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BUDDHISMO  tra ARTE e CULTO

 

 


 



 

    Il Buddismo, nel suo diffondersi dall'India, abbracciando venticinque secoli di storia e decine di culture, rappresenta nel mondo un patrimonio artistico-culturale di incommensurabile varietà e vastità.

 

 

Indice:

Nascita del Buddhismo

Propagazione del Buddhismo

Il Buddhismo in Birmania

Il Buddhismo in Cambogia

Il Buddhismo in Cina

Il Buddhismo in Corea

Il Buddhismo in Giappone

Il Buddhismo nel Laos

Il Buddhismo in Mongolia

Il Buddhismo nel Siam

Il Buddhismo in Tibet

Buddhismo e Induismo

Il Taoismo

Il Confucianesimo

Buddhismo, religione o filosofia?

 

 

Il Buddha

Il Buddhismo nella mitologia

Le raffigurazioni nel Buddhismo

Arte Buddhista e arte Induista

Hīnayāna o piccolo veicolo

Mahāyāna o grande veicolo

Vajrayāna" o " veicolo della gnosi

La pratica del Dharma

Le Quattro nobili verità

L'Ottuplice Sentiero

L'Attaccamento

Il Libro tibetano dei morti

Simbologia buddhista

Bibliografia

 

 

 

 

 

Nascita del Buddhismo

Il Buddhismo o Buddismo, nasce in India nel VI secolo a.C. (datazione controversa), traendo origine dagli insegnamenti di Siddhartha Gautama, e si basa fondamentalmente sulle Quattro nobili Verità e sull'Ottuplice Sentiero. Più in generale, il termine Buddhismo comprende anche l'insieme di tradizioni, pratiche e tecniche spirituali e devozionali che si sono evolute nei secoli successivi (dall'Hīnayāna al Mahāyāna, poi al Vajrayāna o tantrismo), nel Sud-est asiatico e in Estremo Oriente, dalle differenti interpretazioni dell'insegnamento originario ed assorbendo in sé parecchi elementi induisti (brahmanici, shivaiti, visnuiti, ecc.).

 

 

Propagazione del Buddhismo

 

HĪNAYĀNA

MAHĀYĀNA

VAJRAYĀNA

Nepal: 400-300 a.C.

Ceylon: 200-100 a.C.

Indonesia: 400-500 d.C.

Siam: 600-700 d.C.

Birmania: 800-900 d.C.

 

Asia centrale: 200-100 a.C.

Cina: 100 a.C.

Corea 300-400 a.C.

Giappone: 500-600 d.C.

 

 

Tibet: 600-700 d.C.

Mongolia: 1500-1600 d.C.

 

 

 

 

 

 

Prima predicazione del Buddha, pietra, secolo II-III. Lahore Museum.

 

 

Il Buddhismo si è diffuso in molti paesi dell'Asia centrale a nord, la Cina, la Corea e il Giappone a est, l'Indocina e l'Indonesia a sud-est, determinando una considerevole unificazione spirituale. Secondo le circostanze storiche di un dato periodo o di una data regione, in questi paesi stranieri il buddhismo ha preso forme differenti, dovute anche all'inevitabile fusione con determinati elementi indigeni, tipici dei paesi che li accoglievano e li assimilavano. Tali trasformazioni o deformazioni della forma «originaria», con elementi del paese straniero, sarebbe in parte dovuta a cattive letture dei testi, al suo carattere tardivo o popolare, o alla necessità di accordare l'insegnamento del Buddha con forme tradizionali locali troppo radicate. Ogni rappresentazione, ogni insegnamento orale o scritto, subisce inevitabili trasformazioni con il tramandarsi da una generazione all'altra, con il mutare delle mode rappresentative, dal migrare da un paese a quelli vicini. Trovandoci al cospetto di un insegnamento vecchio decine di secoli, in qualsivoglia periodo intermedio è stata possibile la riscoperta di tratti e personaggi ormai desueti, stimolando sostituzioni, sovrapposizioni, amalgame e collegamenti, anche senza una preservazione della provenienza geografica o del contesto culturale.
 

Queste trasformazioni costringono ad una triplice classificazione:


cronologica (per epoche);
geografica (per paesi);

sociologica (per ambienti, scuole, ecc.).

 

 

Con la morte del Buddha, avvenuta attorno al (478-484 a. C. (sempre secondo la maggior parte delle fonti), il Buddhismo varca i confini dell'India per mezzo di monaci itineranti che ne divulgano gli insegnamenti.  Questi seguaci del Buddha definirono una modalità di esistenza che univa la mendicità itinerante a periodi di sosta in monasteri appositamente costruiti. Seguendo questo sistema, viaggiando lungo le rotte carovaniere dell'Asia fino all'Estremo Oriente o sui vascelli dei mercanti in viaggio verso l'Asia sud-orientale, i monaci buddhisti si proiettarono rapidamente ben al di là dei confini dell'India.  Essi vivevano scambiando la conoscenza esoterica e l'esperienza personale del mondo trascendente  con l'elemosina che sosteneva i loro bisogni corporali.

 

Aśoka (Ashoka) Moriya il Grande  (Pataliputra, 300 a.C. – 230 a.C. ca.) sovrano dell'impero Maurya (comprendeva l'odierno Afghanistan, parte della Persia, Bengala e Assam, dopo essersi convertito al Buddhismo ne sostenne la diffusione, instaurando il regno del "Dharma", "la Legge".
Il sovrano riprende antiche concezioni  di un ordine cosmico che deve necessariamente ritrovare un corrispondente ordine morale sulla terra, quale espressione di una norma universale. Il Buddhismo, legittimato dal potere di stato, acquista maggior capacità di espansione. Mahinda, figlio di Aśoka, per volere del padre, si recherà nello Sri Lanka per tentare di convertire la gente del posto. La leggenda vuole, che Mahinda partito assieme ad altri missionari, portasse con sé delle reliquie, tra le quali la ciotola del Buddha e testi del canone buddhista. Gli eventi che seguirono l'arrivo di Mahinda e l'incontro con il re Devānampiya Tissa, rappresentano una delle leggende più importanti della storia dello Sri Lanka. Il re Devānampiya Tissa,  secondo figlio di Mutasiva  (re di Anuradhapura), uno dei primi governanti dello Sri Lanka, mise a disposizione dei monaci il monastero di Mahāmeghavana nella città di Anurādhapura, che in seguito divenne il monastero di Mahāvihāra. Successivamente Mahinda fondò a Mihintale il monastero di Cetiyagiri Vihāra.
Mahinda, oltre ad aver introdotto il Buddhismo nello  Sri Lanka, compreso l'ordine monastico femminile, vi apportò fondamentali elementi della cultura indiana, quali l'architettura e la letteratura. Altri missionari, al fine di diffondere il Buddhismo, verranno inviati nella zona dell'Himalaya, presso re greci, nel Gandhara e nel Kashmir. Il Buddhismo assunse quella forma che viene detta mahāyāna (grande veicolo), avviandosi alla conquista dell'Asia.
Vengono divulgati nuovi testi in sanscrito ibrido (Edgerton), i quali, pur introducendo altri principi e orientamenti, vengono attribuiti al Buddha, "parola del Buddha". In un documento risalente ca. al 140 a.C, in cui si riassume il dialogo fra il monaco Nāgasena ed il re Milinda (Menandro), vi si  ritrovano i nuovi principi fondamentali del Buddhismo dopo che questo abbiano trovato un adattamento al nuovo ambiente storico e culturale presso le popolazioni indo-greche.
Sotto il regno di Kaniska (II secolo d.C.), favorevole al Buddhismo compare la prima raffigurazione del Buddha su una moneta.
Sotto l'impero Gupta (320 d.C.), il Buddhismo continua a diffondersi, come si evince da documenti epigrafici: Kumāragupta I (414-455 ca.) fonda il Monastero di Nālandā, a cui farà seguito quattro secoli più tardi quello di Vikramasila. Questi due monasteri in particolare saranno di grande importanza per la diffusione del Buddhismo sia oltre l'Himālaya sia nell'India, dove i missionari introdurranno i motivi e gli ideali dell'arte Pāla e Sena.

Dall'Asia centrale il Buddhismo arriva fino nella Cina nel primo secolo d.C.; fra il 150 ed il 180 un principe iraniano traduce alcuni testi dando vita alla comunità buddhistica di Lo yang.
Con An-shih-kao iniziò un grande periodo di traduzione della letteratura buddhista, che vide un andirivieni di missionari e di pellegrini tra India e Asia centrale, con un intenso scambio culturale ed artistico.


In Cina verranno adottati motivi artistici indiani e centro-asiatici, in India il Buddhismo assume caratteri cinesi; il fenomeno genera un grande rinnovamento filosofico, religioso ed artistico nella cultura dei due grandi paesi.
Dalla Cina il Buddhismo si diffuse in Corea dal quarto secolo, ad opera di monaci giunti da Hsi-an-fu. Nel VI secolo, il Buddhismo approdò in Giappone, ai tempi dell'imperatrice Suiko (593-628), e si diffuse, convivendo con lo Shintoismo. Nel Tibet, il Buddhismo vi giunse tra il VII e l'VIII secolo, ma si diffuse a partire dall'XI secolo, sostituendosi quasi completamente alla religione dei Bön-po. Dal Tibet, il Buddhismo migrò in Mongolia ai tempi di Qūbilāy (1250-1370).

 

 

Buddhismo e Induismo

Nel Buddhismo la figura di Buddha è quella del Maestro, colui che indica la via, una guida, un uomo illuminato, non un dio. Una posizione che rimarrà immutata con il trascorrere dei secoli.
Gli dei, seppur dotati di meravigliosi poteri,  risultato di opere meritorie compiute nel passato, vengono concepiti come meno privilegiati rispetto all'uomo, per essere nell'ambizione e nell'intento di conseguire grandi gesta. Gesta, che seppur grandi, sono caduche, illusorie e che il tempo farà appassire, dimenticare. L'uomo, nella sua condizione di semplicità, può sperare di giungere allo stato di "nirvana", supremo bene.
Il mahāyāna è ricco di molteplici forme divine, che simbolizzano il potere dell'Eterno infinito di generare e dissolvere dal vuoto "sūnyatā" (sanscrito, anche shunyata; Pali: suññatā), che si riferisce all'assenza di esistenza inerente in tutti i fenomeni, complementare al concetto buddista di non-sé.

