IL TEATRO DI LOPE DE VEGA NELLE OPERE DI BERNARDO CAVALLINO

 


Federica Maria Dolores Taverna
 

 

 


Ritratto di Felix Lope de Vega.
 


Nel Seicento il teatro napoletano risente profondamente dell’influenza del teatro spagnolo in seguito all’arrivo in città delle compagnie di attori ispanici. Infatti, molte commedie rappresentate nella città partenopea conoscono i propri natali nella Penisola Iberica.
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Protagonista assoluto in campo teatrale in questo secolo è il commediografo e drammaturgo spagnolo Lope de Vega,
2 scrittore tra i più fecondi della storia letteraria, autore di circa milleottocento commedie e quattrocentottanta autos sacramentales rappresentati presso le principali corti europee, comprese quelle italiane.
Nato a Madrid nel 1562, Lope de Vega ha avuto una vita abbastanza travagliata, dalla quale molto spesso ha tratto ispirazione per le sue opere. Egli inizia a scrivere commedie nel 1604, in un momento in cui il teatro è una forma d’arte di grandissimo successo in Spagna. Lope redige molte opere tratte dai più svariati ambiti: epica, mitologia, Sacre Scritture. Caratteristiche del suo teatro sono l’incrollabile ottimismo, l’interesse per ogni singola azione eseguita dai personaggi e per la naturalezza del linguaggio appena intaccato da influenze barocche. A lui si debbono alcune innovazioni sceniche, come la misura dei tre atti al posto dei cinque della tradizione classicista. Nel 1935 lo studioso Enzo Levi
3 delinea la figura del commediografo spagnolo, mettendo in risalto il forte legame tra il drammaturgo e l’Italia. Lope aveva una passione particolare per l’Italia, sebbene ancora oggi non si conosca alcun soggiorno dello scrittore nella Penisola. Sappiamo con certezza, però, che italiani sono i nomi dei personaggi delle sue commedie. Le opere “italiane” di Lope de Vega sono circa cinquanta, tre delle quali ambientate a Napoli: El perro del hortolano, La Ilave de la Honra e Mirada quien alabais.
Tra le opere scritte dal drammaturgo, esistono due commedie a carattere biblico. La prima è la Hermosa Ester, inserita nella raccolta Commedie pubblicata a Madrid nel 1621. Il testo è una tragicommedia ripresa dal Libro di Ester incluso nella Bibbia Cattolica e in quella Ebraica, di cui esiste un manoscritto autografo conservato nella Biblioteca del British Museum di Londra, recante la data 6 aprile 1610 e rappresentata in Spagna nello stesso anno.
La storia è ambientata in Persia. Il re Assuero, dopo aver allontanato la moglie dal regno per avergli disobbedito, sposa la giovane Ester orfana cresciuta in casa dello zio Mordechai.
Un giorno, lo zio di Ester scopre la congiura che il primo ministro Aman aveva organizzato per uccidere il re. Aman si presenta da Assuero e gli racconta del complotto organizzato dagli Ebrei contro di lui.
Il re, preoccupato della sua sorte, emana un editto in cui si diceva che tutti gli Ebrei di Persia dovevano essere uccisi. Ester, preoccupata per il suo popolo, si reca dal re e gli svela di essere lei stessa ebrea e di aver scoperto che a tramare contro di lui erano Aman e i suoi collaboratori.
Il re Assuero, convinto delle parole della regina e folgorato dalla sua bellezza, fa impiccare Aman e nomina primo ministro lo zio di Ester salvando, così, tutti gli Ebrei.
 


Bernardo Cavallino, Autoritratto. New York, Metropolitan Museum.


La storia di Ester raccontata da Lope de Vega diventa fonte di ispirazione per molti artisti dell’epoca, primo fra tutti per il pittore napoletano Bernardo Cavallino
4, il quale riprodurrà più volte lo stesso soggetto.

 


Bernardo Cavallino, Ester e Assuero. Firenze, Galleria degli Uffizi.
 


