LA TECNICA DEL
COMMESSO MARMOREO
DA FIRENZE A VENEZIA
Cristina Scarpa
1. Giovanni Comin,
Ultima cena, paliotto dell'altar maggiore. Venezia, Santa Maria del
Giglio.
Fino agli inizi
dell'Ottocento gli studi sulle arti decorative considerate minori erano
piuttosto rari ed era alquanto difficile che gli storici dell'arte
prestassero la loro attenzione a un tipo di arte eseguita esclusivamente
da semplici artigiani.
Nel 1841 uno storico dell'arte toscano, Antonio Zobi, realizzò una
ricerca sul commesso marmoreo fiorentino e ne rese noti i risultati
pubblicando nel 1853 un volume che ancor oggi sta alla base delle
conoscenze moderne su questo tipo di tecnica1.
Il commesso marmoreo è una derivazione di un particolare tipo di mosaico
chiamato opus sectile o mosaico a sezioni, di origine romana (III
secolo d.C.), nel quale il disegno da rappresentare veniva formato da
tessere di varie dimensioni, di marmo o vetro, tagliate e accostate nel
modo voluto.
2. Benedetto
Corberelli, Lapidazione di santo Stefano, paliotto dell'altar
maggiore. Venezia, Santo Stefano.
Il mosaico a sezioni si trasformò nel XVI secolo in commesso di pietre
dure e divenne una delle attività principali degli artigiani attivi alla
corte medicea nell'ultimo decennio del secolo2.
La manifattura fiorentina, fondata da Ferdinando I de' Medici nel 1588,
si caratterizzò per gli straordinari risultati e per i suoi splendidi
lavori3.
È utile ricordare che accanto a imprese architettoniche di straordinaria
bellezza e preziosità il commesso marmoreo venne impiegato nella
realizzazione di manufatti d'arredo quali tavoli, stipi, inginocchiatoi,
caminetti, quadri, reliquiari, cassette portagioie, bicchieri, coppe,
vasi e bottiglie.
3. Scuola dei
Corberelli, San Gerardo Sagredo, paliotto dell'altare Sagredo.
Venezia, San Francesco della Vigna.
Totalmente diversi
sono la diffusione e l'impiego di questa tecnica in ambito veneziano.
L'utilizzo del commesso marmoreo a Venezia è esclusivamente relativo
alla decorazione di alcuni paliotti d'altare.
La mancanza assoluta di vasi, coppe, bicchieri o bottiglie può forse
essere giustificata, a mio avviso, dalla presenza della fiorente
industria del vetro allora in piena attività la quale opera a tutt'oggi
nell'isola di Murano; non vi è, invece, una vera e propria
giustificazione per quanto riguarda lo scarso utilizzo del commesso
marmoreo in altri settori4.
A Venezia l'esecuzione degli altari avveniva con l'intervento e la
collaborazione di numerose corporazioni quali "mureri" (muratori),
"marangoni" (falegnami), "fabri" (fabbri) e "tagiapiera" (tagliapietre);
quest'ultima svolgeva il ruolo più importante5.
È importante sottolineare che non vi era una corporazione specializzata
nella tecnica del commesso marmoreo: nei documenti d'archivio consultati
la corporazione dei tagliapietre viene infatti identificata con quella
dei commettitori di pietre dure.
L'esecuzione dell'opera in commesso veniva realizzata mediante lo stesso
procedimento tecnico a Firenze come a Venezia. Il pittore o l'architetto
ideatore del progetto dell'altare eseguiva un disegno a colori del
paliotto, quasi sempre in dimensioni reali; dal modello pittorico6
veniva ricavato un lucido su cui si operava per suddividere la
composizione nelle varie sezioni costitutive. Una delle caratteristiche
peculiari del commesso marmoreo è proprio di far risaltare le varie
parti accostate con grande precisione in modo da far risultare le
commettiture quasi invisibili.
