Aldo Brunello

Un artista fuori dalle mode

 

Toni Toniato

 

 

 Condividi su Facebook

 

 

                        

Cercare di ricostruire, sia pure sommariamente, l'operosa vita e la versatile personalità artistica tuttora poco conosciuta di Aldo Brunello, pittore, affreschista, decoratore - attivo soprattutto in un periodo storico contrassegnato da profondi rivolgimenti culturali e sociali - significa tentare relativamente di rivalutare o, meglio, di mettere, con lui, in luce un fenomeno per tanti aspetti persistente nel complesso panorama artistico veneto, così come si è andato allora distintamente configurando durante il corso del secolo ventesimo.
Ma sia il caso, quanto meno umanamente singolare di Aldo Brunello, sia la circostanza di quella poetica pittorica da lui stesso a suo tempo validamente sostenuta, sono rimasti episodi e momenti purtroppo ingiustamente poi emarginati, anzi peggio sono stati frettolosamente liquidati con il giudizio in genere di tardo provincialismo e comunque esclusi persino da quelle necessarie ricognizioni storiografiche che pure dovrebbero svolgere il compito di registrare e di analizzare i risvolti più diversi e meno esplorati di una specifica cultura del territorio e della società che lo forma.
Ma se si considera del resto che ancora non si è riusciti a rivalutare appieno le principali correnti dell'Ottocento italiano, sulle quali probabilmente continua fin troppo a pesare la sbrigativa sentenza emessa da uno studioso dell'autorità di Roberto Longhi nei confronti di un artista dell'importanza di Giovanni Fattori, si potrà capire quanto resti tuttora difficile la prospettiva di poter accreditare in maniera criticamente più completa, vale a dire senza pregiudizi ideologici e meglio storicamente documentata, la posizione degli artisti che alla medesime eredità di quella tradizione si sono richiamati o vi si sono ispirati nel voler portare avanti una concessione fondata su simili genealogie stilistiche o su analoghi presupposti estetici.
L'occasione dell'attuale mostra antologica dedicata ad Aldo Brunello ripropone un fenomeno che non può essere tuttavia eluso e tanto meno taciuto per il timore di dover apparire dei nostalgici o di rimpiangere modi e gusti oggi inevitabilmente superati. Piuttosto in quella situazione della cultura trevigiana, ancora fedele a dizioni figurative risalenti a una tradizione locale - storicamente circoscritta tra le due guerre, sulla cruciale fase di trapasso da un piccolo ma autentico mondo contadino a quello di una accelerata trasformazione industriale - si colloca sostanzialmente per Brunello, la lunga e assai tribolata attività di artista ed insieme di artigiano, impegnato rispettivamente a dare continuità creativa ad una svariata produzione volutamente caratterizzata da un ideale di bellezza naturale per tanti versi ancora incontaminata.
Di tali aspirazioni l'opera di Brunello, sia quella squisitamente pittorica che quella funzionalmente decorativa, mostra con innegabile coerenza quanto egli ne sia stato interprete di particolare sensibilità, sia stato cioè un valido esponente di quel realismo naturalistico, subito riconoscibile d'altronde dai soggetti e dai modi con cui egli ha saputo rappresentare il mondo allora del paesaggio veneto, le scene di vita agreste, i mestieri antichi ancora fattivamente esercitati, la sincera devozione popolare, le terse atmosfere di orizzonti sconfinati delle ubertose campagne e delle dolci colline della Marca, le silenti distese lagunari invase di più rispecchianti luminosità.
