Grande Guerra: “diario pittorico” di Italico Brass
Annalia Delneri
“Nacque a Gorizia il 14 dicembre 1870. Assai presto si manifestarono in lui i segni di un grande amore per la natura e di una vivace disposizione per l’arte. Suo padre gli lasciò la libertà di assecondarla. Il giovane Brass si recò pertanto all’Accademia di Monaco di Baviera, ma quel sistema di insegnamento non appagando il suo ardore, [maturò in lui la decisione] di trasferirsi a Parigi per continuarvi gli studi. Qui prevalse ancora la sua brama di libertà, sicché abbandonò la Scuola e si diede a lavorare all’aria aperta”. Così Italico Brass riassumeva gli anni della sua formazione presentandosi nel catalogo della Mostra dei quarant’anni della Biennale (Venezia 1935), organizzata nei Giardini di Castello nel 1935, che ospitava una sua significativa retrospettiva di quarantatre dipinti. Amore per la natura, innata predisposizione per l’arte e brama di libertà: sono i tratti salienti di un autoritratto che rivela la profonda conoscenza di sé dell’artista, una consapevolezza che fin dalla giovinezza lo aveva portato a ricercare orizzonti più vasti di quelli offerti dalla nativa Gorizia. Infatti, appena diciassettenne, partì dalla “Nizza austriaca” per iniziare l’apprendistato a Monaco di Baviera, dove si iscrisse all’Accademia di Belle Arti seguendo i corsi di Karl Raupp, noto pittore di paesaggio. Una scelta sintomatica che dimostra con quanta determinazione il giovane Brass perseguisse la via a lui più consona, accantonando la “pittura di storia e di figura” – genere al vertice della piramide gerarchica degli studi accademici - per volgersi istintivamente a quanto di nuovo offriva il panorama artistico della capitale europea in cui era approdato. Questo nuovo era rappresentato soprattutto da “Le réalisme” di Gustave Courbet e della scuola di Barbizon che, presenti nelle esposizioni internazionale di Monaco del 1869 e del 1879, avevano suscitato un vivo interesse in molti artisti tedeschi. Tra questi Wilhelm Leibl, autore di opere raffiguranti temi tratti dalla vita contadina della campagna bavarese dipinte con rara fedeltà ottica, fu indubbiamente un punto di riferimento per Italico Brass, determinando la sua decisione di recarsi a Parigi, che certamente rappresentava le posizioni più avanzate della pittura europea. Dal 1888 al 1895 fu nella capitale francese dove ebbe modo di confrontarsi con le più diverse esperienze e tendenze: seguì gli insegnamenti di William Bouguereau e Jean Paul Laurens, frequentò regolarmente i Salons, ma stabilì anche contatti con il tardo impressionismo francese affinando la variegata pluralità di sollecitazioni con una peculiare sensibilità personale, seguendo quasi istintivamente il principio di Courbet di non voler essere allievo di nessuno se non della natura. Alcuni studi di nudo datati 1888 e 1889, un ritratto maschile ed uno femminile datati 1890 (già collezione Italico Brass) documentano l’attività strettamente accademica dell’artista, per quanto nei ritratti emerga già un affrancamento dalle rigide regole dell’aula. Brass cercava la sua via e “prevalse ancora la sua brama di libertà, sicché abbandonò la Scuola e si diede a lavorare all’aria aperta”, una scelta che lo portò ad interrompere più volte il soggiorno parigino per brevi puntate nei luoghi natali e nella laguna di Venezia, documentati da diversi paesaggi goriziani e dalla Chioggiotta, datata Venezia 1891. Nella sintetica autobiografia del 1935 il pittore riferiva: “A Chioggia, ispirandosi ai tipi di quei vecchi pescatori ideò il suo primo quadro ‘La briscola’, che piacque al Salone di Parigi del 1894 [1893 n.d.r.], comparve l’anno appresso nella I. Internazionale di Venezia e venne più tardi acquistato dalla Galleria Marangoni di Udine. A codesto