Ut pictura musica: la
Ricercata Quinta di Evaristo Baschenis
Gian Casper
Bott
Evaristo Baschenis,
Strumenti musicali ("Ricercata Quinta"). Bruxelles, Musées
Royaux des Beaux-Arts.
Calmamente distesa,
di grandezza poco meno che naturale, in posizione leggermente obliqua,
giace su un tappeto scuro, esibendo le qualità eminenti del suo corpo
formoso, la sua schiena, uno dei suoi fianchi tondeggianti, le sue più
belle rotondità. Alcune mele appetitose poste appresso al suo collo
sottile rappresentato di mezzo profilo e accanto le sue spalle delicate,
come pure due nastri di seta colorata, affettuosamente annodati,
aumentano l'atmosfera sensuale del dipinto, già evocata dal nobile
colorito dai toni caldi e dalla luce che con squisita raffinatezza
sottolinea la corporeità delle forme. Tutto sembra predisposto per
indurre lo spettatore a carezzare la linea modulata armoniosamente, che
si stacca dallo sfondo, a verificare la plasticità del corpo non
solamente in maniera visuale, ma anche tattile.
Le righe precedenti, da leggere in parentesi, non fanno parte della
descriptio personae di una Venere dormiente di ambito giorgionesco,
bensì della descrizione di una grande viola leggermente
decontestualizzata, di un violone che figura nella natura morta di
Evaristo Baschenis nei Musées Royaux des Beaux Arts a Bruxelles.
Gli oggetti nel dipinto sono elencati all'istante. Un tavolone con piedi
torniti e un cassetto chiuso e l'altro semiaperto, una coperta scura,
due strumenti ad arco col rispettivo archetto, cinque strumenti a
pizzico, di cui due ornati da nastri colorati, un'intavolatura per
chitarra, due quaderni di note, quattro mele mature.
Di primo acchito potrebbe sembrare che le due mele dietro il violone
siano superflue nella composizione del dipinto. Presto però ci si
accorge che hanno la funzione di limitare con il loro colore il bordo
inferiore del violino e di marcare il punto da dove inizia il suo
scorcio magistrale. Inoltre le due palle rosso-gialle nel centro visivo
del dipinto accentuano due corde del violone in modo che il riguardante
che si interessa di simili dettagli sappia che queste non sono rotte e
che lo strumento è dunque lì pronto per essere suonato. Le due mele
situate a destra sulla cassa armonica della seconda chitarra nel quadro,
che sono da vedere in relazione con i bischeri del violone, hanno la
funzione di stimolare non solamente la vista ma pure gli altri sensi
dello spettatore, di eccitarne l'appetito e il tatto.
Oltre a stuzzicare il palato, le mele mature e per conseguenza
profumate, richiamano i piaceri sensuali; al moralista cristiano possono
anche ricordare il peccato originale. Una delle mele, la più bella, è
ammaccata, leggermente marcia e forse perfino tarlata. Ciononostante
sarebbe comunque errato voler stabilire un contenuto di vanitas
con l'indicazione sul carattere effimero di tutte le cose terrestri
perché la mela, pur essendo macchiata, in primo luogo è un frutto
appetitoso che seduce al morso. Non vi è dunque un profondo senso morale
nel dipinto, bensì altro e ben più tangibile.
La macchia non è che un indice del realismo che il pittore mette in
scena e con ciò la si può accostare alle mosche dipinte e alla polvere
in altri dipinti di Baschenis.
E così che viene aumentata la realtà, o meglio la sua finzione. Lo
spettatore ne trae qualcosa come una falsa conclusione analogica: crede
che tutto il quadro sia dipinto con la stessa naturalezza. Questo però
non corrisponde al vero: la rosa del liuto per esempio è solamente
accennata e non disegnata con precisione; la sua struttura ornamentale è
irriconoscibile.
Lo spettatore di dipinti di Evaristo Baschenis continua a sorprendersi
nell'esercizio più semplice delle discipline aritmetiche, il contare, o
meglio, conta inconsapevolmente. Vuole vedere il numero dei gruppi degli
oggetti, dei singoli strumenti, delle loro corde e dei loro piroli, dei
frutti, dei nastri, dei libri.
Recependo numericamente il dipinto, lo comprende in maniera musicale. In
questo contesto vale la pena di ricordare la celebre frase di Leibnitz
(1646-1716): "Musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis
se numerare animi". ("La musica è un esercizio aritmetico
dell'anima, in cui questa non è cosciente di contare").