Lo 'sceglitore di macchie', avendo a disposizione tante 'fette' di
colori diversi operava una scelta cercando la tonalità più adatta,
quella che nella sfumatura naturale della pietra si avvicinasse il più
possibile alla sezione del modello dipinto.
Dopo aver fissato la 'fetta' prescelta in una morsa si procedeva al
taglio che veniva eseguito mediante l'uso di un filo sottilissimo in
acciaio rivestito di rame sul quale veniva versato un abrasivo. Se la
'fetta' si trovava al margine del blocco di marmo era semplice iniziare
la sagomatura del disegno, ma se il pezzetto di marmo o di pietra si
trovava all'interno, si doveva praticare un foro nel punto iniziale del
taglio e ivi introdurre il filo di rame.
Ritagliati i contorni di ogni elemento, composta così la figurazione del
modello pittorico e controllata la perfetta aderenza tra le
commettiture, si disponeva l'opera su di un piano di comodo così che la
parte a vista risultasse adagiata sul fondo. Quindi si procedeva alla
spianatura del retro del paliotto, con dell'abrasivo a grana grossa,
cercando sempre che le due facce fossero e rimanessero perfettamente
parallele; in seguito veniva preparata una colla, formata in genere da
una parte di colofonia e tre di cera d'api, la si metteva a scaldare e
si versava il composto caldo sopra la parte rovescia del commesso. Dopo
alcuni giorni la lastra di comodo veniva tolta e si procedeva alla
pulitura della parte a vista che si presentava come una superficie
opaca, occorreva quindi agire con abrasivi sempre più fini sino ad
arrivare a uno stato di semi lucidatura. La lucidatura completa era
raggiunta fregando la superficie con spoltiglio e lastre di piombo
oppure con tamponi rivestiti di robusta tela7.
4. Giuseppe Pozzo,
Estasi di santa Teresa e vasi di fiori, paliotto dell'altare di
Santa Teresa. Venezia, Santa Maria di Nazareth, degli Scalzi.
Si accennava più sopra che lavori eseguiti in commesso marmoreo a
Venezia ve ne sono pochi, principalmente infatti si riferiscono alla
decorazione degli altari. Alcuni di essi presentano caratteristiche
iconografiche simili, ideate dallo stesso autore o dovute all'intervento
di una medesima scuola.
L'altare maggiore della chiesa di Santo Stefano, a esempio, ha
moltissime caratteristiche iconografiche simili all'altare Sagredo della
chiesa di San Francesco della Vigna: mentre il primo viene attribuito
con certezza allo scultore Benedetto Corberelli, il secondo, a causa
della sua esecuzione meno concettuosa ed elegante, viene attribuito alla
sua scuola.
Mi preme sottolineare che in nessun saggio specialistico, libro o guida
di Venezia si trovano segnalati questi tipi di manufatti.
L'identificazione degli altari in commesso infatti si è potuta attuare
solo con la ricerca da me condotta in tutte le chiese veneziane.
L'interesse e la curiosità verso questa tecnica mi ha spinto a
interessarmi dei tipi di marmi che costituiscono i paliotti, in questo
modo ho potuto rilevare che gli altari veneziani sono composti da una
notevole quantità di rocce8.
Le rocce
utilizzate negli altari in commesso marmoreo a Venezia
Attraverso le analisi mineralogiche fatte mediante raggi X e lo
studio petrografico al microscopio di alcuni campioni, si è riusciti ad
avere un elenco dei materiali litici che venivano utilizzati nel
commesso marmoreo veneziano durante il periodo barocco9.
I materiali impiegati
comprendono una notevole varietà di rocce carbonatiche, silicee e alcune
pietre semi preziose, i quali si possono classificare nei tipi
litologici che qui seguono10
L'AFRICANO. È una breccia costituita da frammenti marmorei di varia
forma e dimensione inseriti in un cemento scuro che volge talora al
nero, al verde, al bruno e al rosso. Del suo luogo di provenienza nulla
si sapeva fino a qualche anno fa, è grazie a una équipe di studiosi
inglesi che nel 1966 si scoprì la cava di africano in Asia Minore a Teos.
