La figura umana, nella maggioranza dei casi, abita uno spazio isolato, neutro.
Sul corpo, sul volto, elementi vegetali o animali prendono vita realizzando una
forma di convivenza, in una riuscita fusione delle distanze. La terra ricopre il
corpo, lo nutre e lo protegge. Gli occhi sono chiusi: non si distraggono, né si
lasciano interrogare sul segreto dell’alchimia che si compie nella foto. Miro a
rappresentare un mondo che tenga conto della natura che ci circonda, che sappia
cogliere la sua energia vitale per trasformarla in tensione etica.
Il pensiero sviluppa visioni libere, che devono venir indirizzate verso una
traduzione ottica che le possa rappresentare. La fotografia celebra il rito
dell’unione tra le idee e il reale, è l’istante in cui l’immagine pensata assume
una forma concreta: è il riflesso di uno stato d’animo, è l’espressione vitale
di passioni e desideri.
Ogni nuovo lavoro richiede un periodo di riflessione: una fase di elaborazione
per stabilire i contenuti, e la forma che consentirà loro di emergere. Questa
pausa permette al lavoro stesso di maturare e autoalimentarsi. E’ il momento in
cui stabilisco i criteri di realizzazione attraverso schizzi, intuizioni, ed in
particolare con la ricerca delle persone più indicate ad incarnare l’idea.
Nonostante questa preparazione, anche molto lunga, rimane sempre un margine,
quasi necessario, di incertezza: un timore che si dissolverà solo nel momento
della creazione concreta dell’immagine.
Risolvere volta per volta le
difficoltà tecniche, ed entrare in sintonia con la persona da fotografare,
sottomessa, pur nella condivisione del momento, alle mie necessità: ecco il rito
che la fotografia permette di officiare, traducendo la visione del pensiero in
visione ottica, risolvendo tutte le distanze – sogno, idea, realtà, umano,
animale, … - in una immagine.