 


Nell'Induismo, gli dei hanno una loro personalità, poteri e carattere propri, e interagiscono con le forze della natura e con l'uomo. L'uomo, si pone nel rapporto con queste divinità in uno stato di inferiorità, di timoroso rispetto, le venera e le contempla, invocandone intercessioni e miracoli, fino ad ottenere la redenzione attraverso l’esercizio dell’ascesi (tapas). Il Buddha, pratica la via dell'ascesi vanamente, infine riconosce che non è quella la strada da intraprendere per il nirvana. Nulla deve ricercarsi fuori dall'uomo stesso, non ci sono forze a lui superiori; la vita è una lotta che si gioca in lui, fra il bene ed il male, lo spirito e la materia,  le passioni materiali e l'estasi dello stato nirvanico. Nessun dio può essere di aiuto, nessun dio gli è superiore, l'uomo soltanto può trovare la strada che lo conduce alla liberazione, alla  condizione di buddhità.
 

 

 

Il Buddhismo in Birmania

Sebbene le prime notizie certe sul propagarsi del Buddhismo in Birmania risalgono all'XI secolo d.C., la sua introduzione, supportata dalle scoperte archeologiche, risale ad un'epoca molto più antica (circa il 450 d.C.), ad opera di Buddhagosa, proveniente da Ceylon. Nel VII secolo, il Buddhismo di tradizione hīnayānica affianca le dottrine dei Mūlasarvastivādin di lingua sanscrita nel territorio dei Pyu.

Il Buddhismo sul territorio birmano ha seguito l'evoluzione sociale e culturale del paese, con favorevole influenza sulle varie etnie: i Mōn, i Birmani e gli Shan o T'ai.

Dal IX secolo la città di Pagan, situata alla confluenza dell'Irawadi e del Chindwin, dominava il grande traffico verso l'Assam e verso la Cina; il Buddhismo vi era entrato dal VII secolo sotto l'influenza dei culti dell'India. Nella città di Pagan, una classe sacerdotale, gli Āriya, dominarono la regione praticando un culto nel quale vi si trovavano pratiche sessuali tantriche, elementi indigeni e shivaiti. Nell'XI  secolo d.C., emerge la figura di Anōratha (Aniruddha), quale eroe nazionale dei Birmani.  Egli fondò la dinastia di Pagan, e convertitosi al Buddhismo hīnayānico, si dedicò alla conversione del paese all'antica dottrina ortodossa. Alla morte del re, avvenuta nel 1077, il Buddhismo di scuola hīnayānica, era già fortemente diffuso in Pagan. Il figlio di Anōratha, Kyanzittha, dopo essere salito al trono, fece costruire il tempio di Ananda, celebre opera di architettura birmana. Altri templi vennero eretti a Shwegu, nel 1141, e a Thatbyinnyu (Sabbaññu), nel 1144, dal re Alaung Sithu (Jayasūra).

La gloriosa storia di Pagan si concluse, nel 1287, in seguito all'occupazione da parte dei mongoli e la Birmania si suddivise in vari regni. Nel XV secolo sotto il regno di Pegu, il re Dhammaceti introdusse da Ceylon una nuova successione di monaci. Nel 1752, sotto la dinastia di Alaungpaya, il Buddhismo riacquista ufficialità. Bodōpaya (1782-1819), vi spostò la capitale ad Amarapura, e ne portò l'immagine detta Mahāmuni, per la quale costruì un tempio. Nel 1868-71 venne corretto il testo del Tipitaka, che fu fatto incidere su 729 lastre di marmo. La conquista inglese del 1885 mise in forte crisi l'autorità ecclesiastica centrale, che partecipò alla lotta per l'indipendenza, riconquistata nel 1948. Il Buddhismo hīnayānico birmano fin dalla sua introduzione nel paese, ha lavorato prevalentemente sull'interpretazione dei testi, per ricostruire l'antica dottrina nella forma più originale possibile. Nel culto dei Nat, i cinque spiriti della natura, che rappresentano la Pioggia, la Terra, gli Alberi, il Cielo e le Acque, essi appaiono come spiriti protettori, consultati e propiziati dai Buddhisti birmani, in piccole cappelle spesso costruite accanto alle pagode e ai templi. I monasteri birmani, fin dall'XI secolo, sono stati importanti centri di ricerche e studio, coinvolgendo la vita del paese, e formando intere generazioni di Birmani. 

 

 

 

Il Buddhismo in Cambogia

Il Buddhismo in Cambogia, per quanto si colleghi alla tradizione ortodossa di Ceylon, ha subito profondamente l'influenza dell'Induismo brahmanico e delle religioni popolari locali. Nel I° secolo d.C., la Cambogia, le cui popolazioni erano di stirpe e di lingua khmer,  fa parte del regno di Fu-nan; nel IV secolo d.C., a seguito della politica espansionistica dell'imperatore indiano Samudragupta, Fu-nan ebbe un re di origine indiana, con il titolo di chandan. Nel VI° secolo d.C., i Kambuja, occuparono il Fu-nan, e diedero origine al regno di Chēn-la. Alla caduta di questo regno, per lotte ereditarie, si attestò la dinastia dei Sailendra, che esercitò il suo dominio fino al IX° secolo d.C., quando Yayavarman II, fondò una nuova dinastia che regnerà nel periodo detto di Angkor. A questo re viene attribuito l'introduzione di un nuovo culto, che egli fece portare da un brahmano e che condizionerà tutta l'arte e l'architettura sacra cambogiana e verrà a confondersi con i culti buddhistici.

Nel IX secolo venne inaugurato il Bakong, un grande monumento di pietra a forma di piramide.
Nel 952, il re Yayavarman (Räjendravarman) eresse il tempio di Mebon; re Udayādityavarman il tempio Baphūon; re Sūryavarman II, incoronato nel 1113, il tempio di Angkor Vat, consacrato successivamente al dio Visnu, del quale il re aveva assunto le forme. Durante tutto questo periodo, il Buddhismo di scuola mahāyänica e vajrayānica è in commistione con lo Sivaismo e il Visnuismo; i re si identificano e si propongono con le immagini delle divinità indiane e dei Buddha (in particolare del Buddha Lokesvara). Gli imponenti monumenti, al cui centro si ritrova l'immagine fallica del Linga, sono piramidali. Queste grandi costruzioni religiose testimoniano l'alternarsi e il sovrapporsi delle varie fedi induiste e buddhistiche.
Dal XII secolo il Buddhismo hīnayānico inizia a sostituirsi alla cultura e ritualistica mista, conservando però elementi induisti.
In tempi più recenti, il Buddhismo cambogiano, dopo aver subito la posteriore contaminazione del Sivaismo e del Visnuismo,  è ritornato al Canone pāli, la prima forma di predicazione buddhistica diffusa in Cambogia, con forme dottrinarie simili alla Scuola degli Anziani di Ceylon, depositaria dell'insegnamento autentico.

 

 

 

Il Buddhismo in Cina
Prime notizie dell'arrivo in Cina del Buddhismo, giunto via mare lungo le rotte commerciali dall'India e dai diversi centri sparsi in tutta l’Asia, si hanno attorno al 60 d.C., probabilmente durante la dinastia Han, quando viene fondata una piccola comunità all'estuario del Yang-tze. Allorché venne introdotto in Cina, il Buddhismo aveva già cinquecento anni di storia e aveva subito varie trasformazioni rispetto alla sua forma originaria. La Cina, di suo, vantava una cultura raffinata, con molti secoli di storia alle spalle.

Lo sviluppo del Buddhismo in Cina, può essere suddiviso in cinque periodi principali: infiltrazione (dalla prima metà del I secolo d.C., al 300 d.C.); formazione (dal 300 al 600 d.C.); crescita indipendente (dal 600 al 900 d.C.); Buddhismo nella Cina premoderna (dal X al XIX sec.); Buddhismo nella Cina moderna e contemporanea (fine del XIX sec./XX sec.). Di particolare rilievo, nel V secolo d.C., l'opera di traduzione dei testi della scuola madhyamika, da parte del traduttore di sutra Kumarajiva, che dopo 18 anni di prigionia, venne nominato maestro nazionale dal sovrano della dinastia Qin. La filosofia buddhista, penetrata nella Cina nelle tre forme: Hīnayāna, Mahāyāna e Vajrayāna, dà origine a scuole che, fondandosi su scritture indiane tradotte e largamente modificate, danno vita a veri e propri movimenti religiosi. Il Buddhismo si diffuse in Cina con grande seguito, ma proprio per aver introdotto simultaneamente linee di pensiero appartenenti a correnti diverse, questo espandersi della nuova religione causò non di rado l'intervento imperiale, che impose limitazioni e repressioni. Lo status di monaco consentiva di non pagare le tasse, di essere esenti dal prestare servizio militare e dal lavoro, era pertanto molto ambito anche da individui non necessariamente devoti. Il Buddhismo dovette inoltre superare l'ostilità e le persecuzioni politiche, ma ancor più quelle ideologiche e religiose, dei sostenitori del Taoismo e del Confucianesimo.

La prima grande persecuzione è del 446, ad opera dell'imperatore Ta-wu della dinastia dei Wei, che accusa il buddhismo di essere una dottrina falsa e malvagia, che porta rovina ai riti e ai costumi; ordina di uccidere i monaci buddhisti e di distruggerne templi, compresi libri e raffigurazioni, minacciando anche di morte chiunque veneri queste immagini. La repressione si concluse ad opera del seguente imperatore, convinto buddhista, nel 452. Una persecuzione parziale si ebbe nel 574 nello stato dei Chou settentrionali.
La repressione dell'845, venne decretata dall'imperatore taoista Wuzong (841-849 d.C.), rivolta al monachesimo buddhista per il fatto di moltiplicandosi di giorno in giorno sottraendo uomini alla vita attiva ed al lavoro e rinfacciando ai monaci di mangiare e di vestirsi a spese altrui... "Questa gente ha consumato le ricchezze e ha rovinato la moralità delle ultime dinastie..." 

La critica era rivolta anche contro le dottrine della metempsicosi, che contemplavano la possibilità di trasformazione dell'uomo in animali e in esseri inferiori, mettendo in crisi i fondamenti taoisti e confuciani del culto dei morti e inducendo le masse all'inerzia.

 

Quale conseguenza, 4000 templi vennero demoliti, tutti i terreni e i beni materiali del clero furono confiscati e 200.000 monaci dovettero ritornare alla vita laica. Con il successore di Wuzong, le misure restrittive vennero revocate. Nell’XI e XII secolo, l’ideologia dominante in Cina fu il neoconfucianesimo, che troverà il suo massimo esponente in Zhu Xi, molto critico nei confronti del buddhismo e fermamente convinto che l’uomo deve trovare il suo perfezionamento nel lavoro sociale.