Questa citazione, che in ultima analisi si situa nella tradizione
pitagorica, è da vedere in rapporto con il paragrafo seguente citato dai
Principes de la Nature et de la Grâce, fondés en Raison di Leibniz:
"La musique nous charme, qoique sa beauté ne consiste que dans les
convenances des nombres, et dans le compte, dont nous ne nous apercevons
pas, et que l'âme ne laisse pas de faire, des battements ou vibrations
des corps sonnans, qui se rencontrent par certains intervalles. Les
plaisirs que la vue trouve dans les proportions, sont de la même nature;
et ce que causent les autres sens, reviendront â quelque chose de
semblable, qoique nous ne pouissions pas l'expliquer si distinctement".
Eccetto gli aspetti di sinestesia, questa definizione capitale della
musica mette a fuoco un aspetto essenziale dei meccanismi della
ricezione provocata da Baschenis: dal momento che la pittura è per
definizione muta, il pittore cerca di congiungere la sua arte con la
musica organizzando le sue opere in maniera tale da permettere una
recezione analoga a una delle possibilità di comprendere la musica.
Oltre l'approccio tematico della pittura alla musica come risulta nella
maggior parte dei gruppi di persone dipinte in atto di fare della
musica, dove le implicazioni musicali sono limitate all'azione, esiste
un altro metodo molto più evoluto e di maggiore difficoltà per captare
la musica in un quadro. Esso consiste nell'imitazione razionale del modo
in cui funziona la musica, vale a dire della sua struttura.
Sette strumenti a corde sono presentati nel quadro: essi sono gli
elementi principali della composizione. Tutti i numeri da uno a sette
sono rappresentati, in parte più volte. Si vedono un tavolo; due nastri,
due strumenti ad arco, due archetti; tre notazioni; quattro mele; cinque
strumenti a pizzico; sei elementi colorati, pentagrammi sulla notazione
nel centro geometrico del quadro, strisce sul fianco della chitarra
sulla destra; sette strumenti. Pietro Bongo di Bergamo vi aveva edito
nel 1599 presso Comin Ventura un libro consistente e voluminoso dal
titolo Numerorum mysteria che ebbe un gran successo in tutta
Europa.
L'attualità del simbolismo numerico anche alla metà del Seicento è
confermata dai testi degli "Accademici Eccitati" di Bergamo.
Specialmente in voga sembra essere stato lo scoprire il segreto di un
nome, Nominis Arcanum con l'aiuto di un alfabeto numerico. Il
tentativo di far coincidere le idee pitagoriche con la dottrina
cristiana forma la base del libro di Bongo. Un capitolo di quaranta
pagine, De numero VII, vi è dedicato al numero sette. Secondo i
pitagorici il numero sette è simile a Dio; è dedicato ad Apollo, il
rappresentante e protettore per eccellenza della musica. Per questo
motivo egli è anche nominato Apollon Heptomagetes.
Le Muse, riferendosi probabilmente alle sette corde della Lyra,
la precorritrice di tutti gli strumenti a corde, in origine erano sette,
come anche i toni su cui si basa tutta la musica, le qualità del suono e
i colori principali. Gian Paolo Lomazzo, il cui tempio della pittura è
retto da sette colonne, scrive nel suo Trattato dell'Arte della
Pittura, Scoltura et Architettura del 1584: "Sette sono le spezie,
overo maniere dei colori...".
Secondo la formulazione di Cicerone il numero sette è il nodo di
pressappoco tutte le cose: "... numerum rerum omnium fere nodum est".
Tramite il numero sette, che come nessun altro lega la pittura alla
musica, essendo il numero sia dei colori che dei toni principali, il
dipinto riceve una dimensione cosmica: è come un nesso segreto con
l'armonia universale, la musica delle sfere, che viene a formarsi. Così
Baschenis è riuscito a collocare la sua opera nella costruzione
universale del mondo. Ciò che in altri dipinti è inteso con un globo
terrestre, qui è raggiunto esclusivamente con il numero. Si capisce che
in questo caso la difficoltà è di gran lunga maggiore che nel tentativo
di pervenire al medesimo traguardo con degli accessori come globi
celesti o sfere armillari. Sarà Bartolomeo Bettera che in seguito
sceglierà questa via più semplice.
Evaristo Baschenis ha preso alla lettera parecchi termini del
vocabolario musicale del suo tempo e li ha trasposti in una dimensione
visivo-spaziale e dunque dipingibile.
