Art Nouveau

 

 

Alessandra Doratti

 

 


Sviluppatosi nell'ambito del più generalizzato clima simbolista, il periodo vitale dell'Art Nouveau si colloca tra il 1880 e il 1910. Come il simbolismo letterario e pittorico, ritrova le sue premesse nel secondo Settecento, alle origini del movimento romantico (anche se ben distinto da quello), nel coinvolgimento sensibile della cultura, nel contesto della teoria del sublime. Come il Simbolismo, l'Art Nouveau non si regge su un semplice programma di rinnovamento estetico, ma si identifica con un modo dell'essere che tende a sottrarsi alla materia per astrarsi nello spirituale; uno spirituale ambiguo, che si risolve nella formula «rivestire l'Idea di una forma sensibile». In questo senso si opporrà al Positivismo nascente, cui si deve l'assetto sociale e produttivo del mondo moderno dalla rivoluzione industriale al capitalismo borghese, e si farà strumento di dissenso, anarchico e aristocratico allo stesso tempo.
In nome dell'"Arte per l'Arte", definizione che gli deriva dal Simbolismo e dall'Estetismo letterario, tenderà a investire tutta la vita e a trasformarla secondo i canoni di un ideale che considera l'arte esperienza totale, di carattere etico, culturale, capace, come tale, di trascendere la vita stessa, e tesa a sublimarla. Per il suo manifestarsi come stile ornamentale basato sul modello univoco della linea, e malgrado la formula esteriormente (talvolta quasi platealmente) "figurativa", l'Art Nouveau si configura come la via più diretta, in verticale, verso l'astrattismo; come tale può essere considerata la premessa delle future avanguardie, non a caso tutte, in positivo o in negativo, implicate con il Simbolismo.
L'Art Nouveau nasce come stile ornamentale: non a caso, la prima denominazione del movimento è Jugendstil, dove è evidente il gioco ambiguo tra la connotazione di giovane, di nuovo, e il concetto revivalistico di stile. D'altronde il termine stile resta, come vedremo, una costante del movimento in quasi tutte le terminologie che denotano le varianti nazionali.
L'Art Nouveau, si presenta dunque con tutti i caratteri dello stile, dando peraltro, al concetto quella connotazione che si era definita nell' ambito dei revival romantici - alla metà dell'Ottocento la nozione di stile non si riferisce più a concetti strumentali, come al significato tipologico di genere, quale fu presente nel mondo greco e romano, o quale improntava la teorizzazione dei tre stili nel "De Architectura" di Vitruvio, o dei "modi" musicali di Laso da Ermione e di Damone di Oa. E non si tratta più neppure della concezione duecentesca del «dolce stil novo», né dell'estetica antiretorica umanistica né del formalismo stilistico barocco.
Con il Romanticismo il concetto di stile si capovolge e cessa di essere una definizione retorica. Lo stile è l'uomo; il linguaggio ne è l'espressione. Già Kant nella "Critica del giudizio" (1790), trasforma la categoria stilistica del sublime nell'intenzionalità trascendente dell'artista. Ma sarà Federich Schlegel che volgerà il concetto di stile (di poesia) in fatto soggettivo.
E non è certo un caso che il concetto di stile abbia giocato un ruolo fondamentale in senso psicologico negli studi di Worringer e, dal 1905, nella direzione neoidealista della teorizzazione di Vossler: sono gli anni nei quali l'Art Nouveau è al massimo della sua esplosione e irradiazione. "La nozione di stile" scrive Argan raggiunge il massimo dell'indeterminatezza storica nel movimento inglese dei Preraffaelliti che è certamente un tipico revival, di cui tuttavia difficilmente si potrebbe dire che cosa propriamente voglia far rivivere, tant'è remota, irriconoscibile, puramente simbolica, l'immagine di un medioevo che per lo stesso Ruskin, che pure era a suo modo uno storico dell'arte, non era altro che l'epoca di un non meglio qualificato primitivismo.
Tra i precedenti diretti dell'Art Nouveau si pone proprio l'esperienza dei Preraffaelliti, con tutto il peso spurio di un revivalismo di maniera. Dunque l'Art Nouveau si manifesta come stile; e questa, forse, è anche una delle ragioni per cui per quasi mezzo secolo, fino a una ventina di anni fa, un movimento così diffuso, e certamente il primo di livello internazionale, è stato del tutto ignorato e relegato come stile, appunto, nell'ambito dell'ameublement.
L'Art Nouveau in Italia nella sua connotazione liberty (la denominazione che diverrà di uso corrente) rappresenta un'esperienza di riporto, ritardataria, che sfocerà e si confonderà con fenomeni di moda Art Déco, di origine Belle Epoque, con cadenze, pure di riporto, da stereotipi delle prime avanguardie del Novecento. Ciò non significa che anche l'Italia non abbia espresso personalità artistiche e, talvolta, manifestazioni più o meno autonome in luoghi diversi, che poco hanno da invidiare agli esempi dei protagonisti più vitali dell'Art Nouveau internazionale. Purtroppo molte realizzazioni architettoniche (per non parlare di esperienze di cosiddetta arte minore) sono andate perdute, sia per le guerre (come nei dintorni di Varese dove sono scomparse intere zone residenziali), sia per l' incuria e il disprezzo da parte di tutto il periodo che si riconosce, sia pure spesso in una edilizia squallida, in una falsa ideologia nazionale.
Si è parlato di esperienza di riporto perché in Italia è assolutamente mancata, sul filo del nazionalismo, sia la necessità del recupero di fatti decorativi folkloristici - il liberty non si è presentato come spinta di sollecitazione di valori tradizionali, rappresentati ormai da una trascrizione accademica e monumentalistica degli stili classici sia una base culturale capace di recepire l'esigenza, sentita invece dallo Stato, di crearsi un prestigio come nazione. In Italia le nuove esperienze figurative, sorrette da implicazioni ideologiche promosse e recepite solo a livello di ambienti culturali e, di riflesso, dalla borghesia, non sfiorano la popolazione neppure sul piano del gusto, né stimolano recuperi di creatività autonoma. Questo tentativo era appena sfiorato, semmai, dall'eccletismo revivalistico che, in termini troppo spesso vernacolari, contrapponeva la dignità "comunale", medievale, agli splendori imperiali di Roma, in nome del nazionalismo risorgimentale della "nuova" Italia.
La situazione socio-economica e politica italiana era tra le più difficili d'Europa, sia per il travaglio di dover comporre in unità nazionale espressioni tradizionalmente diverse, gonfiando la piccola struttura militare piemontese a contenere uno stato unitario; sia anche perché l'Italia era ancora tra le nazioni meno sviluppate industrialmente.
Il patto della Triplice Alleanza del 1882 portava da noi capitali tedeschi e austriaci, subito investiti in imprese industriali e nella speculazione edilizia che vedrà la distruzione della compagnia unitaria del centro storico di Roma, cui contribuivano, in ambigua concordia, interessi privati, politici e curiali. Si diffondeva allora, quasi di forza, l'allineamento del gusto con le ultime esperienze delle Secessioni, in aperto conflitto con la cultura letteraria che si andava staccando dal realismo, pur mantenendone le istanze sociali, per un'adesione più sottile Simbolismo europeo.
Molti studi recenti sul liberty italiano hanno messo in luce situazioni e manifestazioni di grande interesse e di un momento dovunque più fertile di quanto si sarebbe creduto a causa di una voluta sommersione.

 

 

 

Alessandra Doratti