Nel 1850, la rivolta del Taiping combatté anche il credo buddhista. Un ulteriore declino del buddhismo si ebbe durante la Rivoluzione Culturale (1966-1969), che si fondava su un’ideale di egualitarismo assoluto e su un ideale controllo della politica e dell'economia da parte della classe operaia. Durante questo periodo, sollecitato da Mao Tse-tung come cardine di una lotta interna nel Partito comunista cinese, si ebbero gravissime conseguenze politiche, economiche e sociali, che videro protagonisti anche i vari credi religiosi. Tra il 1966 e il 1976 le pratiche religiose sono state vietate e i fedeli hanno dovuto fronteggiare la carcerazione e persino la morte.
Negli ultimi anni, con il migliorarsi delle condizioni economiche e anche a conseguenza dei nuovi mezzi di comunicazione, non censurabili, la politica cinese si è fatta più liberale, consentendo un ritorno alla fede e al cerimoniale, che ha visto un considerevole ritorno al credo buddhista.

 

Le prime immagini buddhiste, senza una vera chiarezza iconografica, compaiono in Cina fra il II ed il III secolo d.C., sul retro di alcuni specchi, seguite ben presto, a seguito della richiesta di immagini, da una vasta produzione in pietra e in bronzo. Si producono stele di culto, statuette e figurine in bronzo. L'arte buddhista cinese diviene un fenomeno figurativo di interesse rilevante. I Buddha realizzati dai Wei, di origine turca, sono molto diversi da quelli indiani o centro-asiatici;  altre opere, assai numerose, risentono dalla scuola detta di Mathurã, di origine indiana. Con i Wei, le statuette in bronzo e le immagini in pietra assumono forme stilizzate e allungate, a partire dalla struttura dei volti e delle pettinature, fino al panneggio. I soggetti preferiti dai bronzisti cinesi, sono le rappresentazioni dei Buddha quale Shãkyamuni (il Buddha storico); Prabhūtaratna (uno dei Buddha del passato che nel capitolo XI° del "Sutra del Loto", è raffigurato seduto accanto a Shãkyamuni), essi alludono alla continuità della legge buddhista. Altre raffigurazioni ricorrenti sono quelle del Bodhisattva Maitreya (futuro Buddha); Amitábha-Amitãyus (Buddha dalla luce e dalla vita infinita) e della sua emanazione Avalokiteshvara che, nel Buddhismo cinese diviene la divinità femminile Kuan-yin, la quale impersona la compassione del Buddha per tutti gli esseri viventi.
 

 

 

Il Buddhismo in Corea

Il Buddhismo, di derivazione cinese, entra in Corea nel IV secolo d.C., quando il culto etnico-religioso del paese era originariamente rappresentato da culti imperniati sullo sciamanesimo e sull'adorazione degli antenati. Successivamente, si trasformò in una variante del Buddhismo, il Tongbulgyo (Buddhismo interpenetrato).

Nel IV secolo, nella Corea, suddivisa in molti piccoli stati, emergevano nel nord i regni di Kōkuli e Kokuryū, di Pekche nel sud-ovest, di Silla o Shiragi nel sud-est. Fu ad opera del re di Tshin, nel 370 ca. che vennero divulgati i testi sacri, le immagini del Buddha e costruiti dei templi-monasteri. Nel VII secolo, sotto i re Yongnyu (618-642) e Pojang (642-668) di Kōkuli, il Buddhismo divenne religione di stato, affiancando il Taoismo e il Confucianesimo; i monasteri divennero centri di cultura. Sotto la dinastia di Chosen, nel 1510 ca., il Buddhismo subì una forte battuta d'arresto: furono bandite le varie scuole, i monasteri di Seul vennero distrutti e i bonzi perseguitati. Nel 1910, quando il paese venne conquistato dal Giappone, il culto buddhista venne nuovamente liberalizzato. Alla fine del secondo conflitto mondiale, con la sconfitta dell'Impero giapponese, la penisola venne divisa in una zona di occupazione sovietica e una zona di occupazione statunitense, con sistemi politici, economici e sociali opposti, che sfociarono nel 1950, a seguito dell'invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord, in un conflitto durato tre anni. A tutt'oggi la tensione tra i due paesi non è stata risolta. Il 4 Aprile 2013 i vertici di Pyongyang, hanno dichiarato di essere nuovamente in guerra con la Corea del Sud, minacciando anche un attacco nucleare contro gli USA.
Il Buddhismo coreano (Corea del Sud), è principalmente costituito dalla corrente Seon, in rapporto con la tradizione Mahayana, di derivazione dalle dottrine cinesi Ch'an e dallo Zen giapponese. Nella Corea del Nord prevale l'ateismo.

   

 

Il Buddhismo in Giappone

La religione buddhista, prevalentemente mahāyānica, fa la sua comparsa in Giappone nel V-VI secolo d.C., dalla Corea, contrapponendosi e affiancando la tradizione shintoista.

Butsudo, la "Via del Buddha" è la designazione giapponese della religione buddhista, con la corrispondente espressione "Hotoke no michi" (Hotoke = Buddha; michi = via, dottrina). Il termine appare già dal V-VI secolo d.C. in poi, quando, in conseguenza dell'introduzione del Buddhismo, si verifica la reazione shintoista. Le vicende del Buddhismo in Giappone devono, pertanto, essere considerate nella loro stretta relazione con la religione indigena e nel quadro delle reciproche influenze fra le due forme culturali.

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Nel 552, Syöng-Myöng, re di Pekche, fece costruire una statua del Buddha, apponendovi una preghiera all'imperatore del Giappone per invocare aiuti militari contro i regni di Silla e di Kōkuli, che tramavano un attacco contro Pekche. All'imperatore, oltre all'immagine del Buddha, vennero inviati doni e numerosi sūtra, il tutto accompagnato da una lettera in cui si enumeravano i meriti della Religione buddhista, e l'importanza di promuoverne la diffusione.
Nonostante il clan Soga (famiglia giapponese di origine coreana che dal 536 d.C. al 645  ebbe un importante ruolo nella scena politica della corte imperiale giapponese nel periodo Yamato), fosse favorevole alla nuova religione, i Mononobe e Nakatomi, investiti dei sacerdozi shintoisti, temendo di perdere i loro privilegi ne ostacolarono la diffusione.

Quando Soga-no Iname, a capo dei Soga trasformò la sua casa di Mukuhara in tempio e nella regione scoppiò una pestilenza, questo venne interpretato come la collera dei Kami e gli avversari del Buddhismo ottennero che il tempio fosse bruciato e che l'immagine del Buddha venisse gettata nel canale Naniwa.
Quando a Kimmei, successe l'imperatore Bidatsu (572-585), venne concesso a Umako Soga (figlio di Iname), di costruire un nuovo tempio con un'immagine del Buddha Maitreya; ancora una volta scoppiò la pestilenza e il tempio venne distrutto. Poichè la distruzione del tempio e delle immagini del Buddha non fecero cessare la pestilenza, questa volta la colpa venne data alla persecuzione antibuddhista e venne concesso di restaurare il culto.

Le vicende che ne seguirono, vide il Buddhismo coinvolto nella tradizione guerriera e feudale delle famiglie giapponesi. Il principe Umayado (Shōtoku Taishi), fece costruire il tempio di Tennōji in Osaka; il tempio di Hōkōji, presso Nara, venne eretto dal clan Soga. Salita al trono Suiko, figlia dell'imperatore Kimmei, affiancata al governo da Umayado, il Buddhismo viene liberato dalla strumentalizzazione politica, e attraverso un editto di norme etiche e religiose di ispirazione confuciana e buddhista (il Jū-shichijō no kempō), viene dichiarata la venerazione per il Buddha; viene costruito il monastero di Hōryū-j'i e numerosi templi. Nel 616 l'oracolo di Miwa dichiara che i monaci buddhisti sono i più adatti alla celebrazione dei riti funebri. All'epoca, la società giapponese era legata ad una tradizione fondata su un'etica della forza, che la vedeva insofferente per ogni valore di pietà e di carità. Il Buddhismo introduce idee rivoluzionarie che mettono in crisi le strutture ideologiche su cui la vita comunitaria è fondata.
Sotto il regno dell'imperatore Temmu, alla morte del quale furono celebrate cerimonie shintoiste e buddhiste contemporaneamente, fu ordinato che in ogni ufficio del governo fosse collocata un'immagine del Buddha, con un altare e con le scritture buddhiste.

Sotto l'imperatrice Gemmyō, rompendo una tradizione che la vedeva spostarsi di città in città seguendo i superstiziosi responsi divinatori, la capitale venne stabilita a Nara,  forse a merito del Buddhismo. Sotto i regni di Gemmyō e di Genshō (707-723) venne compilato il Kojiki e revisionato il codice, che pur subendo successive modifiche, rimase in vigore fino al 1868. Durante il regno dell'imperatore Shōmu (724-748) e dell'imperatrice Kōmyō, grazie all'aiuto del monaco coreano Gyōgi Bosatsu, e del consigliere Rōben, della setta Kegon, il Buddhismo vivrà un periodo di grande fioritura. Nel 737, a seguito di una grande epidemia, l'imperatore ordinò che ogni provincia fosse provvista di un'immagine del Buddha alta sedici piedi e di una copia del Prajñāpāramitā; nel 741 ordinava la costruzione di sette pagode e la fondazione di monasteri e conventi in tutte le province; nel 741, nel tempio Tōdaiji in Nara, venne eretto il gigantesco Buddha, noto come Daibutsu, alto 16 metri, in posizione yogica su un fiore di loto formato da 56 petali. Nel 749, l'imperatore Shōmu abdicava a favore della figlia Kōken e si faceva monaco, inaugurando una tradizione che avrà seguito nei successivi imperatori.
Sotto il regno di Shōmu, e nei periodi successivi, il Buddhismo continuò la sua espansione, affiancando lo Shintōismo: i conventi prosperano e sono numerosi, notevole è l'impulso dato alle arti, che fino allora erano poco sviluppate per il fatto che lo Shintoismo non aveva immagini. Si formano le prime e più importanti scuole filosofiche del Buddhismo giapponese antico: la scuola Jōjitsu, che traeva origine nella scuola cinese Chêng-shih-tsung, ponte di passaggio fra l'Hīnayāna e il Mahayana; la scuola Sanson o San-lun, derivata dalla cinese San-luntsung, o scuola dei Tre Trattati; la scuola Hossō e la scuola Kusha, derivata dalla cinese Chu-she e fondata sugli insegnamenti di Abhidharmakosa.
Alla scuola Hossō, furono affidati i templi di Hōryū-ji, Yakushiji e Kōfukuji, presso Nara.

