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Arte del tappeto

 

Spazio magico e storia culturale

 

Alessandra Doratti

 

 



   L'origine è antichissima, il primo esemplare risale al 500 a.C., e forse affonda le sue radici nelle sconfinate pianure dell'Asia centrale. Ma è con l'avvento dell'Islam, nel VII sec., che l'arte del tappeto orientale segna l'inizio della nuova era, accomunando i popoli del nord Africa al Medio Oriente fino al centro dell'Asia e all'India, diversi per origini e formazione culturale, ma tutti legati all'ambiente desertico, dove il mezzo primario di sussistenza è la pastorizia.
 

 

Tappeto persiano Baktiari, inizio XX secolo
fondo rosso  e turchese, con motivo di vaso contenente fiori, cm 235x170

 

 

Nomadi e sedentari, pur con sistemi di vita profondamente diversi, trovano un punto di incontro nello spirito islamico e nell'arte del tappeto. Per i nomadi il tappeto è uno spazio magico, un territorio conosciuto e trasportabile che li difende dalle forze negative, dalle superstizioni, e al tempo stesso è un luogo di preghiera. È inoltre la manifestazione della loro cultura, per questo è annodato accuratamente e caricato di tutti questi simboli, quegli scongiuri, quelle formule grafiche che essi non possono esprimere attraverso altre forme artistiche quali l'architettura, la pittura e la scultura.
 

   Per i sedentari, invece, non è solo credo e tradizione, ma anche storia. I simboli arcaici diventano motivi arabescati di grande rilievo, il numero dei colori aumenta e la lana è di qualità sempre migliore. Lo sforzo è teso nel rappresentare l'armoniosità e la bellezza dell'Eden, il paradiso musulmano descritto come "un giardino attraversato da fiumi".
 

I nomadi sono legati al ritmo quotidiano di un'esistenza condizionata non da regole scritte, ma consuetudinarie, cristalizzate da esperienze ataviche. E amano gli spazi infiniti. I loro tappeti sono un ripetersi di elementi uguali, definiti; immutabili. I sedentari, invece, preferiscono limitare lo spazio, incorniciarlo, ordinarlo verso un centro, e i loro tappeti sono architettati come splendidi giardini. Tutta l'arte del tappeto vive dello scambio tra queste due polarità raggiungendo livelli altissimi di creatività e di bellezza.
 

Apprezzati enormemente nel tardo Medio Evo e nel Rinascimento, come dimostra la loro presenza in numerosissime pitture europee dell'Epoca, collezionati da regnanti famosi tra i quali Enrico VIII d'Inghilterra, commissionati da grandi famiglie nobili italiane tra cui i Medici, i tappeti orientali persero il loro valore culturale nel '700 e nell' 800 per entrare nel novero delle opere d'arte extra - europee etichettate come barbariche o comunque minori. E come tali vennero riesumati nella seconda metà del XIX sec., nel clima di rinnovato interesse, un po' museografico un po' colonialista, per gli oggetti d'arte orientale.
 

Non a caso la rivalutazione del tappeto orientale come oggetto d'arte si ha per motivi pratici. Artisti quali l'inglese William Morris (1834—96), sono stati tra i primi a riscoprire questa forma d'arte per trame nuove stimolanti idee per la produzione di tessuti e tappezzerie. E il primo libro in materia, pubblicato nel 1877 a Berlino da Julius Lessing (direttore del Kunstgewerbe Museum, che si occupava soprattutto di disegno industriale), si limitò a riprodurre una cinquantina di motivi ornamentali corredati da un testo molto breve e di scarso rilievo.
È solo nel 1891 con la mostra organizzata da Alois Riegl a Vienna che il tappeto ritrova un gran numero di appassionati. Risalgono ai primi decenni di questo secolo le prestigiose collezioni mitteleuropee e americane di tappeti classici, mentre il tappeto dell'800, rimane soprattutto di moda tra i sofà, sotto i tavoli, le sedie, di fianco ai letti e in anticamera. Datano gli anni '40 e '50 le vere e proprie raccolte di tappeti del XIX sec., formatesi in Inghilterra, Stati Uniti e Germania. Con gli anni '60, poi, dilaga la passione grazie ad una letteratura specifica che va rapidamente colmando il vuoto d'informazione in materia, e oggi il tappeto orientale è decisamente popolare. La descrizione che segue è relativa alle varie tipologie di tappeti, con particolare riferimento alle possibilità collezionistiche di esemplari dell'800.

 


Tappeto anatolico a preghiera Koum kapi, inizio XX secolo
nicchia con lampada, cm 205x165

 

 

 

