Alcune considerazioni sul mercato antiquario

 

Michele Catania

 

 

 

 

Alberto Burri - Sacco, (composizione) 1953 sacco, tela e pietra pomice su tela,  cm. 44 x 36. Mart, Collezione privata,  Rovereto 

 

Tralasciando il piacere di chi si trastulla nei mercatini dell’usato, spesso sognando il grande affare, investire e speculare in arte necessita basi affidabili ed approfondite, fondate su analisi specifiche ed informazioni certe. Il mondo delle gallerie antiquarie, delle mostre mercato e delle aste, è molto affascinante, ma può risultare arduo comprenderne i meccanismi, anche dopo anni di frequentazione.
Inoltre, il successo commerciale di un oggetto d’arte o di un dipinto, è determinato da molteplici fattori: lo stato di conservazione, la tecnica ed il formato, la piacevolezza del soggetto e le mode transitorie. Un giudizio globale sulle tendenze del gusto e della moda, in ciclico avvicendamento, è inoltre possibile solo retrospettivamente. Un mercato quindi fisiologicamente incontrollabile a causa della natura stessa del bene scambiato, la cui scarsità e unicità lo rende di complessa classificazione; il valore di un’opera d’arte è inoltre costituito da molti elementi variabili e suscettibili anche di interpretazioni soggettive, che spesso hanno poco a che vedere con l’importanza storica o con la qualità artistica dell’opera. In questo settore, lo studio sistematico dei cataloghi d’asta, pur rappresentando solo il parziale di un mercato antiquario ben più esteso, è una delle guide migliori per orientarsi tra le varie tendenze. Internet, in costante sviluppo, ha rivoluzionato grandemente anche questo ambiente; chiunque può abbonarsi ad Artprice, azienda leader del settore, dove poter consultare online, con ricerca per autore, i risultati d’asta di tutto il mondo, anche corredati da relative immagini.