Nel 784 l'imperatore Kwammu portò la capitale da Nara a Nagaoka, e successivamente a Heiankyō (Kyōto), che rimarrà la residenza imperiale fino al 1868.

Saicho (Dengyō Daishi, 762-822), e Kūkai (Kōbō Daishi, 774-835), importano in Giappone le dottrine cinesi del T'ien-t'ai e del Chēn-yen, dando origine ai due movimenti del Tendai e dello Shingon.
E' un periodo di grande fioritura delle arti e della letteratura, e si diffonde il culto di Amida che adotta, come oggetto di meditazione la ripetizione del nome di Amida (Nembutsu) assicurando una più universale salvezza. Genshin (Eshin, 942-1017), pittore e scultore, rappresentò in forma popolare le sofferenze della vita, i terrori dell'inferno e le gioie del paradiso conquistato attraverso il rituale dell'Amida.
Nel 1039, i monaci di Hieizan, in segno di scontento per i scarsi mezzi messi a loro disposizione dal reggente Fujiwara Yorimichi, assalirono la residenza imperiale di Kyōto: furono scacciati e duramente puniti.
Nel 1160, Kiyomori, capo del clan dei Taira e suocero dell'imperatore abdicante Takakura, a seguito di aver infranto i voti di monacato e altre vicende legate al protocollo religioso da seguire per l'abdicazione dell'imperatore, suscitò la ribellione dei tre più importanti centri del Buddhismo giapponese. La ribellione venne aspramente punita da Kiyomori con la distruzione dei monasteri e dei templi. Alla morte di Kiyomori, avvenuta per malattia nel 1181, cessò la repressione e il figlio di lui, Shigehira, venne fatto decapitare dai monaci di Nara.
Nell'epoca feudale degli Hōjō, essendosi il Giappone sottratto all'influenza cinese, il Buddhismo raggiunge nel paese una nuova creatività e originalità. E' il periodo denominato dei Samurai. Alle scuole antiche si affiancano nuovi movimenti filosofici, quali lo Zen e il Nichiren-Shū. La religione è saldamente inserita nelle strutture dello stato: tre reggenti degli Hōjō sostengono il Buddhismo e si fanno monaci. A Kamakura viene eretto il tempio di Hachiman e costruita la statua gigantesca di Amida.

Il Giappone entrò in un lungo periodo di decadenza quando la reggenza degli Hōjō cominciò a vacillare; il potere passò nelle mani dei primi ministri, reggenti deboli e disonesti. Un decadimento politico e dinastico che coinvolse anche il Buddhismo, il quale venne coinvolto nelle ambizioni monastiche di ingerenza nella vita pubblica e negli interessi dei vari partiti politici. Dinastie di famiglie si trasmettono il governo dei templi e l'amministrazione dei beni temporali. Nel 1272, viene eretto il grande tempio Hongwanji di Kyōto, di culto amidista.
Si ebbe poi il periodo degli Ashikaga (dal 1338 al 1573), fondato da Takauji, che risentì fortemente l'influenza cinese. Due secoli, caratterizzati da lotte intestine e da crisi economiche, che vedeva la classe religiosa in forte contrasto e mossa da interessi e ambizione.
Yoshimitsu (1358-1408), in relazione con la dinastia cinese dei Ming, fu fervente seguace dello Zen, si fece monaco e costruì il monastero di Sōkokuji.  Sorgono correnti di pensiero che tentano una conciliazione tra Buddhismo, Shintoismo, Taoismo e Confucianesimo. Fiorisce lo Zen, si costruiscono conventi a Kamakura e a Kyōto.
Tra il periodo Ashikaga e il periodo Tokugawa, il Buddhismo è gestito politicamente e militarmente, in contrasto con i signori feudali; nel paese viene introdotto il Cristianesimo.  Reggono le sorti del Giappone, in sequenza, tre grandi personaggi feudali:
Nobunaga (1534-1582), il quale assecondando i propri interessi, avverso al Buddhismo (distrusse vari monasteri, quale lo Hieizan della setta Tendai), favorì il Cristianesimo;

Hideyoshi (1536-1598), che dopo un primo periodo nel quale protesse il Cristianesimo (si trovò a fronteggiare nel 1584, l'opposizione dei monaci della setta Shingon, in uno scontro che costò la vita a 4.000 monaci), lo bandì;

Ieyasu (1542-1616), che mantenne la linea dura del suo predecessore nei riguardi del Cristianesimo.
Sotto lo Shōgunato dei Tokugawa, fondato da Ieyasu nel 1603 e che durò fino al 1868, il Cristianesimo rimase distante dal paese; il Giappone si mantenne in un isolamento culturale che per contro ne preservò le tradizioni. Il Buddhismo, liberato dagli aspetti politico-militari, rifiorì, i monasteri vennero ricostruiti: venne ricostruito il tempio Zōjōji e trasferito nel Parco Shiba di Yedo (Tōkyō) e il Tempio Chion-in di Kyōto. Tenkai, monaco della famiglia Miura, curò la ristampa del Tipitaka.
Il quinto Shōgun, Tsunayoshi, sotto l'influenza del monaco Ryūkō, emise editti, condannando l'assassinio e l'uccisione di animali; più in generale, di protezione di tutte le forme di vita, protesse il Confucianesimo e favorì la rinascita di alcuni rituali dello Shintoismo.
Con il decreto del 1614, il Buddhismo assume carattere gerarchico e amministrativo; viene fatto obbligo all'osservanza dei riti funebri seguendo il cerimoniale shintō o quello buddhista.
Si verifica anche, all'interno della dinastia Tokugawa, una rinascita dell'interesse per lo Shintoismo come religione nazionale del Giappone. Il XIX secolo vede il rifiorire di un nazionalismo religioso nella figura dell'imperatore e corrisponde al periodo di massimo disfacimento del Buddhismo, che, identificato con il regime dello shōgunato, era prossimo a  crollare. Nel 1868, con il Periodo Meiji, si ebbe una riapertura dei porti ai commerci con l'Occidente; nello stesso anno, lo Shintoismo venne dichiarato religione di stato e il  Buddhismo venne escluso e bandito; le immagini buddhistiche vennero rimosse dai templi e ai monaci fu proibito di chiedere l'elemosina. Una vera e propria persecuzione del Buddhismo, da parte del governo, che segnò la chiusura di oltre quarantamila templi e vide migliaia di monaci ritornare allo stato laicale. Vi furono sanguinose ribellioni a difesa dei monaci buddhisti e condanne a morte di alcuni di questi. Una persecuzione che continuò fino al 1875, quando il governo allentò la morsa. Tra il 1880 e il 1884, venne pubblicata una monumentale edizione del Tipitaka, detta Shukusatsu Zōkyo; nel 1889, venne riconosciuta la libertà religiosa e furono abolite definitivamente le restrizioni imposte al Buddhismo.

Durante il periodo che precedette la Seconda guerra mondiale, il governo imperiale volle assicurarsi l'appoggio di tutte le religioni del paese. Le scuole buddhiste giapponesi si identificarono totalmente con la figura dell'imperatore (Kōdō Bukkyō) e all'interno delle scuole Zen, gli ufficiali dell'esercito ricevevano un insegnamento incentrato sulla disciplina e sulla forza dell'imperatore, quale via salvifica.
Non solo lo Zen, ma tutte le scuole buddhiste appoggiarono lo Stato durante il conflitto, ritenendolo una "guerra santa", che si opponeva al colonialismo occidentale.
Al termine del conflitto, avvenne una radicale rivisitazione della politica interna giapponese e un ridimensionamento della divinizzazione dello stesso imperatore. Venne anche a cessare lo stretto controllo statale sulle scuole buddhiste.
La questione morale del coinvolgimento religioso buddhista nella guerra e degli efferati crimini commessi durante quel periodo, ha visto nel corso dei decenni successivi varie dichiarazioni di pentimento da parte di alcune scuole.
Nuove scuole laiche sono sorte, come la Soka Gakkai e la Risshō Kōsei Kai.
Recenti sondaggi rivelano come il giapponese moderno si rivolga al Buddhismo non tanto quale devoto di una particolare filosofia o setta, ma utilizzandone la tecnica meditativa di tipo psicoterapeutico o spirituale, o per le funzioni religiose tradizionali.
 

 

Il Buddhismo nel Laos

L'Impero Khmer, dalla fine dell'VIII secolo, si estese in gran parte dell'Indocina, diffondendo l'Induismo. Tra il X ed il XII secolo, vi fu una consistente migrazione di popolazioni dal sud della Cina, che si insediarono in una vasta fascia di territori compresi tra il nord-est dell'India ed il nord del Vietnam.
Nel XIV secolo, il principe Fa Ngum, unificò i principati laotiani e nel 1354 fu incoronato sovrano di Lan Xang, primo grande regno laotiano. La capitale fu insediata a Mueang Sua e il Buddhismo Theravada, fu proclamato religione di Stato.

Il Buddismo, nel Laos, aderisce alla scuola l'Hīnayāna della pura tradizione singalese, associando credenze animistiche e pratiche magiche.

Nel 1707, al crollo del regno fondato da  Lan Xang, emersero diversi regni rivali, dividendo anche la comunità dei monaci, che vennero assoggettati al sovrano del territorio in cui risiedevano.

L'arte laotiana testimonia l'influenza del Buddhismo sulla vita del popolo, e statue del Buddha, in stile khmer, risalgono già all'epoca del regno di Fa Ngum. Sotto la dinastia di Lan Ch'ang, il re Visun, discendente da Fa Ngum, nel 1503 fece costruire a Luang Prabang il Vat Visun, andato distrutto in un incendio del 1887. Sempre a Luang Prabang, (Luang Phrabang o Louangphrabang - in passato anche Xieng Dong Xieng Thong e Mueang Sua), vennero eretti il Vat Ch'ieng Tong (1561) e il Th'at Luang (1566-1586).