"Intavolare" è un terminus tecnicus musicale che significa notare
un brano musicale con il sistema della tavolatura, fissare tramite delle
note o dei numeri sequenze di suoni, disporli in una partitura. Più in
generale il termine si lascia definire con "comporre", "mettere in
musica". Nel dipinto di Bruxelles Baschenis ha legato il senso musicale
con il senso proprio, utilizzato nella lingua comune. In primo luogo
"intavolare" significa "disporre su un tavolo", "collocare", dunque
esattamente ciò che il pittore fa in questo dipinto.
Disponendo con il pennello degli oggetti su un tavolone egli li
intavola. (Dei suoi dipinti con strumenti musicali questo è l'unico,
dove la base è mostrata inequivocabilmente come tavolo. Anche da un
simile dettaglio si può dedurre la grande cura nel concetto del
dipinto).
Ora, la visualizzazione di questo termine polivalente è ancora lungi
dall'essere terminata, neppure con l'amplificazione tramite il senso
figurato del termine che significa "mettere in mostra" e secondo cui
l'artista dipingerebbe qui la dimostrazione di qualcosa. Egli non rende
manifesti solamente gli oggetti e molte delle loro qualità ma anche, e
in maniera incredibilmente aperta, le sue intenzioni e le sue capacità,
rendendole per così dire visibili.
Fino all'inizio del Cinquecento, vale a dire fino al momento in cui la
tela cominciò a soppiantare completamente il supporto in legno per la
pittura, tabula significava dipinto. Nel termine francese
tableau il ricordo del carattere di oggetto e del materiale
differente è perdurato fino a oggi. Pure l'espressione latina tabula
è eloquente. Anche se il termine italiano tavola nel Seicento era in
prevalenza solo ancora usato per la pittura su supporto ligneo, il senso
più generale della parola per tutti i dipinti deve essere stato
conosciuto dallo spettatore di un certo livello. Costui aveva la
possibilità di riconoscere quest'opera della pittura come una
"intavolatura", vale a dire una messa in tavola e poteva dilettarsi dell'amplificazione
di detto termine significante generalmente una composizione musicale
notata con il sistema summenzionato. (Altra cosa è chiedersi se lo abbia
veramente fatto. Ciò che interessa qui è il fatto che avrebbe potuto
riconoscere questi aspetti potenziali del dipinto con il suo vocabolario
e le conoscenze di allora).
Siccome il senso di intavolare può implicare anche l'atto del dipingere,
con questo termine la pittura è talmente connessa alla musica che una
dichiarazione come "composizione intavolata" diventa così equivoca, che
non si è in grado di decidere se si tratta di un'opera percepibile con
l'udito o con la vista.
Con la sua "intavolatura" dipinta, Baschenis tocca l'essenza stessa
della definizione di ciò che è un dipinto in generale e ogni natura
morta in particolare; dà la definizione visuale del genere della sua
pittura, di cui riflette il carattere dipingendo. Così è data
l'importanza dovuta al ruolo del tavolo nei ritratti, siano essi di
persone vive o di cose inanimate. Anche la collocazione della firma
indica che il pittore ha riflettuto in ogni dettaglio sul concetto del
suo quadro; ponendo l'iscrizione "EVARISTUS BASCHENIS E" su un piede
della tavola, si dichiara doppiamente come l'autore della tabula.
E il tavolo che è firmato e il dipinto che è inteso.
L'elemento situato in primo piano - per così dire la prima cosa che lo
spettatore sembra poter afferrare -, la notazione che pende dal cassetto
è notata con il sistema della intavolatura italiana dando così la chiave
intrinseca dell'opera, essenziale e dipinta con tutta l'evidenza
possibile.
Le notazioni con i loro tratti calligrafici sono un cenno allo
spettatore di guardare il dipinto non solo da una certa distanza, che
permette agli oggetti dipinti di sviluppare tutto il loro effetto
plastico e monumentale, ma anche da una visuale molto ravvicinata.
Così il pittore indica allo spettatore, che si trova davanti alla sua
opera, due punti di vista differenti: uno vicino per lo sguardo
analitico e uno più lontano per vedere il dipinto nella sua totalità.