quadro fecero seguito ‘Via Crucis’, esposto alla III. Internazionale di Venezia e acquistato da S. M. Umberto I per la Galleria d’Arte Moderna della nostra città; ‘Cappuccini’ e ‘Per le calli di Chioggia’ acquistati dal Comune di Gorizia per quel Museo. Il Brass è anche autore di ritratti, fra cui il ‘Ritratto di mia moglie’ che figurò degnamente nell’Esposizione mondiale di Parigi del 1900”. La devozione alla realtà che caratterizza la tela raffigurante La briscola, capolavoro giovanile di Brass, rimanda agli insegnamenti dei maestri parigini, ma palesa nell’apertura della finestra sullo sfondo, vero quadro nel quadro, il precisarsi dell’interesse del pittore per la veduta a soggetto veneziano: una calle con i panni stesi alla finestra colta nella luminosità dell’aria e dell’acqua che “brucia” i contorni dell’immagine rendendola in filigrana con rara efficacia evocativa. Affascinato da Venezia e dalla luce della laguna, Italico Brass vi si stabilì nel 1895, dopo essersi sposato a Parigi con Lina Vidgoff. I successivi due decenni, fino all’inizio della Grande Guerra, furono per l’artista anni di intenso lavoro durante i quali giunse alla piena maturità espressiva con il progressivo abbandono del realismo di matrice oltremontana degli esordi in favore di uno stile più libero e visionario. Testimonianza di questa evoluzione personale sono le numerose vedute veneziane, come il Ponte del Redentor (1909; Venezia, Ca’Pesaro) o la Processione sulla laguna (1910; Milano, Castello Sforzesco), che andarono sostituendo, nel repertorio dei soggetti prediletti dall’artista, i ritratti e le composizioni di genere degli anni giovanili. Nel 1910 la Biennale di Venezia gli dedicò una personale decretandone il successo internazionale. Nell’entusiastica presentazione dell’artista, Ugo Ojetti (Catalogo della IX Esposizione, 1910, p. 30) descriveva “la sicura maestria del taglio dei suoi quadretti e la svelta eleganza che è come il sorriso dell’arte sua […] vi si narra ogni cosa di Venezia all’aria aperta: la tombola del campiello, il giorno del bucato, la merenda a San Nicoletto, la scuola dei merletti, i burattini a San Polo [Santa Margherita], la neve, il carnevale, le maschere, il passeggio in piazzetta […] si pensa a Francesco Guardi […] Italico Brass che ha per l’arte sua e per Venezia una religione e una passione senza riposo”. Nel 1914 tenne una importante mostra personale alla Galleria Georges Petit di Parigi e, nel 1918, la Galleria Pesaro di Milano organizzò una notevole esposizione di centoventicinque opere dell’artista a soggetto veneziano. Nel 1935 la Biennale di Venezia gli dedicò la mostra sopra ricordata e, nel 1937, la Galleria Martina di Torino allestì una rassegna di quarantacinque dipinti dell’artista. Nell’immediato dopoguerra Italico Brass acquistò la Scuola Vecchia dell’Abbazia della Misericordia - gravemente danneggiata durante il periodo bellico - dedicandosi per anni al radicale restauro del complesso. Questa importante opera di recupero si inseriva nell’instancabile attività dell’artista in campo culturale: un impegno volto alla conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio artistico di Venezia che, negli anni tra le due guerre, lo vide attivo come componente della Commissione edilizia del Comune e come membro del Comitato di Soprintendenza dei Civici Musei di Venezia. Appassionato ed intelligente conoscitore e collezionista della pittura del Cinque, Sei e Settecento, Brass fu anche chiamato a far parte del comitato scientifico delle mostre dedicate ai protagonisti del panorama figurativo cinquecentesco veneziano da Tiziano a Tintoretto a Veronese, tenutesi nella città lagunare rispettivamente nel 1935, 1937 e 1939. Italico Brass si spense nella sua casa di San Trovaso il 16 agosto 1943.
