Il "museo temporaneo"
di palazzo Leoni Montanari a Vicenza
Adriana Augusti
1. Pietro da Parma, Bartolomeo da Bologna, Antonio di Giovanni e
Francesco di Contino, Reliquiario della Croce, 1435-1453. Padova,
cattedrale, sacrestia dei Canonici, armadio del Tesoro.
Come ogni anno, l'appuntamento settembrino a palazzo Leoni Montanari a
Vicenza, ha trasformato le sale della sede centrale del Banco
Ambroveneto in un eccezionale 'museo temporaneo', le cui opere,
restaurate grazie alla liberale sponsorizzazione della banca, occupano
un arco di tempo che va dal XIV-XIII secolo a.C., con tre raffinate
spade dell'età del bronzo, al XVIII secolo d.C., con le due tele di
Giovan Battista Tiepolo della Scuola Grande di San Rocco.
Sono frammenti di storia veneta, di un lungo arco di tempo, recuperati
non soltanto alla grande cultura figurativa, ma alla storia più in
generale di questa regione, secondo quella filosofia del restauro che
caratterizza gli interventi del Banco, che impronta ugualmente
l'attività delle tre soprintendenze competenti nei rispettivi territori,
di Venezia, per i beni artistici della città lagunare, del Veneto, per i
beni artistici della terraferma e ancora del Veneto per le opere
archeologiche.
2. Scultore del XV
secolo, Ritratto di san Bernardino da Siena. Venezia, San Giobbe.
Così, accanto ai dipinti e alle sculture delle
'firme'
più prestigiose, appaiono opere di artisti il cui nome è meno noto al
pubblico non specialista, ma che documentano alcuni essenziali passaggi
nella cultura figurativa veneta, nella disinvolta volgarizzazione dei
modi dei maggiori maestri. Tra questi, l'interessante pala con San
Bartolomeo in trono e i santi Pietro e Giovanni, di Masi, opera di Dario
Varotari, più noto come padre di Alessandro, il Padovanino, in cui
emerge chiaramente la componente veronesiana prevalente
nell'impaginazione compositiva, ma anche, nello scorrere veloce della
luce sulle pieghe delle vesti, una sicura conoscenza dei modi di
Tintoretto.
3. Vittore Carpaccio,
San Paolo, 1520. Chioggia, San Domenico.
4. Vittore Carpaccio, San Paolo, 1520, particolare Chioggia, San
Domenico
Di più ampio respiro il trittico della parrocchiale di
Poiana Maggiore, firmato e datato 1642, opera di fra' Semplice da
Verona, dove le componenti venete, più figurative che formali, si
sfumano in una più marcata cadenza bolognese, dove traspare una chiara
parlata reniana nei toni cromatici e perfino nel lontano caravaggismo
della parte centrale è sottolineata da un cromatismo acceso e caricato
nelle ombre degli stessi toni, come nell'Abramo visitato dagli angeli, o
nei colori freddi, sotto il riflesso di una luce livida, come nell'Agar
e Ismaele. E a completare il percorso cronologico dei dipinti, il
Ritratto di Francesco Benaglio di Pompeo Batoni appartenente alla
Biblioteca Capitolare di Treviso, in cui la cultura classicheggiante, di
derivazione romana, ma già quasi alle soglie del neoclassicismo, almeno
di quello europeo, proietta l'artista in una dimensione internazionale
del tutto nuova.
5. Jacopo Tintoretto,
Cristo risorto, san Cassiano e santa Cecilia, 1565. Venezia, San
Cassiano. Prove di pulitura.
6. Jacopo Tintoretto,
Cristo risorto, san Cassiano e santa Cecilia, 1565. Venezia, San
Cassiano.
Accanto ai dipinti, una problematica scultura della chiesa veneziana di
San Giobbe, raffigurante San Bernardino, ormai vecchio, cui il restauro
ha restituito una quasi intatta originaria policromia, opera forse di un
artista padovano, di non eccezionale qualità, che tramita tuttavia
caratteri toscani, volgarizzazioni da Donatello, in un ambito
provinciale.
7. Manifattura
tosco-emiliana e manifattura veneta, Cartaglorie, XVI-XVII
secolo. Venezia, Scuola Grande di San Rocco.
Una serie di opere 'minori', eccezionali lavori di oreficeria sacra,
caratterizzano anche questa edizione delle "restituzioni" ambrosiane:
spiccano tra queste la coperta dell'icona della Madonna Artacosta,
di San Samuele a Venezia, lavoro di orafi bizantini paleologi, con
aggiunte più tarde di orafi veneziani; il Reliquiario della Croce,
del Tesoro del Santo a Padova, dove nella struttura architettonica
ancora gotica, si innestano forme e figure rivelatrici di caratteri di
un più aggiornato gusto rinascimentale, che attinge a tutte le fonti
contemporanee padovane; e le carteglorie di San Rocco, in argento e
tartaruga, delle quali la centrale, di raffinatissima esecuzione, appare
precedente alle due laterali e con innesti, come la stessa figura del
santo, successivi. Non ultima, una grande scultura d'argento di San
Liberale, del Museo Diocesano di Treviso, realizzata come ex voto
al santo protettore della città per la cessazione della disastrosa peste
del 1630 dal maestro orafo veneziano Andrea Balbi, le cui iniziali sono
incise sulla statua stessa e sulla spada del santo. La grande asta
processionale della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, in legno
intagliato e dorato con foglia di "oro fino", cioè superiore a 23
carati, oro quindi più da oreficeria che da decorazione, dipinta nella
tela con il Miracolo della Croce di Giovanni Mansueti, nel ciclo
della Sala dell'Albergo della stessa Scuola, ricorda ancora una volta
come ogni intervento volto a recuperare un'opera d'arte, in senso lato,
recuperi anche un momento del nostro passato, sottraendo alla
distruzione del tempo ciò che il tempo sottrae alla memoria di ciascuno
e alla memoria collettiva dell'umanità.
ARTE Documento
N°9
©
Edizioni della Laguna