Aldo Brunello
Un artista fuori
dalle mode
Toni Toniato
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Cercare di
ricostruire, sia pure sommariamente, l'operosa vita e la versatile
personalità artistica tuttora poco conosciuta di Aldo Brunello, pittore,
affreschista, decoratore - attivo soprattutto in un periodo storico
contrassegnato da profondi rivolgimenti culturali e sociali - significa
tentare relativamente di rivalutare o, meglio, di mettere, con lui, in
luce un fenomeno per tanti aspetti persistente nel complesso panorama
artistico veneto, così come si è andato allora distintamente
configurando durante il corso del secolo ventesimo.
Ma sia il caso, quanto meno umanamente singolare di Aldo Brunello, sia
la circostanza di quella poetica pittorica da lui stesso a suo tempo
validamente sostenuta, sono rimasti episodi e momenti purtroppo
ingiustamente poi emarginati, anzi peggio sono stati frettolosamente
liquidati con il giudizio in genere di tardo provincialismo e comunque
esclusi persino da quelle necessarie ricognizioni storiografiche che
pure dovrebbero svolgere il compito di registrare e di analizzare i
risvolti più diversi e meno esplorati di una specifica cultura del
territorio e della società che lo forma.
Ma se si considera del resto che ancora non si è riusciti a rivalutare
appieno le principali correnti dell'Ottocento italiano, sulle quali
probabilmente continua fin troppo a pesare la sbrigativa sentenza emessa
da uno studioso dell'autorità di Roberto Longhi nei confronti di un
artista dell'importanza di Giovanni Fattori, si potrà capire quanto
resti tuttora difficile la prospettiva di poter accreditare in maniera
criticamente più completa, vale a dire senza pregiudizi ideologici e
meglio storicamente documentata, la posizione degli artisti che alla
medesime eredità di quella tradizione si sono richiamati o vi si sono
ispirati nel voler portare avanti una concessione fondata su simili
genealogie stilistiche o su analoghi presupposti estetici.
L'occasione dell'attuale mostra antologica dedicata ad Aldo Brunello
ripropone un fenomeno che non può essere tuttavia eluso e tanto meno
taciuto per il timore di dover apparire dei nostalgici o di rimpiangere
modi e gusti oggi inevitabilmente superati. Piuttosto in quella
situazione della cultura trevigiana, ancora fedele a dizioni figurative
risalenti a una tradizione locale - storicamente circoscritta tra le due
guerre, sulla cruciale fase di trapasso da un piccolo ma autentico mondo
contadino a quello di una accelerata trasformazione industriale - si
colloca sostanzialmente per Brunello, la lunga e assai tribolata
attività di artista ed insieme di artigiano, impegnato rispettivamente a
dare continuità creativa ad una svariata produzione volutamente
caratterizzata da un ideale di bellezza naturale per tanti versi ancora
incontaminata.
Di tali aspirazioni l'opera di Brunello, sia quella squisitamente
pittorica che quella funzionalmente decorativa, mostra con innegabile
coerenza quanto egli ne sia stato interprete di particolare sensibilità,
sia stato cioè un valido esponente di quel realismo naturalistico,
subito riconoscibile d'altronde dai soggetti e dai modi con cui egli ha
saputo rappresentare il mondo allora del paesaggio veneto, le scene di
vita agreste, i mestieri antichi ancora fattivamente esercitati, la
sincera devozione popolare, le terse atmosfere di orizzonti sconfinati
delle ubertose campagne e delle dolci colline della Marca, le silenti
distese lagunari invase di più rispecchianti luminosità.
Di tutto questo Brunello è stato in ogni caso un cantore genuino, dalla
vena - si potrebbe intanto osservare - più pascoliana che decadente,
proseguendo durante l'intera carriera a riscoprire inoltre le risorse
non ancora esaurite di un linguaggio pittorico ammantato di una serenità
interiore, di visioni liriche e insieme di un bisogno ancora di
rappresentazione realistica del mondo degli uomini e della natura. Una
scelta la sua che inevitabilmente rischiava, anche quando era in vita di
sembrare non affatto aggiornata, anzi addirittura retriva, con la
conseguenza di apparire al giudizio dei più come una figura fuori del
tempo, rivolta a conservare uno sguardo su un passato che andava
inesorabilmente scomparendo in un ingiustificato oblio. E del resto un
tale resistente atteggiamento, mantenuto sul piano non solo di indirizzo
estetico, egli l'ha pagato negli ultimi anni dell'esistenza a prezzo di
mancati, benché doverosi, riconoscimenti e di un progressivo
disinteresse per la sua opera da parte della critica e persino dello
stesso ambiente d'origine che intanto lo aveva in gran parte rimosso
dalle stesse vicissitudini culturali di un tempo.
