"Restituzioni" Ambroveneto / Federalismo culturale, perché no?

 

Edoardo Pittalis
 

 

 

 

1. Ritratto virile. Età tardorepubblicana/augustea. Verona. Museo Archeologico al Teatro romano.


C'è una parola nuova (o forse finalmente riscoperta) nel vocabolario della politica italiana: Federalismo. Certo, ha cento padri e pare mille figli; ispiratori nobili e altri molto meno. Se realizzata nel senso più moderno e politicamente più corretto potrebbe portare lontano. Non soltanto amministrativamente o fiscalmente, ma anche - per fare un esempio - nel campo dei beni culturali.
Perché non precisare un federalismo artistico? Ci spieghiamo: l'Italia ha il 65 per cento del patrimonio artistico del mondo, è arte ovunque perché ovunque è passata la Storia. Ma è anche la meno garantita: dai nostri musei scompare di tutto, si sono perse le tracce di capolavori, le chiese sono a rischio elevato. I monumenti sono in pericolo, lo smog fa disastri.
I musei chiudono perché manca il personale, molti aprono soltanto se si trovano volontari. Milioni di pezzi pregiati sono ammucchiati nei sottoscala e negli scantinati, tra muffa e topi. Nelle chiese esistono opere d'arte mai inventariate, se le rubassero non saprebbero riconoscerle. Non c'è uno straccio di identi-kit.
Non siamo al tracollo del patrimonio artistico, ma certo in qualche occasione ci siamo andati molto vicini. La testimonianza autorevole è di Jack Lang, ex ministro francese per la cultura: "Nel paradosso italiano convivono il massimo di ricchezza storica e culturale con il massimo di inerzia politica e di degrado".
Ma cosa c'entra il federalismo? Immaginate una politica culturale presidiata nel territorio, capace di autogestirsi e di autopromuoversi, capace soprattutto di tutelarsi. Legata allo Stato e contemporaneamente autonoma di programmare, di cercare e di trovare gli sponsores. E' un piccolo passo, ma non banale perché il problema principale della nostra cultura è quello di realizzarsi e rendersi evidente soprattutto nel territorio.
Naturalmente, conta lo Stato così come conta la presenza del privato. Venezia, dove pubblico e privato coincidono in una sintesi felice, potrebbe essere il laboratorio della novità.
Lo Stato, però, deve fare una scelta. Siamo di fronte a una cultura che non si tutela e a uno Stato che disperde in rivoli un patrimonio che potrebbe incanalare in un antico, grande fiume.
Prendiamo la cultura, è frazionata in un numero di ministeri che da soli basterebbe a un Paese: beni culturali, pubblica istruzione, ricerca scientifica e università, ma anche l'ufficio della Presidenza del Consiglio ha poteri precisi nel campo dell'informazione, dello spettacolo e della televisione. E altri poteri ancora ha il ministero delle poste. Per non parlare degli istituti di cultura italiani all'estero che sono di competenza della Farnesina. Poi ci sono tutti gli altri ministeri cui compete sovvenzionare i mille enti che vanno dal grande museo alla banda musicale di paese.

 

2. Ritratto virile, prima del restauro, particolare.
Età tardorepubblicana/augustea. Verona, Museo Archeologico al Teatro romano.

 

 

3. Ritratto virile, Età tardorepubblicana/augustea.
Verona, Museo Archeologico al Teatro romano.

 

 


Prima che si mettano tutti d'accordo, l'arte è già morta e sepolta. "L'arte è sempre costosa", ha scritto Heinrich Boell. Se vogliamo conservare la cultura, dobbiamo continuare a creare cultura. Fermarsi ad adorare un passato glorioso non serve. Occorre una nuova imprenditorialità e anche una nuova cultura della classe politica. Ma chi deve fornirla?
A questo punto il discorso si semplifica e riporta all'ipotesi iniziale: il federalismo. Non per chiudersi autarchicamente nel territorio, ma per concentrare meglio le forze ed esprimere cultura.
Sinora all'inerzia pubblica e al degrado, l'Italia ha risposto col volontariato ammirevole o con l'impegno dei privati. Si pensi al progetto "Restituzioni" del Banco Ambrosiano Veneto giunto quest'anno alla settima edizione. L'istituto si muove nel territorio dove cerca opere da restaurare, dove dispiega il suo impegno organizzativo e dove infine mostra i risultati. Insomma, investe nel territorio un patrimonio di ricerca e di tecnologia ed evita così l'omologazione culturale. In qualche modo risponde ai criteri di un regionalismo forte, di un federalismo culturale.
E' chiaro che tutto questo da solo non basta, lo Stato non deve e non può abdicare al suo ruolo unificante. Ma per farlo deve essere dotato di risorse e scoprirne nuove rispetto alle ristrettezze imposte dal momento.
Si parla da anni di defiscalizzazione, cioè di possibilità di detrarre dalle tasse i contributi devoluti a scopi culturali. In molti Paesi funziona e bene da tempo.
Come si parla della possibilità di devolvere l'otto per mille sulla dichiarazione dei redditi ai Beni culturali, con la stessa formula oggi adottata per la Chiesa. C'è una ricerca appena condotta dalla "San-Zanobi" per conto di "Pubblica", una società di relazioni pubbliche per le comunicazioni di imprese. Il risultato è incoraggiante: un italiano su due è favorevole all'otto per mille. I non visitatori di musei sono il 55 per cento degli italiani, ma anche tra di loro quasi la metà sarebbe favorevole a versare. Insomma, c'è un notevole rispetto per la cultura anche da parte di chi non frequenta le mostre. Tra i visitatori abituali, poi, la percentuale favorevole supera il 90 per cento. Perché non partire da dati come questi per capire il presente e disegnare il futuro?

 

 

ARTE Documento N°9                                                               © Edizioni della Laguna