Lanfranco Ravelli
Una primizia inedita di Bortolo
Litterini datata "1700" e altre aggiunte
1. Bortolo Litterini,
Sacrificio di Isacco, 1700. Carobbio degli Angeli (Bergamo), chiesa
parrocchiale.
Il dipinto
raffigurante il Sacrificio di Isacco (fig. 1) della chiesa
parrocchiale di Carobbio degli Angeli (Bergamo) è stato restaurato nel
2003 con il contributo del Credito Bergamasco di Bergamo. L'intervento,
avvenuto sotto la direzione di Amalia Pacia della Soprintendenza per i
Beni Artistici e Storici di Milano, si è reso necessario stanti le
condizioni di estremo degrado in cui l'opera versava dopo anni di totale
abbandono.
2. Bortolo Litterini,
Sacrificio di Isacco, 1700, durante l'intervento di pulitura.
Carobbio degli Angeli (Bergamo), chiesa parrocchiale.
Osservando la foto
effettuata prima del restauro, il dipinto presentava un evidente stacco
della tela visibile in basso a sinistra, diverse toppe, sparse qua e là,
due vistosi tagli alla sinistra del corpo di Isacco (fig. 2) e un
generale abbassamento dei toni cromatici prodotto dal lerciume e da
depositi di polvere.
4. Bortolo Litterini,
Sacrificio di Isacco, 1700, particolare. Carobbio degli Angeli
(Bergamo), chiesa parrocchiale.
Due sono le novità
più significative emerse durante l'intervento: la data e la firma,
visibili sul blocco di pietra (fig. 4) sopra il quale giacciono
la legna e il corpo di Isacco (MDCC B. Litterini) e una scritta
settecentesca apparsa sul retro della tela originale ("Borotolo [sic]
Leterini del 1700) (fig. 3).
3. Bortolo Litterini,
Sacrificio di Isacco, 1700, iscrizione dietro il telaio. Carobbio
degli Angeli (Bergamo), chiesa parrocchiale.
Prima di passare all'analisi, vale la pena ripercorrere, attraverso il
tempo, la complessa vicenda attributiva. Nel 1931, il Pinetti assegna il
dipinto a «ignoto del XVIII secolo» indicandone erroneamente le misure
in cm 150 x 300, anziché cm 175 x 350. Nell'"Inventario degli arredi
esistenti negli edifici sacri della parrocchia di Carobbio degli Angeli"
(dattiloscritto), e redatto a Bergamo nel 1964, è riportata la stessa
attribuzione precedentemente proposta dal Pinetti. In seguito, Luigi
Pagnoni, nel volume dedicato alle Chiese parrocchiali bergamasche,
apparso in tre edizioni (1974, 1979, 1992), così si esprime: «Bella
anche la grande tela del "Sacrificio di Isacco" che è sopra il
portale maggiore, data ad Agostino Litterini 1700». Infine, in occasione
del convegno sulla pittura veneta tenutosi a Torun (Polonia) nel 1999,
l'opera è stata da noi presentata con l'attribuzione ad Agostino
Litterini proposta dal Pagnoni. Ovviamente, con il ritrovamento, in sede
di restauro, della firma autografa e dell'anonima annotazione sul retro,
le varie ipotesi sono venute a cadere; in particolare, tramonta
definitivamente ogni supposto riferimento alla mano di Agostino. Il
Sacrificio di Isacco (fig. 1), un importante lavoro di
Bortolo Litterini, vede la luce dopo la serie di dipinti commissionati,
verso la fine del Seicento, dal vescovo Marco Giustiniani e destinati ad
abbellire il suo nuovo palazzo e la chiesa di Santa Maria e Donato a
Murano. Di essi, purtroppo, non resta che la pala con San Lorenzo
Giustiniani celebra la messa, datata 1697. Quando il
Litterini eseguiva la pala di Carobbio, aveva trentuno anni, un'intensa
attività alle spalle e una maturità artistica ormai consolidata: la
scarsità delle opere a tutt'oggi riconosciute come sue rispetto a quelle
effettivamente realizzate, dimostra l'oblio in cui la critica lo ha
ingiustamente relegato e la necessità di un attento lavoro di ricerca
per il quale i tempi sembrano finalmente maturi. Il dipinto di Carobbio
mostra chiaramente un linguaggio espressivo tenace, forte nella
padronanza del disegno: ciò è dovuto, da un lato, all'insegnamento del
padre, dall'altro, allo studio costante e sempre presente, in Bortolo
Litterini, dei maestri del passato. Qui, l'artista rilegge i grandi
modelli di Tiziano presenti nel dipinto con lo stesso soggetto
realizzato per la chiesa di Santo Spirito in Isola a Venezia e ora nella
sagrestia della chiesa della Salute. Evidenti ascendenze tizianesche
emergono nel naturalismo di cui l'opera è pervasa e nel modo di gestire
il rapporto fra le figure e il paesaggio che sfuma nella lontananza.
