Paolo Marini
MUGGIA VECCHIA: UNA SCOPERTA?
Sugli affreschi che decorano le navate della piccola basilica
dell'Assunta sul colle di Muggia Vecchia esiste ormai una ben nutrita
bibliografia. La pionieristica indagine di Pia Frausin aprì nel 1947 la
strada ad una serie di studi che sono serviti a gettare luce - ma forse
in maniera non ancora definitiva - sulla datazione e sul complesso
retroscena culturale di queste pitture1,
che continuano ad affascinare come un piccolo ma terribilmente intricato
enigma storiografico, nonché per il loro valore artistico, che agli
occhi di chi scrive regge e risponde magnificamente con tutta la classe
della sua araldicità al reiterato rimprovero di 'provincialismo' che
salta fuori ad ogni piè sospinto nell'eventuale confronto con altri
documenti della cultura pittorica romanico-bizantina.
Molto è stato scritto e molto è stato chiarito, dunque2;
quasi sempre ferma restando l'acquisizione di completezza dei frammenti
- si perdoni l'ossimoro - che dei vari cicli ci sono pervenuti: a parte
il rinvenimento di un larvato strato ornamentale preesistente alla
stesura delle figure e delle scene sui pilastri e la parete di sinistra
nella navata centrale3,
sembra che non rimanga altro da scoprire su questi muri dai quali tanta
pittura è caduta sparendo per sempre. È vero che, comunque, la nostra
cultura ancora tardoromantica sovente ci predispone a un interesse più
accorato verso la rovina che verso il monumento intatto: pur premettendo
di dovere il si parva licet componere magnis mi sento di
affermare che, appunto in virtù del loro stato lacunoso, queste vestigia
acquisiscono una qualità suggerente non dissimile da quelle della
sepoltura tebana della regina Nefertari. E così, accanto a campiture che
hanno superato piuttosto bene la prova del tempus edax (ma qui si
tratterebbe di determinare una volta per tutte l'esatta entità
risarcente dei restauri più volte effettuati nel corso degli ultimi
cent'anni), specie negli episodi mariani e martiriologici della nave
principale, permangono, nel mutismo assoluto della calce, brandelli
dall'aspetto d'essudato salino, evanescenti lemuri che conservano
trepidanti un qualche ricordo di colorazione e conformazione. A che
cosa, per esempio, potrebbero riferirsi quel pesce e quel remo che
chiazzano l'imposta dell'arcata sul quarto pilastro della navatella a
destra? Contentiamoci di rilevare il più che discreto indugio
ittiologico qua e là dispiegato nel nostro santuario, dal ricco
campionario acquatico del torrente guadato dal san Cristoforo alla
misteriosa traversata di quel barchino affollato di testine romaniche,
la cui pagaia affonda in profondità ben pescose (sarà quindi forzatura
il citare la terminazione pisciforme del pastorale retto dal san Zeno a
memoria delle sue origini marinare?).
Eppure, quanto a rinvenimenti, potrebbe non essere stata detta l'ultima
parola.
Nel citato saggio della Frausin si trova in nota, infatti,
un'indicazione di riporto circa la sussistenza primonovecentesca di una
scena raffigurante il Battesimo di Gesù, ubicata genericamente nella
navata di destra. Ma l'autrice riferisce di seguito che di tale affresco
"ora non è traccia"4.
Rimanendo in questo settore della chiesetta, la studiosa non fa comunque
menzione dei resti, in sé decisamente vistosi, di un' immagine - che
Giuseppe Cuscito ipotizza possa trattarsi di un Albero della vita5
- stesa sulla parte interna del pilastro addossato alla controfacciata,
piuttosto ben conservata nonostante il drammatico accartocciamento della
muratura; ma è da credersi che all'epoca il cantuccio fosse ingombrato
da qualche arredo6.
La porzione s'interrompe a circa due metri d'altezza dal pavimento; più
in alto permane una chiazza con tracce colorate e nulla di più. Ecco che
però se volgiamo lo sguardo sul muro attiguo (contro il quale è
attualmente sistemato il confessionale), verso l'alto, noteremo
un'ulteriore chiazza che a dispetto della sua davvero esigua estensione,
pare, al confronto, assai più eloquente.
1.
Frescante
duecentesco,
lacerto.
Muggia,
basilica
dell'Assunta.
2. Muggia, basilica
dell'Assunta,
parte sinistra della
controfacciata.
