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FONTANA ARTE
Franco
Deboni
Lo stabilimento Luigi Fontana & C. a
Milano, 1920 circa.
Fontana Arte
rappresenta un unicum nel panorama delle Arti Applicate del
XX°
secolo, non solo in Italia, ma nel mondo.
In un arco di
tempo di poco più che un trentennio, divenne la più straordinaria azienda
specializzata nell'uso dei cristalli, applicati all'illuminazione e agli arredi,
caratterizzati da modernità di concezione ed esecuzione perfetta.
Tre sono stati gli
artefici di questo straordinario successo, che in qualità di direttori artistici
si sono susseguiti alla sua guida:
Giò Ponti,
cui
va il merito di avere, per primo, intuito le enormi potenzialità progettuali del
cristallo, applicate ai nuovi sistemi di illuminazione e agli arredi, e
specialmente il fatto di avere scoperto il genio creativo di Pietro Chiesa, e di
averlo voluto al suo fianco nella direzione della Fontana Arte.
Pietro Chiesa,
il vero artefice
del successo internazionale, uomo di straordinaria cultura artistica, capace di
spaziare dal modernismo più all'avanguardia, alla decorazione
più
pura e raffinata, e creatore di uno straordinario
staff di
artigiani
che fecero della
Fontana Arte la loro bandiera, e che furono in grado
di realizzare prodotti
modernissimi, con criteri di perfezione esecutiva
degni della più alta tradizione rinascimentale.
Max Ingrand,
che entrò alla
Fontana Arte in un momento di particolare crisi, dopo la scomparsa di Chiesa e i
danni del periodo bellico, e che riuscì a farla risorgere appieno, aggiornando
le produzioni e conducendola nel mondo del design, quale oggi noi concepiamo,
senza per questo tradire l'eredità di quanti l'avevano preceduto.
Luigi
Fontana & C. SA
Nel 1881, Luigi Fontana,
assieme a un gruppo di amici aristocratici, banchieri e professionisti, fonda a
Milano, in via Rosolino Pilo 17, una società di commercializzazione e
lavorazione del vetro in lastre: la «Luigi Fontana e Compagni».
In un periodo di grande
incremento per l'architettura e la decorazione, dove per la prima volta
veniva fatto largo uso di vetro in lastre nell'edilizia, ma anche per
caratterizzare gli arredi, in pochi anni la ditta si sviluppò enormemente. Alla
vendita delle lastre di vetro, si affiancarono il taglio, la molatura,
l'argentatura, la decorazione, la legatura, tutte operazioni che precedentemente
venivano per lo più effettuate all'estero, mancando in Italia ditte
specializzate.
Per l'approvvigionamento
delle lastre di vetro, per lunghi anni la Fontana dipese interamente
dall'estero, prevalentemente da Francia, Belgio e Inghilterra: soltanto nel 1893
dopo che la Saint-Gobain aprì uno stabilimento di produzione a Pisa, la Fontana
poté cominciare a rifornirsi con maggiore facilità sul mercato nazionale.
Il padiglione della Luigi
Fontana & C. all'Esposizione internazionale di Milano, 1906.
Nel 1906 l'azienda partecipò
alla Fiera internazionale di Milano, con un padiglione faraonico, che ebbe
l'onore di essere visitato da Vittorio Emanuele III e dalla regina Elena, evento
immortalato dalla stampa dell'epoca.
Attenta a quelle che erano le
nuove tendenze nel campo dell'architettura e della decorazione, seguendo i
dettami dell'imperante stile Liberty, la Fontana produsse vetrate policrome,
insegne pubblicitarie, vetri smaltati, specchi molati e decorati; non mancarono
i mobili con molte parti vitree e splendide vetrine dai grandi vetri curvati, di
grande impatto sul pubblico.
Nel 1910, la Saint-Gobain
entrò in partecipazione di maggioranza, trasformando la «Luigi Fontana» in
«Società Anonima». L'apporto di nuovi ingenti capitali fece sì che essa facesse
da forza trainante, rendendo possibile, sempre sotto la guida di Luigi
Fontana, la realizzazione di sempre nuovi progetti. Durante il periodo
della Grande Guerra, per la conseguente riduzione dell'attività vetraria, venne
affiancata una produzione di borracce militari.