Nel centro del dipinto si trova una notazione messa in evidenza dal
colorito come pure dalla forma. È infilata in un quaderno di note come
se invitasse lo spettatore a tirarla fuori e degnarla di un'attenzione
particolare. Si sa che la notazione è un sistema di segni indicanti
l'altezza e la durata del suono, che fu sviluppata per fissare alcune
proprietà essenziali della musica in maniera grafica e dunque visuale,
senza pertanto rendere un'idea completa della sua realtà sonora. Nella
sua pittura Baschenis fa qualcosa di paragonabile alla notazione di
musica. Anche lui annota musica con l'aiuto di volumi e colori, vale a
dire quantità e qualità. Il fatto che i segni, di cui si serve, sono in
prevalenza degli strumenti musicali, in questo contesto ha soltanto un
valore tematico e non essenziale. Con la notazione il pittore dà una
chiara indicazione di come vuole che il dipinto sia visto e compreso. In
questo paragone di due sistemi visuali lo spettatore è invitato a
esaminare con cura se una notazione oppure l'arte pittorica di Evaristo
Baschenis sia più idonea all'evocazione di musica.
Questa notazione presentata a mo' di cartello approssimativamente nel
punto d'intersecazione delle diagonali del dipinto porta eccezionalmente
un titolo ben leggibile: Ricercada Quinta.
Allorquando Baschenis dipinse questo quadro, il ricercare era ormai
piuttosto obsoleto. Il pittore deve dunque aver avuto delle ragioni
precise per scegliere proprio questo termine per titolo della sua opera.
In effetti si troverà difficilmente un termine più adatto a
caratterizzare il dipinto e tutta l'opera di Baschenis; in esso è
condensata la spiegazione del suo fare, della sua continua ricerca.
A partire dalla metà del Cinquecento il ricercare rappresentò una pietra
di paragone per l'abilità sia nella composizione che nell'esecuzione.
Nel concorso per il posto di magister capellae aveva il suo posto
fisso.
Il dipinto di Bruxelles si presenta come il capolavoro, una specie di
lezione magistrale di un pittore esperto nel suo mestiere; la
supposizione che durante l'analisi di questo quadro viene a formarsi con
insistenza vieppiù maggiore, che si tratti cioè di una specie di teorema
dell'arte di Baschenis, dove sono rappresentati gli aspetti essenziali
della sua poetica, si lascia difficilmente confutare. Sembra che abbia
confidato a questo dipinto dal carattere individuale e dimostrativo una
parte importante del suo legato artistico.
Nell'Enciclopedia di Zedler del 1742 la differenza fra
"ricercare" e "ricercata" è spiegata nella seguente maniera: "Pare che
si possa distinguere così i due termini: quello dove ancora si cerca è
un "ricercare"; mentre si nomina "ricercata" ciò che è già stato
ricercato e compilato con grande riflessione e molta bravura". Nella
teoria dell'arte il termine analogo di "ricercata" è "invenzione", che
può anche significare l'opera nel senso concreto.
Secondo Paolo Pino (1548) e Lodovico Dolce (1557) l'invenzione è una
delle tre parti principali in cui si suddivide la pittura; il secondo
scrive: "Tutta la somma della pittura a mio giudizio è divisa in tre
parti: invenzione, disegno e colorito. La invenzione è la favola, o
istoria, che il pittore si elegge da se stesso, o gli è posta inanzi da
altri per materie di quello che ha da operare".
Per Pino anche il numero degli elementi di un dipinto - nel caso
presente, la decisione di dipingere sette strumenti -, la varietà e il
saper fare gli scorci fanno parte dell'invenzione.
Col tempo il ricercare divenne un precursore della fuga per quindi
fondersi con essa. Michael Praetorius nel 1619 identificò il ricercare
con la fuga e classificò entrambi come preludi. Il prefisso "ri" indica
un cercare ripetuto e perseverante. Di questa sorta era pure il continuo
ricercare di Baschenis per una soluzione compositiva e di concetto
ancora più perfetta della difficoltà che voleva vincere con facilità: è
così che la fedeltà al suo tema diventa del tutto naturale e
comprensibile. La prima parte di una fuga è nominata "soggetto (thema)".
Nella "risposta (repetitio)" che segue, il tema prescelto è sottoposto a
mutamento.
La stessa struttura ha il "ricercare imitativo" nella sua forma più
evoluta, pressappoco a partire dal 1550. La frequente limitazione su un
solo tema esaminato in seguito in tutte le sue possibilità è una delle
caratteristiche della ricercata. Come soggetto il ricercare
prende spesso una melodia preesistente, conosciuta, vale a dire un tema
di un altro autore, di cui si appropria, per così dire, nell'esecuzione.
L'uditore potrà recepire tanto meglio l'arte della composizione con
tutte le sue raffinatezze, quanto meglio conoscerà il soggetto, più la
sua memoria di questo sarà sviluppata; così dovrà essere molto incisivo
o già nell'orecchio di chi ascolta.
