Giorgio
Nonveiller
Alcuni dipinti dimenticati di Filippo
de Pisis del periodo veneziano
Nella complessa e tutt'altro
che conclusa vicenda volta a stabilire un catalogo dell'opera autografa di
Filippo de Pisis, per quanto possibile completo, l'encomiabile iniziativa
avviata brillantemente da Giuliano Briganti, culminata appunto nella
pubblicazione del catalogo generale dei 'dipinti', risulta ancora un approdo che
non può non essere parziale, benché costituisca a tutt'oggi un punto di
riferimento fondamentale. Per due motivi (di metodo) principalmente: il
proposito di scegliere le opere con riguardo alla qualità e il criterio
dell'accurata documentazione, dipinto per dipinto, cercando di limitare al
massimo certe fallacie attribuzionistiche (malgrado le sicure competenze
stilistiche acquisite dallo studioso durante le ricerche), difficili da evitare
nel caso del pittore ferrarese, che già in vita aveva visto la circolazione di
quadri contraffatti, non sempre nettamente distinguibili da quelli di mano
dell'artista.
L'approdo è tuttavia parziale poiché raccoglie una parte — certamente
ragguardevole — dell'opera pittorica di de Pisis. L'artista, per indole, non si
occupava affatto di tenere una documentazione di quanto andava producendo, tanto
meno negli anni della seconda guerra mondiale e in quelli immediatamente
successivi, che qui ci interessano particolarmente, caratterizzati da un più
generale senso di precarietà che portava anche de Pisis a vivere alla giornata,
senza capitalizzare troppo sul futuro. Mi limiterò nel presente scritto a
portare quattro dipinti del 1944-45, dei cinque proposti, che avrebbero potuto
ben figurare, e quindi arricchire, il catalogo promosso da Briganti.
L'artista negli anni milanesi e veneziani aveva raggiunto — non solo in ambito
nazionale — un notevole prestigio; le critiche verso la sua pittura erano
abbastanza consuete, ma non in grado di intaccarne l'interesse, in parte
'animato' anche dalla straordinaria verve del personaggio de Pisis,
capace di colpire e attrarre l'attenzione su di sé come pochi altri. La sua
produzione era intensissima, da uno fino a talvolta tre quadri al giorno, quasi
tutti facilmente vendibili, poiché la svalutazione continua della lira
consigliava imprenditori, galleristi e collezionisti di investire il più
possibile i loro guadagni in opere d'arte di qualità, o comunque di artisti
prestigiosi, a contrastare la particolare congiuntura economica di guerra. È
questa una delle circostanze che avevano favorito la nascita e la crescita a
Venezia di notevoli collezioni d'arte contemporanea, dove de Pisis era tra gli
artisti meglio rappresentati, processo che si è sviluppato — con qualche
rallentamento dopo il 1947-48 — fino ai primissimi anni Sessanta, ripiegandosi
poi a episodi più limitati.
La Venezia di de Pisis — come più volte è stato detto — presenta sul piano
pittorico una perfetta continuità col periodo parigino e poi milanese (per
citare solo i soggiorni più lunghi dell'artista), però aggiungerei che
l'immagine della città lagunare elaborata dal pittore ferrarese non è affatto
quella di una città decadente, ma offre, al contrario, una visione di spazi
urbani vitali e densamente popolati — com'erano appunto in quegli anni —, senza
indulgere in arcaismi, né a richiami nostalgici. Tutto ciò nella straordinaria
consapevolezza dell'artista circa la prestigiosa vicenda plurisecolare della
pittura veneziana, a cui egli sapeva modernamente attingere, avvertendo nel
contempo in pieno l'eccezionale stratificazione e storicità della forma, degli
spazi e degli edifici della città lagunare. Ciò è abbastanza in linea anche con
gli interessi antiquari di de Pisis, che non avevano mai una dimensione
meramente mercantile o storico archeologica, ma più volentieri quella del vivo
confronto con i linguaggi sei settecenteschi, non solo pittorici, sempre attento
agli accostamenti sorprendenti e inediti di luoghi o di oggetti particolari,
legati a un vigile e coltivatissimo atteggiamento estetico, in cui prevaleva
comunque la valenza creativa di una mise en scène, ove il 'vecchio'
rinasce coesistendo perfettamente col 'nuovo'. La vitalità della Venezia
di de Pisis è l'esatto contrario della città solitaria di ascendenza metafisica
di un Carrà, è alquanto lontana dalla luce quintessenziale di un Guidi o,
ancora, dagli spazi rarefatti di un Cadorin, per fare solo qualche esempio.
La Venezia di de Pisis è invece ricca di sorprese nei suoi passaggi repentini da
calli e corti anguste a campielli e campi di maggior respiro, fino ai percorsi
acquei dei canali e dei rii che seguono le curvature delle 'insulaÈ, in angoli
sovente incantati, intervallati da innumeri ponti, cogliendo una ricchissima
fenomenologia visiva di fisionomie urbane, cangianti per condizioni atmosferiche
e luminose nelle diverse stagioni, capaci di generare ombre profonde,
restringendo o dilatando illusivamente gli spazi nelle varie ore del giorno.