Negli anni seguenti, l'azienda ebbe un'espansione quasi capillare, con
l'apertura di punti vendita e magazzini che, in seguito divennero delle filiali
a tutti gli effetti. In pochi anni la Fontana fu presente non solo a Milano, ma
anche a Torino, Genova, Cantù, Lissone, Meda, Venezia, Trieste, Roma, Messina,
Palermo, Cagliari, Sassari, a Tripoli e Bengasi, contando inoltre agenzie in
vari paesi d'Europa e Sudamerica.
Vennero lanciati nuovi prodotti, ancora attualissimi, realizzati con metodi
all'avanguardia per l'epoca, quali la curvatura di lastre di grandi dimensioni;
apparecchi d'illuminazione e mobili con largo impiego di cristallo, supportati
da massicce campagne d'informazione pubblicitaria.
La nascita della Fontana Arte
La creazione di prodotti artistici in cristallo, sviluppatasi alla Fontana già
nel gusto Liberty, all'inizio degli anni trenta prese maggiore consistenza, al
punto da diventare una «divisione» specialistica della grande casa madre, che
avrebbe preso il nome di Fontana Arte.
Nel 1930, si stabilirono i primi contatti tra Luigi Fontana e il giovane
architetto milanese Giò Ponti, direttore artistico presso la Richard Ginori e
fondatore di «Domus», prestigiosa rivista del settore. Da questa conoscenza ebbe
luogo una collaborazione, concretizzata con la realizzazione dei primi
apparecchi d'illuminazione, mobili e complementi d'arredo.
Ritratto di Pietro Chiesa
Con l'acquisizione della
Bottega di Pietro Chiesa, un giovane milanese che aveva un laboratorio per
l'esecuzione di vetrate artistiche, e la cui eccezionale bravura era ben nota a
Ponti, si venne a creare una sinergia straordinaria tra Ponti, Chiesa e la
Fontana, che con i mezzi tecnici di cui disponeva, consentì ai due progettisti
di esprimersi al massimo delle loro possibilità.
Nel 1933 fu creato questo dipartimento, specializzato in arredi moderni, che
prese il nome di Fontana Arte, la cui direzione, in un primo tempo affidata a
Ponti, subito dopo, su suggerimento dello stesso, passò a Pietro Chiesa, che
seppe guidarla ai vertici mondiali del settore, fino alla sua prematura
scomparsa nel 1948.
Furono creati gli articoli più svariati: mobili, piatti, scatole, portaritratti,
cornici, specchi, sculture, vetrate, spesso su disegno degli artisti più famosi.
Ma fu soprattutto negli apparecchi d'illuminazione che la Fontana Arte si
dimostrò straordinariamente all'avanguardia, con modelli d'un razionalismo
purissimo, eseguiti magistralmente sfruttando al meglio tutte le lavorazioni del
cristallo che più le erano congeniali.
Al successo, contribuirono gli innumerevoli articoli che gli vennero dedicati
dalle maggiori testate specialistiche, in particolare le riviste «Domus» e
«Stile» sulle cui pagine Ponti fu prodigo di articoli e citazioni, e la costante
presenza nelle più importanti manifestazioni di settore quali la Biennale d'arte
di Venezia e l'Esposizione internazionale delle arti decorative di Monza, nel
frattempo trasferitasi a Milano e diventata la Triennale, a cui si affiancarono
grandi esposizioni a Parigi, Berlino, Bruxelles, Buenos Aires, non ultime le
esposizioni di Stoccolma e Göteborg, che si tennero a conflitto appena iniziato.
Vennero aperti i due punti vendita di Milano e Roma in posizioni strategiche di
grande impatto, via Montenapoleone e via Condotti, perfette vetrine per
pubblicizzare mobili, lampade, sculture, complementi d'arredo tra i più belli
che fosse dato di vedere, e assieme a essi numerosi concessionari, scelti
accuratamente tra le più prestigiose rivendite di mobili, non solo nelle
principali città italiane, ma anche all'estero.