Di Ester davanti ad Assuero, attualmente esistono quattro opere autografe del pittore. L’opera più famosa è quella conservata alla Galleria degli Uffizi a Firenze. Il dipinto può essere considerato come la versione che più di tutte ha risentito dell’influenza della Hermosa Ester di Lope de Vega. Nella rappresentazione della scena di Ester davanti ad Assuero il pittore si sforza di rendere pienamente la purezza d’animo e la bellezza fisica della regina, riproducendo fedelmente lo svolgimento dell’azione descritto nella Bibbia, così come ha fatto il drammaturgo spagnolo. Nel quadro fiorentino emergono immediatamente l’interesse del pittore per le composizioni scenografiche e la studiata caratterizzazione delle figure. In quest’opera la figura di Ester è collocata in prossimità di un sottile fascio di luce che le conferisce maggiore risalto rispetto agli altri personaggi che popolano la scena. Tutte le figure sono caratterizzate da movimenti ben precisi e da contenuta eleganza. Una copia del dipinto oggi agli Uffizi, pubblicata dallo studioso Sergio Ortolani nel 1922, riporta la variante costituita da una colonna scanalata che il copista aveva inserito vicino la tenda sollevata accanto al trono di Assuero. Un’altra versione dello stesso soggetto, databile intorno al 1642, appartiene alla collezione Rocco-Pagliara di Napoli. In questa tela i vestiti dei personaggi sono resi in maniera minuziosa e viene messa in risalto la loro preziosità. I volti e la materia sono resi con pennellate eleganti e delicate. Vi è un perfetto trattamento della pittura e le figure sono distribuite in fila intorno allo sfondo architettonico.
Un’altra tela, scoperta successivamente a quella della raccolta Rocco-Pagliara e raffigurante lo stesso soggetto, può essere databile intorno al 1640. Non tutti gli studiosi sono stati concordi con la datazione assegnata al quadro. Lo studioso Raffaello Causa, per esempio, ha collocato quest’opera intorno al 1635. Nel dipinto in questione, attualmente conservato in Svizzera
5 presso una collezione privata, la scena rappresentata è costituita da un’impostazione più marcatamente teatrale rispetto a quella del 1642, specie per quel che concerne la disposizione dei personaggi. Ester viene raffigurata in ginocchio, sul punto di svenire davanti ad Assuero, il quale si alza dal trono per aiutarla, mentre le sue ancelle si affrettano a soccorrerla. I gesti, le espressioni, gli sguardi scambiati dai protagonisti, danno allo spettatore l’impressione di assistere ad uno spettacolo.
Dalle radiografie eseguite sul dipinto svizzero sono emerse alcune modifiche eseguite in un primo tempo da Cavallino per quanto la posizione delle figure all’interno della scena. In una prima stesura, infatti, la testa di Assuero era situata più a sinistra, di fronte all’attuale posizione di Ester. Di quest’opera, identificata da Bernardo de Dominici con il dipinto dello stesso tema travato nella raccolta di Francesco Valletta a Napoli,
6 esiste anche una copia che attualmente si trova a Milano in una collezione privata.7
L’ultima opera autografa raffigurante il medesimo tema appartiene alla collezione Harrach di Vienna. La tela, acquistata a Napoli dal conte Harrach, è stata attribuita con certezza a Cavallino dallo storico dell’arte Adolfo Venturi
8  nel 1921. Anche in questo dipinto l’impostazione dei personaggi è teatrale. La delicatezza dei gesti caratterizza la figura di Ester, pronta ad implorare il marito affinché non uccida il suo popolo.
Sempre nel 1610, Lope de Vega scrive un’altra tragicommedia biblica, la Historia de Tobias, anch’essa pubblicata nella raccolta Commedie. La storia di Tobia costituisce un altro tema eseguito più volte da Cavallino. Tratto dal Libro di Tobia, ambientato nel VII sec a.C., la storia ha come protagonista una famiglia ebraica appartenente ad una tribù deportata a Ninive, composta dal padre Tobi, dalla madre Anna e dal figlio Tobia. Condotto prigioniero in Assiria nella deportazione delle tribù del regno di Israele nel 722 a. C., il pio Tobi si prodigava ad alleviare le pene dei suoi connazionali che vivevano in triste condizioni. Nel corso delle varie vicende perde il suo patrimonio e, in seguito ad un atto di carità, anche la vista. Sentendosi prossimo alla fine, manda il figlio Tobia nella Media presso un parente, Gabael, a riscuotere 10 talenti d’oro lasciatigli in deposito. Cercando una guida per il cammino, incontra un connazionale che si offre di accompagnarlo, conoscendo bene la strada: in realtà, si tratta dell’arcangelo Raffaele, mandato da Dio ad alleviare le sofferenze di Tobia, sotto mentite spoglie. Durante il viaggio Tobia sposa Sara, figlia del parente Raguele, liberandola dal demone Asmodeo che aveva ucciso tutti gli uomini che avevano provato a sposarla grazie alle indicazioni di Raffaele, il quale poi provvederà, dopo un combattimento, a legare il demone ad una montagna. Sempre grazie ad un consiglio di Raffaele, Tobia spalma sugli occhi del padre Tobi il fiele di un pesce catturato durante il viaggio, facendogli recuperare la vista. Solo alla fine del libro Raffaele si fa riconoscere dai due.

