COLLEZIONISMO STORICO E COLLEZIONISMO CONTEMPORANEO: ALCUNI ESEMPI PARADIGMATICI
Annalisa Scarpa
Pietro Rotari, Il solletico, cat. 62, particolare
Quel fenomeno complesso e intrigante che definiamo collezionismo è stato da sempre il termometro fondamentale dell'evoluzione del gusto e del suo rapporto culturale ed economico con la società in cui si sviluppa. L'origine del collezionismo d'arte, pur con taluni distinguo, si può far risalire all'antichità, ma esso inizia ad assumere una fisionomia più definita in epoca umanistica, anche se in quel tempo veniva visto in esso soprattutto il suggello di un potere politico e la codificazione del proprio prestigio: in quest'ottica bisogna inizialmente leggere, pur senza accezioni riduttive, l'attenzione alle arti dei primi Medici, da Cosimo il Vecchio a Lorenzo il Magnifico. Diversamente è un segnale premonitore delle moderne formazioni museali il diffondersi, inizialmente nei paesi dell'Europa continentale e successivamente ovunque, delle Wunderkammern, quel gusto, talvolta bizzarro, di collezionare «meraviglie», cioè oggetti di particolare straordinarietà, sia di provenienza naturale, naturalia, sia frutto di creatività umana, artificialia.
Francesco Guardi, Trionfo floreale con frutta, ortaggi, uccelli e vasellame, cat. 71, particolare
Queste mirabilia non erano in assoluto opere d'arte, ma anche oggetti provenienti da paesi lontani ed esotici, come le Americhe o l'Asia: a libri e stampe rare si accostavano quadri, cammei, foglie essiccate, perle dalle forme più inusuete, monete antiche, reperti archeologici. Quello che accomuna la Wunderkammer al collezionismo nell'accezione moderna del termine è la passione dell'acquisire, del circondarsi di oggetti del desiderio: si passa dall'ammirare al possedere e spesso questo possedere non è il moto di un'anima esibizionista ma, al contrario, un sentimento segreto, il cui palesamento è riservato a pochi. La «camera delle curiosità» è un microcosmo che «meraviglia», nel quale il collezionista tesaurizza le proprie passioni, ricostruendo il proprio universo in un unico spazio: quello che nel Cinquecento sarà lo studiolo, che vide esemplari condotti alla fama da Isabella d'Este nel castello di San Giorgio a Mantova o da Francesco I dÈ Medici in Palazzo Vecchio a Firenze o da Federico da Montefeltro nel Palazzo Ducale di Urbino. In questo tempo il collezionismo continua ad essere quasi essenzialmente di corte e cammina parallelamente al mecenatismo e alla protezione che il potente accorda all'artista, anche se il desiderio di possesso di opere d'arte inizia a far breccia in una nuova classe, definibile con termine più moderno «borghese», che con il commercio o con l'attività bancaria si affermava economicamente, con notevole peso, sulla società del tempo. Collezionare manufatti artistici diviene quindi il medium per codificare la pregnanza del proprio status, accreditare il proprio ruolo, certificare le proprie potenzialità di gusto. Nello stesso tempo le botteghe degli artisti più prestigiosi si trasformano in un luogo che non è più di sola produzione interna, ma anche di approvvigionamento di opere altrui o del passato: nasce così una figura nuova, destinata a lunga storia, di artista-mercante con funzioni di esperto consigliere oltre che di creatore. Tra Sei e Settecento si andranno a delineare altre figure di fondamentale importanza nella storia del collezionismo, come quella dei conoscitori «dilettanti», personaggi di cultura che, oltre a raccogliere per se stessi, sono in grado di consigliare, suggerire e spesso costruire per altri le grandi collezioni che costituiranno in seguito i primi veri musei moderni: Cassiano Dal Pozzo a Roma e Francesco Algarotti a Venezia sono due degli esempi più tipici dell'importanza che andò ad assumere tale ruolo. Le grandi collezioni nobiliari che si svilupparono fino a tutto il Settecento lasciarono il passo nel secolo successivo a quelle, potenzialmente più fiorenti, di decisa estrazione borghese laddove la classe sociale emergente demandava al proprio personale museo la triplice funzione di soddisfare la propria passione per l'arte codificando con essa il prestigio