a molla. Nel 1900, ancora a Norimberga,
Johann Distler si specializzò in automobiline di latta, ma la sua
fabbrica ebbe vita breve: nel 1936, dopo che quasi tutta la direzione fu
costretta a lasciare la Germania nazista per ragioni politiche, la ditta
fu assorbita da Ernst Volk. Nel 1938, quando ormai si era fatto un nome
con la produzione di trenini in miniatura, Volk acquistò anche la Trix.
Con il proliferare delle case fu necessario introdurre un marchio di
brevetto. Quello di fabbrica era in uso sin dal 1875 (dopo le precise
disposizioni di legge in Inghilterra), ma bisognò attendere il 1898 per
avere una garanzia anche sul tipo del giocattolo. Il brevetto della
durata di 50 anni, contribuì subito a fare la fortuna dell'ideatore di
uno dei più famosi giocattoli del mondo: il meccano. Inventato nel 1901
dall'inglese Frank Hornby per divertire i propri figli, con il nome di
"Costruzioni meccaniche elementari" conobbe subito un successo
travolgente a dispetto del prezzo piuttosto alto.
Nel periodo fra le due guerre, in Inghilterra, oltre alla Britannia (da
tempo sul mercato e nota soprattutto per i suoi soldatini), figurò la
Mettoy di Northampton che, fondata da Philip Ullmann, ebbe alterne
vicende. Fabbrica d'armi durante il secondo conflitto, riprese nel 1945,
chiuse nel '54 e riaprì alcuni anni dopo.
In Francia il marchio Jep, apparso a Parigi nel 1932, indica una
fabbrica di una certa importanza nella produzione di aerei di latta,
sommergibili e navi. Prima di chiamarsi Jep aveva una denominazione più
completa: "Societé industrielle de Ferblanterie", ed era stata fondata
nel lontano 1899.
In Italia, dai primi del Novecento comparvero tre marchi: Metalgraf,
Cardini, e I.n.g.a.p. Data la massiccia produzione tedesca, queste
fabbriche non raggiunsero mai un grande sviluppo; anzi, spesso dovettero
lottare per mantenere la loro fetta di mercato.
La Metalgraf di Milano, attiva fra la metà degli anni '10 e la seconda
guerra mondiale, era specializzata nella litografia su latta, ma i suoi
giocattoli, pur molto belli, erano fatti con metalli di scarto assai
fragili.
La Cardini di Omega (Novara) fabbricò giocattoli tra il 1922 e '28, ma
in soli sei anni si guadagnò un posto di prestigio per l'accuratezza dei
suoi pezzi. Treni, tram, dirigibili erano venduti in speciali scatole
variopinte che, una volta aperte, diventavano simpaticissimi tunnel,
rimesse, banchine portuali, hangar (talvolta erano opera di artisti
designers come Attilio Mussino e Antonio Rubino).
La I.n.g.a.p. ha avuto una storia decisamente più lunga. Sorta nel
Veneto come Industria nazionale di giocattoli automatici Padova, ha
resistito fino a pochi anni fa dal 1919. Nel 1925 mise a punto il primo
trenino tutto italiano a molla, seguirono aeroplanini, carri armati con
scintille focaie e persino pupazzi animati. I più noti, anche all'estero
furono Pinocchio e Felix il gatto, personaggi dei fumetti.
Collezionismo
Se all'estero risale già al secolo scorso, infatti le aste sono
numerosissime, in Italia il collezionismo dei giocattoli muove i primi
passi soltanto verso il 1960. Una ragione di questo fatto risiede nella
vera mancanza di una tradizione del balocco. I collezionisti italiani
sono ben pochi se si considerano le centinaia di appassionati nel mondo
anglosassone. Tralasciando il settore delle bambole, così complesso da
richiedere uno studio a parte, si può ragionevolmente sostenere che in
Italia i giocattoli siano arrivati tardi, almeno come fenomeno di massa.
Nell'Ottocento l'Italia era divisa in piccoli stati, fioriva
l'artigianato, soprattutto specializzato in ex voto. La presenza della
Chiesa e di una struttura ecclesiastica capillare fungeva da ostacolo
alla nascita del giocattolo, pur sempre considerato come una creazione
fantastica e di origine atea. Il collezionismo ha ricevuto un
significativo impulso proprio in questi ultimi vent'anni, grazie ad
alcune mostre e alle aste.
Ma quali sono in Italia i giocattoli più richiesti? Sempre escluse le
bambole, per le quali esiste un mercato particolare, la graduatoria vede
in testa le automobiline (specie quelle in pressofusione e latta),
seguite dai trenini e dagli aeroplanini, giostre, giocattoli di
fantasia, da tavolo e didattici. I prezzi sono molto alti, soprattutto
per i piccoli robot d'epoca.
Alessandra Doratti