 


Bernardo Cavallino, Guarigione di Tobia. Madrid, Museo del Prado.
 


Gli studi condotti nel corso degli anni hanno portato alla scoperta di svariate copie raffiguranti momenti cruciali della Storia di Tobia dipinti dall’artista. Lo studioso Aldo de Rinaldis, nel 1917, ha scritto un saggio
9  sul pittore napoletano ed ha citato due dipinti, la Guarigione di Tobia e Lo sposalizio di Tobiolo, entrambi conservati al Museo Correale di Sorrento. Del secondo dipinto, inoltre, Cavallino ne ha fatto una replica conservata, assieme ad un’altra tela raffigurante la Partenza di Tobiolo, alla Galleria Corsini di Roma.
Nel 1941 lo studioso Onofrio Giannone
10 cita un dipinto presente in casa di Francesco Valletta raffigurante Tobia che libera dalla cecità il padre. Qualche anno dopo, Raffaello Causa11 menziona, come copia cavalliniana, una tela conservata al Crysler Museum di Princetown.
Nel catalogo riguardante la mostra sull’artista napoletano tenutasi a Napoli nel 1985, viene indicato un altro dipinto raffigurante la Guarigione di Tobia, attribuito al pittore dallo studioso Herman Voss nel 1931.
In tutti i dipinti finora menzionati, analogamente alle varie versioni dell’Ester davanti ad Assuero, è evidente l’interesse del pittore, per la riproduzione fedele della narrazione biblica, così come ha fatto Lope de Vega nella sua tragicommedia riguardante il medesimo tema.
In queste tele il pittore mette in risalto l’espressività dei volti dei protagonisti, la loro disposizione prevalentemente teatrale all’interno della scena. I dipinti in questione, inoltre, presentano altri tratti distintivi dell’arte cavalliniana quali la distribuzione della luce, tesa ad indagare la realtà delle cose e la ricchezza delle vesti, quasi fossero abiti di scena.
 

 

 

Federica Maria Dolores Taverna
 

 

 

 

Riferimenti bibliografici:

1 Cfr. S. Carandini, Teatro e spettacolo del Seicento, Editrice Laterza, Bari 1993.
2 NOTA SU DE VEGA

3 Cfr. E. Levi, Lope de Vega e l’Italia, Sansoni, Firenze 1935.
4  Cfr. Bernardo Cavallino: 1616- 1656, catalogo della mostra (Napoli, Museo Pignatelli, 1985), Electa, Napoli 1985.

5  Cfr. Bernardo Cavallino: 1616-1656, catalogo della mostra (Napoli, Museo Pignatelli, 1985), Electa, Napoli 1985, p. 114.

6  Cfr. B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori, e architetti napoletani, III vol., 1742, pp. 32-43.
7 Cfr. M. Marini, Pittori a Napoli, 1610-1656, Roma 1794, p. 115.
8 Cfr. A. Venturi, Grandi artisti italiani, Antonello da Messina, Giambellino, Sandro Botticelli, Il Bramantino, Bernardo Cavallino, Francesco Laurana, Leonardo da Vinci, Lorenzo Lotto, Francesco di Giorgio Martini, Michelangelo, Pietro Perugino, Luca Signorelli, il Pisanello, Mattia Preti, Raffaello: celebrazioni e tributi, Zanichelli, Bologna 1925, pp. 73- 81.
9 Cfr. A. De Rinaldis, Bernardo Cavallino ed alcuni suoi nuovi quadri, in Vincenzo Gemito- Salvatore Di Giacomo, Alfieri & Lacroix, Roma 1923, pp. 179- 186.
10 Cfr. O. Giannone, Giunte sulle vite de’ pittori napoletani, ed. O. Morisani, Napoli 1941, pp. 107- 108.
11 Cfr. R. Causa, La pittura del Seicento a Napoli dal Naturalismo al Barocco, in Storia di Napoli, V vol., Napoli, 1972, p. 983.
12 Cfr. Bernardo Cavallino…, cit., p. 210.