La sua pittura basata su essenziali e coerenti precetti poetici
risultava infatti avulsa dal frenetico agone delle novità internazionali
arrivate anche a travolgere il clima non solo idilliaco dalla
figurazione locale generalmente orientata ormai a ricalcare modelli
stilistici di più sicuro successo. Tradizione e modernità erano termini
anche qui divenuti ormai inconciliabili, producendo da un lato uno
sradicamento di sensi ed immagini poi non più colmato e dall'altro una
descrittiva accorata formulazione di intimistiche esperienze e di
raccolti sentimenti di fronte all'immutabile maestosa grandezza della
natura, nonché rispetto all'importanza del valore da considerare nel suo
significato profondamente etico - altro che anacronisticamente bucolico
- di una vita semplice, di costumi e lavori umili ma decorosi, di
emozioni genuine e largamente sentite.
Come si può rilevare la formazione dell'artista era stata d'altronde
quella di un apprendistato tipicamente artigianale con la severa pratica
del mestiere coltivata, in età ancora assai precoce, presso lo studio di
un famoso decoratore dell'epoca, Giuseppe Moro, dove assimilerà per
congeniali disposizioni l'esercizio di diverse tecniche, dall'affresco
alla laccatura, dalla stuccatura all'intaglio, quasi tutti mestieri
qualificati dall'artigiano, nel senso quindi più completo e nobile della
professione. Su questo insegnamento di rigorose competenze manuali che
gli avevano intanto consentito di acquisire una invidiabile abilità come
raffinato decoratore, alquanto ricercato a suo tempo tanto da
permettergli di mantenere in maniera più che dignitosa la propria
famiglia, Brunello maturerà una vocazione e una passione per la pittura
che soltanto dopo vari anni troverà per lui pieno appagamento, divenendo
infatti l'impegno principale nel corso della sua esistenza.
Convinto seguace, in questo campo, della tradizione veneta ottocentesca,
Brunello se ne servirà non solo per accrescere il bagaglio di una
perizia tecnica altresì collaudata con le svariate produzioni
specificamente artigianali o con gli esemplari interventi di restauro
pittorico - quantunque poi magistralmente manifestata dalle grandiose
decorazioni da lui eseguite in diverse chiese e ville del territorio
dove egli riuscirà a rinnovare il gusto per un descrittivismo
naturalistico oscillante tra l'aulico e il veristico - ma per arricchire
i motivi e gli accenti di una visione pittorica di accattivante
sensibilità e di assorta partecipazione poetica.
Radicalmente legato come era alla propria terra, figlio rimasto sempre
riconoscente della Marca, egli avvertiva, anche per l'impegno quindi di
pittore, di non potersi distaccare dai luoghi d'origine, dalle atmosfere
e dai sapori, dai colori e dalle luci che quotidianamente vedeva e
respirava, peregrinando per le vie e i viali della città murata, lungo
le case e i palazzi che ancora conservano le tracce di medievali pitture
murali, tra i ponti e le rive di quel Sile che attraversava ugualmente
il suo piccolo borgo natio e che si incanalava poi tortuosamente, quasi
a formare delle arterie vitali, nel cuore antico ma gioiosamente
pulsante del centro di Treviso.
Necessariamente anche
la pittura di Brunello porta con sé dunque qualcosa di "antico", nel
senso per l'appunto di totale affidamento da parte sua ai valori di
un'identica continuità nella tradizione locale, desiderando di esaltare
ancora una volta la bellezza e la vita della nobilissima città rustica,
ma altresì di esprimere l'intangibilità morale di una quotidianità non
meno consonante, esperita e vissuta in maniera altrettanto semplice e
serena, davvero autentica, consapevole così di poter tramandare i
medesimi principi di convivenza, di valori ugualmente intramontabili,
temendo al contrario tutto ciò che poteva insidiarne il delicato
equilibrio, l'armonia di quella misura umana e sociale. Questo bisogno
spiega allora le ragioni esistenziali della totale adesione estetica del
pittore non solo ad una concezione naturalistica ancora per tanti
aspetti edenica primavera - contigua se non affine del resto alle
visioni celebrate, pressoché nei medesimi anni, da Giovanni Comisso in
maniera peraltro incomparabile - ma allo stesso spirito dei luoghi che
avrebbe vissuto e raffigurato, "topoi" per lui ancora di un'immagine di
bellezza, di insuperabili occasioni di raccoglimento e di meditazione
per l'anima. E se le prove iniziali possono riallacciarsi a determinare
forme minori dell'arte in quanto ritenute, sia pure impropriamente,
soltanto decorative o, magari piacevole manifestazione di una bravura
funzionalmente artigianale - benché ciò non risulti affatto riferibile
al caso particolare di Brunello il quale si é subito distinto invece
quale affrescatore di notevoli qualità espressive e formali - la
produzione cronologicamente più tarda, successiva a quelle composizioni
di genere, specie quella che maggiormente lo vedrà in seguito occupato,
a partire dagli anni Cinquanta, con la realizzazione di dipinti di
piccole misure, verrà definitivamente a dimostrare la vera vocazione del
suo animo e delle sue effettive aspirazioni.
