Arte indù
Alessandra Doratti
Le figure dell'arte indù
Plasticità e dinamismo sono le caratteristiche fondamentali e più
evidenti dell'arte e della scultura orientale di derivazione indù, e
cioè la capacità di imprimere alla pietra quel senso di movimento per
cui i corpi appaiono così flessuosi, vitali e prorompenti. Le origini di
quest'arte sono da cercare nelle antiche tradizioni e soprattutto nel
significato che ebbe la danza per questi popoli: la danza come arte non
fu apprezzata soltanto per la sua creatività, ma anche per il profondo
significato "liturgico" di cui godeva. Nei tempi antichi vi era una sala
apposita riservata alle danzatrici sacre (delle ragazze che per la
bellezza dei loro corpi, che rasentavano l'ideale della perfezione,
venivano scelte poiché ritenute adatte ad impersonare la forma terrena
degli dei) che danzavano davanti ai devoti rappresentando storie
mitologiche e divine. Sulla costa centro-meridionale dell'India, nella
regione dell'Orissa il rapporto tra sculture e danza è così profondo che
nasce la danza sacra chiamata Odissi: è tale da far sembrare i suoi
personaggi delle sculture mobili, come quelle che ornano i favolosi
templi di Konarak e di Bubhaneshvar del XIII secolo.
L'atteggiamento scultoreo detto della "triplice flessione" è quello che
si ispira più frequentemente alla danza; il busto, le gambe e i fianchi
vengono piegati in modo tale che la posizione ricorda una "esse"
stilizzata. Questa posizione compare spesso nella scultura, fin
dall'epoca Gupta (IV-V secolo dopo Cristo) e dura anche in epoca
medioevale, da X al XIII secolo. Nel corso dei secoli i corpi appaiono
agili e sensuali, sono giovani o dinamici e oltre a queste importanti
caratteristiche estetiche, le immagini sembrano librarsi in una
dimensione aerea, piuttosto che terrena, sono al di fuori dello spazio e
del tempo. Le ragioni di ciò vanno considerate nell'ambito del rapporto
fra cultura e religione che si era stabilito nella popolazione indù:
l'arte, in particolar modo quella indiana, è essenzialmente una
trasposizione simbolica del sacro e le statue raffigurano principalmente
delle divinità, delle persone divinizzate. Gli dei sono concettualmente
privi di un corpo e di ogni tipo di caratteristica fisica, la acquistano
solo sul piano fenomenico per adattarsi alla dimensione della mente
umana che altrimenti non potrebbe comprenderli o immaginarli.
Posizioni che riflettono quasi l'"assenza di gravità"
Nella scultura, dunque, essi assumono una forma umana, ma le loro
posizioni sono più consone a una realtà priva di forza di gravità, dato
che vivono nel mondo "celeste". Le modelle degli scultori dell'epoca,
erano, come abbiamo detto, le danzatrici sacre con i loro splendidi
corpi che per la loro perfezione più di ogni altro essere umano si
adattavano a riflettere materialmente un ideale spirituale.
Gli scultori, al tempo, prediligevano le tecniche dell'alto e del basso
rilievo, raramente (soprattutto in India) scolpivano delle statue a
tutte tondo. Naturalmente anche per spiegare questo vi è un motivo e una
specifica esigenza. Le opere erano fatte per essere osservate e venerate
solo in posizione frontale e dunque non necessitavano di finiture nella
parte posteriore che restava grezza. A volte facevano parte delle
strutture architettoniche e pertanto venivano direttamente scolpite nei
blocchi di pietra degli edifici, o altrimenti venivano create delle
nicchie apposite nelle pareti per poi inserirle all'interno. Molte di
esse decoravano balaustre, colonne, architravi, e altre nascevano già
con la loro copertura.
Fragili giganti che
prendono vita dalla pietra arenarica
Se si considera che le immagini divine erano spesso dotate di molte
braccia (ad esempio la dea Kali) e mani che impugnavano numerosi oggetti
rituali e che gli dei erano affiancati da spose e da offerenti, si
capisce perché le immagini a tutto tondo venivano utilizzate molto meno
o addirittura scartate, a meno che non fossero di proporzioni
gigantesche dato che, oltre alla difficoltà di realizzazione,
risultavano poi più fragili e con scarse probabilità di conservazione.
Quasi sempre veniva usata la pietra arenaria, ma a volte anche una
pietra più dura e compatta che varia dal colore verde intenso al grigio
e al marrone, un materiale che talvolta veniva lucidato per renderne la
superficie simile alla pelle umana.
Tuttavia la tecnica dell'alto e basso rilievo non tolse nulla né limitò
la creatività artistica orientale e la qualità della scultura. Spesse
volte la lavorazione era così raffinata da dare l'impressione del
modellato tondo anche se in effetti non era stato usato. Ed è proprio
con questa tecnica che gli artisti indiani ottennero opere di qualità
plastica ineguagliata nella storia dell'arte.