L'episodio biblico (Genesi 22) è illustrato con grande
naturalezza e, insieme, limpido rigore descrittivo: dall'impetuoso e
drammatico movimento dei corpi di Abramo e Isacco nei primi piani a
sinistra, si passa all'angelo in volo (di un lirismo che ricorda il
Lotto), fino al dettaglio, in basso a destra, dei due servi di Abramo
che attendono, con l'asino, il ritorno del padrone; alle loro spalle, il
paesaggio si perde lentamente in un orizzonte che pare infinito.
Insomma, un grande, possente dipinto che non sfigura affatto se posto
accanto alle opere dei grandi artisti veneti di quel periodo.
L'aggiunta di quest'opera al catalogo di Bortolo Litterini, induce a
rivedere l'attribuzione di un altro dipinto firmato e datato "Agostino
Litterini pinse 1704": si tratta del Martirio dei santi Fermo e
Rustico
(fig. 5).
L'assegnazione ad Agostino Litterini
poggia anche su una lettera spedita il 31 maggio 1704 dal parroco don
Giovanni Piccinelli allo scultore Andrea Fantoni in quel tempo a
Venezia. In essa, fra l'altro, si afferma:
Raccomandati di andare da Agostino Litterini,
pittore che fa il quadro di "S. Fermo e Rustico" per noi e vedere
l'opera, e di più portarsi alla chiesa di S. Teresa a vedere alcune
pitture del Sig. Bortolo, figlio del Sig. Litterini affinché sappiamo il
fatto nostro.
La firma e la data (1704) posta sul dipinto (precisamente sul sasso che
appare nelle vicinanze del santo, sulla destra) e il passo della citata,
non lasciano dubbi sul fatto che l'opera sia stata effettivamente
commissionata ad Agostino; d'altra parte, il riferimento all'attività di
Bortolo suggerisce due ipotesi: che la sua produzione fosse già
significativamente ampia e apprezzata e che alcune delle opere affidate
ad Agostino venissero, in realtà, eseguite da Bortolo, attivo, ormai da
più di un decennio, nella bottega paterna. Non si dimentichi, peraltro,
che la lettera risale al maggio 1704, quando Bortolo aveva già
realizzato (fra il 1695 e il 1697) le accennate tele di Murano per il
vescovo Giustiniani, oggi, purtroppo, in gran parte disperse. Quanto al
Fantoni, egli era in ottimi rapporti con i Litterini sin dal 1675, anno
in cui Agostino data e firma la pala della Madonna del rosario
per la stessa parrocchiale di Foresto Sparso (Bergamo). Per tornare al
problema dell'attribuzione del dipinto con il Martirio dei santi
Fermo e Rustico, non deve stupire che il padre abbia lasciato ampio
spazio al figlio per l'esecuzione del dipinto in questione. Un simile
atteggiamento rientrava, all'epoca, nella prassi comune; nel nostro
caso, tuttavia, Agostino vi aggiunse un astuto escamotage diplomatico:
al fine di evitare complicazioni nei rapporti con il parroco di Foresto
Sparso, decise di firmare lui stesso il dipinto, pur essendone autore il
figlio Bortolo.