*** L’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, evento di cui nessuno poteva immaginare la portata, fu per Italico Brass un periodo di totale coinvolgimento che si tradusse nell’impegno morale e nello spirito etico con cui interpretò il ruolo di reporter dal fronte. Ottenuto dal Comando Supremo l’incarico di realizzare studi e schizzi delle zone di combattimento, intraprese un lungo viaggio al seguito dei mezzi in servizio nella zona della Terza Armata, seguendo con trepidante passione l’avvicinamento a Gorizia e fermando nel suo “diario pittorico” le immagini di quelle memorabili giornate che dovevano ricongiungere la sua città natale all’Italia, anelito profondamente radicato nel suo animo e auspicato nel suo stesso nome. Il “diario pittorico” della Grande Guerra di Italico Brass inizia il 24 maggio quando l’artista, raggiunta Cervignano, segue d’appresso i reparti della Terza Armata che iniziavano l’avanzata sul fronte del Basso Isonzo e del saliente di Gorizia. Assecondando un modo di fare istintivo e meditato allo stesso tempo, che lo aveva accompagnato tutta la vita e rilavabile tanto nei paesaggi giovanili dell’Isontino, quanto nelle vedute di Venezia ripresa nelle immagini della vita quotidiana, l’artista si rivela un osservatore partecipe e attendibile. Non solo. Infatti, Italico Brass rivela una capacità progettuale che lo fa procedere dalla rapida annotazione dei bozzetti dei “paesaggi di guerra”, colti negli aspetti fisici ed umani e ripresi sul campo, alla successiva rielaborazione su tela degli stessi, in vista di una ricostruzione complessiva degli eventi. Come da sempre evidenziato da Giuseppe Maria Pilo, questo particolare atteggiamento rappresenta uno degli aspetti fondanti dell’arte di Italico Brass: la concretezza, l’adesione alla realtà delle cose nel loro effettivo consistere, il rapporto costante con il “vero”, avvertito come condizione necessaria per una pittura che sia specchio autentico del presente. La sua stessa evoluzione stilistica, dal realismo giovanile all’ “impressionismo” del primo decennio del nuovo secolo riflette la costante ricerca di un linguaggio che si rinnova per rendere efficacemente la realtà, che nel maggio 1915 si presentava come momento di svolta epocale: la realizzazione dell’ideale irredentista della famiglia e dell’uomo Brass. La tensione ideale faceva partecipare l’artista in prima persona al conflitto e lo portava a guardare agli scenari di guerra con lo sguardo di chi ne riprende lo svolgimento quotidiano con occhio pressoché distaccato. La critica ha quasi sempre insistito sull’intonazione tutt’altro che epica delle sue tele, erroneamente interpretate come paesaggi che riflettevano l’interesse prevalente dell’artista per i monumenti storici e la contemplazione della natura. Oggi, considerando complessivamente la sua produzione durante il periodo bellico, questo giudizio va sicuramente rivisto per una lettura delle opere più aderente allo spirito del pittore, le cui intenzioni venivano peraltro da lui stesso chiaramente espresse nella nota introduttiva della cartella Sulle orme di San Marco data alle stampe nel maggio 1917: “Sulle orme di San Marco: questo il simbolo, questa la forte speranza degli Italiani soggetti all’Austria, questo l’intento della Nazione che reclama la sicurezza dei suoi confini, questa la linea che mi guidò nel tracciare l’opera fatta con amore d’arte e di patria; opera che idealmente s’unisce con le battaglie e le glorie e le memorie che saranno il retaggio più alto degli Italiani d’oggi alla storia avvenire. Vorrei che essa fosse tale da consacrarla alla memoria di coloro che caddero, di coloro che soffrirono, di coloro che s’immolarono al sacrificio supremo per liberare le terre della loro terra, per redimere il sangue del loro sangue; vorrei che nelle immagini dei luoghi e degli uomini fosse rispecchiato