Cristina Cortese

La regia della luce in Carpaccio

 

 

 

 

1. Vittore Carpaccio, Arrivo degli ambasciatori inglesi presso il re di Bretagna, 1495 ca, particolare.

Venezia, Gallerie dell'Accademia.

 

 

Carpaccio è artista che ci immette in modo sospeso ed entusiasta nelle favole veneziane miracolose e vere, magiche per la nuova ambientazione creata dalla spazialità più profonda fatta di architetture aperte, articolate con finestre, scale, dai contrasti di luci e ombre, dai mille colori, dalla miriade di simboli, oggetti meravigliosamente descritti in modo da farci pensare, sognare e immaginare mondi anche estranei alla città di Venezia: per esempio, la villa Belfiore di Lionello d'Este fuori Ferrara, la città di Costantinopoli con le sue cupole dove i veneziani avevano loro piazzeforti per gli scambi commerciali almeno fino al 1453, i porti di Ancona e di Rodi; mondi stranieri e tuttavia collegati alla città lagunare. Queste e altre inesauribili conoscenze, desunte da libri o da descrizioni orali, vengono comunque trasferite dall'artista in una pittura nuova, che rispondeva a esigenze di realismo inteso come completamento di quelle tendenze naturalistiche innovatrici del tardo Trecento. Tali tendenze confluiscono sia nella pittura italiana che fiamminga nella scoperta quattrocentesca dello spazio infinito come unità del visibile: spazio visibile, secondo Alberti, mentre per Cennini il pittore doveva «trovare cose non vedute». Spazio strutturato dalla prospettiva è quello italiano, spazio atmosferico è quello nordico che cattura l'attenzione dello spettatore attraverso i particolari descritti in modo lenticolare in tutto il dipinto. In Italia l'artista rivolge l'attenzione allo spazio struttura, nel Nord allo spazio rappresentazione. L'invenzione è sempre convalidata dalla verità storica.

La pittura di Carpaccio risulta nuova anche perché tale era il supporto della tela e nuova la luminosità scintillante del colore a olio, da poco introdotto a Venezia, che diventerà corrente dopo il 1475 con l'uso dei teleri.

Una tale rappresentazione pittorica dipende dal contributo di un certo numero di pittori. 1. La nuova sintesi spaziale prospettica resa più vitale dalla vibrazione di luce/colore di Piero della Francesca, che, in particolare, Antonello da Messina aveva portato sulla laguna nel 1476 con la pala di San Cassiano; 2. La conoscenza di Carpaccio della pittura fiamminga o indiretta attraverso Ferrara, dove nel 1450 era passato Roger van der Weiden, o forse attinta grazie alla bottega di Jacometto Veneziano, o comunque per la presenza a Venezia fin da circa il 1440 di opere di pittori fiamminghi, per esempio Van Eyck e Memling, conosciuti a Venezia, il primo grazie soprattutto alla mediazione di Antonello, il secondo perché presente forse con alcune opere, a esempio il dittico dei Santi Giovanni Battista e Veronica di Pietro Bembo. 3. Il dispositivo teatrale delle scene a mansiones che inquadrano un palcoscenico dove la conquista della prospettiva equivale a un nuovo senso della realtà grazie anche alla conoscenza delle scansioni del Perugino, spesso a Venezia dal 1494 quando gli era stato commissionato un telero per Palazzo Ducale mai realizzato, ma autore di quello intitolato il Miracolo delle navi Vendramin per la Scuola di San Giovanni Evangelista. Vorrei qui tentare un'immersione nella pittura per cercare se non di decodificare, almeno di saper guardare i colori e i loro rapporti in modo da capire come viene costruendo lo spazio dipinto il nostro pittore, attingendo alle novità dei contemporanei e all'esperienza dello spazio veneziano del Quattrocento ormai consapevole delle possibilità illusionistiche della pittura e quindi portato a esprimere attraverso effetti di luce e colori gli scarti tra realtà e finzione e tra realtà e soprannaturale. Barasch ha rilevato come Cennini, nel suo trattato, avesse sottolineato l'importanza della luce sotto due aspetti: 1. «che non potessi avere la luce dalla man tua o a tuo modo», cioè il grado di luminosità e l'angolo d'incidenza della luce e, dall'altro lato, «se la luce prosperasse cum finestra che fusse maggiore d'altra che fusse nÈ detti luoghi», ossia la luce intesa come mezzo che consente di rendere visibili i corpi e la pittura e di conseguenza, a sua volta mezzo per farli apparire conformi alle condizioni della luce naturale, dando così rilievo e illusorietà alle cose dipinte, secondo la tendenza naturalistica dell'epoca.