delle proprie residenze e di assecondare il desiderio di investire capitali in beni alternativi. Il formarsi ex novo di grandi nuove collezioni è caratteristica del Novecento: all'inizio del secolo si forma infatti un collezionismo privato che non è più solo espressione di un benessere maggiormente diffuso né semplicemente di una esigenza speculativa, ma è un desiderio individuale, una realizzazione autoreferenziale delle proprie scelte. Il formarsi delle prime grandi collezioni statunitensi è esempio sintomatico di questo nuovo corso che, pur con diversi substrati, ben si riflette in Europa, e anche in Italia, con il fiorire e lo svilupparsi della nuova economia industriale. Mercanti di fama mondiale, come Joseph Duveen in Inghilterra o Alessandro Contini Bonacossi in Italia, affiancati da eccezionali studiosi come Bernard Berenson o Roberto Longhi, furono i grandi approvvigionatori di queste raccolte dalla storia recente e spesso ne determinarono la qualità in modo fondamentale. Tracciare una fisionomia tipica del collezionista è operazione impossibile; ognuno di essi è dissimile dall'altro, ciascuno con le proprie motivazioni ed esigenze: chi colto da innamoramento assoluto per un artista o una scuola, per la quale è disposto ad investire qualunque cifra, chi nelle proprie scelte è più attento all'investimento economico, valutandone anche i risvolti più speculativi. Certo comunque è che quasi sempre vi si riscopre un elemento positivamente ludico, quasi di avventura: non c'è collezionista vero che – almeno per i pezzi fondamentali della propria raccolta – non ricordi come l'ha conquistato, se con fatica o meno, e spesso anche quanto l'ha pagato. Negli anni tra le due guerre mondiali e poco dopo si sono formate in Italia alcune delle più prestigiose collezioni contemporanee: la raccolta di fondi oro, e non solo, del conte Vittorio Cini a Venezia ne è uno degli esempi più tipici. Il disastro economico che colpì gran parte della popolazione europea alla fine della seconda guerra mondiale costrinse molte famiglie precedentemente abbienti a realizzare rapidamente vendendo opere d'arte; un ristretto novero di persone, per lo più sostenuto da un'economia industriale, poté così costruire o incrementare raccolte d'arte di eccezionale prestigio. Federico Zeri, che fu grande consigliere del conte Cini, raccontava che in quegli anni, dal nord dell'Europa, messa in ginocchio dalla guerra, scendevano treni interi i cui vagoni traboccavano di opere d'arte, in casse, che venivano acquistate quasi senza essere aperte, e dentro poteva esserci il capolavoro di Tiziano o Tintoretto, come il quadretto di poco conto. Il buono entrava nelle collezioni cui s'accennava; il meno buono prendeva la via di un mercato meno prestigioso. Un raffinato collezionista del nostro tempo, come Amedeo Lia, di ogni pezzo acquistato – e ne ha raccolti più di mille – ricorda esattamente il prezzo e l'anno di acquisto e rimpiange ancora di aver venduto il primo oggetto che cinquant'anni fa aveva comperato presso un antiquario e che aveva dato il via alla sua passione di raccoglitore. Da qualche anno la sua collezione – composta soprattutto da dipinti due-quattrocenteschi e di reperti archeologici e medievali – è andata a formare il Museo civico della città di La Spezia: l'ingegner Lia l'ha donata alla città, a patto che la città stessa la dotasse di degna collocazione, ma non se ne è separato definitivamente: il cordone ombelicale che lo lega ad essa ce lo fa incontrare tutt'oggi tra le sale del «suo» museo, come tornasse a salutare le proprie opere di giorno in giorno. Di donazione – in questo caso alla città di Venezia – è stata oggetto recentemente anche la collezione di dipinti di Egidio Martini. Figura polemica ma affascinante di storico dell'arte e di restauratore di un numero impressionante di dipinti veneti passati sul mercato negli ultimi cinquant'anni, Martini rappresenta una faccia tutta particolare e forse irripetibile del collezionismo. La raccolta d'arte moderna di Giuseppe Panza di Biumo ha trovato tutela finalmente tra le braccia del Fai che ha acquisito degnamente villa Menafoglio Litta che la contiene.
