Alberto Craievich

 

Un modelletto di Pietro Negri

 

 

 

1 - Pietro Negri, Venezia intercede presso la Vergine per la cessazione della pestilenza. Collezione privata.

 

2 - Pietro Negri, Venezia intercede presso la Vergine per la cessazione della pestilenza. Venezia, Scuola Grande di San Rocco.

 

Nelle Ricche Minere della pittura veneziana Marco Boschini, accanto alle opere eseguite dal "Monarca dell'Arte, il Bizzarro Tintoretto", nomina solo due dipinti 'moderni'. Si tratta delle tele che si vedono "salendo il secondo ramo della scala", ossia la La peste a Venezia nel 1630 di Antonio Zanchi e Venezia intercede presso la Vergine per la cessazione della pestilenza di Pietro Negri. Dopo i grandi cicli della fine del Cinquecento si trattava dell'ultima grande commissione all'interno della Scuola, destinata a occupare le uniche due superfici rimaste libere, ossia le pareti dello scalone che conduceva al piano superiore, completando così l'apparato decorativo dell'edificio. I soggetti prescelti dai committenti ricordavano l'ultima, feroce, epidemia di peste che aveva colpito la città quarant'anni prima, e celebravano, allo stesso tempo, le virtù taumaturgiche del santo titolare della confraternita, che in entrambe le composizioni occupa il centro della tela. A Zanchi e Negri toccava quindi un compito quanto mai ingrato, ossia confrontarsi uno dei più grandi maestri della scuola veneziana in uno dei luoghi sacri della pittura del Cinquecento. La circostanza non fu ignorata da Marco Boschini che espresse il proprio disappunto per il fin troppo ambizioso tentativo, riportando le improbabili scuse degli autori. La scelta operata dei confratelli, se in parte si giustifica in una sorta di continuità stilistica con la pittura fortemente chiaroscurata di Tintoretto, era dovuta soprattutto alla notorietà dei due artisti e alla fortuna ottenuta dal loro modo di dipingere. I membri della confraternita, infatti, a partire dal 1564, quando bandirono il concorso per decorare la Sala dell'Albergo, fino alla commissione delle quattro pale d'altare per la chiesa di San Rocco nel 1733, furono sempre attenti a rivolgersi ad artisti di primo piano. E' logico pensare che anche in questa circostanza abbiano voluto scegliere quanto di meglio - e di più aggiornato - si potesse trovare sulla piazza lagunare. La loro decisione si trovava infatti perfettamente coincidente con quella graduatoria di merito stilata negli stessi anni da Boschini oppure da Martinioni che vedeva soprattutto in Antonio Zanchi il pittore più celebre allora operante in città. Entrambi gli artisti offrono una lettura delle scene improntata su una macabra teatralità in cui le caratteristiche stilistiche della loro pittura si esaltano nella descrizione dei drammatici effetti della pestilenza. Anton Maria Zanetti, pur molto critico nei confronti della pittura naturalistica di metà Seicento, non mancò di osservare come "tutto ciò che in esso diffetto potea chiamarsi, qui giova mirabilmente a rendere perfetta e vera la rappresentazione".
I due teleri, proprio per l'importanza della commissione, siglano quindi l'apice del successo ottenuto a Venezia dalla moda 'tenebrosa', che ormai non interessava più solo le quadrerie della vecchia e nuova nobiltà ma aveva investito anche le grandi commissioni pubbliche. Come ci informa lo stesso Boschini, il primo telero a essere eseguito fu quello di Antonio Zanchi, e venne portato a termine nel 1666 per conto del Guardian Grande Bernardo Broli. L'opera gemella fu invece realizzata da Pietro Negri solo sette anni dopo nel 1673, quando a ricoprire la carica si trovava Angelo Acquisti. Vista l'importanza dell'incarico e la pignoleria della Scuola, come si evince da notizie documentarie riguardanti altre circostanze simili, i pittori furono probabilmente tenuti a realizzare un modello della composizione da presentare al vaglio del committente. Non è un caso che uno dei pochi bozzetti finora conosciuti di Antonio Zanchi, che pure