Antonello porta a Venezia una nuova spazialità con la pala di San Cassiano, dove la nitidezza dei volumi semplici, la maestà della forma modellata dalla luce, la morbidezza della carne nuda contro la preziosità del broccato o lo scintillare dell'armatura dimostrano come una pittura fatta di contrasti e di realismo minuzioso creasse nuovi giochi, nuove possibilità alla rappresentazione calata nel reale come il gusto del tempo richiedeva. La novità del nuovo apporto antonelliano comprenderà la costruzione delle immagini, anche tecnica: i colori vengono miscelati con l'olio e l'essenza di trementina, anche se bisogna dire che Carpaccio appare piuttosto affascinato dagli effetti di tale novità che adottarla in toto in quanto egli usa ancora una tecnica mista con la tempera. Sembra che la tecnica del colore a olio fosse stata adottata da Van Eyck perché, messa ad asciugare al sole una tavola dipinta a tempera all'uovo, come era allora in uso, questa si era tutta screpolata, spingendolo a sperimentare una nuova pittura. Adottò l'olio di lino che essiccava lentamente, anche all'ombra, e permetteva di correggere continuamente il dipinto lasciando la superficie liscia e brillante. La pittura a olio arriva a Venezia circa la metà del secolo; sfruttando la sua potenzialità, si creavano continui riflessi anche perché il colore veniva steso per tratti successivi trasparenti su fondo bianco, così che le zone più luminose erano più sottili, nelle zone delle ombre vi erano strati più densi per arricchire il colore senza opacizzarlo con il nero.

Antonello, che fu il principale diffusore della tecnica di Van Eyck, stendeva una prima patina su tavola preparata a gesso duro, poi su una mano d'olio cotto o colla stendeva i colori e vi passava infine un'altra mano d'olio di lino per ottenere una leggera fusione. Lasciava essiccare e definiva ulteriormente le forme usando quale diluente l'essenza di trementina.

Nel San Girolamo nello studio di Antonello, quadro visto da Marcantonio Michiel in casa di Antonio Pasqualigo, emerge la maestria tecnica della resa della luce nel gioco di riflessi delle piastrelle del primo piano, nel graduale diffondersi della luce dalle finestre come nei quadri di Memling, e infine nel paesaggio luminosissimo del fondo contro l'ombra molto scura del muro in controluce. Carpaccio riprende questo contrasto ombra/luce per creare con enfasi teatrale il contrasto tra primo piano e sfondo; a esempio, nella scena dell'arrivo degli ambasciatori presso il padre di Orsola, dando maggior respiro alla spazialità antonelliana: infatti, al colore chiaro corrispondono gli azzurri, le ocre, le terre; allo scuro nero, i rossi porpora, i verdi e i blu dei velluti.

Negli sfondi di questo come di altri teleri l'artista riprende l'atmosfera veneziana: la città e la laguna con le isole, l'acqua, i riflessi, le architetture codussiane dai marmi chiari modulati e venati dagli effetti della luce mobile. Ma a fianco di questa sensibilità tutta lagunare per i colori, i riflessi, le luci e le ombre, i veneziani svilupparono la tecnica a olio dei fiamminghi in modo particolare, introducendo resine molli per poter usare supporti più duttili come la tela, tanto diffusa in città per i noti problemi di umidità; inoltre, non è ancora così esclusivo l'uso del colore a olio; si continua anzi a usare il colore a tempera, come nel caso delle Due dame del Correr + Caccia in valle, dipinti su supporto ligneo. Qui Carpaccio, come nell'Arrivo degli ambasciatori ora alle Gallerie dell'Accademia, usa un supporto di gesso e colla con imprimitura di biacca.