 

 

 

Il Buddhismo in Mongolia

Anche se tracce del Buddhismo si ritrovano nei territori mongoli già nell'VIII secolo, la grande diffusione del B. in Mongolia è strettamente collegata a quella del B. tibetano e alla predicazione dei suoi lama. Questo avvenne a partire dal XIII secolo, dopo la visita, nel 1246, di Sapañ o Sa-skya Pandita (1182- 1251), capo della setta Sa-skya e signore temporale di grande parte del Tibet, al principe mongolo Godan.
I Mongoli, legati unicamente ai culti sciamanici, si dimostrarono nel tempo molto tolleranti verso i missionari di tutte le fedi, e accolsero buddhisti, confuciani, taoisti, musulmani e cristiani. Il Buddhismo, non esercitò quindi sulla popolazione un'influenza decisiva e permanente come in altre nazioni, ma si integrò con gli altri culti. Nel XVI secolo, durante il regno dell'Altan Khān della tribù dei Tümet (Tümät), a seguito della visita in Mongolia del Dalai Lama della Chiesa Gialla, la religione sciamanica venne abbandonata e al Lama fu riconosciuta, in terra mongola, dignità pari a quella dei nobili.
L'influenza mongolica sulla Chiesa tibetana crebbe a tal punto che il quarto Dalai Lama fu il mongolo Yon-tan rgya-mts'o (1589-1616), nipote dell'Altan Khān. Dal 1620 in poi avvenne la conversione dei Mongoli occidentali, gli Oirat, che fra il 1630 e il 1643 portarono aiuto al Dalai Lama in Lhasa.
La religione si assestò saldamente e i Mongoli divennero buddhisti convinti. I monasteri vennero realizzati sul modello cinese per quanto riguarda l'architettura, seguendo il modello tibetano nell'organizzazione monastica.

 

 

 

Buddha ridente con ushnisha a punta, sdraiato su un fianco. Thailandia XIV secolo.

 

 

 

Il Buddhismo nel Siam

Nonostante la storia del Siam (Thailandia), cominci soltanto nel XII-XIII secolo d.C., importanti reperti archeologici nella valle del Menam, risalenti al VI o VII secolo, testimoniano della diffusione dell'Induismo e del Buddhismo nella zona.  Durante il regno Dvāravatī nella bassa valle del Menam, erano già presenti tanto il buddhismo Mahāyāna quanto il brahmanesimo. Ricchi di rappresentazioni buddhistiche appaiono gli antichi centri di P'ong Tük sul fiume Kanburi e di P'ra Pathom, a 50 km. di Bangkok (V-VII s.d.C.). Durante il periodo del dominio khmer, il Buddhismo venne consolidandosi, raggiungendo il suo apogeo sotto il re cambogiano Yayavarman VII (1200 d.C.).
Al 1292 risale la costruzione di un grande stūpa in Savank'alōk, ad opera di Rama K'amhneg. Lü T'ai, figlio di Rama, nel 1345 compose un trattato di cosmologia buddhistica, la Traibhūmikathā.
Nel 1448, il re Ramesuen, con il nome di Boromotrailōkanath (Paramatrailokanātha), fece erigere lo stupa del Vat Si Sanp'et a sud del palazzo reale, e il Vat Chulamani di P'isnulōk. Ma fu sotto il regno di re Boromokot (Mahath'ammarach'a; 1733-1758), che il Buddhismo raggiunse il massimo della sua diffusione.
Alla fine della dinastia di Ayudhyā, il generale P'ya Chakri (Rama I) incoronato re nel 1782, diede inizio alla dinastia dei Chakri tutt'ora regnante.
Rama I fece ricomporre il testo autentico del Tipitaka e costruire la cappella reale per la conservazione del P'ra Keo, il Buddha di pietra preziosa. Mongkut, della stessa dinastia, promosse la riforma religiosa Dhammayuttika.
Il Buddhismo nel Siam è di scuola hinayānica e si ricollega alle tradizioni di Ceylon basate sul Canone pāli, indicato come Trai Phūm, Tre Gioielli, e composto da tre sezioni, delle quali la prima è dedicata alla cosmologia e geografia, la seconda ai cieli e ai loro abitanti, la terza agli inferi.
Sotto il profilo cultuale e ritualistico, il Buddhismo Siamese è influenzato da molte credenze che sono un retaggio dell'area indigena e conserva ancora oggi osservanze animistiche e magiche.

 

 

 

Il Taoismo o Daoismo, è una filosofia religiosa panteistica originaria della Cina, nata da una combinazione di insegnamenti  che ha integrando diverse correnti, quali il Qi, lo yin e lo yang, i cinque elementi, lo sciamanesimo e le opere del filosofo Laozi (conosciuto anche come Lao Tzu, Lao Tse, Lao Tze, Lao Tzi..), vissuto nel VI secolo a.C., secondo altre fonti nel IV secolo a.C., a cui viene attribuita la scrittura del Tao Te Ching (testo sacro taoista), del meno conosciuto Hua Hu Ching (insegnamento orale tramandato dai monaci taoisti). Laozi viene considerato il fondatore del Taoismo.

Pur non essendo mai stata una religione unitaria, il Taoismo è andato istituzionalizzandosi a partire dal I secolo d.C., in cui l'idea del Divino viene concepita come un Principio ordinatore unico dei mondi, che trova similitudine nella filosofia pitagorica.
Pur non dando dei codici comportamentali (dettati dalla spontaneità della coscienza), aborre la violenza e la licenziosità dei desideri (nel credo buddista è il desiderio che vincola al ciclo delle rinascite).
Per il Buddhismo è il Karma (azione non pura che genera un effetto futuro), la causa prima della sofferenza, nel Taoismo ritroviamo il wei-wu-wei (azione senza azione), che ritrova analogia nel Dharma buddhista.
La medicina tradizionale cinese, con tutte le sue applicazioni terapeutiche, è totalmente basata sul principio del Tao, dello Yin-Yang,  come equilibrio delle due forze all'interno dell'organismo.
 

 

Il Confucianesimo

Il confucianesimo è una delle maggiori tradizioni filosofiche, morali, e politiche della Cina che trae origine dagli insegnamenti del filosofo Confucio (551-479 a.C.). Nel confucianesimo non c'è un vero e proprio risvolto spirituale, non vengono trattate questioni soprannaturali, ne tantomeno il credo nel ciclo delle rinascite. Il Confucianesimo venne imposto come dottrina di Stato sotto l'imperatore Han Wudi (156-87 a.C.), esercitando una grande influenza in Giappone, in Corea e nel Vietnam.
La filosofia confuciana si basa sulla ricerca dell'armonia nell'ordine giusto delle cose, seguendo i valori tradizionali, in primis lo sviluppo personale attraverso la giusta conoscenza, la nobiltà del cuore, la veridicità del pensiero,  a seguire, l'armonia nell'ambito familiare.

Per Confucio gli uomini trovano collocazione in tre gruppi distinti:

 

1) i saggi, uomini perfetti che rappresentano un modello da seguire;

2) gli junzi, ovvero uomini di livello superiore;

3) gli uomini comuni che costituiscono la massa.

 

Nel Confucianesimo vengono dettate regole di comportamento sociale verso gli altri uomini, quali il rispetto, l'umanità, la benevolenza, la cortesia, il tatto, e verso l'ordine della natura e dell'universo. Il confucianesimo, tra alti e bassi, non escluse pesanti repressioni, nei secoli riuscì a rafforzarsi, divenendo il pensiero politico dominante fino agli inizi del XX secolo, quando subì riformulazioni a seguito dell'impatto con la filosofia occidentale.
 

 

Buddhismo: religione o filosofia?

Nel tempo ci sono stati vari dibattiti se il Buddhismo, nella sua più antica ed originaria formulazione, per non porsi in un rapporto creaturale con il divino, dovesse essere considerato come una religione o piuttosto un credo filosofico. Buddha, pur non negando l'esistenza degli dei, li considera soggetti al ciclo delle esistenze, in attesa, essi stessi, di una liberazione salvifica.

Nato come un movimento ascetico fondato su basi razionali, con il trascorrere dei secoli il buddhismo si addentrò nei misteri della metafisica e, contemporaneamente, sotto l'influsso dei movimenti gnostici sviluppatisi nell'India dal II all' XI sec. d C., diede origine a un insieme di sistemi mistico-religiosi diversificati in numerose sètte molto tolleranti fra loro. Nelle teorie buddhiste, gli dèi vengono concepiti come semplici proiezioni, sostanzialmente illusorie, di elementi appartenenti alla psiche umana, personificazioni di energie che agiscono nella sua stessa coscienza. L'uomo può liberarsi da queste forme psicologiche rappresentandole, ponendole davanti a sé come immagini di dèi o di dèmoni, tanto da stabilire un rapporto che le disciolga gradualmente nella sfera dell'illusione cosmica (maya), dalla quale sono emerse.
Senza mutare le sue teorie fondamentali, che non contemplano interventi divini per la salvezza dell'uomo, il Buddhismo è diventato una vera e propria religione,
paradossalmente "atea", ma nel contempo deve essere considerato una filosofia e una pratica fisica, psichica e mentale salvifica, con un pantheon e una serie di racconti mitologici, in parte tratti da narrazioni delle diverse correnti dell'Induismo, che sono andati aumentando con il trascorrere del tempo.

 

 

 

Buddha in meditazione nella posizione del loto, II-IV secolo. Calcutta, Indian Museum

 

 

 

Il Buddha
Siddhārtha Gautama, meglio conosciuto come Gautama Buddha, Gotama Buddha, Buddha Śākyamuni o semplicemente Buddha, è stato un asceta, monaco, mistico e filosofo indiano vissuto tra il 560 a.C. e il 480 a.C.  Questa datazione è oggetto di non poche controversie tra le varie fonti. Nacque da una famiglia ricca e nobile del clan degli Śākya, da cui deriva l'appellativo Śākyamuni (il saggio della famiglia Śākya). Il termine sanscrito e pāli Buddha, indica, nel contesto religioso e culturale indiano, "colui che si è risvegliato" o "colui che ha raggiunto l'illuminazione".
Il Buddha Sākyamuni, è uno fra i mille Buddha di questo ciclo cosmico. Questi Buddha non furono Buddha fin da principio e giunsero alla buddhità attraverso un processo di completa purificazione.

 

Buddha in meditazione sulla triplice spira di un serpente, con sette teste a nimbo di coronamento. Ayudhyà, Museo Nazionale.