Alla tangenza della parete
col pilastro di cui sopra emergono i tratti di quello che sembrerebbe proprio un
braccio sinistro piegato a "V" e con la mano aperta (fig. 1): il pollice e le
altre quattro dita sono nettamente distinguibili, con in più, a mo' di
bisettrice dell'angolo formato dalla "V", un elemento verticale che potrebbe
essere un bastone. Per il resto si direbbe che la parete taccia del tutto:
nient'altro che traspaia alla sua superficie. Superficie tuttavia in gran parte
celata da un quadro entro semplice cornice in legno, rappresentante, per quel
che la densa penombra di quest'angolo di navata permette d'intuire, l'Assunta
con il Bambino e santi nei modi alquanto rudimentali dell'arte provinciale
(fig. 2). Ombra fitta, difficoltà per l'indagine muraria ravvicinata. E se in
effetti fossero stati per lungo tempo i custodi involontari di un qualche
segreto? Se il santuario volesse ricompensarmi per gli assidui pellegrinaggi -
sia pur prettamente laici - che da una dozzina d'anni non mi stanco di
tributargli, con una emozione che di volta in volta non si affievolisce, ma si
sviluppa articolandosi, per così dire, in un'architettura emotiva sempre più
salda, a modo suo progressiva acquisizione di fede?
3 - Frescante duecentesco, lacerto.
Muggia, basilica dell'Assunta.
4 - Frescante duecentesco, lacerto. Muggia, basilica dell'Assunta.
Non deciso a rassegnarmi (un po' come David Hemmings in Profondo rosso,
sempre si parva licet) m'impongo un supplemento d'indagine e monto sulla
seggiola messa accanto al confessionale per por-tarmi il più vicino possibile -
la mano saluta dall'alto di almeno tre metri e mezzo - e quindi con la dovuta
cautela provo a scostare il vecchio quadro sacro, manovrandolo per l'angolo in
basso a destra della cornice; ed ecco la ricompensa: quasi in linea con
l'incorniciatura stessa, quel tanto che basta per essere sottratto alla vista,
scopro col naso all'insù un altro brandello di muro dipinto, un'area
approssimativamente triangolare al cui lato (lo definirei un triangolo
equilatero, ma non potendo beneficiare d'una visione frontale potrei sbagliare)
attribuisco la lunghezza d'una sessantina di centimetri, ed entro la quale si
sviluppa un triplice sistema di linee, alquanto elaborato (fig. 3): fluide
quelle nella parte più bassa (fig. 4),
5 - Frescante duecentesco, lacerto.
Muggia, basilica dell'Assunta.
6 - Frescante duecentesco, lacerto.
Muggia, basilica dell'Assunta.
più brevi e componenti una
sorta di schema a marezzatura quelle verso il centro (fig. 5), e convergenti al
margine 'polarÈ di una forma tondeggiante che ricorda il disegno d'un globo con
tracciati i meridiani quelle più in alto (fig. 6, a sinistra) - alla sinistra
delle prime, ancora qualche pennellata a uncino: tutte a contorno di tinte
delicate che richiamano all'istante - così come accade per il lacerto
della mano sopra descritto - quelle che i visitatori del santuario possono
apprezzare nei preziosi affreschi che ben conosciamo; caratteri, questi, di
linea e colore che mi paiono inequivocabili, a dispetto della gibbosità che
affligge anche questo tratto di parete.
Ma questi due frammenti da soli non potrebbero certo inverare quell'informazione
di un secolo fa che sembrava purtroppo irrimediabilmente smentita già ai tempi
dell'analisi della Frausin. La mano mozzata e i reticoli di strie semiastratti,
non si dimostrano affatto sufficienti per comporre la sia pur remota ossatura
grafica di una rappresentazione come quella di cui la studiosa aveva preso nota,
compiangendone lo smarrimento. Perlomeno, non ancora ... o dovrei dire invece
non esattamente? La Frausin, per la cronaca, citava anche un'antica
osservazione di Max Dvorak su "un frammento di rappresentazione dell'ultimo
giudizio nella facciata interna, di cui ora non c'è più traccia"7.
Nulla di singolare, a livello iconografico: la scena era di prammatica nelle
controfacciate dell'epoca - si pensi soltanto all'esempio preclaro di Santa
Maria di Torcello, o, più tardi, a quello giottesco dell'Arena. Ebbene, a rigor
di logica l'ubicare il battesimo di Cristo nella navata destra e il
succitato brano nella facciata interna non significa, ai fini del
nostro problema, violare il principio di non-contraddizione, siccome la facciata
interna comprende, ovviamente, i termini di tutte e tre le navate, destra
inclusa. I due insiemi s'intersecano in coincidenza della famosa parete: se mai
affresco ancora visibile a Muggia Vecchia all'inizio del Novecento deve essere
rintracciato, ebbene questo va cercato proprio qui. E, pur essendo gli appigli
quasi infinitesimi, non comincia forse a convincere sempre meno la conciliazione
di quella mano aperta con la necessità finora intravista di integrarla - anche
se con la pura e semplice immaginazione - nella scena cristologica cui dovrebbe
appartenere? Come mano del Battista persuade punto o poco, e il braccio risulta
per di più panneggiato: san Giovanni non è sempre figurato a braccia nude?