Per meglio comprendere l’andamento del mercato dell’Arte, si rende necessaria un’analisi storica.
Fino agli anni Quaranta l’interesse del mercato dell’arte era costituito prevalentemente dalle opere di arte antica, mentre dopo la seconda guerra mondiale, con la progressiva ripresa economica e il desiderio di novità, l’arte Impressionista e Moderna iniziò il suo decollo. Nella seconda metà degli anni Cinquanta l’attenzione per pittori moderni divenne sempre maggiore; negli anni Sessanta la pittura Contemporanea si impose nelle vendite all’asta con prezzi che raggiunsero quelli degli Impressionisti, costituendo uno dei settori più attivi del mercato dell’arte, continuando fino agli anni Ottanta. Alla fine degli anni Cinquanta, solo la Brerarte organizzava a Milano e a Roma aste di Arte Moderna e Contemporanea. Nel 1960, la Borsa aveva smesso di dare soddisfazioni ai suoi speculatori e molti si erano rivolti al mercato dell’arte come forma di investimento; i quadri presero il posto dei titoli azionari. La "Finarte" fondata da Casimiro Porro iniziò la sua attività nel novembre del 1961 con un’asta di Arte Moderna e Contemporanea ricca di circa 160 dipinti dei maggiori artisti italiani, ai quali vennero affiancate opere di Cézanne, Picasso, Braque, Modigliani, Utrillo; ma l’esito fu incerto.
Nel novembre del 1962 venne organizzata una seconda asta in collaborazione con la Ketterer Auktionshaus: quasi 300 opere che comprendevano dipinti di Kandinsky, Klee, Feininger, Villon.
De Chirico si vendeva da 1 a 10 milioni, a seconda del periodo e del formato, i paesaggi di Carrà intorno al milione, Campigli quotava da 1 a 2 milioni, Casorati 1 milione, De Pisis intorno al milione per le tele recenti, fino a 3 per le opere dipinte prima del 1940, Sironi (scomparso nel 1961) raggiungeva i 5 milioni e Fontana che aveva un contratto di esclusiva con McRoberts & Tunnard, da 1 a 3 milioni. Ma alla fine del primo semestre del 1963 si avvertirono i primi sintomi della crisi, con un’inversione di tendenza. Dagli anni Cinquanta alla crisi del 1963 il mercato dell’arte Moderna in Italia aveva vissuto una stagione di crescita e di apertura internazionale dove i prezzi delle opere salirono notevolmente. Molti collezionisti impararono presto a considerare ipropri quadri come un capitale da gestire, divenendo così speculatori. Il gioco di Borsa venne sostituito dal mercato dell’arte, l’acquisto e la vendita di opere d’arte un business dal quale ricavare un facile profitto.
La crisi del 1963 riportò equilibrio nei prezzi delle opere; i sopravissuti compratori si fecero più esigenti e nel 1964 il mercato riprese a “tirare”. I prezzi rimasero abbastanza stazionari, ma con tendenza alla crescita fino al 1970, quando il mercato divenne molto attivo e i prezzi mediamente raddoppiarono fino a metà degli anni Settanta, quando una nuova crisi internazionale arrestò la crescita dei prezzi delle opere d’arte. Fu l’arte contemporanea e d’avanguardia a subirne le conseguenze più pesanti.
Dopo tre anni di arrancamento, nel 1978 i prezzi ricominciarono a salire con regolarità, senza eccessi fino alla metà degli anni Ottanta quando si ebbero repentine impennate: nel 1985 un “Sacco bruciato” di Burri (1954) venne venduto a 150 milioni, l’anno successivo “Sacco e rosso” (1954) venne aggiudicato a 290 milioni; nel 1987 un “Concetto spaziale” di Fontana (1955) quotava 100 milioni, nel 1988 superava i 200 milioni e nel 1989 sfiorava i 500 milioni. Sulla scia dei grandi nomi, anche i prezzi delle opere di artisti meno famosi salirono sensibilmente; Dorazio passò dai 10 milioni del 1980 ai 20 del 1985, ai 45 nel 1987 fino a 160 milioni nell’ 89. Corpora, quotato alla metà degli anni Ottanta 5 milioni nel 1989-90 si valutava 50-60. Zoran Music passò dai 20-30 milioni del 1982-86 ai 250 milioni del 1991-92. La corsa al rialzo dei prezzi attirava investitori di tutti gli stadi sociali, fino alle grandi finanziarie o multinazionali che operavano in settori completamente diversi. La speculazione fu conseguenza di una continua ed ingiustificata crescita dei prezzi, in un momento in cui il facile denaro circolava vorticosamente; tutti compravano case, azioni, opere d’arte, gioielli, automobili con la fiducia e certezza di poter rivendere con facilità in qualsiasi momento.
La Finarte era passata da un venduto di 160 milioni della prima asta del 1961 ai 12 miliardi dell’ultima asta del 1989. Anche artisti e opere mediocri trovarono compratori entusiasti.
A New York, nel 1989 un’opera di Van Gogh venne aggiudicata a 100 milioni di dollari, mentre le opere dei maestri antichi erano passate - per volume d’affari - in terza posizione, dopo quelle degli Impressionisti, del moderno e del contemporaneo. Questo fenomeno è dovuto alla natura stessa dell’arte antica, più difficile da attribuire (il più delle volte le opere sono mancanti della firma), e nell’assegnazione di una valutazione di mercato, che nel moderno è meno difficoltosa.
Nel triennio 1988-90 chiunque aveva denaro e un minimo di conoscenza nel mercato dell’arte, lo usava come fosse un qualsiasi mercato finanziario o immobiliare per comprare, vendere e guadagnare. La certezza di guadagnare investendo in arte era tale che in quegli anni furono costituite varie forme di fondi di investimento per l’arte, nonché di vendita in leasing. In quegli anni in Italia, assicurazioni, istituti finanziari e banche fecero la loro comparsa nel mercato dell’arte con strutture complesse che offrirono servizi che dalla consulenza per gli acquisti, si allargarono ai finanziamenti, ai fondi di investimento, al leasing. Quest’ultimo in particolare, ha permesso a molte società, gruppi e studi professionali di acquisire - parzialmente gratis opere d’arte, in quanto detraibili dalle tasse come qualsiasi altro arredo o bene strumentale.
L’acquisto di opere d’arte divenne valorizzazione dell’immagine dell’impresa o dello studio professionale.
Industriali, assicurazioni, banche divennero “sponsor” di mostre e restauri.
L’entusiasmo di chi comprava arte nel triennio 1988-90 e la fiducia nella solidità e nella crescita dei valori dell’arte antica, moderna e contemporanea era incrollabile, sostenuta dai prezzi record battuti nelle aste internazionali, che ci facevano riflettere su quanto ancora poco costavano le opere dei nostri artisti. Nel 1990 si ebbero i primi segnali di crisi: le aste di arte contemporanea registravano una preoccupante percentuale di lotti invenduti, nel 1991 i risultati nelle vendite di arte contemporanea furono disastrosi e anche il mercato degli Impressionisti entrò in crisi. La speculazione lasciava il mercato, interrompendo la crescita dei prezzi e conseguentemente provocandone il crollo.
Tutti i grandi compratori si ritirarono dal mercato; alla crisi economica internazionale si sommava una situazione interna italiana particolarmente difficile: alcune “storiche” gallerie dovettero chiudere, le case d’asta ebbero la necessità di ridurre l’organico, mentre le aste continuavano a registrare un elevato tasso di lotti invenduti e i prezzi scesero fino al 1993 quando le aste di Londra e New York registrarono il ritorno dei compratori privati con buoni risultati di vendita.
Anche in Italia, dal 1993, ci fu una ripresa che ha visto la valorizzazione delle opere migliori, sia nell’arte antica che nel moderno e contemporaneo, pur senza più raggiungere, tranne sporadiche eccezioni, i traguardi dell ‘89-90.
Oggi, nel pieno di una nuova crisi internazionale dagli esiti ancora incerti, vediamo un ridimensionamento dei prezzi di tutti i settori artistici, già in atto dal 2007. La dichiarata recessione italiana, che secondo gli esperti durerà ancora qualche anno, crea disagi ed incertezze sul futuro; le quotazioni sono in costante trasformazione e vedono le opere di minore qualità quelle maggiormente penalizzate. Ogni periodo di crisi economica, la storia lo insegna, è seguito da un periodo di ripresa ed entusiasmo. L’Arte inoltre, rappresenta da sempre un bene di rifugio, settore dove attualmente si possono fare ottimi affari, risparmiando e soprattutto acquisendo opere di buona qualità, difficilmente reperibili in tempi normali. In mezzo a tutto ciò il “Collezionista” è certamente colui che meno deve temere la ciclicità del mercato. Molto spesso diviene un vero e proprio esperto del suo settore di interesse e la sua collezione si trasforma con il tempo in un ottimo investimento.
Questo viene confermato ripetutamente dal grande successo riscosso dalle collezioni poste in vendita in aste nazionali ed internazionali, anche nei momenti difficili.
Il collezionista che compra per conservare non corre quindi grandi rischi, ed anche se ha pagato un prezzo un po’ più alto in un momento di mercato forte, può compensare con dei buoni acquisti nei momenti di mercato in discesa. Una collezione dovrebbe avere almeno vent’anni di vita e in un periodo così lungo anche i prezzi più eccessivi vengono riassorbiti.