 


I Buddha sono sempre all'opera per il bene degli esseri che migrano nell'esistenza ciclica.
L'insegnamento di Buddha Sākyamuni si diversifica da quello degli altri Buddha, per essere una sintesi di sūtra e tantra, mentre la maggior parte degli altri non ha alcun tantra.
La vita di Sākyamuni può essere suddivisa in dodici eventi principali: la discesa dalla Gioiosa e Pura Terra (Tu-sita); il concepimento; la nascita; l'istruzione scolastica; la padronanza delle arti; il periodo dei piaceri con le mogli; la rinuncia; l'ascetismo; la meditazione sotto l'albero dell'illuminazione; la vittoria sui demoni; il raggiungimento della buddhità; il far girare la ruota della dottrina; il raggiungimento del nirvana.

Le biografie tradizionali raccolgono numerosi racconti e leggende che narrano della sua nascita avvenuta nel Nepal meridionale, a Lumbinī, e i vari miracoli che annunciano al mondo la venuta del Buddha.
Gautama Buddha viene anche chiamato con vari termini sanscriti: Tathāgata: "Il Così Andato" o "Il Così Venuto" (così il Buddha indica sé stesso nei suoi sermoni o sutra); Śākyamuni, utilizzato soprattutto nella letteratura del Buddhismo Mahāyāna; Sugata: "Il Bene Andato", utilizzato soprattutto nell'ambito delle scritture del Buddhismo Vajrayāna; Bhagavān: "Signore", "Venerabile", "Beato", "Sublime", "Perfetto" (nella letteratura buddhista il termine indica il Buddha); Bodhisattva: usato per indicare Gautama prima del conseguimento della buddhità.
Il padre di Siddartha, il rāja Śuddhodana, regnava su uno dei numerosi stati dell'India del nord, la madre, Māyā (o Mahāmāyā), donna di grande bellezza, morì dopo sette giorni dal parto, e il neonato venne affidato alla seconda moglie del re, Pajāpatī, sorella minore di Māyā.
Alla nascita di Siddartha, il saggio Asita ne fece l'oroscopo, deducendone il destino: sarebbe diventato o un Monarca universale, oppure un asceta destinato a conseguire il risveglio, nel qual caso avrebbe scoperto la via che conduce al di là della morte.
Siddharta si sposò all'età di sedici anni con la cugina Bhaddakaccānā (Yashodharā), con la quale ebbe, tredici anni più tardi un figlio, Rāhula. All'età di 29 anni, Siddharta uscì per la prima volta dal palazzo reale, dove il padre lo teneva lontano dalla crudezza della vita, e comprese improvvisamente che tutto il vissuto a corte non era la realtà del mondo, dove invece la miseria, la malattia e la sofferenza erano diffuse ovunque. Iniziò interiormente a rifiutare agi e ricchezze, e dopo aver incontrato un monaco mendicante, colpito dalla sua serenità, decise di rinunciare alla ricchezza e al potere per cercare la liberazione in una vita ascetica; lasciò la famiglia e la casa e iniziò a peregrinare in povertà.
Nella regione del Kosala praticò la meditazione sotto la guida dall'asceta Ālāra Kālāma, poi si spostò nel regno Magadha per seguire gli insegnamenti delle quattro jhāna di Uddaka Rāmaputta, secondo la sfera della né percezione, né non-percezione. Dopo aver completato tutte le tappe dell'apprendimento, Gautama si stabilì presso il piccolo villaggio di Uruvelā, e vi trascorse molti anni assieme a cinque suoi discepoli (Assaji, Añña Kondañña, Bhaddiya, Mahānāma e Vappa), in un clima di meditazione e rigido ascetismo.

 

 

Pakistan. Bodhisattva, pietra, particolare, III-IV secolo. Taxila, Musco

Ma anche questo percorso non convinse Gautama; egli capì che l'illuminazione poteva essere trovata solo se il corpo fosse stato in buone condizioni e non spossato dalla fame, sete e sofferenze autoinflitte.
All'età di 35 anni, nei pressi del Tempio Mahabodhi, dopo sette settimane di profonda meditazione sotto un albero di fico, raggiunse l'illuminazione perfetta e sperimentò il Nirvāna.
Acquisendo livelli sempre maggiori di consapevolezza, Buddha ottenne la conoscenza delle Quattro nobili verità e dell'Ottuplice Sentiero e si affrancò dal ciclo della rinascita.


Nel primo periodo di predicazione, a Varanāsī, Buddha mise in moto la ruota della dottrina basata sulle quattro nobili verità; nel periodo di mezzo, a Grdhrakūta, espose la ruota intermedia della dottrina, che si basa sulla modalità di esistenza "non inerente" di tutti i fenomeni; nell'ultimo periodo, a Vaisāli, espose l'ultima ruota, ovvero sulla discriminazione fra quei fenomeni che esistono e quelli che non esistono veramente.

 

 

Il Buddhismo nella Mitologia

Nell'Hīnayāna, il Buddha viene protetto e servito da saggi brahmani, in presenza di divinità minori; nel Mahāyāna, a partire circa dal I-II secolo, compaiono dei buddha metafisici e dei bodhisattva con carattere di divinità superiori.
Soprattutto dal VI o dal VII secolo, con il tantrismo (gran-snags in tibetano, mi tsung in cinese, mikkyō in giapponese), aumenta il numero delle divinità induiste quali proseliti dei buddha e dei bodhisattva; i racconti crescono e si arricchiscono di nuovi elementi.
Diventano rappresentativi i rapporti tra i diversi personaggi del pantheon e le parti loro assegnate. Vengono evidenziate le «incarnazioni» degli avatāra, le «discese sulla terra» (prevalentemente in ambiente induista).

In ogni buddha sussitono: il Corpo del Dharma (dharmakāya), la parte più divina; il Corpo di Godimento (sambhogakāya), che consente l'azione, e il Corpo Artificiale (nirmānakāya), il corpo apparentemente reale. Nel tantrismo indo-tibetano esiste un Corpo supremo, detto di Natura Propria o di Felicità. Nel tantrismo giapponese, è stato introdotto un Corpo di Assimilazione,  che rappresenta la forma terrificante che un buddha può assumere per domare demoni o divinità sanguinarie non buddhiste assumendone l'aspetto e agendo come loro. Una caratteristica iconografica ne sottolinea spesso la relazione.
Risulta di particolare interesse lo scoprire i rapporti tra i vari personaggi del pantheon, e di come, già evidenziato nel tantrismo indo-tibetano (VIII-X secolo), gli eroi domatori, assumono lo stesso aspetto o lo stesso nome dei domati, li calpestano sotto i piedi e ne prendono le armi.

 

 

Cina, Buddha Dipankara. Parigi Musée Guinet

 

 

Le raffigurazioni nel Buddhismo

Sebbene il Buddhismo sorga attorno a VI secolo a.C, le prime raffigurazioni a noi note risalgono al III secolo a.C. Questo fenomeno  si deve probabilmente alla volontà anaconica di non rappresentare o di rappresentare non-fisicamente l'idealizzazione del Buddha.
Si svilupparono quindi delle figurazioni simboliche della divinità e dei suoi attributi per mezzo di analogie simboliche di valore già noto, questo anche per l'impossibilità di esprimere in forma umana la somma dei valori contenuti nel Buddha, quale maestro umano e principio supremo.

La prima immagine del Buddha apparve intorno al primo secolo a.C.

Nel tempo si svilupparono una vasta gamma di strutture architettoniche e figurazioni iconografiche.

 

 

India, Bihar. Bodhisattva, da Nālandā, particolare, stucco. VII-XI secolo. Nālandā, Musco.

 


Il discoprirsi, durante l'evoluzione del Buddhismo, di mondi sopra-sensibili, popolati da attributi-entità, rese sempre più necessario il tramandare in chiave simbolica questo mondo sottile.
Rientrano in questa larga serie le figurazioni che esprimono l'immagine del divino, le figurazioni dei miti, delle forze del male, delle potenze della natura, dei segreti legami con la vita umana e il mondo degli istinti elementari, non ultime quelle legate al destino della persona dopo la morte.
Lo stile con cui sono eseguite le immagini sacre risente delle tradizioni locali e del periodo; il Buddha viene generalmente raffigurato in atteggiamento meditativo (nella "posizione del Loto"), o disteso sul fianco.

 

 

Il dharmacakra sul Tempio Jokang, a Lhasa in Tibet. Le gazzelle ai lati della Ruota del Dharma sono a memoria del Parco delle gazzelle, dove il Buddha predicò per la prima volta la dottrina buddhista.

 


 

Arte Buddhista e arte Induista

Nella disamina delle diversità esistenti tra l'arte buddhista e quella induista, troviamo una variegata rappresentazione di figure del bodhisattva, di devoti e animali.

Nell'Induismo, prevalgono le rappresentazioni degli dei, anche caratterizzati da molte braccia o più teste, che nella loro stranezza di forma o per le notevoli dimensioni, simboleggiano quelle potenze della natura e quei misteri che minacciano e dominano l'uomo.

Ne scaturisce un timore reverenziale, un rapporto di incondizionata ed assoluta inferiorità, che nell'arte induistica ripropone accadimenti di altri tempi, scontri di forze opposte.

Nel Buddhismo, la rappresentazione si focalizza sul bodhisattva, ripercorrendone la combattuta ascensione morale, pregna di un'intensa contraddittorietà e necessaria alternanza di esperienze, che dalle sfarzose scene di palazzo lo vedranno percorrere la via estrema dell'asceta. Gli dei, quando rappresentati, hanno forma umana, in atteggiamento di contemplazione o di adorazione del Buddha. Appare evidente, come nel Buddhismo delle origini, l'uomo ricopra un ruolo di primaria importanza anche rispetto agli dei, per la sua particolare condizione che gli consente di elevarsi, di trascendere, ottenendo l'illuminazione, la libertà. Un raggiungimento anelato dagli Dei stessi, che qualora venga raggiunto dall'uomo, gli induce al riconoscimento, all'adorazione. Non l'uomo come gli dei, ma più degli dei. Il Buddha non quale eletto, ma come rappresentazione di uno stato di perfezione raggiungibile da tutti gli uomini; la condizione di bodhisatva trascende l'uomo e la condizione umana. Il Buddha, riconosce l'esistenza dei suoi predecessori e dei suoi successori. Tutti rinnovano esperienze già accadute: sei Buddha hanno già conseguito l'illuminazione prima di Sākyamuni passando per le medesime tappe: la serie di sacrifici, rinunce e conquiste. L'arte, traducendo nell'immagine i racconti e gli insegnamenti della dottrina, prima o dopo l'illuminazione, racconta la condizione umana del Buddha,  riporta segni o motivi che hanno uno scopo funzionale, come riferimenti inequivocabili delle sue vite passate e di quella presente. Per tali ragioni l'uomo e la condizione umana sono sottoposti a particolare attenzione e rivestono un ruolo di grande importanza, la  vita entra nell'arte da protagonista, non figure isolate che fanno da contorno, o dei che incombono minacciosi, ma tutte le creature, in una evocazione plastica o pittorica paritaria e trionfale, senza la cui presenza il percorso del Buddha risulterebbe incomprensibile. Anche gli animali prendono ruolo attivo, non a sola rappresentazione del percorso di precedenti incarnazioni del Buddha, ma per indicare come pure per essi esista la speranza della salvezza e la liberazione dal dolore.