Di tutto questo Brunello è stato in ogni caso un cantore genuino, dalla vena - si potrebbe intanto osservare - più pascoliana che decadente, proseguendo durante l'intera carriera a riscoprire inoltre le risorse non ancora esaurite di un linguaggio pittorico ammantato di una serenità interiore, di visioni liriche e insieme di un bisogno ancora di rappresentazione realistica del mondo degli uomini e della natura. Una scelta la sua che inevitabilmente rischiava, anche quando era in vita di sembrare non affatto aggiornata, anzi addirittura retriva, con la conseguenza di apparire al giudizio dei più come una figura fuori del tempo, rivolta a conservare uno sguardo su un passato che andava inesorabilmente scomparendo in un ingiustificato oblio. E del resto un tale resistente atteggiamento, mantenuto sul piano non solo di indirizzo estetico, egli l'ha pagato negli ultimi anni dell'esistenza a prezzo di mancati, benché doverosi, riconoscimenti e di un progressivo disinteresse per la sua opera da parte della critica e persino dello stesso ambiente d'origine che intanto lo aveva in gran parte rimosso dalle stesse vicissitudini culturali di un tempo.
La sua pittura basata su essenziali e coerenti precetti poetici risultava infatti avulsa dal frenetico agone delle novità internazionali arrivate anche a travolgere il clima non solo idilliaco dalla figurazione locale generalmente orientata ormai a ricalcare modelli stilistici di più sicuro successo. Tradizione e modernità erano termini anche qui divenuti ormai inconciliabili, producendo da un lato uno sradicamento di sensi ed immagini poi non più colmato e dall'altro una descrittiva accorata formulazione di intimistiche esperienze e di raccolti sentimenti di fronte all'immutabile maestosa grandezza della natura, nonché rispetto all'importanza del valore da considerare nel suo significato profondamente etico - altro che anacronisticamente bucolico - di una vita semplice, di costumi e lavori umili ma decorosi, di emozioni genuine e largamente sentite.
Come si può rilevare la formazione dell'artista era stata d'altronde quella di un apprendistato tipicamente artigianale con la severa pratica del mestiere coltivata, in età ancora assai precoce, presso lo studio di un famoso decoratore dell'epoca, Giuseppe Moro, dove assimilerà per congeniali disposizioni l'esercizio di diverse tecniche, dall'affresco alla laccatura, dalla stuccatura all'intaglio, quasi tutti mestieri qualificati dall'artigiano, nel senso quindi più completo e nobile della professione. Su questo insegnamento di rigorose competenze manuali che gli avevano intanto consentito di acquisire una invidiabile abilità come raffinato decoratore, alquanto ricercato a suo tempo tanto da permettergli di mantenere in maniera più che dignitosa la propria famiglia, Brunello maturerà una vocazione e una passione per la pittura che soltanto dopo vari anni troverà per lui pieno appagamento, divenendo infatti l'impegno principale nel corso della sua esistenza.
Convinto seguace, in questo campo, della tradizione veneta ottocentesca, Brunello se ne servirà non solo per accrescere il bagaglio di una perizia tecnica altresì collaudata con le svariate produzioni specificamente artigianali o con gli esemplari interventi di restauro pittorico - quantunque poi magistralmente manifestata dalle grandiose decorazioni da lui eseguite in diverse chiese e ville del territorio dove egli riuscirà a rinnovare il gusto per un descrittivismo naturalistico oscillante tra l'aulico e il veristico - ma per arricchire i motivi e gli accenti di una visione pittorica di accattivante sensibilità e di assorta partecipazione poetica.
Radicalmente legato come era alla propria terra, figlio rimasto sempre riconoscente della Marca, egli avvertiva, anche per l'impegno quindi di pittore, di non potersi distaccare dai luoghi d'origine, dalle atmosfere e dai sapori, dai colori e dalle luci che quotidianamente vedeva e respirava, peregrinando per le vie e i viali della città murata, lungo le case e i palazzi che ancora conservano le tracce di medievali pitture murali, tra i ponti e le rive di quel Sile che attraversava ugualmente il suo piccolo borgo natio e che si incanalava poi tortuosamente, quasi a formare delle arterie vitali, nel cuore antico ma gioiosamente pulsante del centro di Treviso.