L'ALABASTRO CALCAREO.
Originato per una deposizione chimica di bicarbonato di calcio; si trova
sia in depositi superficiali concrezionali, sia come riempimento di
cavità di rocce calcaree. Proveniva in massima parte dall'Egitto e dai
territori delle attuali Tunisia e Algeria.
Il CALCEDONIO. La
varietà fibrosa del quarzo nota come calcedonio costituisce una gamma
assai vasta di pietre. Le varietà più diffuse e apprezzate sono la
corniola e l'agata. La corniola è una roccia dura e compatta che può
essere utilizzata come gemma semi preziosa. La più lodata è quella di
Sardegna, poi quella dell'Epiro.
Il DIASPRO. Roccia
quarzosa analoga per durezza e composizione al calcedonio di origine
organica, si distingue per la sua opacità. I diaspri più famosi sono
quelli provenienti dalla Liguria e dalla Sicilia.
Il GIALLO MORI. È un
calcare del Trentino, si presenta come fondo ambrato con chiazze
regolari più scure e spinate di media durezza. Viene molto usato in
ambito veneto, mentre nel commesso fiorentino veniva preferito il giallo
di Siena.
Il LAPISLAZZULO.
Pietra semipreziosa dal caratteristico color azzurro oltremare intenso
costituita in prevalenza da sodalite e punteggiata da minuti cristalli
di pirite. La qualità e coloritura più intensa e uniforme proveniva
dall'Afganistan ed era definita "lapislazzulo di Persia".
La MALACHITE. È
costituita in prevalenza da carbonato di rame e mostra una struttura
concrezionale con striature regolari che sfumano dal verde brillante a
toni assai cupi.
Il MARMO VERDE
AOSTANO. È una roccia a struttura brecciata con elementi di serpentinite
di color verde e cementata da vene bianche prevalentemente costituite da
calcite. Si cava tuttora in varie località della Val d'Aosta tra cui
Champ de Praz.
Il MARMO DI CARRARA.
Marmo bianco a grana fine, compatto, con struttura cristallina a mosaico
che conferisce alla pietra la sua tipica luminescenza. È in assoluto il
marmo più usato nei commessi marmorei veneziani, poiché fa da base o da
cornice a tutte le composizioni in commesso.
Il NERO VARENNA. È un
calcare più o meno carbonioso di colore nero, con struttura venata a
vene bianche calcitiche.
Il PARAGONE. Selce
nera, a grana molto compatta. Nei documenti tutti i marmi neri dei
lavori in commesso vengono indicati come paragone anche se si tratta di
marmi di tipo diverso.
Il PORTORO. È un
calcare brecciato con pigmentazione carboniosa cementato da vene di
color giallo aranciato costituite da calcite e limonite. Si estrae dal
Monte Castellana in provincia di La Spezia.
Il ROSSO DI FRANCIA.
È un calcare micritico fossilifero brecciato cementato da vene di
calcite. La cava è tuttora usata a Caunes Minervois nella regione dell'Aude
della Francia.
Il ROSSO LEVANTO. È
un'oficalce di aspetto rosso sanguigno a venature chiare, rosse e
violacee. Si trova nelle cave intorno a Levanto.
Il ROSSO DI VERONA. È
un calcare fossilifero di colore rosso aranciato proveniente dal
veronese. È caratterizzato dall'inconfondibile disegno dei resti di
ammoniti.
L'altare di Santa
Teresa nella chiesa degli Scalzi a Venezia
Pochi come si accennava più sopra sono gli studi che si occupano dei
paliotti decorati in commesso marmoreo11. Ho condotto uno
studio di tipo storico artistico e tecnico sull'altare maggiore della
chiesa di Santa Maria del Giglio, di quello di Santo Stefano e su due
altari laterali nelle chiese di San Francesco della Vigna e degli
Scalzi, rispettivamente Sagredo e di Santa Teresa. Intendo approfondire
in questa sede l'altare di Santa Teresa.
