Cofanetti del Rinascimento

splendidi contenitori di preziosi

 

 

Alessandra Doratti

 

 


Se gli abiti servissero solo a riparare dal freddo, non si sarebbero evoluti poi troppo dal tempo in cui gli abitanti delle caverne si coprivano di foglie e di pelle di animali.
Ma, anche nelle culture primitive, il vestito assolse a tali e tante funzioni da relegare quasi in secondo piano il compito primario di protezione dal freddo. L'abbigliamento, l'acconciatura, il trucco servirono a denotare il ceto di chi li indossava, a sottolineare la dignità sociale (servo, donna, sacerdote, guerriero), a mettere in risalto le parti del corpo umano che ogni epoca considerava importanti. Per esempio nel Rinascimento si apprezzavano nella donna la bellezza delle spalle e del seno e una certa opulenza nelle forme; nel settecento l'occhio brillante, la snellezza della vita e un piede piccolo e ben arcuato; nel primo ottocento il perfetto ovale del viso accompagnato dalla spalle delicatamente cadenti. Nelle diverse epoche, la moda si incaricò di esaltare gli aspetti pregevoli della figura, minimizzando gli altri e senza dimenticare di sottolineare il ceto sociale e la condizione. Per quanto riguarda l'occidente, l'epoca più curiosa e spettacolare fu senza dubbio il tardo Medioevo, in cui addirittura nelle varie fasi della vita s'indossava costumi diversi e ben dipinti; c'era un costume per la donzella e uno per la giovane sposa, uno per la suora e uno per la vedova; il nobile si differenziava nettamente dal borghese, il venditore di erbaggi dal pescivendolo, il falegname dal calzolaio. C'erano punizioni per il membro di una qualunque di queste categorie che abusasse del costume di un'altra, salvo che non si fosse in tempo di Carnevale.
Anche gli oggetti servivano a esprimere concetti oltre che ad agevolare il vivere quotidiano; c'era la comune sedia, ma anche la cattedra vescovile e il trono, ornato e magnifico in modo da far capire com'è grande la dignità di sedervi. I cofanetti e i contenitori furono anch'essi concepiti per custodire o conservare. Ma quando la "cosa" da racchiudere era di un particolare rilievo, o la persona che li usava di particolare dignità, il contenitore si nobilitava in proporzione fino a divenire qualcosa di splendido, o di assumere una forma che è simbolica della funzione.

 


La raffinata arte degli Embriachi

I più caratteristici a questo riguardo furono i cofanetti per uso sacro, come le pissidi o i reliquari a forma di chiesa in miniatura. I maggiori intagliatori d'avorio italiani del Trecento furono gli Embriachi. Trasferitisi da Firenze a Venezia allo scadere del secolo XIV, rifornirono le corti padane e le famiglie più agiate dell'Italia tardo medioevale di specchi, cofanetti e altre suppellettili di tipo profano che nei secoli più severi del Medioevo non si osavano neppure immaginare. Il loro capolavoro nel genere sacro, il grande altare eburneo per la Certosa di Pavia, è stato purtroppo manomesso e depredato tempo fa da ladri, che hanno asportato una gran parte degli elementi curvi in avorio o dente di ippopotamo che lo componevano. A parte l'altare di Pavia, le altre opere degli Embriachi sono caratterizzate dalla ricca ornamentazione geometrica a greche, rosoni, riquadri intrecciati realizzati a intarsio in avorio e legni di diversi colori. Di questo tipo di decorazione, detta appunto "alla certosina" possiamo vedere nelle foto alcuni esempi.
Una piccola ma seducente rassegna di cultura rinascimentale è costituita e rappresentata dalla serie di contenitori e cassette in pastiglia policroma, prodotta nell'Italia settentrionale e risalente al XIV secolo. Sono scatole decorate con un marcato gusto rinascimentale: da esempio le loro ornamentazioni raffigurano zuffe e abbracci di divinità marine, in ricordo dei celebri fogli incisi del Mantegna sullo stesso oggetto oppure il decoratore sembra aver preso come modello figurate popolari, forse nordiche, in cui le divinità classiche vengono raffigurate ancora in abiti quattrocenteschi.