Macinare i pigmenti era la prima operazione che i giovanissimi artisti imparavano in bottega: venivano pestati sul granito o sul vetro e lavorati fino a diventare vellutati «avvisandoti chi sono i colori più gentili, e più grossi, e più schivi». I colori venivano macinati con l'olio di lino o di noce, venivano poi aggiunte resine a caldo che, a seconda della quantità del diluente, li rendeva più fluidi o trasparenti o rapidi nell'essiccazione cosicché anche la pennellata poteva essere più sciolta. La tavolozza di Carpaccio comprende azzurrite molti verdi a base di rame, malachite, cinabro (a base di mercurio), minio, lacca viola, gialli a base di piombo e stagno, ocre gialle e brune, terre, biacca per il bianco, bitume per il nero.

Purezza e luminosità fin dal Medioevo erano qualità divine, e lo si vede nei fondi oro dei mosaici dei soffitti marciani, ma già Cennini, l'abbiamo visto, si era interessato più all'illuminazione che alla luce vera propria, del modo di trattare luce e colore separatamente. Le figure dei santi e dei nobili si riconoscevano dai colori degli abiti e dai gioielli che indossavano. Sicillo Aroldo, nella dedica del suo trattato dei colori, dice chiaramente che, a quella data (il testo è circa il 1450), pur essendo conosciuto ancora il valore simbolico dei colori degli abiti e delle livree «molti accozzano colori insieme, e fanno livree, che non sanno più delle volte quello che venghino poi a significare», e quindi afferma che è importante «sapere quanti colori sono nell'armi, e come sono disposti, e sapere ancora, che vi sono dui metalli principali, e quattro colori che sono sei in tutto, e che di questi sei mischiati insieme, se ne cava 'l settimo». È chiaro allora che si sta perdendo, anche se fa parte di un sapere di tradizione medioevale, il valore simbolico del colore a favore di una conoscenza più diretta della realtà che rende i corpi più reali, più volumetrici. Orsola, nell'incontro col principe Ereo, sfoggia perle intorno alla scollatura, simboli profani di Venere nata dalle valve di un'ostrica nel mare e di Maria che ha concepito il Cristo pari a una perla nata dalla conchiglia. Nei teleri di sant'Orsola Carpaccio usa colori/guida per necessità espressive che richiamano alla realtà a lui contemporanea: il rosso e il nero sono colori dei procuratori di San Marco, come Ermolao Barbaro nell'incontro a Roma con il papa. Il verde/rosso, coppia di complementari, è indossata dal principe inglese Ereo e dal padre nel telero con la già ricordata doppia scena della partenza e dell'arrivo, azzurro infine è l'abito di Orsola nella prima scena e di un azzurro molto chiaro è l'abito dell'angelo nella scena del sogno, blu resta il manto di Orsola nelle altre scene, come il manto della Madonna, segno di amore divino puro e celeste. Una scena di effetto cromatico espressionista è quella dell'arrivo dei fidanzati dal papa, dove sopra le loro teste le mitre bianche si contrappongono ai berretti rossi dei cardinali: i colori dell'amore vergine dietro ai fidanzati culminano con gli stendardi e infine con il cielo aperto, mentre la figura del papa è sovrastata dal color marrone sfondo del mausoleo severo. Lo stesso può dirsi della scena con il gruppo di suonatori in San Giorgio battezza i Seleniti, nella quale sono state poste in relazione la varietà della scena con la visualizzazione della musica; osserverei che è quasi timbrico il valore dei colori rossi/verde scuro, bianco/rosato/arancio. Infine, per distinguere i due gruppi dei Bretoni cristiani e degli Inglesi pagani nel ciclo di sant'Orsola, Carpaccio fa indossare ai personaggi delle due parti copricapi: tocchetti neri veneziani per indicare le classi alte di entrambe le parti, berretti di feltro e cappelli a falde larghe indicano gli stranieri, i cappelli a falde larghe piumati sono inglesi. Ma, oltre a questa attenzione per i colori che raccontano microstorie nella storia, Carpaccio riesce a dare un contesto spaziale a tali simboli sparpagliati attraverso una regia sapiente e oculata.