Non mancarono, all'interno delle produzioni, le collaborazioni mirate con
giovani artisti emergenti, come, ad esempio, lo scultore Giacomo Manzù, che in
collaborazione con Chiesa e con l'incisore Erwin Walter Burger, creò delle
straordinarie figure, scolpite da blocchi di cristallo grezzo, oppure il giovane
artista rumeno Saul Steinberg, che disegnò per Fontana delicati decori per
mobili, lampade, e un grande paravento bianconero per Chiesa, citato da Ponti
come esempio straordinario.
Nell'arco di neanche una decina d'anni, dal 1933, anno di fondazione, al 1940,
la Fontana Arte era dunque diventata un simbolo del gusto, dello stile e della
raffinatezza anche se, come apprendiamo da documenti dell'epoca, i risultati
economici, pur ragguardevoli, venivano notevolmente penalizzati dai costi
astronomici che tali produzioni artistiche richiedevano.
Il periodo bellico
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, il commercio del vetro era
praticamente ridotto a zero, essendo stata limitata per legge la sua lavorazione
ai soli fini militari, o civili essenziali. La Fontana pur trovandosi in una
posizione di leader mondiale, per quanto concerneva le produzioni di cristalli
d'arte, per la natura stessa dei suoi prodotti, si ritrovava completamente
emarginata da un qualsivoglia inserimento in quelle che costituivano le
produzioni belliche, inoltre la materia prima, ovvero il vetro, cominciava a
scarseggiare, fino a scomparire del tutto, obbligando le maestranze a inventarsi
letteralmente il lavoro, giorno per giorno, sfruttando ogni minima rimanenza di
cristalli superstiti. Inoltre, essendoci nella casa madre una rilevante
partecipazione di capitale straniero, l'azienda venne posta sotto sequestro, e
venne nominato un sequestratario, nella persona del Consigliere nazionale
Amilcare Preti, con pieni poteri. In realtà si fece in modo che l'azienda
riuscisse a continuare una qualche attività, anche se i punti vendita di Milano
e Roma dovettero chiudere per evidenti motivi. Rilevante, fu l'estromissione da
qualsiasi incarico direttivo dell'anziano Luigi Fontana, il quale benché
ottuagenario, esercitava ancora un rilevante ruolo carismatico di stimolo per le
maestranze tutte.
I bombardamenti su Milano provocarono la quasi totale distruzione dello
stabilimento di via Tortona e fu necessario effettuare dei trasferimenti
provvisori a Cravenna d'Erba, nella grande villa di Cesare Fontana, mentre le
produzioni vetrarie artistiche furono sistemate in una filanda nelle vicinanze.
Per oltre tre anni, fino alla fine del conflitto, la Fontana proseguì in questa
sorta di esilio, ma si ritrovò, alla fine della guerra, seppur indebolita fuori
misura, pronta a riprendere al meglio la sua attività. Venne a cessare anche il
sequestro, e l'azienda venne restituita ai legittimi proprietari, seppur per
poco, in quanto la famiglia Fontana uscì di scena definitivamente, poco dopo la
fine della guerra.
Lo stabilimento di Milano,
distrutto dai bombardamenti, venne ricostruito in un arco di tempo compreso tra
il 1946 e il 1958, tenendo in particolare considerazione quelle che erano le
esigenze della Fontana Arte, specialmente con l'installazione di un grande e
moderno forno a metano, per la curvatura di grandi superfici di cristallo, e un
impianto di argentatura continua, unico in Italia all'epoca, che offrivano
ulteriori potenzialità espressive all'azienda, onde acquisire più ampie fasce di
mercato.
Il 26 maggio 1948 morì improvvisamente Pietro Chiesa, stroncato da un malore,
mentre era a Parigi con il figlio. Questo grave lutto venne a privare la Fontana
Arte di un direttore artistico per eccellenza.
Fra alterne fortune,
l'incarico di direttore artistico venne coperto da Emanuele Ranci, già
collaboratore di Chiesa, e dall'architetto Roberto Menghi, che ricoprì funzioni
similari per un breve periodo, senza però arrivare mai a un incarico definitivo.