Nella ricerca di similitudini e diversità tra arte buddhista e arte induista, rivestono un particolare interesse due centri religiosi ed artistici, Ajantā, buddhista ed Ellora, induista, per non essere molto lontani geograficamente e per il lungo periodo temporale di esistenza parallela.

 

 

La pratica del Dharma
La parola dharma in sanscrito significa fenomeno, avvenimento, quello che accade, "ciò che tiene". In maniera più specifica si intende qualunque azione nobile del corpo, della parola o della mente, che compiuta, protegge e tiene lontano da ogni sorta di sventure. In altre parole il dharma è la giusta azione, non imposta, percepita dal discernimento, dalla coscienza individuale e trasposta in azione.

Il Buddhismo più antico sosteneva che gli esseri fossero costituiti da cinque "aggregati" (skandha): materia, elementi materiali (rūpa); sensazione (vedanā); percezione, cognizione, concettualizzazione (samjñā); volizione, passaggi (samskāra); coscienza, discernimento (vijñāna). La coscienza (vijñāna), a sua volta, era suddivisa in sei categorie: visiva, uditiva, olfattiva, gustativa, tattile e discriminante (mano-vjinana). Gli altri due termini utilizzati per riferirsi alla mente, sono manas e citta. Entrambi sono utilizzati in senso generico e talvolta utilizzati in sequenza per riferirsi ai processi mentali nel suo complesso. I cinque aggregati erano considerati interdipendenti, ciascuno manifestandosi in relazione con gli altri e impermanenti permanendo soltanto per un singolo momento. La coscienza  non era ritenuta una funzione mentale permanente e in divenire, ma piuttosto come una serie di "flash" di coscienza, ognuno di questi dipendente dal momento cognitivo precedente e in relazione con tutti gli altri aggregati.

 

La leggenda narra che Brahmā chiese al Buddha, dopo che questi aveva raggiunto l'illuminazione, di diffondere la sua dottrina "per aprire i cancelli dell'immortalità" e permettere agli esseri umani di "affrancarsi dalla sofferenza".
A Sārnāth, nel Parco delle Gazzelle, Buddha pronunciò il suo primo sūtra, che si apre con la condanna delle due vie estreme: l'appagazione dei sensi, in quanto dannosa, e l'automortificazione, parimenti dannosa - quindi, annuncia la "Via di mezzo", apportatrice di chiara visione e di conoscenza, la quale conduce alla pace e al risveglio.
La "Via di Mezzo", si fonda sulle "Quattro nobili verità" e sull'Ottuplice Sentiero, basi e dettami del comportamento etico per il conseguimento dell'illuminazione e liberazione.

L'insegnamento del Buddha, visto nel suo fondamentale rapporto con le religioni antiche dell'India, si pone in netto contrasto con la dominante dottrina del Brahmanesimo e con tutto il formalismo e immobilismo delle caste, disapprovando il ritualismo e l'intellettualismo della classe sacerdotale. Buddha nega inoltre l'autorità della casta brahmanica sull'ufficio della religione, non accetta la pratica sacrificale e assoggetta l'intero pantheon, compreso Brahmā, tra gli esseri che attendono la liberazione.
 

Nei successivi 45 anni, il Buddha si spostò predicando, accogliendo nuovi monaci e fondando comunità monastiche che non facevano alcuna distinzione dalla casta di appartenenza. Venne fondato anche il primo ordine monastico femminile della storia.

I Sutra (parola del Buddha), raccolti in 108 volumi tibetani e 223 commentari  indiani, hanno generano due correnti principali, l'una prevalentemente monastica, l'altra derivata dalle interpretazioni popolari che ne susseguirono e che presero tre indirizzi fondamentali: "hīnayāna" o "piccolo veicolo", "mahāyāna" o " grande veicolo " e  "vajrayāna" o " veicolo della gnosi", con assonanze e sovrapposizioni. Essi daranno luogo a molte sottoscuole.

 

 

 

Hīnayāna, o piccolo veicolo

 

Mahāyāna, o grande veicolo

 

Vajrayāna, o  veicolo della gnosi



 

 

Dall'India, il Buddhismo si evolve e si diffonde assumendo connotazioni in parte indipendenti:
 

Buddhismo Theravãda: Sri Lanka, Myanmar, Thailandia, Cambogia e Laos;
Buddhismo cinese: da cui derivano il Buddhismo coreano, il Buddhismo giapponese (scuola buddhista Zen e il nuovo movimento Soka Gakkai), e parte del Buddhismo vietnamita;
Buddhismo tibetano: praticato in Tibet e in Mongolia.

 

Le Quattro nobili Verità
Dolore (dukkha), la verità sull'origine (samudaya, "causa") del dolore, sulla soppressione (nirodha) del dolore, la verità sulla via (mārga) che porta alla soppressione del dolore.
Queste verità costituiranno il motivo centrale dell''annunzio che egli darà nella predica di Benares:
"Due sono gli estremi, o monaci, dai quali colui che vive nell'ascesi deve tenersi lontano.
Quali sono questi due estremi? Il primo una vita di piaceri, dedita ai piaceri e al godimento: questo (estremo) è basso, ignobile, contrario allo spirito, non degno, non utile. L'altro (estremo) è una vita di macerazioni; questo è penoso, non degno, non utile. Da questi due estremi, o monaci, il Tathāgata tenendosi distante, ha pienamente scoperto il sentiero che passa nel mezzo, che apre gli occhi, che dà conoscenza e mena alla serenità, alla scienza, all'illuminazione, al nirvana
.
 

 

L'Ottuplice Sentiero

E quale è, o monaci, questo sentiero che apre gli occhi, che dà conoscenza e mena alla serenità, alla scienza, all'illuminazione, al nirvana? Esso è quell' Ottuplice Via che si chiama: Retta Visione, Retta Volontà, Retta Parola, Retta Azione, Retti Mezzi di Esistenza, Retta Applicazione, Retta Memoria, Retta Meditazione.
Tale, o monaci è il Sentiero Mediano, che il Tathāgata ha pienamente conosciuto, che apre gli occhi, che dà conoscenza e mena alla serenità, alla scienza, all'illuminazione, al nirvana.
Questa, o monaci, è la Santa Verità sul dolore: la nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l'unione con ciò che non si ama è dolore, la separazione da ciò che si ama è dolore, il non soddisfacimento del proprio desiderio è dolore. Insomma i cinque oggetti dell'attaccamento (upādānaskandha) sono dolore. Questa, o monaci, è la Santa Verità, sull'origine del dolore: è la sete (dell'esistenza) che porta da rinascita in rinascita, congiunta al piacere e all'attaccamento, e trova il suo piacimento in questo ed in quello: (cioè) la sete di piacere, la sete di esistenza, la sete di impermanenza.
Questa o monaci, è la Santa Verità sulla soppressione del dolore: l'estinzione di questa sete attraverso il completo annientamento del desiderio, bandendo il desiderio, rinunciando (alla sete), liberandosene, non dando rifugio
.
Questa, o monaci, è la Santa Verità sulla soppressione del dolore: è quel Sacro Ottuplice Sentiero, che si chiama Retta Visione."

La Predica e le successive discussioni sull'anima documentano, nella loro stringatezza, il tipico atteggiamento demitizzante del pensiero buddhistico. Il Buddha quindi proclama che ciascuna di queste verità è stata da lui riconosciuta, compresa e visualizzata, e questo triplice momento della quadripartizione della verità lo ha portato al "supremo perfetto risveglio".

Con l'Illuminazione, Buddha rompe il concatenamento di causa ed effetto fra nascita, vita, morte, malattia e dolore. Ora egli ha trovato, in sè, nella condizione di raggiunta chiaroveggenza, la legge che regola il concatenamento, ed è libero.


"Orribile, l'eterna rinascita! O costruttore, ti ho scoperto; tu non fabbricherai più alcuna casa. Infrante sono le tue travi e il tetto della casa è distrutto. Il cuore, fatto libero, ha estinto ogni brama!"

Qui viene posta l'attenzione sul desiderio quale causa di dolore e di rinascita, e offerto un cammino di liberazione.

 

"Dall'attaccamento sorge il dolore, dal dolore sorge la paura; per colui che è totalmente libero, non c'è attaccamento, non c'è dolore, non c'è paura."