Anche Baschenis sceglie - o trova - per soggetto della sua Ricercata
Quinta in pittura una forma già conosciuta dallo spettatore, lo
strumento a corde, un oggetto ricco di possibilità implicite e celate.
L'artificio del pittore consiste nella scelta del tema (soggetto), il
suo vero merito nel ricercare, scoprire, esprimere e valorizzare delle
implicazioni tematiche, che in un certo modo porta alla luce. Al
contrario del compositore che nota successivamente il soggetto e
la repetitio, il pittore può mostrare simultaneamente il tema e
le sue variazioni. (Si rinuncia qui a considerare se ciò rappresenti un
vantaggio oppure uno svantaggio della pittura rispetto alla musica).
Mentre il musicista deve fidarsi della facoltà memorativa dell'uditore
riguardo il soggetto, il pittore può rappresentarlo in stretta
vicinanza con le sue variazioni. La successione udibile diventa una
simultaneità visibile. Non convince il tentativo di identificare con il
soggetto uno dei sette strumenti nel dipinto. Sembra piuttosto
doversi stabilire nel termine più generale di strumento a corde.
Gli strumenti del quadro sono dunque da vedere come sette variazioni del
tema, corrispondenti alla risposta di una ricercata, dove
il motivo (tema) principale appare in differenti forme individuali e
concrete. Queste il pittore le vede nella realtà; deve solo trovarle.
Sono le regole del ritratto al naturale e del verosimile,
rispettate puntigliosamente, che gli impediscono di inventare di sana
pianta degli strumenti inesistenti. Ciò che invece può di continuo
reinventare è la maniera di intavolare gli strumenti, la loro
collocazione nello spazio dipinto e il modo di mostrarli allo
spettatore.
Baschenis prende alla lettera quei termini della composizione
contrappuntistica che può trasporre nella dimensione spaziale e li
integra nel suo dipinto.
Nell'esecuzione il tema può per esempio essere sottomesso ai seguenti
cambiamenti: "aumentazione, diminuzione, capovolgimento (rivoltato)".
Con il violone il tema è aumentato e capovolto, con il violino
diminuito, con la mandora e la cetera capovolto. Secondo la direzione
che si considera la principale, l'imitatio motu contrario
si può vedere nel violino che sembra spiccare dal quadro o nella
chitarra girata indietro o vice versa. Lo stesso vale per il violone e
la cetera o al contrario per il liuto rivoltato in direzione opposta.
La notazione in posizione centrale, di cui il pentagramma superiore
accenna il materiale sonoro e quelli sottostanti l'esecuzione, diventa
la chiave, che permette allo spettatore di riconoscere il principio
della composizione del quadro; è così che il titolo Ricerca da Quinta
che denomina il brano musicale notato in modo stilizzato è da intendersi
senz'altro come titolo del dipinto.
Alcuni oggetti, come le mele, i nastri o le notazioni compaiono diverse
volte nel quadro, altri, come alcuni strumenti, in diverse modificazioni
formali.
Modificazione e ripetizione sono le due uniche possibilità che la musica
ha per svilupparsi. In ogni composizione sono d'importanza fondamentale;
senza di loro la musica è semplicemente inimmaginabile.
La "fioritura", vale a dire l'ornamento che abbellisce e arricchisce una
melodia, è di carattere soprattutto virtuoso ed è grazie a essa che
nelle composizioni per strumenti del suono tenue la melodia si può
sviluppare. Può apparire non solo come variante del soggetto, ma
anche estranea al tema. Le mele dipinte in modo virtuoso che allargano
il tema del dipinto, come pure i nastri abilmente annodati hanno una
funzione decorativa. Essendo gli unici portatori di colori puri
potrebbero essere definiti anche come delle "colorature".
Un ornamento particolare, paragonabile al trillo, che si trova sovente
nelle ricercate secentesche si chiama "groppo". Il senso generale di
questo termine è "nodo" - anche oggigiorno nei dialetti lombardi si dice
"gropp" a ciò che altrove in Italia si chiama "nodo" - e significa
dunque esattamente quello che i due nastri sono. Nel linguaggio
letterario il senso figurato dell'espressione "groppo" è "dubbio" o
"difficoltà".
Dopo le considerazioni precedenti - e quelle che seguiranno - si capisce
che il dipinto di Bruxelles è una specie di difficultè vaincue,
la messa in scena della soluzione di un problema che il pittore pose a
se stesso.