La società Saint-Gobain, socia di maggioranza della Fontana, nella persona del
suo direttore generale, ingegner Alfonso Sella, si rivolse a Ponti per un aiuto,
una consulenza in merito, ben conscia del ruolo che questi aveva sempre
rivestito presso l'azienda milanese. L'architetto, che sempre conservava una
grande passione per l'azienda, in un primo momento si propose come successore e,
in seconda ipotesi, propose per la carica di direttore artistico la figura del
grande vetraio e decoratore francese Max Ingrand, la cui opera era in perfetta
sintonia con quella di Chiesa, al punto da garantire una continuazione ideale
nella direzione artistica dell'azienda.
Il periodo Ingrand
Nel 1954, dopo alcuni anni di stasi creativa, la direzione artistica della
Fontana Arte venne presa dal francese Max Ingrand, supportato da Ponti e dai
vertici della Saint-Gobain, che speravano in questo modo di rilanciare nel
giusto modo la produzione.
I cambiamenti apportati dal progettista francese, sempre fedeli, alla tradizione
Fontana, videro un perfetto uso dei metalli e una sapiente esecuzione delle
parti in cristallo, con virtuosismi che bene si inserirono nelle nuove forme
sinuose che caratterizzavano il design dell'epoca.
Esterno del negozio Fontana Arte in
via Montenapoleone a Milano, 1956 circa.
Pur conservando il suo grande studio a Parigi, Max Ingrand seguiva costantemente
ogni aspetto della produzione, effettuando viaggi periodici a Milano: la sua
attività parigina rimaneva comunque prioritaria, essendo egli molto impegnato
con grandi committenze nel campo dell'architettura, sia come esecutore di
vetrate artistiche, sia come decoratore d'interni, attività questa che egli
svolgeva ai massimi livelli, essendo anche presidente della Société des Artistes
Décorateurs (SAD).
La Fontana gli affidò quindi la ristrutturazione dei suoi negozi monomarca a
Milano, in via Montenapoleone, e a Roma in via Condotti, oltre ad alcuni
rivenditori specializzati, quali il negozio Majolino di Palermo. Nel 1958 fu
aperto un negzio Fontana Arte de Venezuela, con sede a Caracas, su progetto
dell'architetto Giulio Vinaccia.
Furono di quegli anni alcuni
dei più belli stand fieristici, spesso su progetto dello stesso Max Ingrand,
come lo spettacolare spazio concepito per la fiera di Milano nel 1961, dove un
sapiente gioco di specchi rifletteva all'infinito uno spettacolare lampadario
composto da un grande numero di lame di cristallo sagomato.
Nello stesso periodo vennero effettuate alcune profonde modifiche a livello
strutturale: furono conservati, a livello operativo, solo i reparti che si
occupavano dell'argentatura, della curvatura di grandi superfici e delle
lavorazioni di molatura e decorazione che riguardavano direttamente le
produzioni artistiche, a poco a poco vennero abbandonati i lavori in legno,
anche il reparto metalli venne ceduto ad altri, con l'impegno però di
privilegiare pur sempre la committenza Fontana.
Tutto ciò portò soprattutto alla soppressione del reparto che si occupava di
tutti i grandi lavori su commissione, che negli anni trenta e quaranta avevano
rappresentato uno dei vanti dell'azienda, in cui la produzione era rappresentata
quasi esclusivamente da pezzi unici, quasi dei prototipi che però indicavano già
quali erano le potenzialità di sviluppo, su scala più ampia, di simili
produzioni.
Il successo commerciale di tali prodotti aveva fatto sì che, per venire incontro
alle richieste crescenti della clientela, si era passati da una produzione
artigianale, a una semi industriale, pur conservando standard qualitativi
altissimi, ma anche molto costosi.
Continuando su questa strada, tale cambiamento era inevitabile, anche in
conseguenza del rapidissimo evolversi del mercato dove, essendosi moltiplicati
vertiginosamente i punti vendita, era sempre più sentita l'esigenza di prodotti
ripetibili, per evidenti ragioni commerciali più vendibili che non gli
straordinari pezzi unici di un tempo. In questo senso i prodotti progettati da
Max Ingrand, affiancato da Emanuele Ranci e dagli altri disegnatori interni alla
Fontana, ben si inserivano in questo tipo di mercato, garantendo una grande
scelta di prodotti, specialmente nel campo dell'illuminazione, sempre di
straordinaria qualità esecutiva, uniti a forme che, verso la fine degli anni
sessanta, si andavano via via semplificando, anche con l'apporto di nuovi nomi
che, seppure per singoli pezzi, cominciavano ad affiancarsi in qualità di
progettisti, quali Bobo Piccoli, Gianni Reggiori, Alberto Rosselli, G. P. A.