A Santa Teresa è dedicato un altare molto importante e prezioso situato
nella seconda cappella laterale destra della chiesa degli Scalzi.
Lo storico Luigi Ferrari scrive: "...per erigerla gli stessi padri
soggiacquero a gravi spese"12; ma sappiamo anche che molte
nobildonne si riunirono in una "Congregazione delle Dame"13 e
insieme contribuirono all'edificazione dell'altare in maniera quasi
determinante tanto che l'iscrizione, riportata dal Cicogna e incisa
sull'altare dice: "FIAC/ DEVOTIONIS OPUS / CONGREG./ NOB.M.M./
S.TERESINA"14.
La cappella è molto ricca di marmi, il pavimento è rivestito di portoro
e di rosso di Verona, le porte laterali sono realizzate in rosso di
Francia e di Bardiglio.
5. Famiglia
Corberelli; Vaso di fiori, pannello sinistro dell'altare di Santa
Giustina. Padova, Santa Giustina.
6. Marmi che
compongono il pannello laterale sinistro dell'altare di Santa Teresa.
Venezia, Santa Maria di Nazareth, degli Scalzi.
Documenti manoscritti
ci informano che il 29 maggio del 1670 veniva stipulato un contratto per
l'erezione della cappella di Santa Teresa: "Illustrissimo Signor Bortolo
Zen di S. Pantalon vi obligo di fabricar nella chiesa dei Padri
carmelitani Scalzi una cappella cioè la grande che segue alla cappella
di S. Giovanni Battista in honore della serafica Vergine S. Teresa, et
il sito d'essa et spese sia fatto dai Padri Carmelitani". Il tutto
firmato "Fra' Giuseppe Pozzo" 15.
Vi sono in seguito segnati l'intera somma dei ducati che il tagliapietre
Bortolo ha ricevuto come acconto o saldo per il lavoro eseguito.
Successivamente entrò a far parte del cantiere un certo Giovanni della
Torre, anch'egli tagliapietre, ma con mansioni assai differenti rispetto
al Bortolo, il Della Torre si occupava dei ponti necessari per le
fondamenta della cappella, si legge infatti: "Havuti dal Signor Anzolo i
ponti per le fondamenta della cappella numero 50. Agosto 1671"16.
Dai documenti d'archivio si apprende ancora che: "Adì 25 marzo 1698 si
obliga il Signor Enrico Meyring scultore di fare la statua di Santa
Teresa nella chiesa dei Carmelitani Scalzi et angelo di grandezza più
del naturale con puttino che mostrerà un cartello per l'iscrizione et il
resto secondo il dissegno concertato col P. Giuseppe Carmelitano Scalzo
tuto fatto di sua propria man con la maggior sua diligenza et arte; darà
finita l'opera di punto, e perfettionata con la maggior bellezza sarà
possibile nel termine di circa otto mesi et anco più presto se potrà,
sicchè per la festa di S. Teresa prossima ventura, che casca il 15
ottobre 1699 debba esser posta sopra l'altare: il tutto per il prezzo di
ducati 500 e tra questi compresa la pietra di marmo del più fino che
importerà per un valore non più di 200 ducati"17.
L'autore della cappella e dell'altare di Santa Teresa è Jacopo Antonio
Pozzo, laico carmelitano, autore anche dell'altare maggiore, dell'altare
della famiglia Manin e dell'altare ligneo situato in sacrestia nella
medesima chiesa. Di lui sappiamo che nacque a Trento il 13 aprile del
1645 e che durante la sua adolescenza si era dedicato alla scultura
lignea.
