Erich Schleier
Una tarda Allegoria della Vanità di Guido Cagnacci
1. Guido Cagnacci,
Allegoria della Vanità e della Penitenza. Collezione privata.
3.
Guido Cagnacci, Allegoria della
Vanità e della Penitenza, particolare.
Scopo di questa nota è di presentare un dipinto inedito di Guido
Cagnacci (figg. 1, 3), che non solo è un capolavoro, ma ha grande
importanza perché funge come legame, come cerniera tra due composizioni
e invenzioni ben note dell'artista, l' Allegoria della Vanità e della
Penitenza e la Vita Umana. Ciascuna delle due invenzioni era
finora nota attraverso tre versioni dipinte. In primo luogo il nuovo
quadro sembra essere nient'altro che una ulteriore versione della già
nota Allegoria della Vanità e della Penitenza conosciuta in tre
versioni. La prima versione è il quadro del Musée de la Picardie di
Amiens, olio su tela di cm 70 x 64, datato generalmente verso il 1640.
Il secondo è quello della Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena, olio
su tela di cm 74,3 x 60, collocato generalmente circa il 1645, cioè nel
periodo forlivense-faentino dell'artista; il terzo, generalmente
considerato il più bello e il più maturo, è quello della collezione
Nelson Shanks di Andalusia, PA, USA, olio su tela di cm 66 x 573 (figg.
2, 4) che generalmente viene collocato nel periodo veneziano verso il
1655.
2. Guido Cagnacci,
Allegoria della Vanità e della Penitenza,
particolare.
4. Guido Cagnacci, Allegoria della
Vanità e della Penitenza. Andalusia, PA, USA, collezione Nelson
Shanks.
È, questa, l'unica
fra le tre versioni a essere firmata. È anche l'unica versione la piena
autografia della quale non fu mai contestata, mentre lievi dubbi circa
l'autografia delle due altre versioni furono avanzati da Brogi e Benati
(1993) e da Ficacci (1996). L'autografia della versione cesenate fu però
presto ribadita da Mazza e da altri.
Tutte le tre versioni raffigurano una donna nuda a mezza figura. La mano
destra è piegata in alto e tiene una rosa e un soffione. Resta su una
zona d'ombra creata da essa sull'incarnato del corpo. Nelle versioni di
Amiens e di Nelson Shanks quella zona d'ombra finisce con il bordo
inferiore della tela, quindi la mano sembra quasi appoggiarsi sul bordo
inferiore. La versione di Cesena è invece più alta di alcuni centimetri
rispetto alle due altre versioni e mostra una composizione più estesa in
basso. La mano destra riposa sull'ombra che essa crea sul corpo, ma
sotto l'ombra il corpo bagnato nella luce continua. In questo
particolare il quadro di Cesena si differenzia dalle versioni di Amiens
e di Shanks. D'altra parte nella versione di Amiens la mano sinistra,
ch'è appoggiata sul teschio, è resa più visibile, si vede un pezzo in
più del dorso della mano. Il presente quadro, che si trova in una
collezione privata, è anch'esso firmato in basso a destra. Si
differenzia nettamente dalle tre versioni a mezza figura in quanto
rappresenta la stessa figura, ma a tre quarti di figura. Infatti le sue
misure - cm 115 x 94 - sono notevolmente più grandi. L'estensione della
composizione della Vanitas verso il basso, cioè verso la vulva
coperta da un drappeggio grigio, e la parte alta delle gambe, è
realizzata in un modo che fa rassomigliare il presente quadro alla
Vita Umana, un'altra invenzione del Cagnacci. Il prototipo di quella
composizione fu probabilmente il quadro che viene menzionato con questo
titolo dallo Zanotti (1739) in casa del senatore Magnani a Bologna.
Anche di questa composizione sembrano esistere tre versioni, di cui
l'unica vista in tempi recenti è il quadro ora a Ferrara nella
Fondazione Cavallini-Sgarbi (fig. 5).
5. Guido Cagnacci,
Allegoria della Vita Umana, Ferrara, Fondazione Cavallini-Sgarbi.
Sembra la migliore
fra le tre ed è l'unica a essere firmata. Pasini (1986) aveva schedato
tre versioni, che hanno misure diverse; ma, quando scrisse la sua
monografia, non aveva potuto vedere nessuna delle tre. Il quadro
Cavallini-Sgarbi sembra identico alla terza versione elencata da Pasini,
a giudicare dalle misure. Pasini propose una datazione nel periodo
veneziano. Recentemente però il Pulini ha retrodatato la versione
Cavallini-Sgarbi agli anni quaranta.
Un elemento compositivo che lega particolarmente il quadro qui
presentato con la Vita Umana, è la posa manierata della mano
destra che reca anch'essa i due fiori, la rosa e il soffione, ma è
girata un po' diversamente. La posizione dei due fiori rispetto al
braccio destro è analoga a quella nelle tre versioni della Vanitas
a mezza figura, mentre nella Vita Umana la loro posizione è
differente. Anche la disposizione del panneggio, con cui la vulva è
coperta, è paragonabile, anche se diversa nell'andamento delle pieghe.
Sembra quindi che il quadro qui presentato presupponga la conoscenza del
prototipo della Vita Umana o viceversa.
Per quanto riguarda il rapporto tra il presente quadro e le tre versioni
della Vanità a mezza figura, il nuovo quadro indubbiamente si accosta
più al quadro della collezione Nelson Shanks, sia per la resa nobile del
volto, similissimo, sia per il tono dorato dell'incarnato del corpo -
notevolmente più scuro che nel quadro di Cesena - sia per il modellato
morbidissimo: in breve, per la più matura resa pittorica.
Siamo quindi propensi a collocare il presente quadro nel periodo
veneziano del pittore, come fu proposto da Pasini e Brogi per il quadro
Shanks. Se tale ipotesi è corretta, il quadro qui pubblicato presenta
una specie di sintesi matura tarda delle due invenzioni nate prima, nel
quinto decennio, cioè la Vanitas e la Vita Umana.
Erich Schleier
ARTE Documento
N°22 2006
©
Edizioni della Laguna
P.S.: Nel testo corrente sono
state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.