Monti, Franca Helg, Eugenio Gerli, Umberto Riva, Piero Castellini, Gianni Celada
(quest'ultimo ricoprirà per alcuni anni l'incarico di direttore artistico, dopo
la scomparsa di Ingrand), oltre ovviamente al grande Giò Ponti che, seppure
saltuariamente, riprenderà una collaborazione creativa alla fine degli anni
sessanta.
Un buon successo commerciale,
fu rappresentato dai cristalli dipinti realizzati su disegni del pittore Duilio
Barnabé, firmati con lo pseudonimo «Dubé»: con questa tecnica di decorazione
vennero realizzati, tra il 1950 e il 1961, anno della sua prematura scomparsa,
una serie di piani di tavolo, pannelli decorativi, coppe centrotavola e piatti,
aventi come soggetto nature morte, figure di vaga ispirazione primitiva, e verso
gli ultimi anni, motivi astratti.
Pur distaccandosi in maniera netta dalla produzione Fontana più corrente, questi
furono prodotti di alta qualità, che si inserivano in una tendenza, allora in
grande sviluppo, che vedeva la collaborazione di giovani artisti con l'azienda
milanese. Già alla fine degli anni quaranta, ad esempio, il pittore Lucio
Fontana aveva realizzato delle grandi basi in ceramica per tavoli e tavolini su
disegno dell'architetto Roberto Menghi che poi, sia pure in numero limitato,
erano entrati nel catalogo di produzione della Fontana Arte.
Anche dal punto di vista promozionale l'azienda operava in maniera altamente
qualificata, sia con la partecipazione alle più importanti mostre
internazionali, sia attraverso la presenza sulle pagine della migliore stampa
specializzata, sia promuovendo un episodio editoriale particolarmente esclusivo,
i «Quaderni di Fontana», una serie di pubblicazioni periodiche in forma di
libro, a partire dal 1962, con saggi introduttivi a opera di famosi critici
d'arte, dove venivano presentate le nuove produzioni, raggruppate per tipologie
commerciali, avendo la finalità di «venire messi a disposizione di architetti,
ingegneri, arredatori e altre categorie interessate, nell'intento di soddisfare
le rispettive esigenze professionali e costituire in futuro un valido compendio
nel campo dell'illuminazione, dell'arredamento e dei cristalli d'arte per
l'evolversi dello stile».
Nell'agosto 1969 moriva repentinamente Max Ingrand, all'età di sessantuno anni,
lasciando nuovamente senza guida l'azienda milanese.
Con la morte del designer francese, termina anche un periodo ben preciso nella
storia della Fontana Arte, in cui le produzioni erano continuate sulla scia di
quelle ispirate da Ponti e Chiesa: c'erano ancora maestranze straordinariamente
abili, il mercato recepiva ancora prodotti estremamente raffinati e costosi, ma
i tempi stavano mutando con grande rapidità.
Ancora una volta, come dopo la scomparsa prematura di Chiesa, i vertici della
società si rivolgono a Ponti per riceverne suggerimenti, del come dare una
continuità di gestione all'azienda.
Purtroppo, non si riuscì a trovare un modo di collaborare che fosse
soddisfacente per il grande architetto milanese, e seppure con grande rimpianto,
Ponti smise di seguire la Fontana Arte. L'azienda ora mirava ad inserirsi nei
nuovi panorami produttivi in Italia e all'estero, alla luce delle nuove ottiche
che il mercato andava presentando.
La nostra storia si conclude qui, come si conclude un periodo molto particolare
della storia delle arti decorative italiane: altri designer sono seguiti, altri
prodotti, altre mostre, non per questo meno importanti e significativi, ma
questo potrà essere forse motivo di una trattazione successiva, che ci porterà
fino ai giorni nostri.
Franco
Deboni
© Copyright su testi
e immagini, per gentile concessione dell'autore.
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«Form»
«Artifex»
«Rivista Internazionale
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Illuminazione»
«Architettura e Arti Decorative»
«Prospettive»
«Rassegna
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