fu di frequente impegnato in ambiziosi progetti decorativi pubblici, sia proprio destinato all'opera per la Scuola di San Rocco. Si tratta del dipinto ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna, di cui la critica ha sempre evidenziato l'estrema libertà esecutiva: "il modello è realizzato con un impianto vivacissimo di pennellata, che mette in contrasto gialli, rossi, viola e azzurri dentro forti sbattimenti di luci: senza dubbio è il risultato di una forte fantasia scenica, che ha il suo ascendente proprio a S. Rocco nei grandi esempi di Tintoretto". Curiosamente Zanchi non tenne conto del formato dell'opera definitiva, che presentava due condizionamenti architettonici: la diagonale della scala, che conferiva alla scena un formato trapezoidale, e la lesena della parete, che obbligava a dividere la composizione in due parti. Il pittore eseguì infatti una scena unitaria a forma di rettangolo, dalla quale si limitò a tagliare la parte bassa a sinistra dov'era raffigurato uno particolari più macabri: una barca ricolma di cadaveri ammassati uno sull'altro.
Accanto al modelletto di Zanchi è oggi possibile accostare anche quello realizzato alcuni anni più tardi da Pietro Negri, a oggi l'unico conosciuto dell'artista. Si tratta di una tela già in collezione privata, che purtroppo non presenta le felici condizioni di conservazione dell'opera eseguita dal collega. Numerose abrasioni ed alcune ridipinture, visibili soprattutto nella parte inferiore ne hanno compromesso l'originaria freschezza. Inoltre, in alcune parti, l'emergere della preparazione di fondo ha consunto le figure secondarie, realizzate con pochi ed essenziali colpi di pennello. Non è possibile confrontare la tela in esame con altri dipinti simili realizzati dall'artista; tuttavia, soprattutto nelle pieghe dei panneggi, per quanto più semplificati rispetto a quelli delle tele maggiori, si riconosce la stessa pennellata liquida e aggrovigliata che da corpo a matasse di pieghe minute. Nell'opera in questione compaiono le stesse figure allegoriche della versione definitiva, con probabilità espressamente richieste dai committenti, tuttavia cambia, e di molto, il rapporto tra figure e architettura, e non mancano varianti nella disposizione dei personaggi. Nella redazione finale l'artista conferisce infatti maggior risalto alla parte figurativa, ingigantendo le varie allegorie e proiettando in primo piano l'episodio centrale, ossia Venezia inginocchiata davanti alla Vergine e a san Rocco. Come nel modelletto dell'atesino le architetture sono qui assai semplificate e ridotte alle semplici linee guida, mentre, soprattutto per quanto riguarda la parte di sinistra, esse assumeranno una dimensione monumentale nel telero posto sul lato destro dello scalone. L'opera finale acquista quindi una maggiore grandiosità e soprattutto un turbinoso ritmo barocco che non ritroviamo nelle esili figure del modello, dove il pittore si è limitato a studiare la collocazione delle varie immagini. Ad alcuni anni di distanza dal dipinto proposto da Zanchi, Negri ha tenuto conto dell'inclinazione dello scalone, presentando un formato assai vicino all'opera definitiva. E' strano, tuttavia, che nel modellino egli abbia elevato il bordo inferiore per collocare una cartouche, destinata a contenere uno stemma o un ritratto, poi non realizzato, dal momento che il dipinto finale tocca il bordo della balaustra.
Se nel caso di Antonio Zanchi il telero per la Scuola Grande di San Rocco rappresentò un trampolino di lancio per una carriera che lo avrebbe visto come il dominatore della pittura lagunare per oltre un ventennio, per Pietro Negri si trattò senz'altro della sua più illustre commissione: egli sarebbe infatti morto di tubercolosi solo sei anni dopo, il 31 maggio 1679.

 

 

 

 

Alberto Craievich

 

 

 

 

 

Arte in Friuli, Arte a Trieste  N°24                                                    Edizioni della Laguna

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.