Alberto Craievich
IL CONVENTO DEI FRANCESCANI A PARENZO: FRAMMENTI DELLA SCOMPARSA QUADRERIA
Per lungo tempo i francescani furono fra i più attivi committenti di opere d'arte nei territori dell'Istria e della Dalmazia. Ne sono testimonianza, solo per citare alcuni esempi che danno l'idea dell'ampiezza geografica del fenomeno, i complessi conventuali di Pirano, Lesina e Makarska dove tuttora si conservano quasi intatte, oltre agli arredi artistici delle chiese, le ricche quadrerie che formano un'ampia selezione della pittura veneta del Sei e Settecento. Purtroppo si tratta di casi eccezionali. Infatti, in altre circostanze, a seguito dell'editto napoleonico del 1806 che portò alla soppressione degli ordini religiosi, altre comunità furono allontanate e i loro edifici subirono manomissioni irreparabili. È il caso di quelle di Capodistria e Parenzo, accomunate da un analogo destino: le chiese e i conventi furono in seguito destinati ad altro uso, gli ambienti alterati e il patrimonio artistico in gran parte disperso.È merito degli studi più recenti l'aver indagato sulle vicende storiche di questi due luoghi ricostruendo parte del loro originario aspetto e rintracciando gli artisti che nel corso del Settecento furono incaricati dai padri minori di decorare i loro edifici.Più in particolare, grazie agli studi di Maria Walcher è oggi possibile avere una visione d'insieme dell'originario aspetto della chiesa di San Francesco a Parenzo che, dopo la soppressione, venne spogliata dei suoi arredi e in seguito acquistata dal marchese Francesco Polesini, il quale divise la navata in due piani, adibendo la parte inferiore a cantina, mentre quella superiore fu destinata a sede della Dieta Provinciale Istriana. L'annesso convento divenne invece prima scuola e poi sede della Giunta Provinciale dell'Istria. L'edificio chiesastico, prima di questi traumatici interventi di ristrutturazione, era stato oggetto di riammodernamenti da parte degli stessi confratelli, i quali, dopo aver fatto riedificare il campanile tra il 1728 e il 1731, si dedicarono al restauro dell'interno della chiesa. Nel 1751 il pittore Angelo Venturini realizzò entro cornici in stucco, opera del bolognese Giuseppe Montevinti, i tre affreschi del soffitto, ora visibili nella sala del 'Nessuno', raffiguranti l' Immacolata Concezione, le Stimmate di san Francesco e la Visione di sant'Antonio da Padova. Nei medesimi anni furono rifatti in marmo gli antichi altari lignei che tuttavia rimasero per poco tempo nella loro sede originaria dal momento che, in seguito alla chiusura dell'edificio, poco più di cinquant'anni dopo, furono smontati e trasportati in altre sedi.
1 - Altare maggiore. Gorizia, San Carlo, già Parenzo, San Francesco.
2 - Altare di san Luigi. Albona, duomo, già Parenzo, San Francesco.
L'altar maggiore, rifabbricato in marmo tra il 1741 e il 1756 fu portato fra il 1814 e il 1815 nella chiesa del Seminario diocesano di Gorizia (fig. 1) mentre quelli di sant'Antonio e della Beata Vergine del Carmelo furono trasferiti nel duomo di Albona (fig. 2).
3 - Altare di san Luigi. Parenzo, Santa Maria degli Angeli, già Parenzo, San Francesco.
4 - Altare dei santi Giuseppe e Antonio. Parenzo, Santa Maria degli Angeli, già Parenzo, San Francesco.
5 - Pittore veneto, Santa Caterina. Parenzo, basilica Eufrasiana, già nel convento di San Francesco.
6 - Pittore veneto, Santa Lucia. Parenzo, basilica Eufrasiana, già nel convento di San Francesco.