 

 

2. Vittore Carpaccio, Il sogno di sant'Orsola, 1495. Venezia, Gallerie dell'Accademia.

 

 

4. Vittore Carpaccio, Natività di Maria, 1504-1508. Bergamo, Accademia Carrara.

 

 

Nella prima scena delle Storie di sant'Orsola, la tripartizione tipica della rappresentazione teatrale si arricchisce del contrasto fortemente chiaroscurato tra lontananza lenticolare luminosissima, a sinistra e al centro, e stanze, aperta quella al centro, come un perimetro in un portico, chiusa quella a sinistra. Altre stanze chiuse sono nel Ritorno de-gli ambasciatori dal re inglese e il Sogno di Orsola, lo Studio di sant'Agostino e la Natività della Vergine di Bergamo, ma di queste parleremo più avanti. Basti sottolineare come lo sfondo della veduta di Venezia tardo quattrocentesca, con gli effetti cromatici luminosi, si contrapponga al primo piano in cui domina il nero/rosso/verde scuro/blu dei comparti di centro a sinistra, quasi un accostamento tra colonne marmoree e i tessuti. Un'altra contrapposizione è determinata dalla diversa diffusione della luce tra la descrizione accuratissima dei particolari, a esempio le foglie degli alberi, del tessuto della parete, dei riflessi delle figure sul fondo, di contro allo spazio della stanza, dove avviene il colloquio tra padre e figlia: qui la luce parte dalle fonti, finestra e porta, in modo da colpire il viso della santa e il lenzuolo bianco da un lato, l'abito azzurro e la tenda rossa del letto dall'altro. La figura del padre resta metà in luce e metà in ombra, quasi a sottolinearne la scelta dettata da una volontà superiore nell'una e la perplessità terrena nell'altra. Tali scene restituiscono immagini non solo gradevoli, ma realistiche, grazie alla resa pittorica, agli effetti cromatici e al continuo variare delle vibrazioni luminose, sempre impaginate in un contesto strutturato dalla profondità prospettica. I colori immersi nella luce diurna, trasparenti nelle ombre, scintillanti di bagliori, caricano di una forte espressività le immagini dipinte, attirando l'occhio come in una scatola magica.

E stato Memling che, pur svolgendo le sue storie in vedute nordiche più o meno inventate, si rivela un grande maestro nella rappresentazione degli scorci di paesaggi con città, con il succedersi continuo di finestre, logge, scene d'interni in spaccato come nella Deposizione di san Giovanni Battista (1479) di Brugge o nella Passione di Torino. La luce entra soffusa, filtrata dai vetri se diurna, da fonti interne se artificiale, a creare un raffinatissimo gioco di effetti chiaroscurati, di grande suggestione. Infine, per alleggerire le scene di quanto di variamente gotico ancora conservavano e creare una nuova unità più ricca e complessa, articolata da ombre dirette e portate, Memling studia la luce che entra nella stanza attraverso le finestre.

Cennini, nel capitolo IX del Libro dell'arte, aveva scritto:

 

se per ventura t'avenisse, quando disegnassi o ritraessi in cappelle, o coloressi in altri luoghi contrarii, che non potessi avere la luce dalla man tua o a tuo modo, seguita di dare el rilievo alle tue figure, o veramente disegno, secondo l'ordine delle finestre che truovi in detti luoghi [...].