il carattere dei paesi […] E se le forze non mi sono bastate per affidare all’arte tutta la piena entusiasta del mio cuore e se non ho potuto disporre dei mezzi adeguati all’impresa in modo da riuscire degno dell’idea in omaggio alla quale ho lavorato, do tuttavia alla pubblicazione questo mio primo saggio come asserzione di fede nei destini dell’Italia nostra, come professione di riconoscenza verso chi mi ha ridata la mia Gorizia, come espressione di certezza nel compimento prossimo e sicuro delle sacre aspirazioni della Nazione”. La cartella, sottotitolata Alle porte di Gorizia, fu pubblicata con l’approvazione del Comando Supremo e comprendeva le tavole riproducenti, in ordine cronologico, i dipinti più significativi realizzati da Italico Brass dal maggio 1915 all’agosto del 1916 (nn. 1-20 di questo catalogo). Le tavole non sono impaginate come soggetti per un’impresa di esaltazione retorica, ma come “paesaggi di guerra”, resoconti di vita contemporanea dove l’artista fissa l’istante in cui si svolge il singolo episodio e i soldati, impegnati nell’azione o colti nei momenti di riposo nelle retrovie, si fondono con i luoghi diventando protagonisti dell’epopea del quotidiano raccontata da Italico Brass. Con pennellata rapida, schizzando direttamente le scene su tavolette di legno poco ingombranti e facili da trasportare, l’artista annotava luoghi ed eventi, seguendo un procedimento documentato da alcuni bozzetti già parte del suo archivio. Quando la sua presenza sul luogo dell’azione era impossibile, il pittore vi ritornava nei giorni successivi per rendicontare fedelmente gli eventi: così, ad esempio, la località Tre Ponti presso Cervignano (scheda n. 1) non fu ripresa nel momento in cui vi passavano i bersaglieri ciclisti ma in un tempo immediatamente successivo, come prova il bozzetto raffigurante la località che fu utilizzato per le redazioni definitive su tela in cui sono state aggiunte le figure dei bersaglieri, anch’esse sicuramente basate su studi dal vero. Da Cervignano ad Aquileia dove l’entrata delle truppe italiane il 25 maggio (scheda n. 2) è sintetizzata nello scorcio della principale via della cittadina in cui irrompono due lancieri al galoppo mentre un uomo con due bambini sul portone di casa segue l’azione togliendosi il cappello in segno di saluto. La stessa veduta con la via costeggiata da antiche case e dai muri degli orti, il giardinetto ombreggiato dai gelsi nella piazzetta antistante la basilica e il maestoso campanile di Popone sullo sfondo documenta la vita quotidiana dei soldati nelle retrovie, nei tempi di “riposo” che si alternavano al tempo passato in trincea, quando si occupavano dell’organizzazione della vita militare, dai magazzini ai depositi ed officine dove venivano riparati o sostituiti i mezzi ed i materiali usurati dalla guerra. Luoghi monumentali come la Porta Udine di Palmanova divengono lo scenario della zone di guerra e l’artista concentra l’attenzione sull’arrivo della camionetta della Croce Rossa preceduta da un lanciere al galoppo che tiene sgombra la strada, mentre altri militi compiono gesti legati alle necessità immediate come il trasporto dei sacchi di pane e delle marmitte con il cibo. Nei primi mesi di guerra sul fronte dell’Isonzo tra Gorizia e il mare stazionarono oltre mezzo milione di soldati italiani ed ogni piccolo centro ne accolse a migliaia: nel bellissimo bozzetto Campolongo, soldati nella piazzetta retrostante la chiesa, Brass restituisce l’immagine del paese – vi alloggiavano quasi dodicimila uomini – con le pergole di vite piantate nei muri delle antiche case raccolte attorno alla chiesa e all’alto campanile con la cuspide e la torre campanaria che riprendono le linee del vicino modello aquileiese e, nella chiara luce della mattina estiva, l’andirivieni dei soldati di cavalleria. Il pittore annota il trascorrere dei giorni di