Anatolia


I tappeti dell'Anatolia (la terra del "Sol levante", corrispondente circa all'attuale Turchia) sono senza dubbio tra i più genuini, attraenti e "cosmopoliti", della produzione ottocentesca orientale. Incarnano il forte e virile spirito degli invasori turchi selgiuchidi provenienti dal Turkestan e lo amalgamano con i severi ideali estetici islamici e con la sensibilità e la dolcezza delle popolazioni mediterranee. Per non evidenziare troppo l'apporto centro-asiatico degli invasori, che seppur grandi promotori di quest'arte non furono certamente i soli fautori della grandezza dei tappeti, è preferibile denominarli anatolici anziché turchi.
Il XIX sec. è un periodo di grande vivacità ed innovazioni stilistiche sia per le manifatture cittadine, sia per le cosiddette produzioni di villaggio, opera di contadini e pastori nomadi e semi-nomadi. Vengono attribuiti a questo periodo (anche se spesso antedatati) molti degli esemplari con impianti a nicchia cosiddetti a "preghiera", annodati a Ghiordes, Kula e Ladik, che rappresentano l'ultima gloriosa fase della tradizione ottomana iniziata nel XVI sec.. Solo verso la fine, con la decadenza dell'impero ottomano, si assiste ad un progressivo deterioramento delle produzioni cittadine sempre più indirizzate a soddisfare le richieste del mercato occidentale.
Prediletti dai collezionisti occidentali fin dall'inizio del '900, i tappeti anatolici sono spesso sopravvalutati (chi desiderasse queste "preghiere" non deve confonderle con le numerose copie eseguite tra la fine del XIX sec. e l'inizio del XX a Pandemia, Kayasari, Bursa e Sivas). Tra quelli di produzione cittadina hanno unitamente acquistato grande notorietà anche gli esemplari (quasi sempre a "preghiera") annodati a Melas, Makri, Kirsehir e in altre cittadine dell'Anatolia occidentale e centrale. Sono contraddistinti da policromie ricche e brillanti, e a partire dalla metà dell'800 sono caratterizzati da elementi stilistici d'influenza francese, introdotti dal sultano Abd-Ul-Hejid I (1839—61) con risultati molto fantasiosi, ma talvolta di dubbio gusto. È soprattutto a queste produzioni che il neocollezionista dovrebbe rivolgere la propria attenzione, in quanto ancora sottovalutate e culturalmente molto genuine.
Ancora più interessanti, poco rinomate e tenute in scarsa considerazione sono le produzioni cosiddette di villaggio, che nell'800 propongono, inalterati, motivi e accostamenti cromatici di antichissima origine.
Contraddistinti da un'annodatura larga, dal pelo mediamente rasato alto, questi esemplari sono ornati da grandi motivi geometrici, in genere medaglioni ottagonali, scalari, a "ruota", uncinati, resi con tinte forti e calde. Tra i più celebri si annoverano quelli delle tribù sedentarie e seminomadi dell'area di Bergama, Canokkale e Konia oltre a quelle produzioni nomadi non ancora precisamente identificate e quindi difficilmente classificabili. Le difficoltà di datazione e di attribuzione sono una delle ragioni che hanno limitato per ora il collezionismo del tappeto anatolico di villaggio, sulla cui precisa collocazione permangono forti perplessità nonostante lo sviluppo recente di studi in materia.

 


Tappeto caucasico Kasak Sevan,
fondo rosso con medaglione centrale verde, bordura a punta di freccia marrone-nera, seconda metà XIX secolo, cm 255x185.

 

 

 

Caucaso


Nell'arte del tappeto la semplicità delle forme geometriche viene in genere associata a concetti di arcaicità e rozzezza. Non è questo il caso della produzione caucasica ottocentesca che unisce il rigore geometrico, l'arcaicità compositiva, la gioiosa brillantezza dei colori ad una sorprendente raffinatezza esecutiva che ha sempre rivestito per il collezionista occidentale, in particolare. italiano, un fascino enorme.
Il XIX sec. è un periodo molto fecondo per questa produzione. Con il declino del patronato aristocratico, che aveva influenzato gli esemplari dei secoli precedenti (i celeberrimi tappeti a "draghi" e a "boccioli"), si sviluppa enormemente un'arte di villaggio, libera da condizionamenti estetici e aperta a nuove e fantasiose interpretazioni degli antichi modelli. Si assiste alla formazione di un nuovo stile in cui i singoli elementi decorativi propri degli antichi schemi compositivi vengono estrapolati dal loro contesto e isolati, ingranditi, rimpiccioliti o ripetuti nella composizione di disegni del tutto nuovi. Tipica di questo evolversi è l'estrema geometrizzazione delle forme, talvolta addolcita da elementi curvilinei di chiara discendenza persiana (diffusi nella produzione del Caucaso meridionale).
La maggior parte dei pezzi pervenutici va datata tra la metà del XIX sec. e l'inizio del XX sec., anche se molto spesso ci si trova di fronte alla tendenza di antedatarli come se ciò nobilitasse o impreziosisse esteticamente opere già di per sé estremamente valide.

 

 

Tappeto caucasico Shirvan Kuba, inizio del XX secolo, rosso su fondo blu, cm 180x130.


 

Questo slancio produttivo venne dapprima incentivato dalla presenza dei conquistatori russi, ma inevitabilmente l'apertura verso nuovi mercati portò nei primi due decenni del XX sec. ad uno scandimento della produzione, dovuto sia alla decadenza stilistica sia all'introduzione di colori sintetici. I tappeti caucasici sono molto popolari: la dubbia catalogazione fornita negli anni '80 da U. Schurmann e L. Kerimor, che senza farsi grandi problemi assegnarono una paternità a ogni disegno, ha destato grande entusiasmo specie tra i collezionisti nord-europei affamati di attribuzioni. Vengono in genere preferiti gli esemplari con caratteristiche "persiane", e cioè compattezza di nodi, disegni minuti e raffinatezza di fabbricazione.
Sono quindi molto celebri e sopravvalutati i cosiddetti "Chi-chi" annodati nel Caucaso nord orientale, i cosiddetti "Hila" e i tappeti con impianto "Avshan" prodotti nell'area di Baku, nel Caucaso centro orientale. Molto apprezzati ed altrettanto valutati i Talish a fondo unito del Caucaso meridionale e gli Shirvan dagli innumerevoli motivi decorativi.
Tra le produzioni più "grossolane" sono famosi i "Kazah" soprattutto quelli erroneamente definiti ad "aquile" (per la maggior parte eseguiti più a sud, nel Karabakh) che raggiungono ormai le quotazioni più alte.
In realtà tutta la produzione caucasica è molto stimata perché facilmente collezionabile in quanto rispondente ai requisiti più apprezzati nei tappeti: la bellezza, le giuste dimensioni e una presente indubbia attribuzione.

 

 

Alessandra Doratti