Sarà pertanto la pittura a spingerlo a catturare l'immanente respiro di
quel misterioso fascino dei luoghi e della natura che egli aveva
scrutato sin da ragazzo con sguardo appassionato, paesaggi da lui spesso
visitati e dove in seguito porterà il cavalletto e qualche tela,
accompagnando di frequente l'amico già allora famoso, il pittore Arturo
Malossi. I due artisti infatti raffigureranno aspetti caratteristici del
paesaggio trevigiano, spesso visti dal medesimo osservatorio, uguali
soggetti inquadrati con analoghe angolazioni prospettiche. E proprio
negli anni Cinquanta Brunello abbandonerà del tutto i temi di sapore
arcadico, rinunciando con ciò ai vantaggi di una committenza che ancora
li richiedeva, arrivando ad escludere dal proprio repertorio figurativo
generi e motivi inevitabilmente usurati, soggetti di carattere aulico o
comunque manieristico, per affrontare, con diversa intensità percettiva
ed espressiva, stupendi scorci di paesaggio e solenni momenti del lavoro
sui campi, rappresentando suggestive figurazioni di ambienti, oggi ormai
mutati se non addirittura scomparsi.
Brunello da vero
artista vi si accostava con pudore e grazia, attratto dalla meraviglia
che provava davanti a tanta bellezza, all'inconfondibile magia della
natura veneta, alle sue albe e ai suoi tramonti; immagini che solo a
contemplarle già si prestavano per lo sguardo a divenire motivo e
materia stessa di pittura. E nei piccoli dipinti la pennellata si farà
sempre più rapida, breve, quasi gestuale e ogni tocco diventerà, a sua
volta, leggero, squisitamente prezioso, mai incline però alla stesura a
macchia", poiché all'attimo cangiante dell"'impressio", Brunello
giungerà a preferire ancora la campitura tonalmente spartita ed
accordata, secondo gli aurei dettami del cromatismo e del luminismo dei
maestri veneti, un fraseggio compositivo quindi aereo, effusivo,
soffice, ma non meno formalmente strutturale e mediato. A tale proposito
si può avanzare semmai una diversa accezione di impressionismo di
matrice, in questo caso, non meramente fenomenica e percettiva ma
ideale, o meglio sentimentale, nel senso che la stessa pittura di
Brunello arriverà a frazionare la compattezza plastica del tono, senza
tuttavia dissipare l'unità costruttiva della luce, la sua funzione
ordinatrice, proprio per tradurre e riannodare quelle fugaci sensazioni
visive alla condizione interiore di uno stato d'animo. E di conseguenza
la sua pittura in "plein air" esulerà alla fine di ogni effetto
scenografico come da ogni labile fremito ottico, ma si decanterà
viceversa tramite elaborate vibrazioni coloristiche e luministiche
suscitate talora da un morbido indugio descrittivo e, talaltra, da un
assorto malinconico lirismo.
Brunello di carattere schivo, appartato per indole e discrezione, si era
dunque trovato a vivere la tormentata situazione di artista isolato,
persuaso peraltro delle ragioni morali ed estetiche di simile scelta,
sapendo cioé di dover sostenere, con indomita coerenza, una produzione
evidentemente controcorrente, per continuare così a propugnare un credo
stilistico che con lui si era tuttavia riacceso nell'ambiente locale con
il fatto di essere stato per anni non solo seguace ma attivo
collaboratore di fiducia di un artista autorevole come Beppe Ciardi,
anzi perfezionandosi in effetti alla sua scuola, una scuola che avrebbe
dimostrato di poter validamente sviluppare una singolare versione del
lessico, tutt'altro che vernacola, della tradizione figurativa veneta
tra `800 e `900. L'iniziale pathos romantico degli esordi
artistici di Brunello risulterà in queste formulazioni di segno diverso,
evidentemente più mature, di volersi identificare con uno struggente
lirismo, affidato a una pittura di succosa e vibrante energia cromatica,
a pulsioni figurative quasi visionarie. Egli rinuncerà magari a
perseguire il gusto per sensazioni immediate o per evocazioni elegiache,
mirando soprattutto a distillare, con minuziosa cura dei particolari,
luci, colori d'ambiente, immagini di pensosa inquietudine,
rappresentando cose ed aspetti che richiamano un mondo oggi certamente
lontano, con l'intento di evocarlo o, meglio, di rievocare modi e figure
di un'esperienza di questa realtà, vissuta con un'integrità di sguardo e
di spirito ormai perduta.