Necessariamente anche la pittura di Brunello porta con sé dunque qualcosa di "antico", nel senso per l'appunto di totale affidamento da parte sua ai valori di un'identica continuità nella tradizione locale, desiderando di esaltare ancora una volta la bellezza e la vita della nobilissima città rustica, ma altresì di esprimere l'intangibilità morale di una quotidianità non meno consonante, esperita e vissuta in maniera altrettanto semplice e serena, davvero autentica, consapevole così di poter tramandare i medesimi principi di convivenza, di valori ugualmente intramontabili, temendo al contrario tutto ciò che poteva insidiarne il delicato equilibrio, l'armonia di quella misura umana e sociale. Questo bisogno spiega allora le ragioni esistenziali della totale adesione estetica del pittore non solo ad una concezione naturalistica ancora per tanti aspetti edenica primavera - contigua se non affine del resto alle visioni celebrate, pressoché nei medesimi anni, da Giovanni Comisso in maniera peraltro incomparabile - ma allo stesso spirito dei luoghi che avrebbe vissuto e raffigurato, "topoi" per lui ancora di un'immagine di bellezza, di insuperabili occasioni di raccoglimento e di meditazione per l'anima. E se le prove iniziali possono riallacciarsi a determinare forme minori dell'arte in quanto ritenute, sia pure impropriamente, soltanto decorative o, magari piacevole manifestazione di una bravura funzionalmente artigianale - benché ciò non risulti affatto riferibile al caso particolare di Brunello il quale si é subito distinto invece quale affrescatore di notevoli qualità espressive e formali - la produzione cronologicamente più tarda, successiva a quelle composizioni di genere, specie quella che maggiormente lo vedrà in seguito occupato, a partire dagli anni Cinquanta, con la realizzazione di dipinti di piccole misure, verrà definitivamente a dimostrare la vera vocazione del suo animo e delle sue effettive aspirazioni.
Sarà pertanto la pittura a spingerlo a catturare l'immanente respiro di quel misterioso fascino dei luoghi e della natura che egli aveva scrutato sin da ragazzo con sguardo appassionato, paesaggi da lui spesso visitati e dove in seguito porterà il cavalletto e qualche tela, accompagnando di frequente l'amico già allora famoso, il pittore Arturo Malossi. I due artisti infatti raffigureranno aspetti caratteristici del paesaggio trevigiano, spesso visti dal medesimo osservatorio, uguali soggetti inquadrati con analoghe angolazioni prospettiche. E proprio negli anni Cinquanta Brunello abbandonerà del tutto i temi di sapore arcadico, rinunciando con ciò ai vantaggi di una committenza che ancora li richiedeva, arrivando ad escludere dal proprio repertorio figurativo generi e motivi inevitabilmente usurati, soggetti di carattere aulico o comunque manieristico, per affrontare, con diversa intensità percettiva ed espressiva, stupendi scorci di paesaggio e solenni momenti del lavoro sui campi, rappresentando suggestive figurazioni di ambienti, oggi ormai mutati se non addirittura scomparsi.