Si trasferì per un lungo periodo a Roma, dal 1692 al 1696, dove divenne
alunno del fratello Andrea, impegnato in quegli anni a elaborare i due
libri della Prospectiva pictorum et architectorum. I continui
contatti con il fratello favorirono l'acquisizione degli elementi
barocchi romani che egli in seguito avrebbe importato a Venezia. In
questi anni Jacopo Antonio Pozzo indossò gli abiti religiosi e divenne
fra' Giuseppe18.
A lui vanno attribuiti altri altari nella stessa chiesa degli Scalzi
oltre alla realizzazione dell'altare maggiore della chiesa dei Gesuiti
di splendida fattura, simile come impostazione architettonica all'altare
maggiore della chiesa degli Scalzi.
Il paliotto dell'altare di Santa Teresa è composto in tre pannelli:
quello centrale rappresenta la Santa in procinto di cadere in estasi,
quelli laterali raffigurano un vaso di fiori. Si rimane colpiti per la
finezza dell'esecuzione e la raffinatezza dei particolari, e per quanta
e quale cura il Pozzo abbia prestato alla scelta dei materiali.
I pannelli laterali sono composti da rocce dello stesso tipo, ma gli
elementi figurali sono diversi, soprattutto nella disposizione e nei
colori dei fiori, da questo si desume che non è stato utilizzato lo
stesso "cartone" per l'esecuzione dei due riquadri.
L'altare di Santa Teresa non è l'unico decorato con vasi di fiori, un
altro esempio è l'altare maggiore della chiesa veneziana di Santo
Stefano.
Senza dubbio risulta intrinseca una simbologia degli elementi
decorativi, poiché questi si prestano a essere interpretati. In passato
san Giovanni della Croce aveva considerato "il fiore immagine delle
virtù dell'anima e la cultura dei fiori e dei frutti ci riporta alla
mente il paradiso terrestre"19 proprio nella seconda metà del
XVI secolo in tutta Europa cominciano a essere illustrati i libri di
botanica. Si pensi agli artisti nordici come Hoefnagel e Daniel Froeschl
autori di illustrazioni di numerosi trattati botanici e agli artisti
italiani come Filippo Palladini e Jacopo Ligozzi illustratori di
moltissimi trattati botanici custoditi tutt'oggi all'Accademia dei
Georgofili20.
Non dimentichiamo infine che proprio nel XVII secolo le piante e i fiori
diventano i soggetti di moltissimi dipinti dando vita a quel genere di
'natura morta' che avrà molta diffusione durante il periodo barocco.
Marilena Mosco mette in evidenza come "il sogno dell'uomo è quello di
un'immersione piena in una natura eternamente primaverile, dove i fiori
sono creature viventi di giovinezza, eletti a incarnare la modestia, la
bellezza, il sorriso, la gioia e il dolore"21.
Decorare gli altari con vasi di fiori non è una caratteristica
riscontrabile solo negli altari veneziani ma anche in quelli fiorentini,
lombardi e veneti, in particolare nei paliotti della chiesa di Santa
Giustina a Padova, eseguiti dalla famiglia Corberelli.
La famiglia Corberelli era di origine fiorentina e si era venuta
specializzando in altari in commesso portando la propria esperienza a
Padova, a Vicenza, a Verona e a Brescia creando dei magnifici paliotti
intarsiati. Un componente della famiglia, Benedetto Corberelli, sostò e
lavorò a Venezia ideando lo splendido paliotto di Santo Stefano22.
La presenza del Corberelli a Venezia in questo periodo avrebbe fatto sì
che si formasse una bottega che in seguito si sarebbe occupata anche
dell'altare di Gerardo Sagredo a San Francesco della Vigna.
Ritornando all'altare di Santa Teresa è utile soffermarsi
sull'accuratezza con cui è stato ideato il pannello centrale: nel pur
ristretto spazio figurale a disposizione fra' Giuseppe Pozzo riesce a
creare l'effetto di una profonda scena prospettica. Per la sua
articolata impostazione spaziale il pannello può essere apprezzato come
un piccolo quadro barocco.