Inoltre il termine sorprende anche con il suo secondo significato
principale che vuole dire un gruppo di cose o di esseri viventi. Così
Baschenis è riuscito a esprimere tutta la gamma dei significati: groppo
come ornamento musicale e figurativo, come nastri annodati, come gruppo
di strumenti e come particolare difficoltà.
Anche con la intavolatura italiana che pende dal cassetto e porta il
titolo sarabanda Baschenis inserisce un giuoco di parole nel dipinto.
La intavolatura su cui è annotata la sarabanda entra leggermente in
contatto con il nastro rosso. Così la notazione è messa in rapporto con
il nastro. Quest'ultimo può essere nominato "banda". Il dizionario
dell'Accademia della Crusca nel 1686 dà la seguente parafrasi del
termine: "... istriscia, e per lo più s'intende di drappo" e lo spiega
con la parola latina fasciola, che significa appunto "piccolo
nastro".
Collocando il termine sarabanda in fondo a una sarabanda e vicino
una banda dipinge una specie di pleonasmo: il livello figurativo viene a
quadrare con quello verbale come anche con quello annotato in maniera
musicale.
La mela è il frutto dipinto più di frequente nei quadri di Baschenis con
tema musicale. Molto meno sovente si trovano delle arance (melarancia),
delle pesche (mela persica), pere o fichi nelle nature morte musicali
del pittore.
Nella stragrande maggioranza dei casi è dunque dipinta una mela.
Ricercando dei vocaboli con una similitudine acustica, lo spettatore,
che traspone i segni visivi che scorge nel dipinto nella dimensione
acustica, trova presto delle combinazioni di suoni che sembrano essere
variazioni di mela. Corrisponde alla poetica raffinata di Baschenis, ai
principi della sua pittura, che parecchie di queste espressioni siano
collegate intimamente alla musica, cioè al vero tema del dipinto. Il
rapporto fra melodia, melopea, melos e mela è paragonabile
a quello fra risposta e soggetto.
Melodia, come anche il "melode" dantesco, avevano talora il significato
sinonimo di musica. Potevano essere compresi pure nell'accezione di
armonia o concento.
Melopea stava per l'arte di inventare belle arie e composizioni.
A questo punto si impone un ulteriore giuoco di parole. Se si combinano
i due termini sinonimi mela e pomo, improvvisamente
Melpomene, una delle nove Muse, viene a trovarsi nel dipinto.
Lo spettatore, che conosce la figura retorica della sineddoche (pars
pro toto) può facilmente riconoscere il senso delle mele in tutte e
nove le Muse. Le variazioni acustiche elencate fino a questo punto hanno
la loro base etimologica nel greco melos, che significa
"canzone", "canto" o più in generale "musica". Difficilmente è un caso
che le mele siano rappresentate nel contesto con le corde e i bischeri
del violone, vale a dire là dove la musica nasce, dove il musicista
forma e dosa il suono e dove accorda il suo strumento.
Un altro vocabolo simile ma con differenti radici linguistiche può
venire all'orecchio dello spettatore: "melancolia". Pur senza poter
essere provato, è facile supporre che un dipinto come questo sia anche
il risultato di un umore malinconico.
Dei due cassetti del tavolone l'uno è aperto e l'altro chiuso e per la
maggior parte nascosto dalla coperta; con un emblema del primo Seicento
si può concludere che il tiretto aperto è parlante, mentre quello chiuso
è muto. La risposta alla domanda di che cosa il cassetto parli è data
dalla intavolatura appoggiata sul suo orlo: "sarabanda" o semplicemente
"musica". Con questo motivo eloquente la dimensione acustica del dipinto
è aumentata.
Con la forma e la cromìa dei due nastri, di cui uno è di color rosso
salmone e l'altro blu celeste, è probabilmente evocato il suono. L'idea
che la materia sia suono materializzato potrebbe avere un ruolo
importante in questo contesto.
Al contrario del suono reale, il suono dipinto, oltre lo svantaggio di
non essere accessibile all'udito, ha il vantaggio di avere eternità;
laddove la musica si riduce a nulla nel momento stesso della sua
configurazione - "la musica ... si va consumando mentre ch'ella nasce"
-, la pittura ha la capacità di dare durevolezza ai suoi oggetti.
I nastri hanno l'aria di essere l'illustrazione della seguente metafora
di Gioseffo Zarlino, secondo cui i suoni sono "...tortuosi & piegati
hora da una parte & hora dall'altra: cioè hora verso l'acuto & hora
verso il grave". La presunzione che il colore dei nastri possa indicare
il timbro degli strumenti a cui sono legati è negata dall'osservazione
che in ulteriori dipinti di Baschenis, nastri di altri colori adornano
gli stessi strumenti. Senza dubbio il contesto cromatico in cui sono
dipinti non è da sottovalutare.