Nei primi secoli dopo Cristo i mercanti indiani avevano creato dei porti
e delle basi commerciali nella zona costiera della Cambogia (era un
piccolo regno dove vi era una confederazione chiamata Pu Nan)
importandovi anche la loro religione - budhismo e induismo - e la
tradizione di costruire templi in onore degli dei.
Infatti nel 1863 un gruppo di naturalisti francesi scoprì in Cambogia il
tempio di Angkor Vat, oggi uno dei complessi monumentali più grandi del
mondo, che era rimasto coperto dalla fitta vegetazione tropicale della
giungla per più di cinque secoli. Gli scavi riportarono alla luce uno
dei più grandi patrimoni di arte Khmer, praticamente allora sconosciuta
al mondo occidentale. Con il restauro il tempio riacquistò la sua
precedente bellezza ed imponenza; alcune statue che lo decoravano erano
rimaste ancora del tutto intatte, mentre altre erano state danneggiate
dalle guerre e dal tempo. Si scoprirono così delle figure maschili e
femminili scolpite a tutto tondo, eleganti e raffinate, di una divina
bellezza. Nella maggior parte dei casi i loro fianchi erano coperti da
un sottile velo pieghettato, abilmente scolpito nella pietra.
Le origini dell'arte cambogiana restano tuttora sconosciute, nonostante
vi siano stati dedicati anni di studi. Si sa che l'infuenza dell'India
ebbe un peso indiscutibile sui costumi e le tradizioni di questo popolo,
ma dal VI secolo dopo Cristo non si sa come vennero prodotti dei
capolavori che mostrano una maturità stilistica ed espressiva che non
deriva da nessuna delle popolazioni che hanno dominato questo Paese e
non ha precedenti conosciuti nell'arte scultorea orientale. Le opere di
questo periodo si definiscono pre-angkoriane (da Angkor, capitale del
regno Khmer dal IX al XIV secolo) e, se vogliamo, in qualche modo
somigliano alla nostra arte classica, precisamente a quella ellenistica
arcaica; volumi ben proporzionati, volti eleganti e aristocratici a
volte con una mitra in testa, molto lineare e priva di decorazioni, con
tratti espressivi e fisionomia più indoeuropea che non asiatica.
E il sovrano veniva
riconosciuto monarca universale
Il periodo più fiorente dell'arte Khmer si ebbe durante il regno di
Jayavarman II (802-850 dopo Cristo) che è appunto l'inizio del periodo
angkoriano; in quest'epoca si ebbe uno sviluppo economico dovuto a
imponenti opere di irrigazione, una grande potenza militare che permise
di conquistare vasti territori e diede sicurezza e stabilità al Paese.
La tradizione vuole che il sovrano fosse allora riconosciuto come un
monarca universale, che veniva incoronato in questi templi-santuari, e
fosse la reincarnazione di una divinità.
La scultura e l'architettura diventano allora le più grandi espressioni
religiose dell'arte Khmer, i volti divini acquistano delle
caratteristiche umane con un preciso intento ritrattistico poiché re e
regine si identificano con la divinità. Le statue tendono alla
stilizzazione, dato il consolidarsi dell'impero ormai secolare e la loro
staticità esprime il potere sovrano e divino che governa l'uomo. Le loro
vesti sono ampiamente pieghettate e sono spesso ornate di splendidi
gioielli che mettono in evidenza la ricchezza della classe dirigente.
Durante il regno di Jayavarman VII (1181-1219), alla fine del XII
secolo, la popolazione, come il suo sovrano, si converte al Buddhismo e
si costruisce così il grande tempio di Bayon. Inizia un radicale
cambiamento nell'arte, non tanto per l'adeguarsi degli artisti ai temi
della nuova religione ufficiale quanto per l'espressione spirituale che
viene ricercata nei volti delle nuove immagini. La ricerca estetica
abbandona lo studio del corpo e si concentra sui tratti del viso: i
corpi diventano rigidi, ma i volti sono illuminati dall'ineffabile e
suggestivo sorriso del Buddha. Nell'arte Khmer non esiste decadenza, ma
solo una repentina e incomprensibile conclusione. Dopo la morte di
Jayavarman II non si costruiscono più templi, soltanto le statue
continuano a essere scolpite ma non tanto in Cambogia, quanto nella
vicina ed emergente Thailandia; esse però sono limitate alle sole
immagini del Buddha.
Se la conoscenza dei caratteri tecnici, della simbologia e
dell'iconografia sono indubbiamente utili per comprendere e apprezzare
la scultura orientale, anche prescindendo da questi strumenti
interpretativi vi sono esempi di così alta bellezza e capacità
espressiva, da poter essere inseriti tra i capolavori dell'arte
universale.
Alessandra Doratti