Brunello da vero artista vi si accostava con pudore e grazia, attratto dalla meraviglia che provava davanti a tanta bellezza, all'inconfondibile magia della natura veneta, alle sue albe e ai suoi tramonti; immagini che solo a contemplarle già si prestavano per lo sguardo a divenire motivo e materia stessa di pittura. E nei piccoli dipinti la pennellata si farà sempre più rapida, breve, quasi gestuale e ogni tocco diventerà, a sua volta, leggero, squisitamente prezioso, mai incline però alla stesura a macchia", poiché all'attimo cangiante dell"'impressio", Brunello giungerà a preferire ancora la campitura tonalmente spartita ed accordata, secondo gli aurei dettami del cromatismo e del luminismo dei maestri veneti, un fraseggio compositivo quindi aereo, effusivo, soffice, ma non meno formalmente strutturale e mediato. A tale proposito si può avanzare semmai una diversa accezione di impressionismo di matrice, in questo caso, non meramente fenomenica e percettiva ma ideale, o meglio sentimentale, nel senso che la stessa pittura di Brunello arriverà a frazionare la compattezza plastica del tono, senza tuttavia dissipare l'unità costruttiva della luce, la sua funzione ordinatrice, proprio per tradurre e riannodare quelle fugaci sensazioni visive alla condizione interiore di uno stato d'animo. E di conseguenza la sua pittura in "plein air" esulerà alla fine di ogni effetto scenografico come da ogni labile fremito ottico, ma si decanterà viceversa tramite elaborate vibrazioni coloristiche e luministiche suscitate talora da un morbido indugio descrittivo e, talaltra, da un assorto malinconico lirismo.
Brunello di carattere schivo, appartato per indole e discrezione, si era dunque trovato a vivere la tormentata situazione di artista isolato, persuaso peraltro delle ragioni morali ed estetiche di simile scelta, sapendo cioé di dover sostenere, con indomita coerenza, una produzione evidentemente controcorrente, per continuare così a propugnare un credo stilistico che con lui si era tuttavia riacceso nell'ambiente locale con il fatto di essere stato per anni non solo seguace ma attivo collaboratore di fiducia di un artista autorevole come Beppe Ciardi, anzi perfezionandosi in effetti alla sua scuola, una scuola che avrebbe dimostrato di poter validamente sviluppare una singolare versione del lessico, tutt'altro che vernacola, della tradizione figurativa veneta tra `800 e `900. L'iniziale pathos romantico degli esordi artistici di Brunello risulterà in queste formulazioni di segno diverso, evidentemente più mature, di volersi identificare con uno struggente lirismo, affidato a una pittura di succosa e vibrante energia cromatica, a pulsioni figurative quasi visionarie. Egli rinuncerà magari a perseguire il gusto per sensazioni immediate o per evocazioni elegiache, mirando soprattutto a distillare, con minuziosa cura dei particolari, luci, colori d'ambiente, immagini di pensosa inquietudine, rappresentando cose ed aspetti che richiamano un mondo oggi certamente lontano, con l'intento di evocarlo o, meglio, di rievocare modi e figure di un'esperienza di questa realtà, vissuta con un'integrità di sguardo e di spirito ormai perduta.
Brunello ha tentato disperatamente di riproporre un tale sentire, di ritrovare la possibilità di esprimere le emozioni più intime dietro le forme per lui intramontabili di una figuratività naturalistica e senza spegnere altresì la nostalgia di poter far rivivere talune pronunce della tradizione con la quale si era di continuo alimentato e confrontato. Non ha avuto riserve in questo impegno estremo, mai cedendo comunque a sconsolati rimpianti o a sterili memorie, persuaso senza farsi altre illusioni che questo fosse comunque il compito principale per restare coerente con gli ideali originari. Da questo punto di vista il suo sarà in ogni caso un approccio mai programmatico e nemmeno sistematico, bensì spontaneo, istintivo, diretto, che si rivelerà, con più convincenti risultanze espressive, nelle composizioni di paesaggio e nei forti ritratti di popolani, colti talvolta addirittura in pose allegre o grottesche, un approccio sulla realtà che per lui non avrebbe potuto avere altra meditazione se non quella di un filtro di affettuosa e sincera partecipazione a quanto attorno lo circondava nelle relative e talvolta dolorose esperienze di vita.
Riassumendo si può dire infine che la pittura di Brunello si sia mossa essenzialmente su due versanti, una di impronta realistica, assai affine a certi modi tardi dell'amico Apollonio, anche se resterà invece distante dalle risoluzioni auliche e dai temi storici di questi, e l'altra riferibile invece a quella singolare declinazione di impressionismo, mutuata da Beppe Ciardi, per l'appunto in chiave di naturalismo puramente atmosferico e luminoso.