guerra soffermandosi anche su aspetti periferici, apparentemente marginali, come i Forni da campo nella stazione di Udine di cui è stato possibile esporre in questa mostra sia il bozzetto preparatorio che la versione definitiva (schede nn. 26-27). In altri dipinti il pittore racconta e interpreta gli avvenimenti attraverso una sorta di obiettivo che gli consente di riprendere i soldati nei loro atteggiamenti di vita comune: Fucilieri in riposo, Accampamento, Spettacolo per soldati al fronte. Giorno dopo giorno, le battaglie sull’Isonzo si susseguono: “epiche giornate di lotta in cui pare che dalle zolle fangose perennemente fumighi il sacro sangue dei morti e sulle colonne marcianti al fuoco aleggino come numi tutelari le anime degli eroi sacrate alla vittoria”. La durezza di una guerra che non aveva precedenti emerge già nelle prime giornate del giugno 1915 quando le truppe, prima della I battaglia dell’Isonzo (23 giugno -7 luglio 1915), sono inquadrate Sotto il temporale, in marcia verso la linea di fuoco (scheda n. 9) e passano incuranti davanti alla bella chiesa parrocchiale di Muscoli affiancata da cipressi. Le battaglie dell’estate 1915 costituirono un duro banco di prova e l’Esercito Italiano nell’assalto dei primi ciglioni carsici sperimentò la tenacia della resistenza austriaca che, con l’avanzare dell’autunno, divenne ancora più difficile da piegare. Anche la quarta ed ultima offensiva italiana del primo anno di guerra (IV battaglia dell’Isonzo, 10 novembre – 2 dicembre 1915) iniziò sotto il temporale ed Italico Brass restituisce il cupo cielo di quei giorni nell’opera raffigurante il Sottopassaggio presso Sdraussina - Le truppe che avanzano faticosamente nel fango (scheda n. 14) dove il sottopassaggio ferroviario di grigia pietra d’Aurisina si staglia contro il plumbeo cielo novembrino acquistando le dimensioni di un lugubre, gigantesco arco da cui si diparte il sentiero che porta all’inferno della prima linea alle falde del San Michele. È una visione di spietata lucidità in cui l’artista, senza ricorrere alla facile retorica di immagini eroiche e riprendendo le truppe di spalle, rende conto dell’altissimo costo della guerra. Il “vero” dei campi di battaglia si coglie anche nell’ammassamento su un piano ravvicinato dei Prigionieri austriaci sul Carso scortati dalla cavalleria (scheda n. 12) dove, sullo sfondo di un paesaggio connotato dall’esile tronco di un albero che campeggia contro l’ampio cielo offuscato da grevi nubi di fumo, uomini senza volto acquistano dignità nel silenzio e nell’immobilità della resa. La dolorosa realtà della guerra si rivela nelle immagini dense di profonda commozione che Italico Brass dedica ai sepolcri dei caduti dipingendo il silenzio tra i cipressi del Cimitero di Aquileia dominato dalla maestosa abside della basilica (scheda n. 13), ma anche gli umili camposanti di campagna e le desolate distese di terre disseminate di croci con una corona d’alloro al cento: “Ogni reparto aveva un camposanto nelle retrovie. Ce n’erano tanti! Come fiori in piccole aiuole, vi erano sepolti i giovanetti, perché crescessero nel silenzio dell’eternità. La guerra non li aveva lasciati dormire per tanti dí. Poi li avevano adagiati delicatamente nella terra molle, addormentati come bambini. Di qua e di là della linea di lotta, tutte le nazioni avevano di quei giardini per i loro fiori che sbocciano nei cuori invece che al sole” (B. Marin, Gorizia. La città mutilata, edizione del Comune di Gorizia [III] 1956, p. 80). Durante la VI battaglia dell’Isonzo (4 - 17 agosto 1916), la “battaglia di Gorizia”, ad Italico Brass non fu possibile avvicinarsi alla linea del fronte e l’artista fu costretto a seguire lo svolgersi degli eventi dalle retrovie vivendo la fatidica notte tra l’8 e il 9 agosto a Udine da dove assistette, dal piazzale del Castello, all’avanzata delle truppe italiane