Altri due altari, dedicati a san Girolamo e al Santissimo Crocifisso fecero molta meno strada: per insistenza del vescovo Peteani furono riutilizzati alla fine degli anni quaranta dell'Ottocento nella vicina chiesa di Santa Maria degli Angeli dove furono dedicati il primo a san Luigi, il secondo ai santi Giuseppe e Antonio da Padova (figg. 3-4). Grazie alle testimonianze ottocentesche è quindi possibile ricostruire, almeno in modo ideale, l'aspetto che doveva avere nel Settecento la chiesa di San Francesco. Al contrario, non vi sono notizie delle altre opere d'arte che certamente si conservavano nel convento dei padri minori. In tal senso un'ulteriore tassello destinato ad integrare le nostre conoscenze sull'argomento è offerto da due inventari, compresi all'interno di un fascicolo rilegato già appartenente all'archivio dei padri minori e confluito successivamente nell'archivio Polesini, ora custodito presso l'Archivio di Stato di Trieste. Il primo, intitolato Nota destinta di tutti de li quadri o pitture di questo Con:to presenta un ristretto numero di opere (sessantatre); il secondo, datato 1691, reca la dicitura Nota de quadri Piture per la chiesa di s. Francesco di Parenzo, è vergato con la stessa grafia piuttosto incerta ed elenca oltre un centinaio di dipinti tra cui si riconoscono quelli descritti nel precedente. L'identità della scrittura e la loro consequenzialità all'interno del fascicolo fanno ritenere che essi siano stati redatti a poca distanza l'uno dall'altro; entrambi risalirebbero, quindi, a un periodo particolarmente significativo per il convento, ossia gli anni in cui fu retto dal padre guardiano Antonio Muccini da Bologna che, stando al manoscritto del Brandolini, lo riportò al suo antico splendore dopo quasi un secolo di abbandono, durante il quale i frati si diedero a una condotta di vita a dir poco gaudente dando origine a scandali e dilapidando tutte le sostanze della comunità tanto che nel 1662, il padre Francesco della Nave durante la sua visita non "trovò cosa alcuna in convento se nò dell'acqua". È quindi plausibile che sia stato proprio il nuovo padre guardiano, particolarmente attento alla gestione del patrimonio conventuale, a far stilare i due inventari al fine di avere sott'occhio la consistenza e il valore dei beni sotto sua responsabilità in modo tale da cautelarsi dalle attitudini poco francescane dei suoi confratelli.Purtroppo si tratta di due elenchi abbastanza scarni, vi sono ricordate le misure, la presenza e il tipo di cornice nonché alcune indicazioni sulla qualità dei dipinti: un'Annunciazione viene definita "bellissima", un Ritratto a figura intera "di buona mano" e un Sant'Antonio da Padova come "asai bello". Le opere più antiche recano una generica indicazione "vechia" e sono tra le poche ad essere ritenute di "qualche valore". In nessuna occasione compaiono riferimenti agli autori dei quadri, se non, fatto curioso, a Matteo dÈ Pitocchi ricordato come l'esecutore di un San Francesco. Si tratta di una citazione non troppo sorprendente; infatti, l'artista era morto solo due anni prima ed è possibile che qualche confratello, oppure lo stesso Antonio Muccini, abbia potuto vedere alcune sue opere a Padova dove Ghidoni fu attivo anche come pittore sacro tanto da collaborare per un lungo arco di tempo proprio con i francescani della basilica del Santo. Tra le opere ricordate, oltre ai consueti quadri devozionali e arredi liturgici impiegati nelle processioni e nelle cerimonie come "venti angioli di carta con sue collone per le solenità", spicca un numero significativo di tele profane, in particolare dipinti di genere raffiguranti Prospettive, Nature morte di fiori e addirittura Battaglie a testimoniare l'eclettico gusto dei nostri frati, come documentato anche dalla quadreria dei francescani di Pirano dove si ritrovano dipinti con Vasi di fiori di Elisabetta Marchioni e Paesaggi di Bartolomeo Pedon impiegati come soprapporte all'interno del convento. Nella loro essenzialità gli elenchi non permettono di rintracciare la maggior parte delle opere citate, tuttavia, almeno in un caso è possibile proporre un'identificazione: si tratta dei due quadri raffiguranti "s. Luzia e s. Caterina con fiorami atorno" che potrebbero corrispondere alle due tele di analogo soggetto ora conservate nella basilica Eufrasiana. Si tratta solamente di un primo passo ed è auspicabile che in futuro sia possibile rintracciare altri dipinti della dispersa quadreria dei francescani di Parenzo, parte della quale è plausibilmente dispersa nelle altre chiese della cittadina istriana.
Alberto Craievich
Arte in Friuli, Arte a Trieste N°23 © Edizioni della Laguna
P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.
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