Nell’investire in arte, si dovrebbe sicuramente evitare la smaniosa quanto pericolosa ricerca del “grande affare”, che porta spesso inevitabilmente all’acquisizione di opere “farlocche”… affidandosi invece a professionisti seri che nell’atto dell’investimento, rendano noti tutti i fattori di rischio e le tendenze del mercato.
Da questa breve analisi storica, anche se non esaustiva, si evince che ogni periodo di crisi economica è seguito da un successivo periodo di ripresa ed entusiasmo di mercato.
L’Arte rappresenta inoltre e da sempre un bene di rifugio, con una rivalutazione delle quotazioni che nel breve risulta più lenta rispetto al mercato azionario, mentre sul lungo periodo ha sempre superato abbondantemente i “Bond”.

Alcuni oggi, ipotizzano un nefasto cambio epocale nel gusto e nelle necessità delle nuove generazioni, che preferiscono alle realizzazioni artigianali di qualità in legno, l'economico trucciolare nobilitato, in una standardizzazione dello stile, proposto dalle grandi multinazionali dell'arredamento.

A parere di chi scrive, questo è un problema che con il passare del tempo si risolverà da solo, sia per la poca robustezza di questi prodotti, adatti ad una seconda casa, o per una giovane coppia in attesa di comprare del mobilio di qualità, sia perchè i valori dei mobili antichi, ma anche degli oggetti d’arte e delle opere pittoriche normali, sono attualmente così modesti, da poter con certezza far ritenere, che un investimento in questo settore sia tra il meglio che un fruitore abbia attualmente a disposizione.

 

 

 

Michele Catania