Basta vedere come la ripresa di una stessa veduta diventi in de Pisis
suscettibile di formulazioni pittoriche anche diversissime, pur mantenendo una
certa aderenza alle fisionomie dei luoghi e degli edifici ritratti, cogliendo
sensuosamente le differenti accentuazioni nella particolare flagranza
dell'attimo, nel suo fulgore e nella sua dinamica per mezzo di una 'scrittura'
pittorica veloce, che traduce a mio avviso anche aspetti non strettamente
visivi, come gli echi delle presenze umane e i rumori delle attività quotidiane,
tipiche di ogni città moderna.
Potremmo in parte esemplificare queste osservazioni prendendo due soggetti
veneziani, il primo rappresentato da tre vedute di Rio Terrà Foscarini, riprese
dai Gesuati guardando il Canal Grande verso l'Accademia; il secondo soggetto è
rappresentato da due vedute del Ponte delle Pazienze nel Rio di San Barnaba.
1.
Filippo de Pisis,
Venezia: Rio
Terrà
Sant'Agnese,
1944, olio
su
tavola
cm. 70 x
49,4.
Collezione privata.
(A.S.A.C.
della
Biennale
di Venezia).
Forse la prima volta che de
Pisis ha fermato il cavalletto nello slargo di Rio Terrà Foscarini verso i
Gesuati, dipingendo il quadro intitolato Venezia: Rio Terrà Sant'Agnese
nel 1944, un olio su tavola di cm 70 x 49,4, di una collezione privata (fig.
1), lo ha fatto scegliendo una prospettiva estremamente ravvicinata: lo
scorcio sulla sinistra dell'ex convento della Carità nonché l'accenno all'abside
dell'ex chiesa omonima sono quasi appiattiti, come se il Canal Grande fosse a
una ventina di metri dalla chiesa di Sant'Agnese, la cui facciata sul lato
destro del dipinto è poco meno che dimezzata. Il campanile della chiesa di San
Vidal, al di là del canale, appare altissimo. Lo spazio è piuttosto saturo e
contratto, quasi incombente; la densità del dipinto suggerisce un'attitudine
quasi drammatica e allarmata, come se lo spettacolo potesse sparire da un
momento all'altro. Gli alberi spogli fanno pensare all'avanzare dell'inverno. Il
ductus pittorico è piuttosto sintetico: la pennellata è pastosa, quasi
tirata via, mentre le ombre scure e i neri sembrano prevalere contrastando le
superfici chiare. Tutt'altra impostazione ha un dipinto successivo, dalla lunga
prospettiva, intitolato Rio Terrà dell'Accademia - Venezia, del
1945, un olio su tela presumibilmente dello stesso formato, di ubicazione ignota
(fig. 2).
2. Filippo de Pisis,
Rio
Terrà dell'Accademia
-
Venezia, 1945,
olio su tela.
Collocazione ignota.
La veduta è palesemente
autunnale ed è ripresa da un punto di stazione più arretrato rispetto al dipinto
precedente, dal campo Sant'Agnese, con ogni probabilità il 18 novembre. Il cielo
è quello della tarda mattina; prevalgono le calde tonalità rosate degli edifici
in un'atmosfera più rasserenante. De Pisis indugia un po' sui bellissimi
platani, quasi spogli ormai, accentuandone in primo piano le smaglianti foglie
giallo verdi e terra di Siena; si sofferma poi sulla facciata della chiesa di
Sant'Agnese e sull'adiacente canonica, più concisamente sulla fiancata del
palazzo dei Cavanis. Sul lato sinistro è accennata un'ala dell'ex convento della
Carità, meglio definita all'ultimo piano; i due edifici prospicienti fanno così
da cornice al campanile di San Vidal, che indica il massimo di profondità
spaziale del dipinto. Sul rio terrà il pittore sembra enumerare i passanti,
quasi a sottolineare l'intensa frequentazione dell'ora; sul selciato in primo
piano non mancano foglie cadute, colombi e passeri in cerca di cibo.
L'immagine è di grande intensità lirica. Le poche ombre scure di terra bruciata
e grigio violaceo non infirmano la trasparenza della veduta simile a un
acquerello, nella quale i pochi e sintetici accenni alla fisionomia del luogo
sono sufficienti a richiamarne la virtuale orditura prospettica, ove non compare
alcun dettaglio pleonastico.
3.
Filippo de Pisis,
Venezia,
1949,
olio
su tavola
cm 71 x 50. Collocazione ignota.
(A.S.A.C.
della
Biennale
di Venezia).