 

Nella Madonna con devoto e sant'Antonio abate (1472) di Ottawa, si vede la luce entrare da una finestra a croce e diffondersi nella stanza, ovattando le pareti e il pavimento, ma creando anche un netto contrasto tra la parete in controluce scura da un lato e il velluto del trono e il pavimento chiari dall'altra, mentre in primo piano balza il rosso vermiglio della Madonna, nella zona luminosa, il bruno dell'abito del committente e il nero del saio dell'abate, nella parte in ombra. Il velluto oro/rosso è di fattura veneziana con la classica pigna entro i meandri, mentre l'abito della Madonna presenta una ricca rifinitura di perle, rubini e zaffiri che richiamano le rifiniture delle vesti bizantine simboliche di amore celeste e di amore terreno.

Ritroviamo la stessa luce diffusa nell'Annunciazione di New York (1489): il gioco tra la parete in controluce scura, marrone, e la finestra chiara crea una scatola luminosa dove dal rosso vermiglio del letto modulato dalle ombre più scure e dal noce chiaro del mobile emerge, per contrasto, il blu scuro del manto e quindi l'abito bianco con ombre surreali della Madonna e degli angeli, al quale si oppongono il piviale broccato e la tonaca dell'arcangelo. Non possiamo perciò non pensare che Carpaccio avesse visto direttamente una tale pittura perché da essa prende le mosse la sua costruzione dello spazio interno dove la luce proviene da più fonti luminose e non tutte reali.

 

 

3. Vittore Carpaccio, Miracolo della reliquia della Croce, 1494, particolare. Venezia, Gallerie dell'Accademia.

 


Nella scena del Miracolo della reliquia della croce (1494-96) ora alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, tra il contrasto della campitura dell'acqua plumbea e quella del cielo con colori azzurro rosati, si diradano le architetture di color neutro biancastro rossastro rosato come una fascia di separazione sottolineata dal ponte ligneo, mentre ovunque si dispongono le piccole figure dai colori più saturi e brillanti che colpiscono l'occhio con i loro rossi, neri, verdi, blu, broccati e, soprattutto, i bianchi, quasi particelle di uno scintillio
magico. L'artista ha esperienza della realtà attraverso la vista, attraverso quanto l'occhio può percepire ed è vicino all'idea espressa dal Morato laddove afferma che tutto è nero e solo la luce vivifica la realtà come verità rivelata «[...] Come se rimiriamo all'oggetto del sole, la arena, li minuti calcoli, et lapilli scintillando ne paiono bianchi da lungi e nondimeno sono neri, et come anco li Atomi che all'oggetto del sole paiono di oro, et sono neri [...]».

La spazialità urbana si articola in una scena ben profilata attraverso una prospettiva molto profonda, non solo per l'attenzione ai particolari simbolici, ma soprattutto per la trascrizione delle sue particolari cromie particolari con la stessa puntigliosa precisione del pittore fiammingo. In effetti, se guardiamo il reliquario di Sant'Orsola di Basilea (ante 1489) di Memling, il linguaggio è diverso, più nordico, così come le vedute dello sfondo richiamano le città tedesche, in particolare Colonia le cui torri sono riprodotte dal vero. L'arrivo dei fidanzati dal papa è impaginato in un contesto più vicino allo spazio prospettico italiano rispetto al resto del racconto, ma nonostante ciò è ancora troppo fantastico, è debole rispetto alla citazione di Castel  Sant'Angelo di Carpaccio.

Riprendendo il discorso già accennato sulla diffusione della luce e sulla rappresentazione delle stanze in Memling, va detto che esse richiamano le «scatole prospettiche» trecentesche e fanno da sfondo non solo a molti suoi dipinti, ma anche a esempi fiamminghi precedenti come, a esempio, i quadri di Jan van Eyck, La Madonna del cancelliere Robin (1435), La Madonna col Bambino di Dresda (1437), ma soprattutto I coniugi Arnolfzni (1434) dove la luce solare si diffonde in tutta la stanza descrivendo tutti i particolari. Così anche in Carpaccio, nella scena del colloquio tra il padre e Orsola, dove però la stanza si risolve in uno scomparto scenografico apparentemente a margine.