 

Vengono dal Nord dei e cavalieri


Al Nord, soprattutto in Germania, erano molto diffusi questi fogli a stampa rappresentanti i soggetti più svariati, dalle figure dei tarocchi alle scenette sacre, allegoriche, simboliche, ai poemi cavallereschi medioevali. I decoratori li prendevano spesso a modello ed è facile vedere riprodotti le ingenue mitologie o i bizzarri simbolismi figurati su soggetti d'uso come i cofanetti. Altri esemplari ancora ci trasportano nell'ambito produttivo nordico: sono i bauletti con manico, realizzati con una tecnica abbastanza rara, in ferro arrugginito.
L'agemina, una tecnica orafa, consiste nell'intarsiare un metallo con un altro metallo più chiaro e brillante. Quest'arte era diffusa soprattutto in ambiente islamico e nel mondo bizantino. Sono celebri le grandi porte di bronzo ageminate in argento della basilica di San Marco a Venezia e della basilica di monte Sant'Angelo in Puglia, alcune delle quali realizzate direttamente a Costantinopoli da orafi bizantini e poi trasportate in Italia.
Un particolare curioso: nei bauletti motivi figurativi sono sovrapposti senza alcuna prospettiva con gusto quasi cinese. La forma dei contenitori preziosi è la più classica: imita, in piccolo, i forzieri usati per custodire e trasportare. Spesso nei bauletti non mancano le cerniere in seno ai lati della chiusura che ricordano la coppia di solide cinghie usate per serrare i bauli.
Caratteristico dell'oreficeria italiana delle regioni meridionali è invece l'uso del corallo. Il bauletto che vediamo nella foto è decorato in corallo come molti dei monili che probabilmente contiene, probabilmente da Trapani e lo si può far risalire al XVI secolo.

 


Raffinata eleganza del Manierismo


L'eleganza calligrafica del Manierismo italiano, interpretata dagli artisti francesi del Cinquecento caratterizza alcuni cofanetti in metallo e smalti, tipici della seconda scuola di Limoges, che dopo i fasti medioevali conobbe nuovo splendore nel XVI secolo. Queste scatole venivano spesso ornate con scene mitologiche; raffigurate sul coperchio e sulle fiancate dei cofanetti vi erano personaggi dalle membra affusolate, delineate quasi sempre con eleganza esternata. A volte, ai quattro spigoli vi erano dei sottilissimi risvolti a forma di minuscole colonne corinzie, montate su alti piedistalli. Erano pezzi evidentemente creati per persone che della cultura classica riscoperta e dell'antichità rinata avevano ormai fatto un costume irrinunciabile.
Di fattura limosiana vi sono anche le coppe: con una fascia equatoriale abbondantemente traforata, servono, naturalmente, ben poco allo scopo pratico di bere, conservare liquidi, alimentare fiori; appartengono a quella categoria di oggetti che le sfarzose élites rinascimentali facevano realizzare, come disse il grande orafo Benvenuto Cellini "il più presto a pompa che a necessità". Questo genere di bicchiere era molto diffuso in area germanica, dove veniva chiamato "Prunkpokal", cioè, più o meno, "coppa da sfarzo", non destinata dunque a servire ma ad adornare e a dare magnificienza alle tavole dei grandi. Il rischio dell'oggetto simbolico di diventare inutile non scompare con il Rinascimento, anzi è sempre in agguato dalla poltrona che connota modernità e funzionalità, ma nella quale è scomodo sedere, alla scarpa o al vestito alla moda, che pur adeguando perfettamente il nostro corpo ai canoni estetici vigenti, ci strappano un sospiro di sollievo quando li togliamo.

 

Alessandra Doratti