Brunello ha tentato disperatamente di riproporre un tale sentire, di
ritrovare la possibilità di esprimere le emozioni più intime dietro le
forme per lui intramontabili di una figuratività naturalistica e senza
spegnere altresì la nostalgia di poter far rivivere talune pronunce
della tradizione con la quale si era di continuo alimentato e
confrontato. Non ha avuto riserve in questo impegno estremo, mai cedendo
comunque a sconsolati rimpianti o a sterili memorie, persuaso senza
farsi altre illusioni che questo fosse comunque il compito principale
per restare coerente con gli ideali originari. Da questo punto di vista
il suo sarà in ogni caso un approccio mai programmatico e nemmeno
sistematico, bensì spontaneo, istintivo, diretto, che si rivelerà, con
più convincenti risultanze espressive, nelle composizioni di paesaggio e
nei forti ritratti di popolani, colti talvolta addirittura in pose
allegre o grottesche, un approccio sulla realtà che per lui non avrebbe
potuto avere altra meditazione se non quella di un filtro di affettuosa
e sincera partecipazione a quanto attorno lo circondava nelle relative e
talvolta dolorose esperienze di vita.
Riassumendo si può dire infine che la pittura di Brunello si sia mossa
essenzialmente su due versanti, una di impronta realistica, assai affine
a certi modi tardi dell'amico Apollonio, anche se resterà invece
distante dalle risoluzioni auliche e dai temi storici di questi, e
l'altra riferibile invece a quella singolare declinazione di
impressionismo, mutuata da Beppe Ciardi, per l'appunto in chiave di
naturalismo puramente atmosferico e luminoso.
Ma ciononostante lo
stesso Brunello riuscirà negli ultimi anni ad affrancarsi dalla lezione
di Ciardi cercando di introdurre un concetto di pienezza tonale, di
colore insieme plastico e atmosferico, attraverso un ductus
pittorico in questo verso assai più saldo e compatto, scartando così
ogni suggestione di capziosa impressività fenomenica per rivalutare,
all'opposto, la continuità stessa delle stesure in una trama descrittiva
meglio ordinata ma non meno conferente agli stimoli del vero, sorretta
quindi da un principio costruttivo, idealmente postulato, ma poi
esperito da un sentimento necessariamente ricreativo della forma
percepita. La stessa scelta di dipinti di piccolo formato, cagionata
dalla progressiva infermità di cui andava ormai soffrendo il pittore,
doveva però consentirgli di sperimentare in modo efficace il processo
intanto di questa svolta stilistica e con ciò sintetizzando
perfettamente il senso di una concezione pittorica destinata ormai a
raffigurare, con acuminata riflessione, le morbide e variegate apparenze
della natura, investigata con un'ottica soltanto inferiore, mentale,
sullo spunto appena di qualche dato di riscontro oggettivo o di
rigenerante memoria. Le tipiche vedute, le succose nature morte, i
deliziosi paesaggi fluviali e lagunari, i ritratti di robusta tempra,
scorrono vicendevolmente lungo il registro iconografico e tematico di
questa pittura alquanto insolita per quel momento storico, anzi
contrastante rispetto ai codici figurativi allora in voga, ma non per
questo secondaria o marginale, forse troppo delicata e sommersa, ma non
meno sentita e autentica.
Considerato, infine, come tenace esecutore di un linguaggio pittorico di
tardo naturalismo, avulso come egli è stato dalle contese ideologiche e
dalle mode estetiche che hanno segnato irriducibilmente l'evoluzione
dell'arte del secolo scorso, Brunello in realtà contava innanzitutto di
procedere per la strada che fin dagli inizi della sua vocazione aveva
intrapreso, di non essere per forza originale e nemmeno omologato in uno
schieramento di qualche montante tendenza artistica, ma sinceramente
spontaneo, senza fingere impaludamenti intellettualistici o sofisticate
pretese rivoluzionarie. E questo percorso, certamente non facile e tanto
meno redditizio, egli l'ha seguito, specialmente negli ultimi anni, con
una probità di modi e di accenti espressivi davvero ammirevole. Occorre
del resto comprendere simile comportamento riprendendo le stesse parole
dell'artista in uno scritto quanto mai significativo ad introduzione di
una sua rara mostra personale: "La pittura, è dentro di me, è una mia
necessità, un modo di essere che è quasi uno stato di grazia."