Ma ciononostante lo stesso Brunello riuscirà negli ultimi anni ad affrancarsi dalla lezione di Ciardi cercando di introdurre un concetto di pienezza tonale, di colore insieme plastico e atmosferico, attraverso un ductus pittorico in questo verso assai più saldo e compatto, scartando così ogni suggestione di capziosa impressività fenomenica per rivalutare, all'opposto, la continuità stessa delle stesure in una trama descrittiva meglio ordinata ma non meno conferente agli stimoli del vero, sorretta quindi da un principio costruttivo, idealmente postulato, ma poi esperito da un sentimento necessariamente ricreativo della forma percepita. La stessa scelta di dipinti di piccolo formato, cagionata dalla progressiva infermità di cui andava ormai soffrendo il pittore, doveva però consentirgli di sperimentare in modo efficace il processo intanto di questa svolta stilistica e con ciò sintetizzando perfettamente il senso di una concezione pittorica destinata ormai a raffigurare, con acuminata riflessione, le morbide e variegate apparenze della natura, investigata con un'ottica soltanto inferiore, mentale, sullo spunto appena di qualche dato di riscontro oggettivo o di rigenerante memoria. Le tipiche vedute, le succose nature morte, i deliziosi paesaggi fluviali e lagunari, i ritratti di robusta tempra, scorrono vicendevolmente lungo il registro iconografico e tematico di questa pittura alquanto insolita per quel momento storico, anzi contrastante rispetto ai codici figurativi allora in voga, ma non per questo secondaria o marginale, forse troppo delicata e sommersa, ma non meno sentita e autentica.
Considerato, infine, come tenace esecutore di un linguaggio pittorico di tardo naturalismo, avulso come egli è stato dalle contese ideologiche e dalle mode estetiche che hanno segnato irriducibilmente l'evoluzione dell'arte del secolo scorso, Brunello in realtà contava innanzitutto di procedere per la strada che fin dagli inizi della sua vocazione aveva intrapreso, di non essere per forza originale e nemmeno omologato in uno schieramento di qualche montante tendenza artistica, ma sinceramente spontaneo, senza fingere impaludamenti intellettualistici o sofisticate pretese rivoluzionarie. E questo percorso, certamente non facile e tanto meno redditizio, egli l'ha seguito, specialmente negli ultimi anni, con una probità di modi e di accenti espressivi davvero ammirevole. Occorre del resto comprendere simile comportamento riprendendo le stesse parole dell'artista in uno scritto quanto mai significativo ad introduzione di una sua rara mostra personale: "La pittura, è dentro di me, è una mia necessità, un modo di essere che è quasi uno stato di grazia."
A questa esigenza Brunello si è di continuo attenuto, sebbene molti aspetti della realtà che viveva, come di quell'idea della pittura che egli si illudeva di poter conservare anche in un mondo totalmente cambiato, non potevano reggere all'irruenza di trasformazioni sempre più radicalmente avveniristiche. Tuttavia la storia artistica di Brunello non è fatta soltanto di affreschi che hanno illustrato, in maniera anche sontuosa, numerose scene sacre o superstiti vicende di un suo "piccolo mondo antico", ma di piccoli affascinanti dipinti, quali quelli del suo ultimo periodo, pervasi di una grazia squisita, di una sensibilità ineludibile. Vi si riconosce infatti un senso di poesia non urlata ma raccolta, intimamente riflessa, lungamente meditata. Vi si ravvisa il desiderio, in lui, di non rinunciare a certe raffinatissime distillazioni della materia cromatica, ai rabbrividenti sommovimenti della luce, alle scansioni tonali e alle forme di un figurare che portava con sé gli splendori di cieli e di acque ancora limpide e trasparenti.
Vi si trova la rappresentazione dei lavori in campagna scanditi sul ritmo alterno delle stagioni, le figure e la vita di gente popolare, ritratta un clima di letizia giacché animata di una allegria dello spirito in gran parte ormai sconosciuta. Una pittura forse ingenua, ma non naif, in presa anzitutto diretta con la realtà che lo circondava e che egli voleva raffigurare, permeata in ogni momento di una sincerità disarmante, per cui lo stesso ricorso a stilemi talvolta logorati, forse la proposta persino di un certo naturalismo di maniera, poteva qui echeggiare di rinnovati incanti luminosi, di ulteriori imprevedibili risonanze poetiche.
Le pitture degli ultimi anni saranno eseguite nella sofferenza di invalidanti malattie che lo avevano gravemente colpito. Una forma di avvelenamento, dovuta ai rischi del proprio lavoro per il quale utilizzava, purtroppo senza protezione, acidi e materiali pericolosi, gli andava procurando dolorose ustioni alle mani e al volto, mentre progrediva la sclerosi ottica che l'avrebbe presto condannato a una cecità senza rimedio. Ciononostante egli continuerà a dipingere, inseguendo drammatiche visioni che si andavano scatenando nella mente, portandolo a rappresentare tramonti infuocati, orizzonti di cielo folgorati da una incandescenza vorticosa di colori, immagini che riusciranno a trasmettere lo strazio fisico che lo consumava e di riflesso esprimevano il tormentato disfacimento di una natura circostante che avvertiva prossima ad una non più figuratile catastrofe. Quei quadri ne coglievano forse involontariamente i presagi, scardinando l'architettura di una rappresentazione visibile, affondando in un magma informe di convulse stratificazioni cromatiche. Allora nei dipinti si dissolve anche l'esile residualità elegiaca, svanisce lo stesso garante riferimento naturalistico, ogni relativa sintassi compositiva: la pittura ormai si confronta con se stessa, con una gestualità primordiale, è un incendio di colori, materia incontenibile, da non poter più domare, "furor" di una vitalità comunque risalente da origini misteriose. L'immagine pittorica veicola questa estrema pulsione, giungendo a rompere i legamenti dei costrutti spaziali e prospettici, degli elementi formali che erano per di più ancorati a una esigenza di rappresentazione mimetica o fantastica della realtà, sia pure di una realtà intima e lontana, gravata di evocati aneliti per un'epoca che si era definitivamente conclusa. Di questa fase sono probabilmente gli esiti più alti che la delicata vena creativa di Aldo Brunello ha lasciato a testimonianza di una passione vera, vissuta quasi religiosamente con assoluto rigore etico e, nello stesso tempo, con una liricità insieme malinconica e suadente, con la dolcezza poetica che egli voleva donare con le opere, volgendosi per consonante aspirazione agli stessi ideali artistici del passato, a quei valori essenziali che pure, ieri come oggi, ne sono il sigillo necessario e giustamente riconoscibile.

 

 

Toni Toniato

 

 

Aldo Brunello - Civico Museo Casa da Noal - Casa da Robegan. Treviso 15 marzo - 27 aprile 2008/2011

 

 

 

Testi per gentile concessione di  Enrico Brunello (figlio dell'artista).