Il tentativo di porre in un rapporto analogo un dato colore con un suono
o un accordo particolare non comincia che in maniera esitante nel
Seicento; nel Settecento questa idea sarà sviluppata e divulgata. Nel
1636 Marin Mersenne paragona l'ottava con una sequenza di colori senza
peraltro tirarne delle parallele più precise. Nel 1704 Isaac Newton
cerca di dimostrare con speculazioni matematiche la concordanza dei
sette colori spettrali con gli intervalli della scala dorica. Louis
Bertrand Castel che oppone polemicamente la sua teoria dei tre colori
primari alla teoria newtoniana dei sette colori primitivi nel 1740 nel
suo libro L'optique des coulers... riassume i suoi punti di vista
concernenti l'analogia dei fenomeni ottici e acustici, più precisamente
fra colori e suoni. Nella sua diciannovesima Observation scrive
che come il blu è la madre e la base di tutti i colori, così il suono
"do" è il fondamento di tutti gli altri toni.
Secondo il suo parere i tre colori primari blu, giallo e rosso
corrispondono ai tre toni "do, mi, sol," che costituiscono l'armonia
originaria e fondamentale e la scala "do, re, mi, fa, sol, la , si, do"
si trova in un parallelismo analogo alla sequenza dei colori "blu,
verde, giallo, arancione (aurore), rosso, viola (violet), violetto
bluastro (violant), blu".
(Vale la pena di osservare che cinque degli otto - o quattro dei sette -
colori indicati hanno una componente blu: per Castel il blu è il colore
fondamentale del suono, sicuramente soprattutto a causa del suo
carattere etereo). I due colori rosso e blu sono talmente vistosi nel
dipinto, che non possono essere considerati come scelti per caso e non
come il risultato di determinate speculazioni. Oltre la funzione di
colore e abbellimento sia pittorico che musicale, detti colori
rappresentano probabilmente il suono dipinto. E' così che Baschenis
risponde al postulato formulato da Ausonio nel quarto secolo in un
epigramma: " Et si vis simile pingere, pinge sonum ".
A titolo di prova finanche il genere del suono si lascia definire in una
specie di ricercare che si avvicina a un aspetto del dipinto.
Sono di nuovo le idee di Castel che possono essere utili a questo
proposito. La scelta cade su di lui perché discute con particolare
chiarezza i punti che interessano nel presente contesto. A suo avviso il
colore blu corrisponde al tono "do", mentre il rosso al "sol". Il bicore
dei toni "do" e "sol" forma una quinta; oltre l'ottava questo intervallo
fondamentale è la consonanza più eccellente: Mersenne nel 1636 la nomina
"consonnance parfaite" e vi scorge "...l'âme et la beauté de
la Musique".
Sempre secondo Castel la quinta si lascia paragonare perfino allo
spirito e al cielo, dal momento che conferisce alla musica il suo essere
delicato e la sua bellezza.
Evidentemente Baschenis in questo quadro non si limita a dipingere
musica e ad evocare il suono; specifica inoltre allo spettatore iniziato
anche di quale sorta questo suono sia. Il fatto che in un'opera, la
quale sotto tutti gli aspetti possibili aspira all'armonia, si possa
trattare solamente di una consonanza perfetta, come è appunto la quinta,
è già confermato dal titolo del ritratto di strumenti: Ricercada
Quinta.
Sebbene l'aggettivo quinta vi sembri solo indicare la posizione
in una serie di alcune composizioni simili, è indubbiamente anche un
accenno al profondo simbolismo armonico del dipinto. Questo accenno non
è d'altronde cifrato in maniera complicata, ma dipinto con chiarezza
lapidaria nel bel mezzo del quadro. Poco importa se tutto questo
corrisponde all'intenzione cosciente del pittore o se fu solo il frutto
della sua intuizione: ciò che conta è che l'interpretazione proposta in
questa sede è basata potenzialmente nel concetto dell'opera.
E difficile decidere se i due colori rosso e blu implichino anche un
aspetto dinamico. Oggigiorno i musicisti, soprattutto i direttori
d'orchestra, sogliono segnare in rosso i "fortissimi" e in blu i
"pianissimi" di una "partitura".
Si sa che la quinta corrisponde alla proporzione numerica 2:3. Il fatto
che le misure del dipinto si avvicinano approssimativamente a questo
rapporto sia annotato a margine senza commento.