Nel Commiato degli ambasciatori inglesi (1495) la luce entra molto chiara alle spalle del re di Bretagna, colpendo in pieno l'ambasciatore inginocchiato e toccando parte della parete, mentre il portone nella parete di fondo apre un'altra fonte luminosa che si articola nello sfondo con scale e un alto portale fino al cielo. L'incrociarsi di luci nella stanza crea una luminosità diffusa leggermente contrastata dall'ombra sulla sinistra, a fianco del re, e a destra nella porta aperta.

Nella stanza del Sogno di sant'Orsola, invece, nella zona in penombra a sinistra, le luci dirette e surreali, provenienti da destra, creano un ambiente raccolto e illuminato da una luce simbolica soprannaturale, quella dell'angelo, la cui ombra indica la direzione della narrazione, mentre la bifora di fondo non pare far entrare molta luce ma è chiara per lo sfondo del cielo, quasi fosse introdotta a mettere in evidenza i garofani e il mirto, simboli d'amore coniugale. Più luminosa appare la parete colpita dalla luce proveniente dall'altra bifora, a cominciare dalla luce della sfera direzionale sul soffitto. La composizione è costruita in modo che la luce metta in evidenza degli oggetti simbolo e gli eventi di significato simbolico. La stanza, come una «scena sfacciata» (Zorzi), è il contesto costruito in modo da essere valorizzato come campo d'azione dei virtuosistici giochi di abilità del pittore che, in effetti, riesce a rendere «l'intimità dell'ambiente destinato a rimanere inviolato». Le tonalità abbassate per ingrigimento, olivastre marrone nei muri si accendono nei colori saturi, rossi e verdi/azzurri, in un gioco di contrasto di toni simultanei, generando un'armonia di compostezza classica. Nella stanza della Visione di sant'Agostino (1502), infine, Carpaccio riprende lo schema della Flagellazione di Piero della Francesca, nota attraverso le informazioni orali indirette avute dal Pacioli a Venezia nel 1470 e nel 1508, dopo che il matematico era stato alla corte di Urbino.

È interessante vedere come Carpaccio sviluppi la sua ricerca sulla luce soprannaturale nello spazio reale. Come ha ben messo in evidenza Gentili, è questa una luce che si definisce «luce simbolica» per la reazione del santo e va sempre intesa come luce diurna che, entrando dalla finestra, senza segnare il percorso, attraversa la stanza, colpisce direttamente la parete opposta, lasciando in ombra (tagliata solo dalle fessure delle finestre) la parete in controluce. Luce/ombra sono effetti entrambi della luce superiore e parte integrante di essa; senza la luce non c'è l'ombra e senza l'ombra non si può vedere e definire chiaramente la luce del sole. I colori dominanti sono sempre il contrasto rosso/verde modulato verso un rosato dal colore chiaro del pavimento, quasi che l'oro/rosso del tessuto veneziano usato come uno stemma simbolico da Memling diventi qui il colore dell'atmosfera dello spazio che definisce la stanza.

Nella Nascita della Vergine del ciclo della scuola degli Albanesi (1504-1508), ora a Bergamo all'Accademia Carrara, la scatola della stanza si apre da una lato con il letto dove è coricata sant'Anna, dall'altra una lunga sequenza di porte aperte invia luci da un lato o dall'altro a dare il senso della profondità: il focolare di una cucina, via via fino a un esterno con una torre. I colori sono i più vari: verdi, azzurri, rossi, blu, ma più deboli gli effetti di luce/ombra per cui lo spazio risulta meno carico di enfasi teatrale. Prevale un gioco di colori più semplice e naturalistico, ma meno magico. Si direbbe che, con l'ingresso nel nuovo secolo, le novità luministiche non si trovino più nello spazio radioso della verità rivelata, se pur intimo e realistico come quello fiammingo, ma piuttosto là dove si valorizzano gli aspetti dell'ombra, i colori dell'umidità che uniscono creature e terra, i colori complementari che generano armonia e unità, il pensiero neoplatonico che apre la nuova stagione del Rinascimento.

 

 

Cristina Cortese

 

 

 

P.S.: Nel testo corrente sono state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.

 

 

 

 

ARTE Documento  N°14                                                                 © Edizioni della Laguna