Giuseppe Angeli, Fanciulla e giovanetto con frutta e un uccellino, cat. 59, particolare
A fronte di queste realtà prestigiose costruite nel passato, ma che in anni recenti sono confluite in un modo e nell'altro sotto l'ala pubblica, bisogna ammettere che rare sono le collezioni formate negli ultimissimi anni che possano promettere altrettanto prestigio, per lo meno per quanto riguarda l'arte antica. Pochi nomi, che sarebbe indelicato citare, continuano a investire nell'arte passione e denaro con un attaccamento mirato più alla qualità che alla valorizzazione di un reddito: questa mostra, almeno per quanto riguarda l'arte veneta, ne è un chiaro esempio. Esce da ogni parametro e da ogni statistica la collezione Terruzzi. Ricca anch'essa, come quella di Lia, di cinquant'anni di storia, è superba esegesi del gusto della famiglia che l'ha realizzata: è una gigantesca Wunderkammer del nostro tempo, una camera delle meraviglie a trecentosessanta gradi. In pittura spazia dai fondi oro all'arte moderna, con una netta predilezione per i pittori veneti, specie del Settecento. La campionatura che contiene ci mette di fronte a un vero manuale della pittura veneziana di questo secolo: dai due Ricci ai Tiepolo, da Carlevarijs e Canaletto a Guardi, è come sfogliare un omologo dei fondamentali cataloghi – assommati – delle mostre I vedutisti veneziani del Settecento e Dal Ricci al Tiepolo, realizzate da Zampetti a Venezia nel 1967 e nel 1969: non è artista che non vi sia rappresentato.
Francesco Guardi, Maschere al caffè Florian, cat. 63, particolare
Nelle arti decorative, argenti europei ed italiani si affiancano a porcellane orientali, italiane, tedesche, in un numero esorbitante: basti un solo esempio, un servizio cinese del Settecento della dinastia Qing che si compone di quasi cinquecento pezzi. Ma non è tutto: parte fondamentale della raccolta è la mobilia. Vi si ritrovano arredi fondamentali per la storia di questo settore, tanto che vi sono presenti i maggiori ebanisti ed intarsiatori europei dei secoli XVII, XVIII e XIX, da Gibertoni ed Abbiati, a Boschetti, Pogliani e Castrucci, da Baumgartner, van Soest e Vanrisenburg a Boudin, Roentgen e Boulle. Non manca poi l'oggettistica, la curiosità, la statuaria, l'arazzeria, ricca quest'ultima di pezzi assolutamente primari. Scorrere gli inventari di questa raccolta è come abbracciare in un colpo la storia affascinante del collezionismo italiano dal dopoguerra a oggi. La soddisfazione dello storico che vi ritrova dipinti ritenuti dispersi, mobili visti solo in vecchie foto o dagherrotipi di palazzi nobiliari, non è dissimile a quella che si legge negli occhi di questi collezionisti quando si condivide con loro la propria scoperta: come se il parlarne fosse, se ce ne fosse bisogno, l'ennesima codificazione delle proprie scelte. Tenuta quasi segreta per decenni, con una ritrosia cui bisogna dar merito in una società che, al contrario, è sempre più pura esibizione, questa raccolta, unica per qualità e quantità, è stata solo recentemente resa nota ad un'utenza più vasta. L'esposizione di una parte di essa che è stata realizzata a Roma nel 2007, preceduta da un gran numero di prestiti a mostre nazionali e internazionali, ha espugnato l'abituale riservatezza di questa famiglia e rivelato al pubblico un museo privato che tuttora si mostra in continua gestazione, pronto a promettere instancabili avventure. Il collezionismo Terruzzi, nella riservatezza che l'ha coperto per anni, lungi da essere espressione di una gratificazione sociale, sembra quasi mostrarsi come una necessità dello spirito, come se il possesso dell'arte facesse parte di una reale e vitale esigenza interiore.
Annalisa Scarpa
Le Meraviglie di Venezia
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