Sviluppatosi nell'ambito del più generalizzato clima simbolista, il
periodo vitale dell'Art Nouveau si colloca tra il 1880 e il 1910. Come
il simbolismo letterario e pittorico, ritrova le sue premesse nel
secondo Settecento, alle origini del movimento romantico (anche se ben
distinto da quello), nel coinvolgimento sensibile della cultura, nel
contesto della teoria del sublime. Come il Simbolismo, l'Art Nouveau non
si regge su un semplice programma di rinnovamento estetico, ma si
identifica con un modo dell'essere che tende a sottrarsi alla materia
per astrarsi nello spirituale; uno spirituale ambiguo, che si risolve
nella formula «rivestire l'Idea di una forma sensibile». In questo senso
si opporrà al Positivismo nascente, cui si deve l'assetto sociale e
produttivo del mondo moderno dalla rivoluzione industriale al
capitalismo borghese, e si farà strumento di dissenso, anarchico e
aristocratico allo stesso tempo.
In nome dell'"Arte per l'Arte", definizione che gli deriva dal
Simbolismo e dall'Estetismo letterario, tenderà a investire tutta la
vita e a trasformarla secondo i canoni di un ideale che considera l'arte
esperienza totale, di carattere etico, culturale, capace, come tale, di
trascendere la vita stessa, e tesa a sublimarla. Per il suo manifestarsi
come stile ornamentale basato sul modello univoco della linea, e
malgrado la formula esteriormente (talvolta quasi platealmente)
"figurativa", l'Art Nouveau si configura come la via più diretta, in
verticale, verso l'astrattismo; come tale può essere considerata la
premessa delle future avanguardie, non a caso tutte, in positivo o in
negativo, implicate con il Simbolismo.
L'Art Nouveau nasce come stile ornamentale: non a caso, la prima
denominazione del movimento è Jugendstil, dove è evidente il
gioco ambiguo tra la connotazione di giovane, di nuovo, e il concetto
revivalistico di stile. D'altronde il termine stile resta, come vedremo,
una costante del movimento in quasi tutte le terminologie che denotano
le varianti nazionali.
L'Art Nouveau, si presenta dunque con tutti i caratteri dello stile,
dando peraltro, al concetto quella connotazione che si era definita
nell' ambito dei revival romantici - alla metà dell'Ottocento la nozione
di stile non si riferisce più a concetti strumentali, come al
significato tipologico di genere, quale fu presente nel mondo greco e
romano, o quale improntava la teorizzazione dei tre stili nel "De
Architectura" di Vitruvio, o dei "modi" musicali di Laso da Ermione e di
Damone di Oa. E non si tratta più neppure della concezione duecentesca
del «dolce stil novo», né dell'estetica antiretorica umanistica né del
formalismo stilistico barocco.
Con il Romanticismo il concetto di stile si capovolge e cessa di essere
una definizione retorica. Lo stile è l'uomo; il linguaggio ne è
l'espressione. Già Kant nella "Critica del giudizio" (1790), trasforma
la categoria stilistica del sublime nell'intenzionalità trascendente
dell'artista. Ma sarà Federich Schlegel che volgerà il concetto di stile
(di poesia) in fatto soggettivo.
E non è certo un caso che il concetto di stile abbia giocato un ruolo
fondamentale in senso psicologico negli studi di Worringer e, dal 1905,
nella direzione neoidealista della teorizzazione di Vossler: sono gli
anni nei quali l'Art Nouveau è al massimo della sua esplosione e
irradiazione. "La nozione di stile" scrive Argan raggiunge il massimo
dell'indeterminatezza storica nel movimento inglese dei Preraffaelliti
che è certamente un tipico revival, di cui tuttavia difficilmente si
potrebbe dire che cosa propriamente voglia far rivivere, tant'è remota,
irriconoscibile, puramente simbolica, l'immagine di un medioevo che per
lo stesso Ruskin, che pure era a suo modo uno storico dell'arte, non era
altro che l'epoca di un non meglio qualificato primitivismo.
Tra i precedenti diretti dell'Art Nouveau si pone proprio l'esperienza
dei Preraffaelliti, con tutto il peso spurio di un revivalismo di
maniera. Dunque l'Art Nouveau si manifesta come stile; e questa, forse,
è anche una delle ragioni per cui per quasi mezzo secolo, fino a una
ventina di anni fa, un movimento così diffuso, e certamente il primo di
livello internazionale, è stato del tutto ignorato e relegato come
stile, appunto, nell'ambito dell'ameublement.
L'Art Nouveau in Italia nella sua connotazione liberty (la denominazione
che diverrà di uso corrente) rappresenta un'esperienza di riporto,
ritardataria, che sfocerà e si confonderà con fenomeni di moda Art Déco,
di origine Belle Epoque, con cadenze, pure di riporto, da stereotipi
delle prime avanguardie del Novecento. Ciò non significa che anche
l'Italia non abbia espresso personalità artistiche e, talvolta,
manifestazioni più o meno autonome in luoghi diversi, che poco hanno da
invidiare agli esempi dei protagonisti più vitali dell'Art Nouveau
internazionale. Purtroppo molte realizzazioni architettoniche (per non
parlare di esperienze di cosiddetta arte minore) sono andate perdute,
sia per le guerre (come nei dintorni di Varese dove sono scomparse
intere zone residenziali), sia per l' incuria e il disprezzo da parte di
tutto il periodo che si riconosce, sia pure spesso in una edilizia
squallida, in una falsa ideologia nazionale.
Si è parlato di esperienza di riporto perché in Italia è assolutamente
mancata, sul filo del nazionalismo, sia la necessità del recupero di
fatti decorativi folkloristici - il liberty non si è presentato come
spinta di sollecitazione di valori tradizionali, rappresentati ormai da
una trascrizione accademica e monumentalistica degli stili classici sia
una base culturale capace di recepire l'esigenza, sentita invece dallo
Stato, di crearsi un prestigio come nazione. In Italia le nuove
esperienze figurative, sorrette da implicazioni ideologiche promosse e
recepite solo a livello di ambienti culturali e, di riflesso, dalla
borghesia, non sfiorano la popolazione neppure sul piano del gusto, né
stimolano recuperi di creatività autonoma. Questo tentativo era appena
sfiorato, semmai, dall'eccletismo revivalistico che, in termini troppo
spesso vernacolari, contrapponeva la dignità "comunale", medievale, agli
splendori imperiali di Roma, in nome del nazionalismo risorgimentale
della "nuova" Italia.
La situazione socio-economica e politica italiana era tra le più
difficili d'Europa, sia per il travaglio di dover comporre in unità
nazionale espressioni tradizionalmente diverse, gonfiando la piccola
struttura militare piemontese a contenere uno stato unitario; sia anche
perché l'Italia era ancora tra le nazioni meno sviluppate
industrialmente.
Il patto della Triplice Alleanza del 1882 portava da noi capitali
tedeschi e austriaci, subito investiti in imprese industriali e nella
speculazione edilizia che vedrà la distruzione della compagnia unitaria
del centro storico di Roma, cui contribuivano, in ambigua concordia,
interessi privati, politici e curiali. Si diffondeva allora, quasi di
forza, l'allineamento del gusto con le ultime esperienze delle
Secessioni, in aperto conflitto con la cultura letteraria che si andava
staccando dal realismo, pur mantenendone le istanze sociali, per
un'adesione più sottile Simbolismo europeo.
Molti studi recenti sul liberty italiano hanno messo in luce situazioni
e manifestazioni di grande interesse e di un momento dovunque più
fertile di quanto si sarebbe creduto a causa di una voluta sommersione.