Una terza veduta è la Venezia del 1949, olio su tavola cm 71 x 50, di
collezione privata (fig. 3), ripresa dalla stessa posizione del dipinto
del '44 (fig. 1), assai affine sia nel taglio compositivo che nello
scorcio ravvicinato del Canal Grande, lasciando intravedere il muro di cinta del
giardino di palazzo Cavalli Franchetti. Gli edifici paiono meno incombenti della
versione di cinque anni prima in quanto vengono compensati dalla disposizione
orizzontale, riscontrabile nel più ampio calpestio, popolato di presenze umane e
animali. La facciata di Sant'Agnese, in primo piano a destra, funge sia da
quinta introduttiva che da delimitazione spaziale. L'artista gioca
magistralmente con le suggestioni che gli vengono dalle venature lignee del
supporto, lasciando scoperte ad arte – come in molte altre opere – varie zone
del dipinto in funzione tonale e insieme cromatica. De Pisis qui fa un ampio uso
della spatola in una resa 'stenografica' dei rami arborei, dei tetti e altri
elementi che vitalizzano tutta la superficie dipinta, con una scioltezza e
spontaneità di scrittura veramente mirabili. Delle tre vedute, questa del '49 è
decisamente la più decostruita, ma anche la più dinamica e stilisticamente
coerente. Essa appare ormai lontana dai toni contrastanti del primo dipinto del
'44.
Fig.4
Fig.5
De Pisis negli ultimi anni veneziani, com'è noto, prima di prendere possesso
della sua casa di San Sebastiano, aveva lo studio alla fine della fondamenta
dello Squero nel rio di San Barnaba, il cui cancello d'ingresso è visibile sul
lato destro nei due dipinti dedicati al ponte delle Pazienze (figg. 4, 5),
soggetto ripreso forse più volte dall'artista. Vi è rappresentato l'ultimo ponte
sul canale, per mezzo del quale dalla fondamenta Gherardini (sul lato sinistro)
ci si immette nella calle che fiancheggia la chiesa dei Carmini.
4.
Filippo de Pisis,
Ponte delle
Pazienze -
Venezia,
1945
ca.,
olio su tela. Collezione privata
(A.S.A.C.
della
Biennale
di
Venezia).
Un piccolo olio su tela, di una raccolta privata, s'intitola proprio Ponte
delle Pazienze - Venezia, 1945 ca (fig. 4), un'immagine insolitamente
'costruita' per de Pisis – con ogni probabilità del tutto inedita – dai contorni
neri marcati, che delimitano le case come in una scena mobile dello spazio
urbano: una Venezia 'minorÈ molto amata (e ben conosciuta) dall'artista. I
rapporti cromatici sono un po' contrastanti, a partire da un cielo rannuvolato
che getta una luce livida sul paesaggio, con un senso sia pur lieve di
allucinazione, tutt'altro che insolito nel de Pisis di quegli anni. Si potrebbe
parlare di una polarità espressionista della sua pittura, che spunta di tanto in
tanto, in determinati soggetti e circostanze.
5.
Filippo de Pisis,
Ponte delle Pazienze -
Venezia,
1945, olio su tela.
Collocazione ignota.
Forse ancor più interessante
è un'altra versione dello stesso anno, un olio su tela che porta lo stesso
titolo, di collocazione ignota (fig. 5), dove la veduta è risolta con
pochi tratti essenziali ed è meno distinta, privilegiando il primo piano, dove
la riduzione a una veloce scrittura riprende il luminoso baluginare dell'attimo.
La scena, popolata da passanti e barcaioli, appare estremamente mobile e
cangiante, si direbbe un po' nebbiosa e persino fantasmatica. La dinamica del
segno è immanente alla perfetta distribuzione ritmica delle parti del dipinto,
qualità che – a mio parere – costituisce un aspetto fondamentale della pittura
di de Pisis, il quale ottiene con mezzi minimi un'insolita intensità segnica ed
espressiva, con indubbie anticipazioni, che in quegli anni potevano interessare
un giovane artista come Emilio Vedova.
In entrambi i dipinti il pittore aveva espunto i due campanili della chiesa
dell'Angelo Raffaele, ben visibili dalle prospettive prescelte nelle due vedute:
essi avrebbero dovuto spuntare oltre i tetti, al centro e sullo sfondo,
affiancati fino a quasi sovrapporsi, evidentemente tolti con l'intento di
concentrare l'attenzione sul canale e le sue adiacenze, ravvicinando il punto di
fuga ed evitando ogni dominante verticale.
Bastano questi cinque dipinti per capire come la Venezia di de Pisis riveli
un'immagine della città di notevole apertura intellettuale, non solo pittorica,
che è assai più 'intima' di quella offerta da altri artisti che hanno
contribuito alla costruzione del "mito" di Venezia, molti dei quali si sono
soffermati più sulle sue splendide parvenze, con una certa noncuranza verso la
sua complessa realtà e persistenza. Ritengo che l'artista ferrarese abbia
rivelato diversi registri di questa realtà: nei suoi incanti, nei suoi fulgori e
nelle sue miserie con una voce diversa, dando più rilevanza ai suoi ritmi e
cadenze temporali, alle sue apparenze, alla sua estatica 'profondità' di città
lagunare, in una dimensione che — per quanto possa apparire paradossale — non è
poi in contraddizione con talune premesse ed esigenze che hanno portato a
ripensarne e delinearne anche l'immagine moderna.
Giorgio Nonveiller
ARTE Documento
N°19 2003
©
Edizioni della Laguna
P.S.: Nel testo corrente sono
state omesse, per questioni di spazio, le note dell'autore.