Il bruno è il colore di gran lunga predominante nel dipinto. Non basta
voler spiegare questo con l'indicazione che il materiale di cui
consistono gli strumenti, il legno, è bruno.
Il pavimento in terracotta, il cui colore in realtà tenderebbe piuttosto
verso il rosso, è dipinto in bruno come pure lo sfondo del quadro, dove
il pittore era libero di scegliere un colore qualsiasi. Ne segue che la
scelta di questo colore poco appariscente sembra essere stata fatta
intenzionalmente. Bisogna quindi riflettere quali siano i motivi che un
pittore, di cui il principale materiale di lavoro è il colore, possa
avere di operare proprio con quel colore che in definitiva tende a
negare il suo carattere cromatico.
E Marin Mersenne che paragona il bruno con il basso nella musica. Nel
1636 nella sua Harmonie Universelle definisce il basso come la
parte principale e la base delle composizioni e dei concerti, vale a
dire della consonanza di vari strumenti. "Et les Peintres dont les
tableaux representent une Musique muette, se servent du brun, ou du noir
pour le fondement des autres couleurs, quoy qu'il ne soit pas si
excellent.... Il est donc convenable que la Basse, qui est la plus
proche du silence & du repos, serve de fondement à la Musique".
Così appare particolarmente ingegnosa l'idea di impiegare in modo
predominante del bruno in un dipinto che è chiaramente paragonabile a
una musica muta e di cui il protagonista incontestato è uno strumento da
basso, il violone.
Non è facile stabilire se Baschenis nel dipinto di Bruxelles volesse
esprimere un dato umore e dunque evocare delle particolari emozioni
nello spettatore.
Uno dei principali postulati sia per la pittura che per la musica
dell'epoca moderna era la facoltà del permovere, di muovere
qualcosa nell'animo del destinatario, di provocare emozioni.
Abitualmente nella pittura gli stati d'animo sono indicati da movimenti,
l"'emozione" è rappresentata tramite la "mozione". "...noi dipintori ...
vogliamo coi movimenti delle membra mostrare i movimenti dell'animo ..."
scrive Leon Battista Alberti nel 1436 nel suo trattato De pictura.
Baschenis non aveva questa possibilità relativamente facile di esprimere
delle emozioni con l'aiuto di alcuni gesti codificati e neppure poteva
servirsi della mimica per la sua pittura senza figure. Vale la pena di
riflettere se ciò sia bastato per impedirgli di provare a dare ai suoi
dipinti un certo contenuto emotivo, o se forse, anche in questo, la
particolare difficoltà di ricercare una soluzione sorprendente lo
stimolasse.
Se avesse veramente voluto esprimere un dato modo musicale avrebbe
dipinto delle partiture con dei testi leggibili: sarebbe così stato
incorporato un senso etico nel dipinto. Sarebbe bastato mettere un
titolo su una notazione per comunicare allo spettatore se si tratti per
esempio di un'allegra canzone amorosa o elogiativa, di una musica
triste, di un malinconico canto di commiato ("Ti parti cor mio caro"),
di un lamento ("Qual cruda sorte") o di qualcos'altro. La pittura di
nature morte musicali, un genere figurativo senza la componente
narrativa propria dei dipinti di storia, può essere vista in un rapporto
analogo con la musica strumentale. Entrambe sono arti senza azione;
rappresentare e suscitare sentimenti e valori morali o intellettuali è
oltremodo difficile siccome vi è soppressa la parola come veicolo della
trasmissione di emozioni. Con ciò sono poste delle esigenze
considerevoli all'immaginazione non solo dell'artista ma anche del
destinatario.
In alcuni dipinti di Evaristo Baschenis e specialmente nella natura
morta musicale di Bruxelles lo spettatore speculativo poteva - e può -
riconoscere, o perlomeno supporre un dato contenuto etico nella
composizione, la scelta dei colori e degli strumenti, la disposizione
spaziale, l'intervallo fra i diversi oggetti.
Siccome questo carattere etico non è evidenziato con insistenza, può
solamente essere parafrasato con delle espressioni relativamente vaghe e
generali come per esempio "serio, tranquillo, grave, adagio o calmo".
P.S.: Il saggio è un
estratto della tesi di dottorato Studien zu Evaristo Baschenis
presentata il 21 febbraio 1992 presso la Facoltà filosofica I
dell'Università di Zurigo, relatore professor Rudolf Preimesberger.
ARTE Documento
N° 9
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