 

"In questo momento, l'unico momento che esiste, il passato, il presente e il futuro sono contenuti. Il segreto del benessere del corpo e della mente consiste nel non piangere per il passato e nel non preoccuparsi per il futuro, e nel vivere il momento presente con saggezza e onestà." (Buddha)

 

 

Buddha sul rogo funebre. Cina, Qizil, Grotta di Maya

 

 

 

L'Attaccamento

Il termine attaccamento (upadana), nella dottrina del Buddhismo antico, viene inteso come tendenza mentale ad aggrapparsi a qualcosa e all'insorgere di una dipendenza o bramosia capace di condizionare l’esistenza. Non solamente attaccamento ai piaceri sensuali, ma esteso alle opinioni che creano illusoria stabilità, a regole e osservanze, alle dottrine che infondono certezza e conforto.
Il piacere dei sensi occupa un posto di rilevo nel pensiero del buddhismo; il desiderio sensuale, kamacchanda, è il principale responsabile e vincolo al ciclo delle rinascite, kamata il desiderio sessuale e kamupadana, l’attaccamento ai piaceri sensuali, va necessariamente trasceso per poter progredire sulla via della liberazione.
La simbologia del Potaliyasutta rappresenta i piaceri sensuali come esseri fagocitanti al cui potere non solo non è possibile sottrarsi, ma la cui presenza devastante viene evocata e rafforzata dalla pratica. Per il loro carattere illusorio, i piaceri sensuali sono come immagini viste in sogno: pregni di sensazioni, destinate a svanire nel nulla. Uno dei passi da intraprendere nel cammino della liberazione, è la comprensione e il distacco dall’attaccamento al piacere dei sensi, a cui fa seguito l’attaccamento alle opinioni. Secondo il Parama haka-sutta, esiste una tendenza nefasta a dare grande valore alle proprie opinioni disprezzando nel contempo quelle degli altri. Colui che si compiace delle dispute verbali e difende la propria idea ad oltranza, anche di fronte ad argomenti convincenti, prendendo come una sconfitta e un’umiliazione personale l'espressione di idee diverse, è in definitiva, un arrogante. Aderire dogmaticamente e risolutamente a un’opinione implica una pericolosa identificazione con quelle idee e comporta il porsi in conflitto con chi sostiene un’opinione diversa. Qui sorge il concetto di "retta visione".
L’attaccamento a regole e osservanze è il terzo tipo di attaccamento, nella convinzione di ottenere la purificazione spirituale o la rinascita in un regno celeste. Nel Dhammapada i monaci buddhisti vengono esortati  a distaccarsi da regole e osservanze, non quanto tali, ma nell’aderire, attaccarsi e all’aggrapparsi a esse con conseguenze nocive.
Viene suggerita una graduale eliminazione dell’attaccamento che segna i vari stadi del risveglio: alle opinioni erronee, alle regole e alle osservanze, all’attaccamento a una dottrina. Con l'acquisizione della retta visione devono essere abbandonate tutte le stampelle che hanno consentito i vari passaggi.

Vengono descritte delle pratiche che conducono allo stadio del non-ritorno, o al completo risveglio.

Il quarto tipo di attaccamento riguarda l'abbandono del  concetto dell'io. Partendo dall'assunto che l'attaccamento al proprio sé, anche in chi ha conseguito il non-ritorno, conserva ancora traccia nei cinque aggregati,  bisogna scoprirne, attraverso  tecniche di meditazione,  ogni minima sfumatura. Un attaccamento sottile al senso dell’io può permanere anche quando sia stata vista chiaramente la natura impersonale di ognuno dei cinque aggregati.
Viene portato ad esempio quello di un panno macchiato che dopo esser stato lavato, seppure appaia pulito, conserva tracce dei detergenti.

Ciò a cui si aderisce, sono i cinque aggregati: la forma fisica, la sensazione, la percezione, le formazioni volitive e la coscienza. Da questi aggregati nasce il concetto dell'io.
L’attaccamento non coincide con i cinque aggregati, soggetti ad attaccamento, né è una cosa a sé stante; l’attaccamento, invece, consiste nell’investirli di desiderio e passione.

Ogni aggregato non sarebbe, di per sé, capace di attaccamento, senza l’attaccamento, i cinque aggregati sarebbero puri. La differenza consiste nell’assenza o nella presenza di attaccamento.
Un metodo per ottenere la libertà dall’attaccamento ha come oggetto i cinque aggregati (soggetti ad attaccamento) e il loro carattere impermanente. L’esercizio consiste nel contemplare il sorgere e svanire di questi e induce a un graduale abbandono della tendenza innata di identificazione.
Cercare l’appagamento in qualcosa che può essere oggetto di attaccamento stimola la crescita della brama, attiva il desiderio dei sensi ed espone all’afflizione. L’attaccamento inoltre getta le basi per una condizione del divenire, e conseguentemente del ciclo delle rinascite. La completa estinzione dell’attaccamento passa per il non attaccamento anche alle esperienze sublimi come lo stato di né-percezione-né-non-percezione. Viene posta l'attenzione come sopratutto in punto di morte non bisogna attaccarsi a nessun aspetto dell’esperienza, compreso lo stato meditativo.

 

 

 

Il Buddhismo in Tibet

Molto prima che vi si diffondesse il Buddhismo, nel Tibet era prevalente la religione Bon, che proveniva dallo Shang-Shung e che ancora oggi conta dei praticanti.

Secondo le antiche fonti tibetane, il Buddhismo venne introdotto nel Tibet durante il regno di Songtsän Gampo, (569-649/605-649), conosciuto anche come Songzan Ganbu; Sung-tsan Kan-pu; Sōngzàn ganbu; Qizong Longzan; Chi-Tsung Lung-tsan; Qìzōng Lòngzàn, per tradizione considerato il trentatreesimo sovrano nella sua dinastia. Molti studiosi indiani, come Sāntaraksita e Kamalasīla, ne tradussero e diffusero sūtra, tantra e commentari.  I lama tibetani furono molto attenti a non alterare la dottrina originale e che questa non venisse mescolata ad altre forme religiose, anche se possono sussistere lievi differenze nella nomenclatura e nei metodi didattici.
Nel Tibet, il Buddhismo, pur nella complessità delle sue strutture derivanti dal Buddhismo esoterico medioevale e dall'integrarsi di questo con gli elementi culturali della religione indigena Bon, deve essere considerato uno sviluppo delle dottrine e dei culti del Grande Veicolo (Mahayana), e delle sue forme magico-tantriche. I Tibetani designano la loro religione come la "Religione del Buddha", rifiutando il termine "Lamaismo" che talora viene utilizzato per designarlo.
La diffusione del Buddhismo nel Tibet, è concomitante all'introduzione della scrittura, che consentì di  tradurre i testi dell'India e della Cina.
 

 

Il Libro tibetano dei Morti

Nel Libro tibetano dei Morti (Bardo Thodol), testo della letteratura tibetana Nyingmapa, vengono descritte le esperienze che l'anima cosciente vive durante e dopo la morte, cioè in quell'intervallo (chiamato in tibetano, bardo), tra la morte e una nuova nascita, e descritti i rituali da intraprendere prima e durante il bardo. Viene descritta con grande vivezza l'esperienza postmortale dello spirito, che risulta essere l'essenza del vuoto dello spazio celeste, un vuoto dietro il quale si intravvede la nuova esperienza terrena.
Il concetto di "capacità di operare sull'anima dopo la morte" la si ritrova già in Tommaso d'Aquino, inoltre, nel Bardo Thodol si presentano simboli archetipici, che trovano chiaro riferimento in Freud e Jung e nelle loro teorie psicologiche, in una comune dimensione intuita, che sconfina il piano della materia. Il Tibetano, considera la morte e la migrazione nell'aldilà (nel cosiddetto stato di bardo), fino al momento di una nuova incarnazione, un problema che deve essere affrontato, con un'adeguata preparazione già nel corso della vita terrena.
 

 

La Simbologia buddhista

Molti simboli Buddhisti devono essere considerati nell’ambito della cultura delle popolazioni che li hanno prodotti. Molti dei simboli originali, ad esempio, risalgono all'India antica e possono essere trovati anche nell’iconografia induista, anche se con significati leggermente diversi.
 


g.c.

(Articolo in costante aggiornamento).

 

 

 

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Buddha penitente,  pietra II-III secolo. Lahore, Museo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Testa del Buddha, dal Gandhüra. Stucco, III-IV secolo. New York, Metropolitan Museum.

 

 

 

 

 

 

 

 

Testa del Buddha. Periodo Gupta, pietra, VI secolo ca. Londra, Victoria and Albert Museum

 

 

 

 

 

 

 

India - Kushan. Kanishka I (c.) Tetradramma, 127-152 d. C. Kanishka in piedi, rivolto all'altare alla sua sinistra, in un atto sacrificale; al rovescio Buddha Maitreya seduto frontalmente.

 

 

 

 

 

 

Scene con episodi della vita del Buddha: La nascita del Buddha e i primi passi. Da Nagarjunakonda (Andhra Pradesh, India). Rilievo in pietra, II-III  secolo. National Museum of India, New Dehli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scene con episodi della vita del Buddha: L'oroscopo. Da Nagarjunakonda (Andhra Pradesh, India). Rilievo in pietra, II-III  secolo. National Museum of India, New Dehli.

 

 

 

 

 

Tanka con Buddha nella posizione del loto, attorniato da 199 immagini del Bodhisattva.

 

 

 

 

 

 

Il Buddha Shakyamuni. Wei del Nord, 440 d.C. Kansas City, Rockhill Nelson Gallery of Art.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'albero della Bodhi(illuminazione). Rilievo in pietra, XVII-XVIII secolo.  Bangkok, National Museum.

 

 

 

 

 

 

Fedeli in adorazione dell'albero dell'illuminazione. Rilievo in pietra, II secolo a.C.  Stūpa di Bhārhut (località indiana, nel Madhya Pradesh, nei pressi di Satna). Indian Museum, Calcutta.

 

 

 

 

 

Fedeli in adorazione dell'albero della Bodhi (illuminazione). Rilievo in pietra, II-I secolo a.C.  Stūpa di Sanci. Indian Museum, Calcutta.

 

 

 

 

 

Colossale Buddha in pietra. Pagan (Birmania), XIII secolo.

 

 

 

Scene con episodi della vita del Buddha: La discesa del Buddha in forma di elefante bianco. Da Nagarjunakonda (Andhra Pradesh, India). Rilievo in pietra, II-III  secolo. National Museum of India, New Dehli.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fedeli rendono omaggio alla ruota del Dharma. Dallo stūpa di Bhārhut (località indiana, nel Madhya Pradesh, nei pressi di Satna). Rilievo in pietra, II secolo a.C. Indian Museum, Calcutta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scene con episodi della vita del Buddha: La presentazione alle divinità. Da Nagarjunakonda (Andhra Pradesh, India). Rilievo in pietra, II-III  secolo. National Museum of India, New Dehli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avalokiteśvara (anche Lokeśvara), nel Buddhismo Mahāyāna, il bodhisattva della grande compassione a cui è dedicato il mantra Om Mani Padme m.

 

 

 

Buddha colossale realizzato nella roccia. Yiin-kang (Cina). Seconda meta del secolo V.

 

 

Buddha (Maitreya). Wei del Nord, 440 d.C. New York, Metropolitan Museum.

 

 

 

Shakyamuni.
Regno dei Qi settentrionali, (550-577 d.C.), stile monolitico, pietra policroma. Museo circondariale del Qingzhou.

 

 

 

 

Buddha (Shakyamuni), bronzo dorato, periodo T'ang (618-907 d.C.). Il Buddha è seduto su una corolla di loto,  le mani atteggiate nel gesto della predicazione (dharmacakra-mudri).

New York, Metropolitan Museum.