intuibile per il bagliore dei cannoneggiamenti che squarciavano le tenebre illuminando la pianura friulana verso Gorizia (schede nn. 20 e 35). La suggestiva immagine della veduta notturna dal Castello di Udine con i militari ed i civili ripresi di spalle mentre osservano con trepidante attenzione il cielo costellato da fulgori, rende pienamente lo spirito dell’artista che, quasi per allontanare l’emozione del momento, si sofferma sullo scenario dipingendo con raffinatezza da bella époque particolari come la cancellata con il glicine o la silhouette affusolata dei cipressi che cingono il piazzale. Nella cartella Sulle orme di San Marco le immagini di Gorizia e dell’Isonzo - Il Castello di Gorizia con gli antichi bastioni veneziani, Il ponte di Peuma con il Sabotino e Gorizia vista dal ponte ferroviario (schede nn. 16-18) -, pur recando la data dell’agosto 1916, sono affidate a dipinti realizzati negli anni immediatamente precedenti la guerra e rappresentano la città senza le offese subite durante i primi quattordici mesi del conflitto. Probabilmente l’artista aveva voluto figurarla come doveva essere apparsa ai primi soldati italiani che l’avevano intravista nel maggio 1915 quando, seguendo il ricordo di Paolo Caccia Dominioni (1973, p. n.n.), Gorizia era sembrata una meta accessibile, così vicina che “Pareva toccarla. Una prima pattuglia riuscì a scavalcare, per pochi metri, la cresta del Podgora, nel buio, affacciandosi sopra l’Isonzo che si sentiva rotolar ghiaia cento metri più sotto. Il sottotenente e gli otto fanti della brigata Re sostarono silenziosi e indisturbati. All’alba credettero sognare vedendo la città nascere controluce, come una magia, ai loro piedi. Da molti comignoli saliva lieve fumo azzurro del caffelatte domestico. Serrata in un diadema fiorito di colli nel più grandioso anfiteatro montano, giaceva la piccola città signorile, dominata dal Castello massiccio e tipicamente teutonico, senza i fronzoli che si specchiano nelle acque della Loira e del Rodano. Un nobile castello da comando e da guerra, al quale facevano buona guardia, dal basso, chiese e campanili. Fu notato il contrasto tra i cipolloni di Sant’Ignazio e le cuspidi del Duomo, di San Vito e di San Rocco: rococò danubiano e rinascimento veneto da laguna e da pianura. Un connubio di grande eleganza, e qui sta proprio la incomparabile grazia e la secolare essenza della città, anche in senso culturale, civile ed etico. Ma la pattuglia si preoccupava d’altro, e non tardò a riprendere la propria funzione, tra scoppi e vampate, sotto le acacie già pronte a profumata fioritura, ma destinate, ancor prima, a essere spazzate via”. Il “diario pittorico” di Italico Brass dal fronte dell’Isonzo - “opera che idealmente s’unisce con le battaglie e le glorie e le memorie […] di coloro che s’immolarono al sacrificio supremo per liberare le terre della loro terra” - si conclude con le immagini di Gorizia redenta. Nei due lunghi anni successivi l’artista, profondamente colpito negli affetti familiari per la morte del nipote Guido Brass e dilaniato dall’ansia per le sorti del figlio Alessandro arruolatosi volontario nel 1917, si recherà ancora sui campi di battaglia ma dedicherà la sua attenzione soprattutto a Venezia gravemente minacciata dai bombardamenti che distrussero il soffitto della chiesa degli Scalzi affrescato da Giambattista Tiepolo. Sacchi di sabbia e steccati difendono i monumenti della città lagunare, le cui calli e campi sono percorsi da soldati ma anche da una folla frettolosa vestita di scuro. L’angoscia in cui viveva la città è svelata dalla stupenda e toccante ripresa dell’interno di un rifugio dove, come in una visione goyesca, madri con i bambini aggrappati, feriti e anziani condividono paura, attesa e disperazione alla fioca luce di una lanterna.
Annalia Delneri
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