A questa esigenza Brunello si è di continuo attenuto, sebbene molti
aspetti della realtà che viveva, come di quell'idea della pittura che
egli si illudeva di poter conservare anche in un mondo totalmente
cambiato, non potevano reggere all'irruenza di trasformazioni sempre più
radicalmente avveniristiche. Tuttavia la storia artistica di Brunello
non è fatta soltanto di affreschi che hanno illustrato, in maniera anche
sontuosa, numerose scene sacre o superstiti vicende di un suo "piccolo
mondo antico", ma di piccoli affascinanti dipinti, quali quelli del suo
ultimo periodo, pervasi di una grazia squisita, di una sensibilità
ineludibile. Vi si riconosce infatti un senso di poesia non urlata ma
raccolta, intimamente riflessa, lungamente meditata. Vi si ravvisa il
desiderio, in lui, di non rinunciare a certe raffinatissime
distillazioni della materia cromatica, ai rabbrividenti sommovimenti
della luce, alle scansioni tonali e alle forme di un figurare che
portava con sé gli splendori di cieli e di acque ancora limpide e
trasparenti.
Vi si trova la rappresentazione dei lavori in campagna scanditi sul
ritmo alterno delle stagioni, le figure e la vita di gente popolare,
ritratta un clima di letizia giacché animata di una allegria dello
spirito in gran parte ormai sconosciuta. Una pittura forse ingenua, ma
non naif, in presa anzitutto diretta con la realtà che lo circondava e
che egli voleva raffigurare, permeata in ogni momento di una sincerità
disarmante, per cui lo stesso ricorso a stilemi talvolta logorati, forse
la proposta persino di un certo naturalismo di maniera, poteva qui
echeggiare di rinnovati incanti luminosi, di ulteriori imprevedibili
risonanze poetiche.
Le pitture degli ultimi anni saranno eseguite nella sofferenza di
invalidanti malattie che lo avevano gravemente colpito. Una forma di
avvelenamento, dovuta ai rischi del proprio lavoro per il quale
utilizzava, purtroppo senza protezione, acidi e materiali pericolosi,
gli andava procurando dolorose ustioni alle mani e al volto, mentre
progrediva la sclerosi ottica che l'avrebbe presto condannato a una
cecità senza rimedio. Ciononostante egli continuerà a dipingere,
inseguendo drammatiche visioni che si andavano scatenando nella mente,
portandolo a rappresentare tramonti infuocati, orizzonti di cielo
folgorati da una incandescenza vorticosa di colori, immagini che
riusciranno a trasmettere lo strazio fisico che lo consumava e di
riflesso esprimevano il tormentato disfacimento di una natura
circostante che avvertiva prossima ad una non più figuratile catastrofe.
Quei quadri ne coglievano forse involontariamente i presagi, scardinando
l'architettura di una rappresentazione visibile, affondando in un magma
informe di convulse stratificazioni cromatiche. Allora nei dipinti si
dissolve anche l'esile residualità elegiaca, svanisce lo stesso garante
riferimento naturalistico, ogni relativa sintassi compositiva: la
pittura ormai si confronta con se stessa, con una gestualità
primordiale, è un incendio di colori, materia incontenibile, da non
poter più domare, "furor" di una vitalità comunque risalente da origini
misteriose. L'immagine pittorica veicola questa estrema pulsione,
giungendo a rompere i legamenti dei costrutti spaziali e prospettici,
degli elementi formali che erano per di più ancorati a una esigenza di
rappresentazione mimetica o fantastica della realtà, sia pure di una
realtà intima e lontana, gravata di evocati aneliti per un'epoca che si
era definitivamente conclusa. Di questa fase sono probabilmente gli
esiti più alti che la delicata vena creativa di Aldo Brunello ha
lasciato a testimonianza di una passione vera, vissuta quasi
religiosamente con assoluto rigore etico e, nello stesso tempo, con una
liricità insieme malinconica e suadente, con la dolcezza poetica che
egli voleva donare con le opere, volgendosi per consonante aspirazione
agli stessi ideali artistici del passato, a quei valori essenziali che
pure, ieri come oggi, ne sono il sigillo necessario e giustamente
riconoscibile.
Toni Toniato
Aldo Brunello - Civico Museo Casa da Noal - Casa da Robegan. Treviso 15
marzo - 27 aprile 2008/2011
Testi per gentile
concessione di Enrico Brunello (figlio dell'artista).