Il primo particolare di rilievo è l'effetto creato dalle giunture di
marmo bianco cristallino del tavolo sul quale si appoggia la santa.
Queste fanno sì che il tavolo sembri coperto da un panno cascante e
danno la sensazione di movimento. Sul tavolo, sopra un drappo dorato,
quasi sullo sfondo, sono situati tre libri, visti in prospettiva, nei
quali si può persino contare il numero delle pagine. Nella parte
sinistra del tavolo si vedono un piccolo calamaio e una penna d'oca che
la Santa tiene saldamente in mano nel momento dell'estasi. Anche la
veste della santa è stata ricavata dall'accostamento di 'fette' di
piccole dimensioni accostate in modo da creare un delicato effetto di
panneggio svolazzante.
Sullo sfondo, il cui spazio scenico viene ampliato grazie
all'inserimento di una tenda, appaiono nuvole cumuliformi anch'esse
ottenute con pezzi di marmo di dimensioni e colore diversi, tra esse
vola una colomba.
Santa Teresa è ritratta in leggera torsione nell'attimo che precede la
visione, poiché ci appare più stupita che in estasi. I tipi di rocce
impiegati nell'intero paliotto non sono molti: il giallo Mori, il rosso
di Francia, il bianco di Carrara, il nero del Belgio, il nero Varenna,
la breccia rossa, ma sono state scelte macchie di colore
sufficientemente diverse dello stesso tipo litologico in modo da creare
una sapiente e suggestiva composizione sia dal punto di vista degli
accostamenti cromatici che della costruzione spaziale. L'identificazione
dei materiali lapidei risulta importante per un eventuale restauro dei
manufatti in commesso marmoreo, in quanto bisogna tener conto della
composizione geofisica delle rocce dato che si devono affrontare
problemi relativi al loro comportamento nei pro-cessi di alterazione.
L'altare di Santa Teresa, a esempio, presenta un'evidente decolorazione
della roccia nera del fondo e una consistente alterazione del marmo che
fa da base al vaso di fiori.
Conoscere con precisione il tipo di marmo nero di cui è formato l'altare
significa capire subito la causa della sua depolarizzazione che, nel
caso specifico, è 1'umidità.
L'umidità è il pericolo principe per tutte le rocce: attraverso le
infiltrazioni d'acqua il marmo può subire anche delle trasformazioni
cromatiche anomale peggiorando il riconoscimento del tipo litologico.
Lo studio del marmo si è sviluppato negli ultimi anni anche grazie alla
collaborazione tra storici dell'arte e geologi, malgrado ciò, in alcuni
casi, risulta comunque difficile stabilire con sufficiente sicurezza
l'esatta identificazione.
Alla fine di questo studio sento il dovere di ringraziare per la
collaborazione e la disponibilità offertami la dottoressa Giuseppina
Perusini e la professoressa Piera Roda Spadea, per le preziose
informazioni suggeritemi il dottor Ettore Merkel della Soprintendenza ai
Beni Storici Artistici di Venezia, per la cortesia e i sempre preziosi
consigli il professor Giuseppe Maria Pilo, per la sua gentile
disponibilità la dottoressa Lea Salvadori Rizzi e tutto il personale
della biblioteca del Museo Civico Correr.
Cristina Scarpa
Note
1 A. Zobi,
Notizie storiche sull'origine e progressi di lavori di commesso in
pietre dure, Firenze 1853, pp. 139-140.
2
Gli artisti attivi in questo periodo sono riuniti in diverse botteghe
artistiche situate agli Uffizi e venivano controllati direttamente da
Ferdinando I de' Medici (1549-1609), cfr. A. Zobi, Notizie storiche...
cit., Firenze 1853, p.180.
3 A. Zobi, Notizie storiche ... cit., Firenze 1853, p.
186.