Quanto a mano di Gesù non è neppure il caso di discutere in tale contesto: è
retorica la domanda sul perché non avrebbe dovuto svestirsi. In tale contesto,
attenzione! Dimentichiamo un attimo la composizione standard del Cristo come
asse di simmetria nella scena del Giudizio, e proviamo invece a
immaginarcela decentrata, magari fino al margine del quadro o dell'affresco;
proviamo addirittura ad adattare, a questo punto, il modello medievale del
Cristo giudice a quei pochi resti oggetto della scoperta di cui stiamo
riferendo. Potrebbe quadrare? Non intendo affatto rinunciare a procedere coi
piedi di piombo, ma non posso trattenermi dall'avvertire un fortissimo sospetto
di congruenza: ora sì che la disposizione del braccio acquisterebbe un senso in
rapporto alla falsariga dell'ipotetico soggetto (e quindi quel
'bastone-bisettricÈ di cui dicevo andrebbe riqualificato come parte dello
schienale di un trono), tanto più che quelle 'linee a meridiano' nella zona
superiore del lacerto sotto il quadro ritmano una porzione che collima
cromaticamente con la manica (un tono mattonoso), assumendo l'aspetto del gomito
panneggiato del braccio destro; i meridiani sarebbero perciò le pieghe della
tunica (fig. 6). Sulla scia di questo spunto, andiamo avanti: finiremo coll'assegnare
a quelle `linee fluidÈ della zona inferiore la funzione d'alludere al ricadere
della veste del Redentore tra i suoi piedi, uno dei quali - il destro - parrebbe
adesso decisamente ravvisabile in quelle pennellate 'a uncino' (alias il
contorno della dita), che suddividono due campiture cromatiche tra cui una
dall'intonazione carnicina. I tasselli disponibili per la soluzione del
rompicapo finiscono qui, ma resta ancora da dire la cosa più importante: ossia,
che su questa parete, e solo su questa parete della chiesa, i resti degli
affreschi non costituiscono una pellicola rialzata rispetto la superficie della
parete che li conserva, bensì appartengono a un film pittorico ad essa
sottostante: in altre parole, i brani in questione sono soltanto quanto
oggi
emerge da uno strato d'intonaco steso al di sopra d'una superficie
dipinta di ampiezza indefinita e che, in teoria, potrebbe anche interessare una
vasta parte del muro da cui occhieggiano con la loro fin adesso inudita
richiesta di liberazione.
7 - Ricostruzione grafica
dell'affresco.
Se in effetti l'intonaco venisse scrostato, la parete potrebbe restituire nella
sua (si spera) intatta nudità proprio quella scena escatologica che per il
momento, nella mia idea (fig. 7), sarebbe potenzialmente allusa dal filo
d'Arianna di quel paio di lacerti che, pure, sono sempre sfuggiti all'attenzione
degli studiosi o, al limite, poichè da più parti si legge di non meglio
precisati 'frammenti sparsi' che nella genericità della definizione potrebbero
comprendere pure quelli di cui ho parlato, male interpretati nella loro realtà
stratigrafica. Per concludere, mi ripropongo di tornare su quanto
l'eventuale e fortemente auspicabile risarcimento delle tracce che ho descritte
ricomporrà, ci si augura ricongiungendole, in una forma finalmente definibile da
un qualsivoglia nome o titolo.
Paolo Marini
NOTE
1
P. FRAUSIN, Gli affreschi di Muggia Vecchia, "Annali
Triestini", XVII/IV, II, 1946-47, pp. 5-23.
2
Per la bibliografia, si veda G. Luca,
Aspetti storico-artistici di S. Maria Assunta a Muggia Vecchia, Trieste
2003; il quaderno offre, in maniera sintetica ma esaustiva, il punto della
situazione sugli studi circa i caratteri architettonici, archeologici, scultorei
e pittorici dell'edificio, con, per questi ultimi, un significativo corredo di
fotografie a colori che ne illustrano quasi integralmente il repertorio
figurato.
3
Cfr. M. L. CAMMARATA,
Gli affreschi di S. Maria di Muggia Vecchia, "Memorie Storiche
Forogiuliesi", LXXV, 1975, pp. 29-43.
4
P. FRAUSIN,
Gli affreschi ... cit., p. 7, n. 5.
5
G. CUSCITO,
Muggia Sacra. Storia e arte delle sue chiese, Muggia 1991, p. 36.
6
Del resto, non ne fa menzione neppure la Cammarata nel suo studio citato.
7
P. FRAUSIN,
Gli affreschi ... cit., p. 7; per l'osservazione, si veda M. DVORAK, Die
mittelalterlichen Wandmalerei in Muggia Vecchia, "Kunstgeschichtliches Jahrbuch
der k. k. Zentral-Kommission fur Erforschung und Erhaltung der Kunst - und
historichen Denkmale", 1, 1907, pp. 17-28.
Arte in Friuli, Arte a Trieste
N°25
©
Edizioni della Laguna