5. Bortolo Litterini,
Martirio dei santi Fermo e Rustico, 1704. Foresto Sparso (Bergamo),
chiesa parrocchiale.
Un'analisi accurata
dell'opera (fig. 5) e il confronto con le opere di Agostino e con
quelle di Bortolo sinora venute alla luce, mostrano evidenti sintonie
non con lo stile del padre, bensì con quello del figlio: i corpi
allungati, il disegno anatomico vigoroso dei muscoli costituiscono, per
così dire, il sigillo di autenticità inconsapevolmente lasciato
all'attenzione dei posteri. Se ciò non bastasse, molteplici brani
tradiscono innegabili ascendenze allo stile di Bortolo: il santo
inginocchiato alla sinistra ripete, nelle gambe, un movimento analogo a
quello di Abramo nel dipinto di Carobbio (fig. 1); il volto con
barba nera, all'estrema destra, dietro il soldato che con il braccio
destro si appoggia al muro, corrisponde a un
tópos bellissimo, particolarmente caro a Bortolo e ricorrente in
molte opere di questi anni, come nel citato volto di Abramo, in quello
del carnefice nel Martirio di santa Caterina di Alessandria
(1705, chiesa di San Filastro a Villongo), in quelli dei Santi Pietro
e Marco che spiegano alla folla la parabola del seminatore (firmato
e datato 1707) e nei volti principali del grandioso telero (cm 280 x
370), conservato nel presbiterio della chiesa di Foresto Sparso
(Bergamo). Tipico del pittore è, inoltre, il naturalismo estetizzante e
purista che affiora nell'insieme della composizione e che ritroviamo in
alcune opere della vecchiaia. Si ignora l'anno in cui la tela fu
consegnata: tuttavia, il fatto che la severa, essenziale ancona
predisposta dal Fantoni e ispirata all'architettura del tardo
Cinquecento e del primo Seicento, rechi la data 1707, lascia supporre
che ciò sia avvenuto in quel preciso lasso di tempo.
Chiudiamo presentando due altre aggiunte al catalogo di Bortolo
Litterini: la prima consiste nello splendido dipinto, incastonato, come
una gemma preziosa, nel pulpito della parrocchiale di Grumello di Zanchi
(Bergamo).
6. Bortolo Litterini,
Cristo fra i dottori del Tempio, 1717. Grumello di Zanchi (Bergamo),
chiesa parrocchiale.
7. Bortolo Litterini, Cristo fra i dottori del Tempio, 1717,
particolare della firma.
L'opera raffigura
Cristo fra i dottori (fig. 6): la firma "B. Litterini" (fig.
7) compare in basso a destra sul dorso di un libro, mentre la data
di composizione "MDCCXVII" alla base del pulpito da cui parla Gesù (fig.
8).
8. Bortolo Litterini,
Cristo fra i dottori del Tempio, 1717, particolare della data.
Il dipinto,
scintillante di vitalità coloristica, è pervaso da accenti di schietto
realismo, quali emergono, a esempio, nel ritratto in vesti contemporanee
(che si tratti di un autoritratto?) posto nei secondi piani a destra con
lo sguardo rivolto verso l'osservatore (fig. 6). Il ritratto è
davvero bellissimo quasi un Pietro Longhi ante litteram.
9. Bortolo Litterini,
Resurrezione di Lazzaro, 1730. Ubicazione ignota.
L'altra aggiunta è costituita da un olio su tela di cm 85,5 x 136,
raffigurante la Resurrezione di Lazzaro firmata sull'alzata della
plancia di marmo alla destra "BARTH. LITTERINI OPUS MDCCXXX" (fig. 9).
Nonostante un intervento di restauro appaia quanto mai opportuno,
l'opera evidenzia, nell'impostazione e nella resa degli affetti, una
adesione convinta alla cultura classica e, tuttavia, non servile né
ripetitiva ma personale e sempre associata a un naturalismo che tradisce
suggestioni ispirate ai grandi pittori bolognesi.