4 A Venezia il commesso marmoreo risulta applicato
esclusivamente nella costruzione di paliotti d'altare tuttavia vi è uno
stemma segnalatomi dal dottor Merkel, posto sulla tomba della famiglia
Contarini nella basilica dei Frari che è eseguito con la tecnica del
commesso. E. Merkel, Commessi di Benedetto Corberelli a Venezia,
in "Quaderni di Venezia Arti Roma 1992, pp. 178-181.
5 Per un ulteriore approfondimento relativo all'arte dei
tagliapietre è utile consultare i saggi di A. Sagredo, Sulle
consorterie delle arti edificative, Venezia 1856, pp. 281-310; C.A.
Levi, Notizie storiche di alcune antiche scuole d'arti e mestieri...,
Venezia 1856, pp. 140-151; G. Monticolo, I capitolari delle arti
veneziane sottoposti alla Giustizia Vecchia, Roma 1914, pp. 249-258;
G. Caniato - M. Dal Borgo, Le arti edili a Venezia, Roma 1990,
pp. 159-178.
6 Il modello pittorico in antico era quasi sempre realizzato
su carta ma a partire dal XVIII secolo prevale l'olio su tela, E Rossi,
Il commesso e la glittica all'opificio delle pietre dure, in
"Splendori di pietre dure", catalogo della mostra, Firenze 1988, p. 276.
7 Queste e importanti notizie sulla tecnica del commesso
marmoreo si possono trovare nei saggi di A. Zobi, Notizie storiche...
cit., Firenze 1853, pp. 4-33; A.M. Giusti, Il museo dell'opificio
delle pietre dure a Firenze, Milano 1976, pp. 269-277 e A.M. Giusti,
Pietre dure, Torino 1992, pp. 273-293.
8 In una classificazione merceologica con il termine marmo si
definiscono tutti i materiali litici in genere, mentre per una corretta
classificazione petrografica si definiscono con il termine rocce tutti i
marmi.
9 Grazie alla collaborazione della professoressa Piera Roda
Spadea, docente presso la facoltà di Agraria dell'Università di Udine,
sono riuscita a determinare il tipo di rocce utilizzate nei paliotti
durante il periodo barocco. Di alcune rocce sono state eseguite anche le
analisi al microscopio e ai raggi X.
10 Le informazioni che riguardano il luogo di provenienza
della roccia sono tratte da R. Gnoli, Marmora romana, Roma 1988,
p. 26 e L. Lazzarini, I materiali lapidei dell'edilizia storica
veneziana, in "Restauro e città" 3/4, 1986, pp. 93-100.
11 Questa affermazione è condivisa anche dal dottor Ettore
Merkel della Soprintendenza ai Beni Storici Artistici, responsabile del
restauro dei manufatti in commesso marmoreo esistenti in città.
12 L. Ferrari, I Carmelitani Scalzi a Venezia, Venezia
1882, p. 25.
13 A.S.V., Scalzi, busta 9.
14 L'iscrizione è riportata da G. Bianchini, La chiesa di
Santa Maria di Nazareth detta degli Scalzi; Venezia 1894, p. 18.
15 A.S.V.,
Scalzi, busta 10.
16 A.S.V.,
Scalzi, busta 10.
17 Ibidem.
18
Ulteriori informazioni sulle opere di Jacopo Antonio Pozzo si trovano
nel saggio di F. Casagranda, Uno sconosciuto architetto d'altari:
Jacopo Antonio Pozzo, in "Palladio", VII, 1958, p. 78.
19 J. Chevalier - A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli,
Milano 1986, p. 449.
20 Queste e altre interessanti notizie di carattere botanico
si trovano nel saggio di M. Mosco, Coltura dei fiori con i Medici,
in "F.M.R.", 100, 1993, p. 20.
21 M. Mosco, Coltura dei... cit., in "FMR", 100, 1993,
p. 16.
22 M. Massa, Benedetto Corberelli, in Dizionario
biografico degli italiani, XXVIII, Roma 1983, pp. 710-713.
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